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Marta e i suoi figli a Ferrara, ma la guerra resta vicina

12 Mag
Marta col marito e i figli in un momento sereno in Ucraina prima della guerra

Marta è sposata con Pietro, sacerdote. Da Drohobyc è scappata coi figli Ivan (8 anni) e Teresa (5). Qui a Ferrara cercano un po’ di serenità, tra la scuola e la parrocchia in via Cosmè Tura

di Andrea Musacci

Raccontare attraverso i giochi e i disegni la guerra e quella vita nuova non voluta, inaspettata.

Sono alcuni dei particolari toccanti che emergono ascoltando le storie delle donne giunte a Ferrara negli ultimi mesi, molte di loro giovani madri. Come Marta, cognata di padre Vasyl Verbitskyy, guida dei cattolici ucraini nella nostra Diocesi. Marta è arrivata nella nostra città lo scorso 5 marzo da Verkhniy Luzhok, un piccolo paese vicino Drohobyc, a 30 km dal confine polacco. Con lei, i suoi due figli, Ivan di 8 anni e Teresa di 5.

A Verkhniy Luzhok hanno lasciato il marito Pietro, sacerdote cattolico di rito bizantino. «Prima della guerra vivevamo una vita normale – ci racconta Marta -, Ivan andava a scuola, Teresa avrebbe dovuto iniziare l’asilo. E sognava tanto di andare a vedere uno spettacolo di canti, con i soldi che aveva ricevuto in dono per Natale…».

Ma alle 5 del mattino del 24 febbraio l’allarme delle sirene ha rotto ogni pace. «Abbiamo visto gli aerei militari sfrecciare sulla città e poco dopo abbiamo saputo dell’inizio dell’invasione russa. Anche noi come genitori non eravamo pronti. Non pensavamo potesse accadere una cosa del genere ai giorni nostri». La decisione di lasciare il Paese l’hanno presa dopo la notizia degli attacchi alla vicina centrale di Chernobyl, la notte fra il 3 e il 4 marzo.

«Era difficile spiegare ai bambini perché dovevamo partire, e perché con sé non potevano portare i propri giochi, ma solo l’essenziale. Prima di partire, i miei figli hanno creato loro stessi alcuni giochi: Ivan, coi Lego, ha creato tank, aerei da guerra e l’Antonov An-225 Mriya». Myria significa “sogno” in ucraino. Si tratta del più grande aereo del Paese utilizzato per i rifornimenti, costruito in un unico esemplare. I russi l’hanno distrutto a Hostomel’, vicino Kiev, nei primissimi giorni di guerra. Ivan l’ha voluto ricostruire dopo aver sentito in tv la notizia della distruzione.  

Poi la partenza verso la Polonia, direzione Italia. Alla dogana file di giovani mamme come lei, «con tutta la loro vita in uno zaino», prosegue Marta. «Nelle nostre valigie, oltre ai vestiti e all’essenziale, Ivan ha voluto mettere i suoi pennarelli, dato che ama molto disegnare, Teresa invece il suo unicorno, io un rosario. A mio marito, prima di partire abbiamo detto: “ti amiamo”…».

«Noi qua, i nostri cari sotto le bombe: non è giusto…»

Quotidianamente, più volte al giorno, Marta e i bambini si sentono via WhatsApp e Viber con Pietro. 

«Nella nostra parrocchia a Verkhniy Luzhok, soprattutto dopo gli eccidi di Bucha e Irpin, in molti hanno compreso ancora di più cosa fosse questa guerra, sono rimasti scioccati, considerano quel che sta accadendo incomprensibile. Si chiedono: “dov’è Dio? Perché permette tutto questo?”. Ci sembra di non vedere la fine di quest’incubo».

Il marito aiuta come può per organizzare l’ospitalità di tante famiglie che scappano dalla zona est del Paese: dà loro sostegno spirituale, anche psicologico, e insieme ai suoi parrocchiani li aiuta per i beni essenziali, raccogliendo beni anche per i militari della parrocchia impegnati a difendere la propria patria. 

«Poco tempo fa – ci racconta Marta – è morto un uomo del nostro paese che si era arruolato volontario in un battaglione per combattere in Donbass». Sono riusciti a far tornare il suo corpo a casa, per celebrare i funerali e lì farlo riposare. «Alle esequie era presente l’intero paese: quando è passato il feretro, tutti si sono inginocchiati, i bambini con le candele e i fiori in mano». E Marta poi ci racconta di Leopoli, dove ha molti amici impegnati come volontari nell’accoglienza dei profughi, e dove vivono suo fratello e i suoi genitori: «due giorni fa hanno visto quattro missili sorvolare la città a bassa quota». Era uno dei periodici attacchi sulla città.

«Noi siamo qui protetti e i nostri cari invece là sotto le bombe», dice commossa. «Questo mi fa stare molto male, quasi sentire in colpa. Per questo, anche se siamo scappati, la guerra la sentiamo ancora molto vicina a noi». 

Ricominciare a vivere

Appena arrivati a Ferrara, suo figlio Ivan ha voluto comprare la mappa d’Italia: su un grande foglio ha disegnato i luoghi e i monumenti caratteristici di alcune città italiane, Ferrara compresa, di cui ha realizzato il Castello. Ad aiutarlo in questa sua passione, una ferrarese amica di famiglia. E Ivan è rimasto molto colpito anche dallo splendore della Basilica di S. Maria in Vado, e ogni tanto aiuta padre Vasyl come chierichetto. Piccoli sprazzi di serenità per due bambini, come lui e Teresa, che in Ucraina hanno lasciato quasi tutto. Mentre la piccola non comincerà subito ad andare all’asilo, Ivan ha iniziato a frequentare la Scuola internazionale Smiling. «Il primo giorno – ci spiega Marta – si è commosso perché i suoi nuovi compagni lo hanno accolto con alcuni disegni di cuori con sia la bandiera ucraina sia quella italiana, realizzati apposta per lui. E fuori dall’orario delle lezioni, prosegue tramite Zoom la didattica a distanza con la sua insegnante in Ucraina, anche se a volte quando là suona l’allarme, si interrompe il collegamento». 

Anche Marta un po’ alla volta cerca di ritrovare un po’ di serenità: prima di Pasqua, ad esempio,  seguendo i bambini che si preparano per la Prima Comunione e aiutandoli a dipingere le uova pasquali e a preparare i rami d’ulivo. «Mi sono sentita utile, come se avessi di nuovo una vita normale. E in ogni chiesa che visitiamo qui in città prendiamo santini come souvenir che poi porteremo a Pietro». 

«Prima della guerra – dice con tristezza Marta – noi ucraini avevamo tanti sogni: di studiare, viaggiare fuori dal nostro Paese, aprire attività commerciali. Ora invece ogni giorno non sappiamo se avremo il cibo, l’acqua potabile, un letto e una casa. Si vive alla giornata. Anzi, le persone che vivono nelle zone occupate dai russi, vivono ora per ora. E i miei figli mi fanno tante domande sulla situazione in Ucraina, se ritroveranno i loro giocattoli. Speriamo che tutto questo finisca presto».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 13 maggio 2022

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