La tesi di Romeo Pio Cristofori (Musei Arte Antica Ferrara): «potrebbe essere di fine XV secolo»
Chiunque entri nella Basilica di Santa Maria in Vado, che ne sia o no assiduo frequentatore, viene immediatamente rapito dal ricco splendore nell’area del presbiterio e dell’abside (oltre che, naturalmente, del tempietto del Miracolo eucaristico). Ma nella quarta cappella della navata sinistra si trova una scultura del Cristo crocifisso, che attira comunque l’attenzione. Attenzione non solo dei pellegrini o turisti che si recano nella Basilica, ma anche degli studiosi, data l’incerta datazione.La sera dello scorso 20 novembre, proprio a S. Maria in Vado, ne ha parlato Romeo Pio Cristofori, conservatore dei Musei di Arte Antica di Ferrara, in un incontro organizzato dall’Unità Pastorale Borgovado e dal Circolo ANSPI di Santa Maria in Vado.
L’IPOTESI DELLA DATAZIONE
Cristofori ne parla anche in un articolo dal titolo “Dopo Baroncelli. Crocifissi a Ferrara nell’età di Borso d’Este”, pubblicato sulla rivista semestrale “Schifanoia” (n. 64-65, 2023).
«Alla morte di Borso, nel 1471 – scrive Cristofori -, gli artisti attivi durante il primo Ducato ferrarese si trovarono parzialmente esclusi dalle nuove richieste della committenza e, travolti dall’arrivo delle nuove soluzioni formali e stilistiche richieste dal gusto di Ercole I e della sua consorte, modificarono il proprio stile o abbandonarono la scena artistica locale. Dopo la floridezza della stagione appena conclusa, di cui un ulteriore interessante esempio potrebbe essere lo sconosciuto crocifisso ligneo dell’altare maggiore della chiesa di San Paolo, la realizzazione di crocifissi monumentali sembra subire un rallentamento a favore di composizioni diverse o di rielaborazioni locali».
Il Cristo crocifisso presente a Santa Maria in Vado – prosegue lo studioso – «potrebbe essere una tarda interpretazione della figura di Cristo che ebbe così tanto successo negli anni borsiani. Testimoniata fin dalla fine del Settecento, la scultura (170 x 100 cm circa) è comunemente ritenuta opera di un ignoto artista ferrarese, cronologicamente collocabile nei primi decenni del Cinquecento. Tuttavia – è l’ipotesi di Cristofori -, un’attenta analisi dell’intaglio potrebbe consentire una datazione più antica, non troppo distante» da opere come il Cristo ligneo della chiesa di San Cristoforo alla Certosa, oggi esposto al Museo Schifanoia, o quello della chiesa di Santo Spirito. Il periodo sarebbe, quindi, all’incirca tra la fine del ducato di Borso d’Este (1452-1471) e l’inizio di quello di Ercole I (1471-1505). Così lo studioso analizza nel dettaglio l’opera:«Nonostante lo stato conservativo non favorevole, le numerose ridipinture e i corposi depositi di polvere (che ne alterano la policromia e offuscano la qualità dell’intaglio), l’opera denuncia una vicinanza a un patetismo delle forme, specie nel volto, nei capelli e nelle solide gambe, vicini alle ricerche formali condotte a partire dalla fine degli anni settanta da Guido Mazzoni. La figura schiacciata e la sproporzione delle lunghe braccia rendono la scultura il frutto di un artista locale di grande interesse sebbene lontano dagli esiti delle opere già presentate. L’intaglio delle gambe, in cui si intravedono le vene sottili, la cassa toracica sporgente e striata, l’attenzione non pienamente riuscita sul particolare anatomico dei pettorali in tensione e delle spalle estroflesse, consentono di ipotizzare una conoscenza non solo del crocifisso bronzeo di Baroncelli ma anche degli emuli che negli anni successivi occuparono gli spazi ecclesiastici cittadini. Un restauro della scultura consentirebbe di riscoprire pienamente un’opera di grande interesse, la cui ipotetica datazione a metà degli anni settanta del Quattrocento, ben si adatta anche con il perizoma all’antica, la cui decorazione orizzontale è assai simile a quella già utilizzata da Vicino da Ferrara nella sua tela parigina».
Questo studio sulla misteriosa opera di S. Maria in Vado, ci tiene a sottolineare Cristofori – «è ancora in corso e passibile di ulteriori sviluppi». Inoltre, «un restauro permetterebbe di comprendere ancora meglio l’opera e collocarla con maggiore chiarezza nel contesto storico-critico».
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 29 novembre 2024
L’intervento di Laura Zanfrini (Università Cattolica) a Casa Cini
Il moderno principio di cittadinanza, che si realizza concretamente nell’uguaglianza fra le persone, nel rispetto della pari dignità di ognuno, col conseguente aumento dei diritti civili e sociali, è sfidato dalle migrazioni di massa del nostro tempo. Su questo ha riflettuto lo scorso 21 novembre Laura Zanfrini, professoressa ordinaria di Sociologia delle migrazioni e della convivenza interetnica all’Università Cattolica di Milano, intervenendo a Casa Cini per la “Scuola diocesana di teologia per laici” sul tema “Cambiare rotta verso l’accoglienza”.
«Le società moderne, legate a quel concetto di cittadinanza, si pensavano come chiuse, delimitate da confini nazionali e di conseguenza omogenee sotto il profilo culturale, etnico e religioso», ha riflettuto la relatrice. Di conseguenza, ancora oggi gli immigrati «in quanto stranieri» spesso vengono percepiti come «potenziali nemici». Inoltre, la maggior parte delle volte sono «poveri» e quindi «percepiti come “competitori”» in quanto «consumatori illegittimi di welfare», del “nostro” welfare. Ragionando così, però, si scade in una «concezione darwinista dell’appartenenza sociale», dando vita a «una società che produce scarti umani». Spesso – per Zanfrini – anche «chi difende l’immigrazione sbaglia, quindi, quando usa argomentazioni economicistiche del tipo “gli immigrati ci servono per certi lavori” o “gli immigrati ci pagheranno le pensioni”». Dobbiamo accogliere chi ha bisogno «perché è giusto in sé, anche se nell’immediato non è utile». E iniziare seriamente a ragionare sul tema della «partecipazione, coinvolgendo le persone immigrate a livello civile e politico». Oltre alla nostra concezione dei confini e di omogeneità, le migrazioni mettono in discussione «la nostra idea di stanzialità. Ma sono le nostre stesse vite a essere sempre più transnazionali», ha aggiunto la relatrice, che ha giustamente accennato al fatto che in ambito sanitario-assistenziale – ma il discorso si potrebbe allargare – «l’immigrazione di donne e uomini nei Paesi ricchi per essere impiegate come oss, badanti o colf impoverisce, e di molto, i loro Paesi di origine» di professionalità fondamentali. Dovremmo, quindi, «esportare i nostri sistemi di welfare, non solo i nostri sistemi produttivi».
Un altro aspetto molto delicato dell’immigrazione è quello della «diversità quando mette in dubbio, o rischia di mettere in dubbio, il principio di uguaglianza davanti alla legge». Si pensi alla sharia islamica, che spesso contrasta con gli ordinamenti dei Paesi europei. Infine, ma non meno importante, la migrazione «sfida la Chiesa, mettendo in dubbio la nostra idea di Chiesa nazionale, tradizionale e l’idea stessa di laicità, cioè il ruolo della religione nello spazio pubblico». Temi complessi sui quali è sempre necessario un di più di discernimento all’interno delle nostre comunità ecclesiali.
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 29 novembre 2024
Convegno Turismo Religioso. In attesa del 5 dicembre, il “Cammino di San Guido” e altre idee
Il 2025 è più vicino che mai e anche la nostra Arcidiocesi si sta preparando per l’avvio dell’Anno Santo (domenica 29 dicembre alle ore 17.30 vi sarà la Solenne apertura in contemporanea nella Cattedrale di Ferrara e nella Concattedrale di Comacchio).
Un primo appuntamento è il Convegno “Ferrara e il Turismo Religioso nell’orizzonte del Giubileo” in programma il 5 dicembre alle ore 18 a Casa Cini.Lo scorso 22 novembre gli organizzatori hanno incontrato la stampa per presentare l’importante iniziativa, che vede come sponsor il Florenz Village di Lido degli Scacchi (alla conferenza stampa era presente Arnalda Vitali, co-titolare assieme a Gianfranco Vitali) e l’Agenzia Generali di corso Giovecca, il cui agente Luca Buccino è socio UCID. Presenti all’incontro coi giornalisti anche mons. Marino Vincenzi (Assistente ecclesiastico Serra club Ferrara e, per il Giubileo del 2000, responsabile diocesano per i pellegrinaggi) e don Augusto Chendi (Assistente ecclesiastico UCID Ferrara).
Antonio Frascerra (Presidente UCID Ferrara) ha innanzitutto spiegato da dov’è partita l’idea di questo Convegno: «come UCID abbiamo fatto la proposta prima all’Arcidiocesi poi al Serra club per alcuni motivi, primo fra tutti l’imminenza del Giubileo, che vede la nostra Arcidiocesi ospitare due sedi giubilari (Cattedrale di Ferrara e S. M. in Vado, ndr), oltre a diverse chiese giubilari.Per questo – ha proseguito – lavoreremo all’organizzazione di diversi eventi collaterali pensati soprattutto per i pellegrini» che durante l’anno transiteranno per il nostro territorio diocesano. La collaborazione tra l’Arcidiocesi e UCID «è pensata anche in vista della chiusura per lavori del CastelloEstense» per 4 anni (i primi due con chiusura integrale), che rischia di portare a un calo di turisti, e «per valorizzare ancora di più la Cattedrale di Ferrara e la vicina chiesa di San Paolo», riaperte da poco dopo tanti anni.
Ha preso poi la parola Alberto Lazzarini (Presidente Serra Club Ferrara) il quale, nel porre l’accento sulla «profonda condivisione di valori tra l’associazione che rappresenta, l’UCID e l’Arcidiocesi», ha sottolineato l’importanza di «valorizzare assieme luoghi sacri e non della nostra città e del nostro territorio». Riguardo al Convegno del 5 dicembre, ha poi sottolineato come «gli interventi dei rappresentanti della Camera di Commercio e di ASCOM serviranno soprattutto per fare un quadro della situazione economica della nostra provincia, in particolare nel versante turistico».
Il sopracitato Gianfranco Vitali (che è anche Presidente provinciale FIAVET – Federazione Italiana Associazioni Imprese di Viaggi e Turismo) porterà invece la sua esperienza nell’ambito turistico, impegno «da sempre in linea con i valori cristiani dell’UCID». Fra gli altri interventi, vi sarà quello di Massimo Caravita, Presidente di Petroniana Viaggi srl (di proprietà della Diocesi di Bologna) e Presidente della FIAVET regionale.
L’ultimo – ma non meno importante – intervento è toccato a Emanuele M. Pirani (Incaricato diocesano Turismo e Pastorale Tempo Libero), che ha spiegato come il Giubileo ci spinge come Chiesa locale «ad occuparci ancora di più di quello che chiamo il “movimento del sacro”»: il sacro, cioè, «porta tante persone a muoversi, a cercare e raggiungere luoghi di fede e spiritualità. La tradizione dell’ospitalità organizzata è antica e nasce in ambito benedettino con l’accoglienza dei viandanti e dei pellegrini». Basti pensare ai tanti che da secoli passano per Pomposa. «Come Ufficio diocesano per il Turismo e i Pellegrinaggi intendiamo, quindi, farci prossimi al pellegrino – mi piace chiamarlo “ospite” più che turista – per annunciargli il Vangelo attraverso la bellezza dell’arte, dell’architettura, della natura, forme attraverso le quali Dio parla all’uomo. Intendiamo perciò mettere in rete le diverse chiese giubilari e altri luoghi di fede del nostro territorio, proponendo pacchetti per i pellegrini, cioè percorsi mirati di arte, fede e cultura. Stiamo lavorando, ad esempio – ha proseguito -, sul “Cammino di San Guido”, un percorso di rilevanza nazionale di 55 km che parte dall’Abbazia di Pomposa e si conclude sempre all’Abbazia di Pomposa, con in mezzo alcune tappe significative fra le quali le dune fossili di Massenzatica, la chiesa di Mesola e il Bosco Eliceo con la sua chiesa.E in città, valorizzare i nostri monumenti religiosi e ciò che celano, cioè la manifestazione di Dio.Pensiamo, ad esempio, al Miracolo Eucaristico nel Santuario di Santa Maria in Vado». Infine, ricordiamo che la nostra Arcidiocesi ha organizzato due pellegrinaggi per Roma il prossimo anno: l’11-12-13 marzo e il 17-18-19-20 giugno. Per informazioni e iscrizioni: solo via email a turismopellegrinaggite@gmail.com fino ad esaurimento posti.
Ufficio Diocesano Pellegrinaggi, Pastorale del Tempo Libero e Turismo: martedì e giovedì ore 10 – 11, via Cairoli 30, Ferrara (Curia). Tel: 329/2221972.
L’iscrizione sarà formalizzata dopo il versamento di euro 200 di caparra (l’Ufficio fornirà l’IBAN). Saldo entro 30 giorni dalla partenza.
Non si accettano iscrizioni per telefono.
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 29 novembre 2024
Dibattito ricco e appassionato per la XXV edizione del Convegno di Teologia della Pace organizzato a Ferrara: la testimonianza di padre Zelinsky sulla sua obiezione di cristiano all’ideologia imperante in Russia, il racconto di De Francesco dalla Terra Santa e il contributo di Simonelli sulla violenza diffusa. E ancora, qual è il ruolo delle Chiese nella costruzione, quotidiana e non, della pace? Han cercato di rispondere Paronetto (Pax Christi), Aprile (Chiesa Battista), Sala (Il Regno) e i rappresentanti delle Chiese locali
a cura di Andrea Musacci
La pace che nasce e sgorga dal cuore, inscindibile da quella che si costruisce solo nell’incontro col volto dell’altro. La pace, quindi, che ha come unica vera fonte il Cristo. Sono stati innumerevoli gli spunti emersi dal tanto atteso Convegno di Teologia della Pace, giunto alla XXV edizione (dopo 5 anni di pausa) e svoltosi a Casa Cini, Ferrara, il 15 e il 16 novembre. Tema scelto da SAE, Pax Christi e dalle altre associazioni organizzatrici, “Diventare Chiese di pace in tempo di guerre”.
PADRE ZELINSKY: «PENTIMENTO VERO CONTRO LE FOLLIE IDEOLOGICHE RUSSE»
«Facendo questa relazione qui a Ferrara, commetto un reato davanti allo Stato russo e davanti alla Chiesa ortodossa russa». Padre Vladimir Zelinsky(foto sotto), prete ortodosso e scrittore nato nell’ex URSS, dal ’91 vive a Brescia dove guida una parrocchia «composta dall’85% da ucraini». Fa parte del Patriarcato autonomo della Chiesa russa (Arcivescovado della Chiesa della tradizione russa, di rito bizantino slavo), distinto sia dal Patriarcato di Mosca sia dall’Esarcato Russo del Patriarcato di Costantinopoli (a cui Zelinsky apparteneva). «Un giorno vorrei tornare nella mia patria, ma oggi per me è molto complicato, anche perché ciò che dico a voi lo dico anche altrove, e non solo in italiano ma anche in russo».
A differenza del periodo sovietico – ha riflettuto – oggi in Russia non vi è più il problema della Chiesa clandestina, «ma la parola “pace” è sparita dallo spazio pubblico. Oggi lo Stato più che ortodosso è diventato autoritario e per questo Stato la pace significa guerra, massacro». Ed è la stessa Chiesa ortodossa russa a sostenere la guerra in quanto “difesa della patria”», contro il nemico che per loro «coincide con l’Occidente», mentre in realtà è «un nemico inventato». In questa narrazione «perversa», l’”invasore” possiede i tratti apocalittici dell’anticristo, infernali come satana. L’Occidente è accusato innanzitutto di corruzione morale e di voler salvare la salute morale dell’Ucraina». Dal punto di vista ecclesiale, per p. Zelinsky «il concetto di mondo russo introdotto dalla Chiesa ortodossa rappresenta una pura eresia. L’ideologia ha danneggiato i cervelli delle persone e la loro stessa fede». Quella di Putin in Ucraina, «manipolatore e mafioso», non è una «guerra santa, ma un bagno di sangue». In Russia domina una vera e propria «religione di Stato iniziata nel 1945» e che oggi vede, ad esempio, «lezioni obbligatorie di patriottismo già dalle Scuole Elementari». Per non parlare delle tante «conferenze ecclesiali organizzate a fine 2024 per celebrare l’80° anniversario dal 1945».
P. Zelinsky ha voluto specificare che «non tutta la popolazione è segnata da questa tentazione di una vittoria indemoniata», ma il «vento che soffia sulla Russia e le sue Chiese purtroppo è questo»: oggi la propaganda ufficiale descrive la Russia come «il catéchon, colui che trattiene l’ordine divino facendo da ostacolo all’anticristo collettivo». Il dilemma per molti cristiani è questo: «andare contro la propria coscienza o contro tutti, compresa la propria parrocchia». Le prime vittime della guerra – ha proseguito p. Zelinsky – sono «la verità e la capacità di compassione e di empatia, oltre alla capacità di guardare la realtà in faccia». Come ad esempio, «il numero altissimo di morti anche fra i soldati russi, e i loro corpi spesso abbandonati sui campi di battaglia». Da tutto ciò, la Russia non otterrà altro che «odio che continuerà per secoli».
In tutto questo, che ruolo può avere una teologia della pace? Innanzitutto, per p. Zelinsky «l’Ortodossia ha tutti i mezzi spirituali per liberarsi da questa gabbia ideologica». Il principale strumento per arrivare a ciò è «il pentimento» che permette innanzitutto dentro di noi «di distinguere il bene dal male» e che «ci permetterebbe di uscire dalla “gabbia dorata” del mondo russo per aprirci al mondo creato da Dio», col risveglio «di una nuova vocazione spirituale». Ciò che è necessario è «una linea di demarcazione spirituale fra politica e fede», tra quest’ultima e «l’obbedienza cieca al potere».
IGNAZIO DE FRANCESCO: «PASSARE DAL FUCILE AL BULBUL»
Monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata (fondata da don Giuseppe Dossetti), Ignazio De Francesco è una testimonianza vivente di come la fede in Cristo non possa non incarnarsi in un’amicizia profonda e quotidiana con chi è diverso da noi. De Francesco guida una comunità cattolica a 7 km da Ramallah, in Cisgiordania, ed è esperto di islam. «Qui – ha raccontato a Casa Cini –, dove noi cristiani siamo una piccolissima minoranza, ho tanti amici sia tra i musulmani sia tra gli ebrei: la nostra “inutilità” di minoranza – ha proseguito – ci permette una relazione pacifica con tutte le anime che abitano questa terra». Il racconto, poi, è andato al 7 ottobre 2023: «stavamo recitando il salmo 118 («Come pecora smarrita vado errando; cerca il tuo servo, perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti…»), quando abbiamo sentito i missili lanciati da Hamas verso Tel Aviv passare sopra di noi». In questa «bolla di omicidi nella quale viviamo, mi chiedo: c’è forse qualcosa di sbagliato nel software e nell’hardware dell’umano», cioè alla radice dell’umano? «L’uomo è una bestia?». Partendo da Caino e Abele, «che noi in Terra Santa sentiamo particolarmente nostri», De Francesco ha amaramente constatato come le religioni monoteiste – pur nelle differenze nei secoli «hanno spesso sacralizzato, canonizzato la violenza e la guerra». Ma a volte la denuncia pubblica è dovere di un cristiano, come – ha citato De Francesco – fece don Dossetti nel settembre 1982 in occasione del massacro nei campi palestinesi di Sabra e Chatila. «Ma il “tu” esiste? Esiste l’altro? È la domanda che ci poniamo, che dobbiamo porci – ha proseguito -, altrimenti l’altro diventa invisibile». Come avviene per i bambini in Terra Santa, indottrinati all’eliminazione dell’altro, prima concettuale poi anche fisica, a una «negazione reciproca per poi incontrarsi sul campo di battaglia». «Spesso anche nei programmi scolastici sia nelle scuole di Israele che in quelli della Cisgiordania, il tu non esiste: per gli arabi, gli israeliani sono solo frutto del colonialismo occidentale e sono solo o uomini in divisa o coloni, cioè non hanno un’identità personale». Così, nelle scuole israeliane «l’arabo palestinese scompare, è solo il terrorista». Le identità, quindi, «sono una grande ricchezza ma possono diventare muri assassini. È importante quindi conoscere l’altro, vedere che l’altro esiste, per arrivare a un reciproco riconoscimento: quando l’altro diventa un “tu”, non puoi più ucciderlo. E da qui, a partire dall’altro, si può anche conoscere nuovamente sé stessi».
Ma lo sparo, quello sparo nella notte che non è difficile sentire in Cisgiordania e in Israele, «non può avere l’ultima parola. E allora, quella notte il bulbul (una specie di usignolo) «ha iniziato il suo cinguettio, il suo canto, a cui si sono aggiunti gli altri uccelli del bosco». Il bulbul ha, cioè, «rotto la dittatura dell’io, del fucile, risvegliando anche gli altri uccelli: la nostra specie umana, che sembra così orientata all’io del fucile, dovrebbe quindi imparare da altre specie animali».
SIMONELLI: «NONVIOLENZA SU PIÙ LIVELLI»
Sull’ospitalità, la cura e accoglienza dell’altro ha centrato il proprio intervento, venerdì 15, anche la teologa Cristina Simonelli, partendo dal “Pace a questa casa” di Lc 10, riflettendo quindi sull’«ospitalità e sulla possibilità del suo rifiuto», della non accoglienza fino alla morte, come nel caso di Moussa Diarra, ucciso lo scorso 20 ottobre a Verona da un poliziotto. Sempre nel Vangelo lucano (capitoli 13 e 19), Gesù «attraversa diverse dimensioni della realtà», emergendo come «chioccia che cova, culla, protegge i suoi figli» ma anche come Colui che denuncia, con parresia, «come il tempio da casa di preghiera sia diventata una spelonca di ladri». Diverse e ambivalenti le dimensioni della pace legata al concetto di casa e diversi i livelli della violenza. Johan Galtung, sociologo e teorico della pace, propose il triangolo della violenza: la punta è rappresentata dalla «violenza palese, verso cui spesso le Chiese sono troppo afone». Il livello intermedio, dalla violenza strutturale, «dalle ingiustizie e dalle disuguaglianze globali, dalle quali nasce la guerra». La base, infine, è rappresentata dalla «violenza culturale, dai discorsi d’odio e dalla narrazione fatta di stereotipi». La nonviolenza, di conseguenza, «deve lavorare su tutti questi livelli» e sempre nel solco della speranza, che è «potente» e ci chiede «di stare in attesa ma in maniera radicale e attiva». La speranza, insomma, «è una virtù nonviolenta».
PARONETTO: «PAX CHRISTI, STORIA DI PACE»
La pace come speranza concreta, si diceva, come progetto umano e collettivo, e quindi come storia di donne e uomini in tutto il mondo. Non parole, ma una storia realistica che associazioni come Pax Christi costruiscono ogni giorno da decenni. Durante il Convegno di Teologia della Pace tenutosi a Casa Cini, ne ha parlato Alessandra Mambelli (Pax Christi Ferrara), la quale ha raccontato la nascita 30 anni fa di questi Convegni dopo la nascita del Punto Pace a Ferrara. Mambelli ha poi ricordato, in particolare, il legame stretto di Pax Christi con don Tonino Bello. E col biblista ferrarese don Elios Mori.
Ha poi relazionato Sergio Paronetto, già vicepresidente di Pax Christi Italia, del cui Centro studi è attualmente presidente e nel cui gruppo veronese è ancora attivo. «Azione costante, continua, determinata e globale: questa è la nonviolenza», ha spiegato. E questa è un’ottima definizione per Pax Christi, che nasce a livello internazionale grazie a un gruppo di donne, idem in Italia, oltre al ruolo decisivo del card. Montini, di mons. Rossi Vescovo di Biella, mons. Castellano Vescovo di Siena e di don Luigi Bettazzi, dal ‘68 presidente nazionale e poi anche presidente internazionale. «Non bisogna solo – diceva – costruire la pace ma essere pace». La pace, quindi, è «qualcosa che riguarda tutte le dimensioni della vita (spirituale, personale, economica, ecologica ecc.) e con un respiro ecumenico, interreligioso e umanistico. Con gioia – ha proseguito – dobbiamo combattere contro tutto ciò che deturpa l’uomo come immagine di Dio».
Paronetto ha ricordato come dagli anni ’60 Pax Christi abbia avviato «progetti per un’economia di pace, disarmata, organizzato le Marce della pace nate a Sotto il Monte, terra di papa Giovanni XXXIII, e diversi convegni di studi. Un’altra lotta è stata quella per l’obiezione di coscienza al militare: «molti andavano in carcere o andavano – come me – in Servizio civile in Paesi del terzo mondo». Paronetto ha poi ricordato l’impegno contro la guerra in Vietnam e, in particolare, la grande assemblea per la liberazione dei popoli dell’Indocina francese, svoltasi nel ’73 a Torino grazie anche all’allora Vescovo card. Pellegrino. E ancora, le lotte contro le dittature e per la pace negli anni ’80 e ’90. «La guerra è sempre un fratricidio e un deicidio, – ha riflettuto Paronetto – perché bestemmia contro il Suo nome: verso il dio delle guerre e delle violenze, ci vuole il più radicale ateismo». Gesù cristo «è nonviolento, è la nostra pace: con il dono del suo corpo ha abbattuto i muri di separazione e in lui ha unito i popoli. E questo, oggi, è il compito della Chiesa». La pace è, quindi, «la sostanza del messaggio cristiano, perché affonda le radici nel mistero trinitario, che è mistero d’amore. La Chiesa non potrà dunque mai essere neutrale ma sempre profetica».
Riprendendo poi don Tonino Bello, Paronetto ha spiegato come «la pace è il progetto politico più realistico, perché la guerra è sempre una strage, oltre a distruggere, a svuotare la politica». La pace è «la più bella avventura della vita, è una trasformazione radicale della vita». Significa far coincidere i mezzi coi fini. Insomma, «se vuoi la pace, prepara la pace», fin da ora.
APRILE: «COSTRUIRE LA PACE NEL PICCOLO»
Massimo Aprile, pastore battista di Napoli ha poi preso la parola (in collegamento online) spiegando come ha avuto «l’onore di conoscere personalmente don Tonino Bello e don Luigi Bettazzi. «Pace, giustizia e salvaguardia del creato – fra loro strettamente connessi – rappresentano l’urgenza del nostro tempo». Oggi, invece, «spesso le Chiese difendono interessi e privilegi, invece di essere vessilli del Vangelo della pace». Insieme a valdesi e metodisti, Aprile ha poi spiegato le diverse forme di collaborazione, anche per la pace, oltre che con altre anime del mondo riformato. «Ognuno deve chiedersi: cosa sono disposto a fare per la pace? E cosa sono disposto a rinunciare per la pace?». Per fare la pace innanzitutto bisogna «decostruire l’immagine negativa del nemico, iniziando ad ascoltarlo, a sentire le sue ragioni». Va poi «smontata l’ideologia del militarismo, del nazionalismo e della corsa agli armamenti» e «ognuno di noi nel piccolo, nel quotidiano dev’essere mediatore di pace». Infine, la pace va costruita anche nell’ambito del «linguaggio, che dev’essere sempre più inclusivo e sempre meno discriminatorio», e quello legato «all’uso del denaro», pubblico e personale.
SALA: NONVIOLENZA, GUERRA GIUSTA E CAUSE STRUTTURALI
E a proposito di linguaggio, lo scorso febbraio i Vescovi tedeschi hanno cercato le parole giuste per parlare di pace, producendo un’importante Dichiarazione, “Pace a questa casa”, presentata da Daniela Sala, Caporedattrice de “Il Regno – documenti”. Un documento pensato «per approfondire e aggiornare il pensiero della Chiesa sulla pace, tentando di «superare due posizioni differenti e contrapposte: la tradizione della nonviolenza e quella della guerra giusta». La formula di sintesi è la cosiddetta «opzione preferenziale per la nonviolenza», cioè «la scelta della nonviolenza pur nel riconoscimento della necessità, a volte, di difendere la pace e contenere la violenza». Sono state diverse, e alterne, le fortune della pace nel secolo scorso e così differente è stato il dialogo all’interno del mondo cristiano al riguardo. Negli ultimi due ventenni – ha detto Sala – «la riflessione etica cristiana ha sempre più abbracciato la linea della “pace giusta”, che considera fondamentale anche il superamento di tutte le ingiustizie». In ogni caso, il documento in questione dell’episcopato tedesco «tenta di ricucire le differenze fra chi riconosce un diritto alla guerra pur rifiutandola, chi pensa che non vi sarà pace finché non ci saranno organismi sovranazionali capaci davvero di difenderla, e chi invece rifiuta sempre la guerra». L’importante è «dialogare sempre pur nelle differenze e lavorare sempre per la pace nel mondo», anche attraverso «la deterrenza nelle sue varie forme, concentrando i nostri sforzi per affrontare le sfide del futuro». Ma quindi, per stabilire una pace duratura, la Chiesa cosa può fare? «Testimoniare la pace di Cristo in un mondo diviso», ha detto Sala. «Non sarà facile, ma questa è la missione di ogni cristiano, di ogni Chiesa».
LA PACE NEL CUORE
L’introduzione del convegno venerdì 15 è spettata al biblista Piero Stefani, fra gli organizzatori storici, che ha preso le mosse da uno dei testi fondamentali del Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 78: da esso si deduce come «la guerra permane perché siamo nella dimensione del peccato»; ma i conflitti – senza per nulla volerli giustificare – possono essere comunque «un tempo di kairos, un tempo opportuno»: infatti, da una parte «ci si rende conto che la catastrofe è tale solo dopo che questa avviene»; dall’altra, la guerra «fa risaltare ancora di più gesti di bene».
Sempre il primo dei due giorni, i saluti del Vescovo e dell’Arcidiocesi li ha portati il Vicario Generale mons. Massimo Manservigi, che ha accennato alla «pace come dono di Dio ma che ha bisogno di essere accolta nel nostro cuore». Concetto, questo, decisivo, e poi ripreso anche da padre Oleg Vascautan, alla guida della Comunità ortodossa moldava di Ferrara: «le Chiese – ha detto – sono sempre punti di pace, riferimenti per la pace». Pace che, però, «è innanzitutto qualcosa di interiore, deve cioè scendere nel cuore di ognuno, nel profondo, non rimanere a livello delle idee, sul piano teorico». Al contrario, dev’essere qualcosa di “pratico”, di concreto. Per questo, «la guerra più pesante è quella col prossimo, la volontà di sopraffazione nei confronti di chi mi è vicino: qui ha inizio la guerra». L’unica vera pace è «quella che viene da Dio. E la nostra pace – chiediamoci – coincide con quella di Dio? Spesso, infatti, ci rappresentiamo Dio come piace a noi (un dio governabile, confortevole), invece di essere aperti alla Sua rivelazione». Quando parliamo di pace, dunque, «parliamo non di qualcosa ma di Qualcuno: la Pace è una Persona, Dio. È quindi a Lui che dobbiamo guardare se vogliamo vivere la vera pace. Chi trova Dio, trova la pace». «È importante lavorare anche e soprattutto sul verticale, sulla radice spirituale», ha poi in un certo senso proseguito Raffaele Guerra, diacono della Chiesa ortodossa rumena di Ferrara: «finché la nostra interiorità sarà in conflitto, nulla potrà portare a una pace duratura».
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 22 novembre 2024
Grande successo per l’annuale Raccolta Alimentare nel Ferrarese: oltre 3mila kg in più di beni alimentari a lunga conservazione sono stati donati in un solo giorno, il 16 novembre, a Ferrara e provincia: un grande popolo di carità ancora una volta unito
Sono stati ben 70.100 i kg di beni alimentari a lunga conservazione raccolti lo scorso 16 novembre a Ferrara e provincia in occasione della Giornata della Colletta Alimentare. Un risultato importantissimo, un aumento consistente rispetto agli anni scorsi (l’anno scorso erano stati raccolti 67.050 kg). A livello nazionale, sono state raccolte 7.900 tonnellate di cibo da destinare alle persone in difficoltà.
A Ferrara e provincia sono stati 141 i punti vendita nei quali si è potuto fare la Colletta (erano 120 nel 2023). Nel solo Comune di Ferrara (41 punti vendita) sono stati raccolti 27.720 kg, mentre in ACER e nella sede dell’Agenzia delle Entrate, 285 kg. Proseguendo, nel Distretto scolastico di Cento 1934 kg, e 1.302 nelle Scuole S. Vincenzo e S. Antonio di Ferrara. «Nei prossimi mesi – spiegano gli organizzatori a “La Voce” – abbiamo già la disponibilità di altri Poli scolastici di Ferrara e provincia nell’ambito del Progetto “Donacibo”.
Questo grande risultato nel Ferrarese, era già nell’aria a metà giornata quando Giuseppe Salcuni, Responsabile Colletta a livello provinciale, ci comunicava che rispetto al 2023 erano già state raccolte circa 2 tonnellate in più rispetto al 2023. Tutto ciò, non dimentichiamolo, è stato possibile grazie agli oltre 1300 volontari: «fare la volontaria è la cosa più bella che possa fare per il prossimo», ci racconta Giovanna, mentre per Iacopo «è un bel gesto verso le persone bisognose, o che han perso il lavoro. Ci sono i maleducati tra i clienti, ma tanti altri ci han donato addirittura intere sporte. E a chi dona, diamo un segnalibro con un “grazie”».
Oltre al Responsabile provinciale Giuseppe Salcuni, decisivo è stato anche l’impegno di 11 responsabili/coordinatori sparsi su tutto il territorio provinciale, che han fatto da cerniera tra il coordinamento centrale e i tanti volontari, e dei volontari nei magazzini.
La Colletta, come accennato, la settimana scorsa si è svolta anche in alcuni luoghi di lavoro e di studio.AFerrara, nella Residenza Municipale, nell’Urp di piazza del Municipio, 23, nello Sportello Sociale Unico Integrato (Ssui) di corso Giovecca, 203, nello Sportello Centrale Anagrafe di via Fausto Beretta, 1, nella sede dell’Asp – Centro Servizi alla Persona di via Ripagrande, 5. E ancora: nella sede ACER di c.so Vittorio Veneto a Ferrara, nella sede dell’Agenzia delle Entrate in via mons. Maverna a Ferrara e nelle scuole gestite dalla Cooperativa Mondo Piccolo (S. Antonio e S. Vincenzo di Ferrara), oltre che nelle Scuole di Cento. Ricordiamo che fino al 30 novembre è possibile donare la spesa online su alcune piattaforme dedicate (consultare il sito colletta.bancoalimentare.it).
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 22 novembre 2024
Giornata Colletta Alimentare. Torna sabato 16 novembre in 141 punti vendita a Ferrara e provincia, la grande iniziativa di carità. Vi raccontiamo tutti i soggetti coinvolti, la Colletta extra supermercati e l’impegno dei magazzini tutto l’anno
(Foto: Lidl via Po, Ferrara, 2023 – foto Alessandro Berselli)
di Andrea Musacci
Non solo il Banco Alimentare ma una rete di parrocchie, enti, associazioni e istituzioni coinvolte nell’organizzazione e nella promozione, e con l’impegno di tante volontarie e volontari. La Giornata della Colletta Alimentare, iniziativa promossa in tutta Italia dalla Fondazione Banco Alimentare, a Ferrara e provincia è una dimostrazione concreta di cosa significhi non solo essere Chiesa ma lavorare, dal basso, per il bene comune.
Un grande gesto di carità che ha il suo culmine in una giornata – quest’anno, sabato 16 novembre (vigilia della Giornata Mondiale dei Poveri) – ma la cui preparazione e i cui effetti si protraggono tutto l’anno.
LA COLLETTA NEL FERRARESE
A Ferrara e provincia sono 141 i punti vendita nei quali si potrà fare la Colletta (erano 120 nel 2023), con un coinvolgimento di oltre 1300 volontari, circa lo stesso numero dell’anno scorso, anche se ogni anno se ne aggiungono sempre di nuovi. Oltre al Responsabile provinciale Giuseppe Salcuni, la Colletta è resa possibile grazie all’impegno di 11 responsabili/coordinatori sparsi su tutto il territorio provinciale.
Rispetto a due anni fa, quando i kg raccolti furono 61460, l’anno scorso i kg sono stati 67021, con un aumento del 10%.
OLTRE I NEGOZI: COLLETTA A SCUOLA E AL LAVORO
Ogni anno, le volontarie e i volontari cercano di riproporre o ideare nuove soluzioni di raccolta: non solo invitare le persone a recarsi nei super e ipermercati il giorno della Colletta, ma portarla nei luoghi della quotidianità, quelli del lavoro e della scuola.
Così, dal 2019 Marco Cassarà e altre colleghe e colleghi nella sede ACER di c.so Vittorio Veneto a Ferrara raccolgono alimentari a lunga conservazione, quest’anno dall’11 al 15 novembre. Una novità riguarda, invece, la sede dell’Agenzia delle Entrate, in via mons. Maverna a Ferrara. Come ci spiega Giovanni Ragusa, Referente provinciale per i rapporti coi punti vendita, «alcuni dipendenti – già volontari della Colletta – hanno chiesto e ottenuto dal Direttore Provinciale di poter promuovere una raccolta in ufficio alcuni giorni prima della Colletta, spesa che verrà poi consegnata ai referenti del Banco Alimentare per Ferrara». Inoltre, «hanno ottenuto di proporre a tutti i colleghi tramite i canali istituzionali interni di partecipare alla Colletta sia come donatori che come volontari nei supermercati».
Enrichetta Corazza è, invece, la Referente della Colletta per le scuole e gli ambiti educativi: «da 20 anni – ci spiega – molte insegnanti di differenti scuole coinvolgono i loro alunni come volontari durante la Giornata della Colletta e loro stesse si impegnano direttamente»; quest’anno sono coinvolte classi del Liceo “Dosso Dossi”, del Liceo Carducci, dell’ITI “Copernico-Carpeggiani”, della S. Vincenzo e della Bonati. Inoltre, la Colletta Alimentare verrà svolta, il 15 novembre, in tutte le scuole gestite dalla Cooperativa Mondo Piccolo (S.Antonio e S.Vincenzo di Ferrara). Il Banco Alimentare ha invitato tutti gli Istituti scolastici della provincia a diffondere l’invito a studenti, insegnanti e personale a partecipare alla Colletta del 16 come volontari e/o donando.
Sempre in ambito educativo, nei tempi forti, da 20 anni il Centro di Solidarietà-Carità (CSC) aderisce all’iniziativa “Dona cibo” (a livello nazionale organizzato da Federazione nazionale Banchi di solidarietà, a cui il CSC aderisce): come per la Colletta, si raccolgono alimenti a lunga conservazione che andranno al magazzino del CSC per poi essere distribuiti ad enti e associazioni benefiche. “Dona cibo” in Quaresima è ancora più importante perché in questo periodo sono già stati tutti distribuiti gli alimenti raccolti durante la Giornata della Colletta. A “Dona cibo” aderiscono IC “Perlasca”, Primaria Bombonati (IC “Dante Alighieri”), Primaria di Ostellato e Scuole secondarie di primo grado di Copparo e Poggio Renatico.
LA RETE SOLIDALE
Queste le parrocchie, gli enti e le associazioni coinvolte per la Giornata della Colletta Alimentare 2024:
Comune di Ferrara: Croce Rossa Italiana – Ferrara, Il Mantello, Viale K, Caritas Pontelagoscuro, Caritas Porotto, parrocchia Pontelagoscuro, parrocchia Perpetuo Soccorso, Scout Agesci, parrocchia Santo Spirito, parrocchia San Benedetto, SAV, parrocchia Porotto, Associazione Nazionale Alpini, parrocchia Immacolata, Rotary, Lions club, parrocchia Pontegradella, Azione Cattolica.
Alto Ferrarese: Cento Solidale, Scout Cento e Casumaro, Rotary Cento, Lions Cento, Caritas Penzale, CL Cento, Associazione Nazionale Alpini – Protezione Civile, Croce Rossa Cento, Caritas Renazzo, Caritas Terre del Reno. Poggio Renatico: parrocchia, Caritas, AVIS, Rotary, parrocchia Gallo. Caritas di Vigarano Mainarda e di Bondeno.
Medio Ferrarese: Associazione “Mons. A. Crepaldi” di Voghiera, Caritas di Portomaggiore, Lions di Portomaggiore, Emporio Solidale Argenta, Lions e LeoClub Argenta.
Basso Ferrarese: Caritas parrocchia Jolanda di Savoia, Pro Loco Jolanda di Savoia. Parrocchie di Ostellato, Dogato, Rovereto, San Giovanni. Copparo e Tresignana: Lions, Croce Rossa, Caritas parrocchiali, Associazione Bersaglieri, Auser, Centro Aiuto alla Vita, Scout. Comacchio: parrocchia, Lions, Scout, Aiutiamoli a Vivere Odv, Cuccu trasporti. Scout di Mesola, Istituto di Istruzione Superiore “Remo Brindisi”, Cicli Casadei (S. Giuseppe di Comacchio), parrocchia di Porto Garibaldi.
TUTTO L’ANNO: I MAGAZZINI E LA DISTRIBUZIONE
Massimo Travasoni da diversi anni è Responsabile del magazzino del Centro Solidarietà-Carità (CSC) di via Trenti (Mercato Ortofrutticolo) a Ferrara e vicepresidente dello stesso CSC guidato da Fabrizio Fabrizi. Un altro magazzino gestito dal CSC si trova a Comacchio, in via Bonafede, 112. Anche quest’anno Travasoni ci aggiorna sui dati delle persone e famiglie destinatarie dei beni alimentari. Dati sostanzialmente in linea con quelli del 2023: circa 13mila persone (la metà nel Comune di Ferrara) chiedono beni alimentari di prima necessità alle nostre parrocchie, alla Caritas, ad altre associazioni o enti; beni che questi ricevono dal Banco Alimentare di Imola (una decina di Associazioni/enti) o tramite il CSC (67 Associazioni/enti, di cui una 30ina nel Comune capoluogo, per oltre 11mila persone). Si tratta, in un anno, di circa 1200 tonnellate di beni alimentari donati (per 3milioni e mezzo di euro di valore commerciale). Oltre ai prodotti provenienti dalla Colletta, i beni arrivano da donazioni dall’industria, dall’ortofrutta e dall’AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura, che si occupa del Fondo europeo FEAD e Del Fondo nazionale). Da diversi mesi, però, Fondazione Banco Alimentare ha denunciato il ritardo nella definizione dei nuovi bandi triennali AGEA, ritardo che ha “svuotato” o quasi il magazzino di Ferrara e di altre località italiane.
In ogni caso, un dato che registra un lieve aumento è quello delle famiglie che ricevono il pacco alimentare o direttamente nei magazzini di Ferrara e di Comacchio o tramite i volontari del CSC che glielo consegnano a domicilio: sono 200 (oltre 600 persone italiane e non, fra cui alcuni studenti universitari camerunensi); l’anno scorso erano 180.
Sembrano tanti i kg raccolti a Ferrara e provincia, oltre 67mila. E in effetti lo sono. Ma – come ci spiega Travasoni – «l’anno scorso abbiamo finito di distribuirli tra gennaio e febbraio». In nemmeno 90 giorni, esauriti. La richiesta è tanta, c’è bisogno di sempre più donazioni.
IN EMILIA-ROMAGNA E IN ITALIA
La Colletta in Emilia-Romagna vede oltre 1100 punti vendita aderenti. Quanto verrà raccolto giungerà, tramite le 719 organizzazioni convenzionate con il Banco in Regione, a circa 130mila persone bisognose. In tutto il Paese sono oltre 150mila i volontari impegnati in più di 11.600 supermercati. Gli alimenti donati saranno poi distribuiti a oltre 7.600 organizzazioni territoriali che sostengono oltre 1.790.000 persone. Dal 16 al 30 novembre sarà possibile donare la spesa anche online su alcune piattaforme dedicate (consultare il sito colletta.bancoalimentare.it).
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Redditi, Ferrara indietro
Secondo i dati elaborati nei mesi scorsi dalla Cgia di Mestre, basati sulle dichiarazioni relative all’anno 2022, la provincia di Ferrara è la settima in Emilia-Romagna per reddito medio dichiarato e dunque per imposta sul reddito delle persone fisiche versata (Irpef) versata nelle casse statali. I numeri dicono che il reddito complessivo medio dichiarato dai ferraresi è di 23.279 euro, con un Irpef media versata di 4.819 euro per contribuente (a Ferrara se ne contavano 272.198 nel 2022). Stando sempre ai dati della Cgia di Mestre, la provincia estense si trova più in basso rispetto ai valori medi nazionali per quanto riguarda l’Irpef dichiarata (5.381 euro), ma leggermente più in alto rispetto al reddito medio (23.633 euro). A livello nazionale, Ferrara è al 51º posto su 107.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 novembre 2024
All’Hotel Annunziata di Ferrara la mostra fotografica di Rosaria Anna Lardo, riflessione su ricordo e avvenire
«Nella luce del tardo pomeriggio, mi è sembrato che gli anni si confondessero e che il tempo diventasse trasparente».
(Patrick Modiano, da “Fiori di rovina”)
Un atto di intima archeologia familiare è quello compiuto da Rosaria Anna Lardo, che a Ferrara espone il suo progetto fotografico “Pianonobile – I fiori del bene”. La mostra è visitabile gratuitamente nell’Art Gallery all’interno dell’Hotel Annunziata (p.zza della Repubblica) fino al prossimo 4 gennaio, è curata da Margherita Franzoni e accompagnata da un catalogo omaggio.
Lucana ma residente a Roma, Lardo si ispira alla storia di una nobildonna vissuta nella sua terra d’origine a inizio Ottocento. Il percorso espositivo alterna interni di una grande villa ormai spoglia con esterni ariosi ma carichi di tensioni. La salvezza — sembra dirci in ultima analisi l’artista — viene sempre dall’altro, da fuori: fuori da quella finestra verso cui è rivolto non solo il viso della donna protagonista delle immagini, ma l’intero suo corpo, tenero ma potente nell’essere proteso verso la luce (foto). In un’altra immagine in parete, il fuori è invece rappresentato dalla stanza accanto, enigmatica perché solo accennata, rivestita di luce ma spoglia. Esterno/interno non è, però, l’unica tensione nelle foto di Lardo: una vestaglia da donna posata sul divano o, in un’altra opera, un velo candido (che pare un sudario) dicono di una presenza e assieme di un’assenza, di un tentativo di nascondere e di segnare. Di un ricordo e di una volontà di abbandono, ma non al passato.
La salvezza, infatti, è in questa attesa composta e mite ma profondamente dinamica. E l’attesa – nelle mani, nel volto pur celato – è sempre, anche, contemplazione, quindi non banale agire ma apertura, risposta, inquietudine mossa da un’affezione più grande. Non è esitazione ma consacrazione, un “dedicarsi a”. Si attende sempre ciò che è reale e presente, Colui che viene. E così la memoria – quella di chi ha saputo almeno una volta sperare – non è mai sterile, è anch’essa attesa di ciò che ancora vive, contemplazione creatrice. Fiori posati sul cuore, una conchiglia di luce.
La nostra baronessa, Donna P. P., madre di sette figlie, rivivendo nelle stesse parole di Lardo (il testo è presente nel catalogo) ci grida «voglio il fuori» e al tempo stesso il suo desiderio di «sprofondare». Il dolore ne pervade il corpo ma non è totalizzante: l’avvenire avrà casa nella «meraviglia» e nel «miracolo». Così l’artista, scavando nella vita di questa sua nobile ava, in realtà dissotterra tesori imprevisti nella propria esistenza, rendendola più trasparente e facendo entrare — anche per noi che ammiriamo le sue foto e leggiamo le sue parole – un po’ di luce da quel fuori che ci attende.
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 novembre 2024
In una collezione privata vicino S. Stefano, il giovane ricercatore ha trovato la metà di una terracotta raffigurante i funerali della Vergine Maria, opera di Donatello del 1450 (l’altra metà è stata rubata nel 1916), oltre a due frammenti con alcuni evangelisti. La nostra intervista
a cura di Andrea Musacci
«Mi trovavo a Ferrara per portare avanti la mia indagine sulle terrecotte ferraresi tra XV e XVI secolo. E nella collezione di un privato in zona Santo Stefano ho ritrovato un frammento particolare: ho capito subito fosse la metà mancante di una terracotta di Donatello raffigurante i Funerale della Vergine Maria. L’emozione è stata indescrivibile».
Marco Scansani, 32 anni, è assegnista di ricerca dell’Università di Trento e autore del libro “Il fuoco sacro della terracotta” (Tre Lune ed., settembre 2024). Laureatosi all’Università di Bologna, ha conseguito il Dottorato alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Quando lo raggiungiamo al telefono per farci raccontare la sua scoperta, percepiamo la gioia ancora viva nel ripensare a questo risultato imprevisto. Che non si limita a quel frammento “bozzetto”: nella stessa collezione privata, infatti, ha trovato anche altre due terrecotte a suo tempo scoperte da un avo dell’attuale proprietario in un pozzo di questa casa privata e rappresentanti due evangelisti: «Anche in questo caso mi sento di attribuirle a Donatello», prosegue Scansani. Donatello che «è documentato fosse a Ferrara nel 1450», oltre che a Modena e Mantova, anche l’anno successivo. Nella sua Firenze vi farà ritorno tra fine 1453 e inizio 1454. Ma per il genio fiorentino fu un periodo stranamente improduttivo. O forse non del tutto. In ogni caso, «in quel momento tutti lo volevano, dai Gonzaga agli Este. Lui andava dal miglior offerente ma poi si disamorava delle commissioni».
Scansani, parliamo innanzitutto del progetto di mappatura delle terrecotte quattro-cinquecentesche in area padana: di cosa si tratta?
«Il Progetto C.Re.Te. (Toward a Catalogue of Renaissance Terracotta Sculpture in North Italy) coordinato dal prof. Aldo Galli (Università di Trento) e dal prof. Andrea Bacchi (Università di Bologna), finanziato con fondi PNRR (PRIN – Progetti di Rilevante Interesse Nazionale), si occupa della catalogazione di tutte le sculture in terracotta realizzate in area padana tra il XV e il XVI secolo. Stiamo realizzando il primo database di tutte queste opere. Al termine del progetto sarà liberamente fruibile online. Io sono assegnista di ricerca presso l’Università di Trento proprio per questo progetto e proprio l’indagine sulle terrecotte ferraresi mi ha portato a scoprire quei bozzetti di Donatello».
Partiamo da oltre un secolo fa. Anno 1916: ritrovamento del frammento nella chiesa di Santo Stefano a Ferrara, donazione e furto. Ci racconta un po’ meglio? Dove si trovava di preciso? E perché fu attribuito a Donatello?
«Come racconta perfettamente Corrado Ricci sulla rivista L’Arte del 1917, “nella primavera del 1916 il Municipio di Ferrara stabiliva di liberare l’abside della chiesa di S. Stefano dall’addossamento di alcune casette, e di ristaurarla. Durante i lavori, e precisamente il 29 dicembre, in un tratto di muratura slegata (che riempiva un vano e che rimaneva coperta dall’intonaco), tra diversi frammenti di terracotta ornata, fu rinvenuto quello che qui riproduciamo e che ora trovasi nel Museo di Schifanoia”. Tutta la critica si accorse immediatamente del valore della scoperta, e condivise l’attribuzione a Donatello. Ad esempio Arduino Colasanti scrisse: “la geniale originalità della composizione, l’energica plastica e quasi fulminea di ogni steccata, l’efficacia sintetica del modellato, la potenza del pathos e della vita, resa con pochi tratti di immediata evidenza, convengono perfettamente al grandissimo scultore fiorentino”. L’entusiasmo per la terracotta donatelliana ritrovata durò però pochissimo: nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1921 alcuni ladri – dopo aver reciso ben tre reti metalliche, essersi arrampicati mediante una scala fino alla finestra del Museo, aver tagliato il vetro con una punta di diamante e forzato la porta che immetteva nella Sala degli Stucchi – trafugarono il rilievo fittile oltre a numerose medaglie, monete, placchette e bronzetti. Da allora la critica sembra essersi via via dimenticata del valore di quella scoperta e ha perfino iniziato a dubitare sull’attribuzione, non potendo più studiare il pezzo dal vivo, ma solo attraverso le fotografie».
Riguardo alle altre due terrecotte, quelle con gli evangelisti: può azzardare ipotesi più specifiche?
«Una delle due con tutta evidenza raffigura un evangelista che tiene la mano sul libro. Per la seconda – purtroppo acefala – possiamo solo ipotizzare che si trattasse di un altro evangelista in posa speculare. Anche queste terrecotte furono trovate negli anni Sessanta insieme al rilievo nel pozzo di una casa privata non distante dalla chiesa di Santo Stefano, dove fu trovato il primo rilievo nel 1916».
Esattamente dove e quando?
«Come ricordato dagli attuali proprietari e da un’iscrizione a pennarello nel retro di uno dei supporti lignei sui quali sono stati montati i frammenti, queste tre terrecotte furono ritrovate casualmente il 20 luglio 1962 sul fondo di un pozzo di una casa privata situata in via Saraceno, quindi a 800 metri da S. Stefano».
Può avanzare ipotesi anche sulla destinazione finale sia della terracotta della Vergine sia di quelle con gli evangelisti?
«Purtroppo non è facile fare ipotesi: Donatello in quegli anni era conteso dalle maggiori città del Nord Italia, accettava molti incarichi che però spesso non portava a termine. Ad esempio, avrebbe dovuto realizzare un monumento dedicato a Borso d’Este a Modena e l’arca del patrono di Mantova Sant’Anselmo, ma nessuno di questi vide la luce. Posso solo dire che i frammenti “ferraresi” ritrovati sono senz’altro bozzetti, oggetti di studio che consentivano all’artista di studiare le composizioni prima di realizzare le opere definitive destinate alla fruizione».
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Funerali della Vergine: analisi dell’opera e ipotesi sull’artista
Il ritrovamento di Scansani è stato al centro di un articolo pubblicato da “The Burlington Magazine”, storica (e inglese) rivista accademica d’arte. Di seguito, alcuni passaggi dalla traduzione dell’articolo stesso:
le due metà della terracotta – scrive Scansani – compongono «una formella rettangolare alta 33 cm, larga 47 cm e spessa 2 cm con la raffigurazione – come già intuito da Ricci – della morte della Vergine. La composizione è suddivisa in due registri orizzontali sovrapposti che compongono idealmente un’architettura a due livelli messi in comunicazione da una scala che principia dal vertice in basso a sinistra della formella e si conclude al suo centro ove è collocato il cataletto della Vergine, fulcro dell’affollatissima scena. (…)
Al secondo piano la scena, a partire da sinistra, si apre con quattro pingui angioletti che parrebbero sorreggere con grande sforzo un sepolcro dotato di un coperchio a spiovente (…). Dietro il sarcofago parte il corteo dei dodici apostoli (tutti dotati di aureola): il primo si rivolge con sguardo mesto al sepolcro, il secondo – di profilo – si dirige verso il cataletto portandosi una mano al volto in segno di disperazione, il terzo procede nella stessa direzione – ormai ai piedi della Vergine – ma è in parte illeggibile poiché coincide con il margine frammentario della terracotta trafugata. In questo punto il rilievo non combacia perfettamente con quello riemerso in collezione privata poiché è andata perduta una porzione in cui verosimilmente doveva essere raffigurato un ulteriore apostolo: è sopravvissuta solo una piccola parte della sua veste. (…) La Madonna è rigidamente distesa, quasi priva di un corpo, è infatti totalmente coperta da un ampio panno che grava copioso oltre il cataletto e in corrispondenza dei sostegni verticali: si riconoscono solo le sagome dei suoi piedi che premono sotto il lenzuolo e una parte del viso esanime in gran parte celato dal velo che le ricade sugli occhi. Davanti ai larghi manici della portantina funebre sono modellati ben cinque angioletti abbigliati con piccole tuniche: due trattengono un cero a testa, gli altri tre sembrano volersi fare spazio, aggrappandosi alle spalle dei primi, per poter vedere il corpo della Vergine. (…) Le terrecotte riemerse consentono di gettare nuova luce sulle pratiche realizzative dello scultore, più in generale sulla sua attività nell’Italia Settentrionale e forse anche sull’impatto che ebbero le sue invenzioni nel contesto emiliano. Non è possibile stabilire con certezza se gli artisti dell’Officina ferrarese ebbero la possibilità di vedere e studiare questi bozzetti che avrebbero fornito una formidabile scorciatoia per conoscere le mirabolanti novità che Donatello stava imponendo nel contesto padovano».
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 novembre 2024
“EVITAmia. Il tango di Eva Perón” è il volume di Michele Balboni con contributi, fra gli altri, di mons. Gian Carlo Perego e di Elsa Osorio, scrittrice argentina di fama internazionale
È in uscita in questi giorni il libro “EVITAmia. Il tango di Eva Perón” (Ed. La Carmelina) di Michele Balboni, ex dirigente di ACFT, AMI, AFM – Farmacie Comunali e appassionato tanguero. Il volume – che verrà presentato il 15 novembre alle ore 17 a Palazzo Roverella, Ferrara – vede anche i contributi di mons. Gian Carlo Perego, Patrizio Bianchi, Francesca Capossele, Elba de Vita e Riccardo Modestino. Evita Perón (al secolo María Eva Duarte) nasce nel 1919 in provincia di Buenos Aires. Orfana di padre a 8 anni, a 15 lascia la famiglia per diventare attrice. Sindacalista, nel ‘45 sposa Juan Domingo Perón, allora Ministro del lavoro, più anziano di oltre 25 anni, dal ’46 al ’55 e dal ’73 al ‘74 Presidente dell’Argentina. Evita muore nel ‘52 a 33 anni: è stata una delle prime donne a fare politica e a intervenire a raduni di massa in Argentina.
Per Balboni, un personaggio politico difficile da catalogare come di destra o di sinistra: ciò che importa è «che Evita ci parlava davvero con i derelitti, i poveri, gli emarginati; con tutti coloro verso i quali l’attuale Sinistra, in tutto il mondo, non solo in Italia, fa fatica a comprendersi. E non si dica che Evita “comprava” a suon di regali tramite la sua Fondazione il consenso di costoro. Perché l’assenso e il voto si possono acquisire con carezze e prebende varie, ma non così l’affetto delle persone, se non il loro amore. Non furono in ogni caso carezze virtuali né prebende lievi ciò che Eva Duarte de Perón, Evita al momento dell’azione, realizzò in poco più di sei anni di informale ma forte potere», prosegue Balboni nel libro: «crescita delle Organizzazioni Sindacali e tutela dei lavoratori, voto femminile, assistenza sociale, incremento della scolarizzazione, lotta alla povertà. Citando così solo i titoli delle sue attività, perlopiù realizzate tramite la Fondazione Eva Perón». Per Evita – sono ancora parole di Balboni – ciò che conta sono «le relazioni personali piuttosto che le procedure e le regole, che possono diventare burocrazia». “Sono cristiana perché sono cattolica – disse lei stessa -, pratico la mia religione come posso e credo fermamente che il primo comandamento sia quello dell’amore”.
Osorio: «oggi il potere in Argentina odia i deboli»
Essenza, questa di Evita, ben colta anche nella Prefazione da Elsa Osorio, scrittrice argentina di fama internazionale: «Evita abbracciava gli indifesi, i deboli, le “piccole teste nere”, i grasitas», scrive. «Era il ponte tra Perón e il suo popolo, l’abbraccio tra Perón e la sua gente, Perón e le sue leggi sociali, così importanti. Evita ha abbracciato gli indifesi, e oggi il potere in Argentina odia i deboli, i poveri, odia tutto e tutti, tutti quelli che non sono quell’uno per cento, odia persino il suo Paese e si fa vanto di questo. E in questo contesto, Evita, per l’immaginario collettivo, oggi, che cosa sarebbe? Forse quell’onda crescente di rifiuto che io vedo crescere con speranza».
Mons. Perego: «Evita e l’impegno per i poveri»
«Il sogno di giustizia sociale di Evita, donna che ha amato i poveri, è infranto contro i carri armati e un nuovo corso della politica che al centro mette la violenza – con il dramma dei desaparesidos – e la finanza, la speculazione che porteranno nel baratro l’Argentina». Così scrive il nostro Arcivescovo in un passaggio del suo intervento. «Continua, però, l’impegno della Chiesa per i poveri in Argentina che vedrà al soglio pontificio con il nome di Francesco un argentino di origini italiane, Jorge Bergoglio, tra l’altro accusato di peronismo per il suo impegno per i poveri e la giustizia animato dal Vangelo. In lui e nella Chiesa, in qualche modo, continua il sogno di Evita e l’opera della sua Fondazione che oggi vive attraverso le opere della Caritas, l’organismo pastorale della Chiesa che in ogni angolo del mondo lavora a favore dei più poveri, degli sfruttati coniugando carità e giustizia. La carità non si spegne mai e fa incontrare “gli uomini di buona volontà”».
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’8 novembre 2024
Mostra a Vigarano e catalogo per l’artista che decorò anche il Poggetto
“Bozzetti Liberty a Vigarano” è il titolo della mostra, a cura di Lucio Scardino, esposta dal 30 novembre all’8 dicembre nella “Casa della Musica e delle Arti” di Vigarano Pieve (via Mantova, 111), e realizzata grazie al Comune di Vigarano in collaborazione con il locale Fotoclub. Legato alla mostra, vi è il catalogo “Ildebrando Capatti pittore e decoratore del Novecento ferrarese (Ferrara, 1878-Vigarano Mainarda, 1959)” (foto in alto: l’immagine di copertina).
In parete, scrive Scardino nel volume, «la serie di schizzi e bozzetti ad acquerello» provenienti «da una cartella un tempo conservata dalla figlia Zagomilla» forse degli anni Dieci-Venti: «non a caso un paio di essi sono siglati G. M.», ovvero la firma di Giulio Medini (1872-1954), guida indiscussa per Capatti. «Un altro foglio (monocromo studio decorativo del 1907, con belle figure di pavoni) è invece firmato dal misconosciuto Zaffagnini, classe 1885». Altre due opere sono ascrivibili a Carlo Parmeggiani. «I fiori sono i protagonisti assoluti dei bozzetti in varie declinazioni sia botaniche che stilistiche – prosegue Scardino -, in chiave naturalista o stilizzata libertynamente ma compaiono altresì figure danzanti e giovani pifferai, cariatidi e grifoni, ventagli e strumenti musicali, mentre un’opera forse si riferisce ad un concorso di carattere decorativo, presumibilmente per il Castello di Ferrara: gli ambienti della ex Prefettura in effetti vennero affrescati negli anni ’30 da Augusto Pagliarini». «In genere – scrive il curatore -, lo stile adottato in questi deliziosi bozzetti è lo stile liberty», ma non mancano «richiami alle grottesche cinquecentesche dei Filippi, al Manierismo carraccesco, a Barocco e Rococò (…) e ad un classicismo ottocentesco filtrato da ricordi dell’età umbertina».
Oltre a lavori per committenti privati (ad es. per le decorazioni della chiesa di Pescara vicino Ferrara), Capatti lavorò anche per il pubblico: «per ornati nell’aeroporto “Allasia”, fuori Porta Reno, per l’isolato della vecchia sede delle Poste, sempre in Giovecca (angolo Teatini), per la chiesetta del Poggetto a Sant’Egidio, per la sala d’aspetto della stazione ferroviaria». Riguardo al Poggetto, Capatti tra le due guerre decorò l’area absidale con litanie mariane, decorazioni in parte distrutte dai bombardamenti del ’45 e in parte coperte nel post Concilio. Capatti negli anni ’20-’40 continuò anche ad esporre come pittore nelle mostre sindacali fasciste allestite in Castello e altrove, «anche se quel che è forse il suo capolavoro resta nell’ex palazzo Todeschi, sede dal 1919 (e per pochissimi anni) della Camera del Lavoro di Ferrara: la laboriosa decorazione intitolata “L’Internazionale” e “Il Sol dell’avvenire”, eseguita assieme a Leone Caravita». Alla sua Vigarano, invece, donò un paio di quadri ispirati alle miserie degli abitanti del Delta padano, mentre la figlia allo stesso Comune regalò “Sulla tomba del compagno”, forse del 1919.
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’8 novembre 2024
Mi chiamo Andrea Musacci.
Da aprile 2014 sono Giornalista Pubblicista, iscritto all’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna.
Sono redattore e inviato del settimanale "la Voce di Ferrara-Comacchio" (con cui collaboro dal 2014: http://lavoce.e-dicola.net/it/news - www.lavocediferrara.it), e collaboro con Filo Magazine, Periscopio e Avvenire.
In passato ho collaborato con La Nuova Ferrara, Listone mag e Caritas Ferrara-Comacchio.
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"L'unica cosa che conta è l'inquietudine divina delle anime inappagate."
(Emmanuel Mounier)