Don Moreno Cattelan: «accoglienza e profughi al confine, ma intanto le bombe si avvicinano»

Quando riusciamo a metterci in contatto con lui via WhatsApp (l’11 marzo) la voce è sempre calma. Calma nonostante tutto. Da alcuni giorni erano sempre più chiare le intenzioni degli invasori russi: bombardare sempre più nell’ovest dell’Ucraina, verso la regione di Zhytomyr. E poche ore prima di parlare con don Moreno Cattelan, verso le 5.30 del mattino le forze di Mosca hanno lanciato un attacco con missili a lungo raggio ad alta precisione contro due aeroporti militari nelle città di Lutsk e Ivano-Frankivsk, distruggendoli, provocando morti e feriti. Lutsk si trova a 150 km a nord da Leopoli, dove don Moreno vive da alcune settimane con i suoi confratelli della comunità di “Don Orione”, mentre Ivano-Frankivsk è ancora più vicina, a 130 km verso sud. «Sono scattate le sirene, era ancora notte», ci racconta don Moreno. «Noi possiamo dirci ancora tranquilli, ma la paura e la tensione crescono».
Inoltre, la notte tra il 12 e il 13 marzo i russi hanno colpito l’International Center for Peacekeeping and Security, di Yavoriv, a 30 km a nord ovest di Leopoli e a 25 km dal confine con la Polonia.
Continua l’afflusso di migliaia e migliaia di profughi da Kiev e dall’est del Paese verso Leopoli, per sfuggire alle bombe, ai combattimenti e alla miseria, per poi o rimanere lì oppure passare il confine ungherese, polacco o moldavo. «Ci sono 2 km di fila per entrare in stazione», per controllare ogni persona. Molti arrivano dalle campagne, da piccole località, gente semplice, che non si è mai spostata dal proprio paese, come la donna, ci racconta don Moreno, «che aveva con sé ancora il passaporto dell’URSS». Il flusso alle frontiere in questi giorni, però, diminuisce, chi voleva fuggire l’ha fatto la scorsa settimana.
«Nella nostra comunità “Don Orione” in questi giorni accogliamo 35 persone, siamo pieni e quindi le indirizziamo ad altri centri in città. Qui a Leopoli siamo ancora autonomi nell’approvvigionamento dei beni essenziali. Se a volte ci manca qualcosa per i nostri ospiti, chiediamo al centro di accoglienza allestito nella scuola qui vicina, e quando possono ci donano patate, polpette o altro».
E poi il missionario padovano insieme ai confratelli don Egidio Montanari e Mykhailo Kostivdon continua a organizzare i viaggi per portare i profughi al confine ungherese. «Ad oggi abbiamo fatto 6 pullman, per un totale di circa 200 persone, e con un altro partiamo fra mezz’ora». Molti arrivano da Kiev (impiegando 3 giorni per fare 550 km), da Poltav, da Kharkiv. Su quest’ultimo pullman ci saranno bambini, disabili, malati, alcuni di loro si fermeranno all’ospedale “Burlo Garofalo” di Trieste. Altri arriveranno a Mestre per poi raggiungere altri profughi ucraini nelle comunità orioniane di Tortona e Fano, oppure a Milano, altri ancora andranno a Genova. «Abbiamo accompagnato al confine anche 7 famiglie italiane, indicateci dalla nostra Ambasciata», che a Leopoli si è trasferita, da Kiev, il 1° di marzo.
La guerra aiuta, per forza, anche a crescere in fretta, a volte troppo. È il caso, ad esempio, di due ragazzine ucraine di 16 anni che hanno raggiunto, da sole, le nonne in Italia, una a Trento l’altra a Novara.
Infine, a don Moreno, prima che raggiunga il pullman per un nuovo viaggio della sperranza verso l’Ungheria, gli chiediamo come stanno i ragazzi disabili che dal loro centro a Leopoli sono stati trasferiti due settimane fa nelle comunità di Fano e Tortona: «stanno bene, cercano di integrarli e di tenerli impegnati, gli fanno fare piccoli lavoretti, come realizzare collane con perline. Quand’erano qui a Leopoli facevano anche un laboratorio per realizzare icone».
A Tortona, poi, è stato realizzato un piccolo reparto dove gli ospiti ucraini dispongono di una piccola cucina, in modo da essere autonomi, e tra loro solidali.
Andrea Musacci
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 marzo 2022
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