Giornata del migrante e del rifugiato. Fofana, Kimia, Hajar e gli altri: i racconti di dolore e riscatto
diAndrea Musacci
Guardare negli occhi le persone migranti, ascoltare dalla loro viva voce ciò che hanno vissuto, fermarsi a parlare con loro. Non si può affrontare il tema dell’immigrazione e dell’integrazione senza questo livello immediato di confronto.
Lo scorso 28 e 29 settembre anche a Ferrara si è svolta la 110^ Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, organizzata dal nostro Ufficio Migrantes Diocesano diretto da don Rodrigo Akakpo assieme alle diverse comunità linguistiche presenti nella nostra Arcidiocesi, i cui rappresentanti hanno portato la propria testimonianza diretta durante la giornata del 28 settembre a Casa Cini, Ferrara, luogo scelto per la ricca giornata di testimonianze e riflessioni. Una giornata moderata egregiamente da Chanel Tatangmo Kenfack, avvocato e membro della Commissione diocesana Migrantes.
Domenica 29 settembre, invece, Santa Messa in Cattedrale a Ferrara celebrata dal Vicario Generale mons. Massimo Manservigi. La Messa ha rappresentato uno spazio di dialogo tra diverse culture e tradizioni: vi hanno, infatti, partecipato tutte le comunità linguistiche delle parrocchie diocesane (Comunità francofona, filippina, inglese, latino-americana, polacca, ucraina, romena), oltre agli italiani, ed è stata animata dal coro multietnico, con letture e canti in diverse lingue. Inoltre, alcuni fedeli delle comunità etniche presenti nella nostra Diocesi, vestiti con abiti tradizionali, hanno offerto doni caratteristici durante l’offertorio. La stessa preghiera del “Padre nostro” è stata pronunciata nelle varie lingue delle comunità presenti.
Quitutti i racconti di fuga, di integrazione, dei salvataggi, di nuove vite.
“Sulla porta del mondo. Storie di emigranti italiani” è il libro dello scrittore ferrarese Luigi Dal Cin con le vicende di tanti nostri connazionali partiti per necessità. Lo abbiamo intervistato: «così, grazie soprattutto alla scuola, può cambiare lo sguardo verso chi oggi arriva nel nostro Paese»
a cura di Andrea Musacci
Raccontare cento, mille storie di viaggi, di partenze, prendendo le mosse da una soffitta. Qui, Luigi dal Cin (foto), scrittore e docente ferrarese, trova una vecchia valigia di cartone, nell’immaginario collettivo simbolo, tra XIX e XX secolo, della miseria di tanti nostri connazionali e al tempo stesso di un forte desiderio di riscatto. Le loro vicende, Dal Cin le ha raccolte nel libro “Sulla porta del mondo. Storie di emigranti italiani”, edito alcuni mesi fa da “Terre di mezzo”, con illustrazioni di Cristiano Lissoni e pubblicato in collaborazione con la Fondazione Migrantes.
I drammi non si contano: sono quelli della povertà e della mancanza di futuro nei paesi e nelle città italiane, fino a quelli nei Paesi dove, invece, in tanti speravano di trovare benessere, perlomeno una vita dignitosa. Spesso, invece, i nostri immigrati saranno costretti a compiere veri e propri viaggi della fortuna (quella che i marchigiani chiamano il passàgghju, cioè la traversata), a vivere in baracche di legno, a svolgere lavori disumani, senza diritti, lontani dagli affetti. Dal Cin, ad esempio, racconta degli operai friulani che lavoravano a 50 gradi sottozero per la Transiberiana o, in Germania, ai “mercati dei bambini” trentini destinati a fare i servi nelle case di contadini benestanti. Ma anche nel dramma più nero, è possibile cogliere segni di bellezza: come quel pugno di terra modenese posta su quella cilena sopra la tomba di due modenesi sepolti a Capitan Pastene, località “italiana” in Cile. O segni di vita nuova: le storie di immigrati italiani divenuti famosi, come i salernitani Joe Petrosino, noto poliziotto a New York, e Francesco Matarazzo, imprenditore in Brasile. O da Viggiano, nel potentino, la storia dei Salvi, noti musicisti e costruttori di arpe, o quella dell’Editorial Maucci Hermanos dei toscani di Pontremoli (Massa-Carrara), a fine Ottocento la più nota casa editrice in Argentina.
Dal Cin, in che senso con questo libro intende «riportare le storie a casa»?
«“Riportare le storie a casa” credo sia il lavoro dello scrittore, sempre. Immaginare, costruire con cura, passo dopo passo, organizzare con metodo, scrivere, con attenzione, col fiato sospeso, cercare le parole giuste, con pazienza, svelarle, scartarle, sceglierle, e togliere, dubitare, cambiare, limare con passione, con amore: è un addomesticamento, un corteggiamento, un viaggio. Tutto questo per cosa? In fondo, per riportare ogni storia a casa sua. Quando mi sono immerso a descrivere il dolore e i sogni di chi è emigrato è per riportare quel dolore e quei sogni a casa loro».
Sono, quelle che scrive, storie di poveri, degli umili, degli sconfitti della Storia. Storia che, invece – concordo con lei -, è sempre scritta dai potenti. Il suo libro, dunque, in un senso alto e nobile, si può anche definire “politico”? Tante, ad esempio, sono le storie di lotte sindacali, come il massacro di minatori italiani in sciopero a Ludlow, nel Colorado, nel 1914…
«Credo di sì, il mio desiderio è che abbia la forza di incidere nel nostro sguardo. La scuola italiana è impegnata da tempo a valorizzare la cultura di chi arriva nelle nostre classi: per un’integrazione accogliente, credo sia utile portare l’attenzione anche all’altro piatto della bilancia, all’altra faccia. Perché non si può semplicemente chiedere ai nostri alunni “siate gentili con chi arriva”: la gentilezza non ama l’imperativo, così come il verbo “amare”, o il verbo “sognare”. Ma se si comprende che anche la nostra storia di italiani è fatta di generazioni che hanno vissuto la miseria e la fame e che, per sopravvivere e mantenere i figli, sono emigrate anche molto lontano, e che se i nostri alunni possono oggi acquisire a scuola strumenti per realizzare i propri sogni è anche grazie al viaggio, al coraggio e ai sacrifici di chi un tempo è emigrato: allora sì, forse, lo sguardo verso chi arriva può cambiare».
Le donne sono fra le protagoniste del suo libro. Spesso sono le più sfruttate fra gli sfruttati. Donne che han vissuto lutti indicibili ma che a volte sono state capaci, da questa esperienza, di conquistare un’indipendenza economica…
«Un’indipendenza economica e una libertà di pensiero. Così ci dice, ad esempio, la storia di Rosa Cavalleri, orfana, abbandonata, cresciuta nella miseria: una vita eroica di donna emersa, grazie alla scrittura del suo diario, dall’abisso di silenzio in cui sono immerse le altre storie di milioni di emigranti non identificati che sono approdati in America. Una storia universale di chi è riuscito a reinventarsi oltreoceano nonostante le miserie e le sofferenze, grazie a un ambiente più libero: “La povera gente del mio paese in Italia rideva, cantava e raccontava storie, ma aveva sempre paura. In America le persone ricche insegnano ai poveri a non avere paura, ma in Italia la povera gente non osava guardare in faccia i ricchi. Tutto quello che i poveri sapevano lo apprendevano l’uno dall’altro nei cortili, nelle stalle o alla fontana quando andavano a prendere l’acqua in piazza. E avevano sempre paura. In America ho imparato a non avere paura”».
E poi ci sono i bambini e i minori, come gli spazzacamini piemontesi: vittime spesso dimenticate di un mercato schiavista, trattati da subumani…
«Ho voluto far rivivere soprattutto le storie di coloro che erano considerati gli ultimi della società, le donne e i bambini appunto. Raccontava nel suo diario Gottardo Cavalli, l’ultimo bambino del villaggio di Intragna a lavorare come spazzacamitt: “Ridotti come talpe ad entrare in tutti i buchi dei camini, nelle caldaie delle macchine a vapore, nelle ciminiere, mal nutriti, costretti a cercare in ogni casa un pezzo di pane per sfamarsi. Un sacchetto di tela copriva la testa e veniva attorcigliato sotto il mento per resistere alla polvere. In una mano avevo la raspa, nell’altra lo scopino. Nessuno può immaginare quale impressione si può vivere racchiusi in un buco, tutto buio, salire a forza di gomiti e di ginocchia, dieci o venti centimetri per volta. Più il camino era stretto, più ti sentivi soffocare, t’arrivava addosso tutta la fuliggine, anche col sacco in testa dovevi respirare, non potevi scendere perché sotto c’è il padrone, cioè lo sfruttatore. Ancora oggi dopo cinquant’anni mi capita di sognare d’esser in un cunicolo stretto, buio, polveroso, con la testa avvolta in un sacco. Mi sembra d’asfissiare e mi sveglio”».
Nel libro racconta anche le storie di suoi famigliari immigrati: il nonno paterno Lorenzo emigrato prima in Australia e poi in Canada, la zia Wilma e il bisnonno materno emigrato in Argentina. Immagino, quindi, sia stato a maggior ragione molto forte l’impatto emotivo nello scovare tutte queste storie…
«Nel definire la cornice narrativa delle vicende ricavate dai documenti, non ho avuto dubbi sulla necessità di mettermi in gioco raccontando la verità della mia famiglia anziché una narrazione inventata. I giovani lettori pretendono dall’adulto, innanzitutto, onestà».
Tanti i parallelismi con le spesso tragiche migrazioni di oggi. La Storia – anche attraverso le storie come quelle nel suo libro – può ancora insegnarci qualcosa?
«Storie di emigrazione affiorano dagli album fotografici di ogni famiglia italiana, eppure si tratta di ricordi spesso collettivamente rimossi: per aiutarci a comprendere e sentire la realtà in cui viviamo, e poter quindi immaginare insieme una società del futuro, credo sia invece fondamentale che docenti e alunni si approprino di un’esaustiva narrazione della storia dell’emigrazione degli italiani nel mondo. Poi è un attimo percepire una connessione tra la nostra storia di emigranti e ogni migrazione dei nostri tempi. “Perché non c’era qualche donna dal cuore tenero che si prendesse pena di tante miserie, di tante lacrime?”, scriveva Ernestine Branche, emigrante valdostana, raccontando il suo sbarco a New York nel 1912, ventiduenne. “Erano considerati come dell’immondizia umana, e le grida continuavano senza tregua”».
Il 6 gennaio a San Francesco centinaia di persone da tutto il mondo unite nella gioia
di Andrea Musacci
L’Epifania è la festa dei popoli che accorrono per ammirare la manifestazione di Nostro Signore, fratelli e sorelle unite in Cristo pur nella diversità di lingua e cultura.
Da diversi decenni in Italia assume concretamente la forma colorita di un grande evento di fede, svoltosi lo scorso 6 gennaio anche nella nostra Diocesi con la Santa Messa presieduta da mons. Gian Carlo Perego nella Basilica di San Francesco a Ferrara.
L’iniziativa è stata preparata dall’Ufficio per la Pastorale dei migranti – coadiuvato dai Cappellani di lingua straniera -, Ufficio diretto da don Rodrigo Akakpo, il quale durante la liturgia ha guidato il coro multietnico presente.
L’evento – che ha seguito il tema dell’anno, suggerito da Papa Francesco, “Liberi di migrare o restare” – ha visto la presenza di alcune centinaia di persone, fra cui un nutrito gruppo proveniente da Bergamo in occasione del gemellaggio della nostra Arcidiocesi con l’Ufficio Migrantes di quella Diocesi, presente con un centinaio di persone accompagnate dal direttore don Sergio Gamberoni. Il gemellaggio è stato suggellato a fine Messa sul sagrato con il lancio di due palloncini.
VOLTI E COLORI DI UNA GRANDE FESTA GLOBALE
È stato srotolato da alcuni giovani di Bergamo lo striscione “Io+tu+noi+loro…Il mondo migliora”. Un semplice ed efficace slogan per un evento di questo tipo. Altri, invece, hanno esposto l’insegna del Sermig con la scritta “Pace”. Fra i fedeli, poi, spiccavano gli scout del Doro, anche loro con l’immancabile divisa a contraddistinguerli.
A un certo punto, si è visto avanzare lungo la navata centrale un uomo con la bandiera ucraina alta sopra le teste, per raggiungere alcuni suoi connazionali nelle prime file. Quella romena, poggiava invece tranquilla su uno dei banchi a ridosso dell’altare maggiore. E a proposito dell’Ucraina, i segni della sofferenza e dell’orgoglio sono vivi sui volti pur festosi dei presenti, oltre che in alcune immagini che cogliamo casualmente, come quella di un giovane militare che una donna, forse la madre, conserva sullo sfondo del proprio smartphone.
Nella nostra liturgia c’è spazio per l’invocazione a Dio perché difenda il «debole» e il «misero» come per il giubilo più incontenibile: dai canti africani più movimentati a quelli ucraini o a quelli più solenni in latino (antico), la liturgia è dunque stata fortemente segnata da melodie diverse, provenienti da regioni del globo a noi più o meno lontane, tanto quanto le epoche nelle quali han preso vita.
Un viaggio fra i vari continenti grazie al coro multietnico che ha cantato in italiano, spagnolo, francese, inglese, tagalog (lingua filippina), rumeno e ucraino, così come nelle diverse lingue sono state pronunciate le preghiere dei fedeli e alcune letture. Fra queste, la lingala, lingua bantu tipica del Congo, protagonista dell’offertorio nel quale alcune donne e uomini della comunità francofona africana di Ferrara hanno attraversato in tutta la sua lunghezza la navata centrale portando, nei loro abiti tipici, i doni all’altare attraverso una danza trascinante. Un originale e variopinto viaggio verso il Signore, come allora fu quello dei Magi d’Oriente.
Originali anche alcuni degli strumenti musicali utilizzati: oltre a quelli più classici – batteria, basso e pianole -, hanno animato la liturgia anche tre strumenti a percussione di origine nigeriana, l’oromi, l’udu e l’igba.
A fine Messa, un altro momento speciale con un gruppo di ragazze e ragazzi ucraini, in abiti tipici, ai piedi dell’altare a intonare un commovente canto natalizio, “Dobryi vechir tobi pane gospodarou” (“Buonasera a te,Signore”).
Dopo la Santa Messa, i partecipanti hanno condiviso in sagrestia i cibi tipici offerti dalle varie comunità. Ma prima, il tripudio finale: il “Gloria” finale si è dilatato per una ventina di minuti con voci e danze a trascinare, come in un torrente inarrestabile, i tanti presenti ai piedi dell’altare. Un crescendo nella gioia, nella comunione, uniti e animati dalla forza viva dello Spirito. Un grande abbraccio finale a sigillare una grande festa della fede universale.
«NEI MAGI C’È IL DESIDERIO DI USCIRE E INCONTRARE IL SIGNORE»
«La luce di Cristo ci permette di alzare lo sguardo – afferma il profeta Isaia – e guardarci attorno, guardare il mondo e accorgerci che la luce di Cristo illumina tutti, accompagna tutti a quella grotta». Così il nostro Arcivescovo in un passaggio dell’omelia a SanFrancesco. «Questa “ricchezza delle genti” è la destinataria della salvezza che il Dio con noi porta. Tutti proclamano il “Gloria a Dio”. Il cammino sinodale di quest’anno ci deve non far dimenticare questo “tutti” a cui è destinata la salvezza, perché il nostro cammino non si fermi nei recinti ecclesiali, ma raggiunga la città, il mondo, con un grande spirito missionario». Il Natale è «una festa di popoli», ha detto poi mons.Perego. «Nei Magi riconosciamo il desiderio di Dio, di uscire e incontrare il Signore. Il loro cammino non fa perdere la fede, la loro libertà, ma le arricchisce. Il loro cammino indica il cammino di una “Chiesa in uscita”, aperta alle sfide del mondo, certa di portare un valore aggiunto, i doni di Dio».
Nel pomeriggio di sabato 25 marzo, oltre 30 bimbi della comunità di Ferrara sono stati invitati al Circo Armando Orfei, grazie anche a Fondazione Migrantes
Un pomeriggio all’insegna dello spasso e del puro divertimento, fra clown, giocolieri, trapezisti e molto altro. Sabato 25 marzo oltre 30 bambini ucraini della nostra città hanno avuto l’opportunità di essere ospiti del Circo Armando Orfei, per uno spettacolo che non dimenticheranno facilmente. Circo Orfei che sarà presente in via della Fiera fino al 2 aprile.
L’iniziativa di regalare ai bambini e ai loro genitori alcune ore di distrazione, è stato possibile grazie alla Fondazione Migrantes della nostra Chiesa e all’Ente Circhi.
Galyna Kravchyk, responsabile gruppo insegnanti del circolo “Luce da luce” della parrocchia ucraina ferrarese, ha coordinato assieme al parroco don Vasyl Verbitskyy l’iniziativa: in pochi giorni, si sono iscritte 58 persone, fra cui 32 bambini (oltre la metà di loro, profughi). Per molti dei piccoli, si è trattata della prima esperienza al circo. Ricordiamo che anche l’Ucraina ha un’importante tradizione circense, tanto da ospitare, per esempio, a Leopoli un circo stabile.
Inoltre, il giorno successivo, domenica 26, nella chiesa di S. Maria dei servi i bimbi ucraini hanno rappresentato la parabola del figliol prodigo, coordinati dalla stessa Kravchyk. E da domenica 19, fino a dopo Pasqua, in chiesa è allestito un mercatino pasquale solidale, il cui ricavato sarà usato per sostenere la popolazione ucraina.
Il nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, Presidente della Fondazione Migrantes, non ha potuto essere presente nel pomeriggio del 25 e così ha visitato il Circo Armando Orfei nel pomeriggio successivo, intrattenendosi con gli artisti e impartendo la benedizione.
Il diploma a Kristal Brinati, giovane artista
La compagnia di Armando Orfei raccoglie 30 fra artisti e tecnici. Fra i primi, vi è la famiglia Brinati, storica famiglia circense: Oscar, 88 anni, il figlio Renato con la moglie Alba Ferrandino, e le loro due figlie Sharon, 28 anni, e Kristal, 20. Tutti artisti. Quest’ultima, sabato, alla fine dello spettacolo pomeridiano a cui hanno assistito anche i bambini ucraini, ha ricevuto dalle mani di Monica Bergamini della Migrantes il diploma del Liceo Artistico “Bruno Munari” di Castelmassa (RO), scuola che ha frequentato “a distanza”, concludendo gli studi l’anno scorso. «Mediamente mi alleno 2 o 3 ore al giorno, tutti i giorni», ci spiega Kristal, che ha debuttato nell’autunno 2020. «Fin da piccola ho fatto la giocoliera, iniziando prima con la ginnastica artistica». Kristal viene da una tradizione di giocolieri, come il padre Renato (al cardiopalma il suo numero di tiri di precisione con la balestra) e il nonno Oscar. La Migrantes nazionale attualmente segue 400 ragazzi circensi studenti in tutta Italia: li aiuta per l’iscrizione, poi i ragazzi seguono le lezioni su classroom, prima di fare una sorta di verifica “a casa” e in seguito un’altra in presenza a scuola.La Migrantes segue, fra gli altri, alcuni ragazzi circensi iscritti all’IPSIA “Bari” di Badia Polesine e all’IPSAA “Bellini” Alberghiera di Trecenta, dove seguono anche un corso di sicurezza. Inoltre, il presidente dell’Ente Circhi Antonio Buccioni collabora in modo costante con la Migrantes, facendo anche in modo che molti giovani circensi possano svolgere l’alternanza scuola-lavoro all’interno del proprio circo.
E a proposito di Migrantes, a Ferrara, oltre a Monica Bergamini, erano presenti il marito Flaviano Ravelli (che viene da una famiglia di giostrai, attività che ha portato avanti fino al 1989) e la loro figlia Valeria: sono i tre operatori pastorali Migrantes che nello specifico si occupano del mondo dello Spettacolo viaggiante. Un anno fa, nella nostra città, si sono prodigati per permettere che i figli di esercenti del Luna Park in San Giorgio, potessero ricevere, nella Basilica di S. Maria in Vado, il sacramento della Confermazione. Un’azione pastorale, questa, importante e non scontata, anche per la presenza, fra i circensi, di evangelici e, in misura minore, di testimoni di Geova.
Andrea Musacci
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 marzo 2023
«Bisogna guardare il mondo come si guarda la propria casa, per comunicare una cultura dell’incontro che sappia vincere i tanti pregiudizi». Nonostante abbia fatto il suo ingresso nella nostra Arcidiocesi da meno di una settimana, Mons. Gian Carlo Perego riesce già a conquistare il cuore di non pochi ferraresi. L’ha fatto anche ieri mattina in quella che possiamo dire sia la sua “casa”, la sede della Caritas diocesana, per il suo passato dal ’97 al 2009 (anno della nomina a Direttore della Fondazione Migrantes) nella Caritas, prima cremonese, poi nazionale. In via Bravasola, e nell’annessa Casa Betania, l’antico chiostro del complesso di Santa Maria in Vado, il nuovo Vescovo ha ascoltato i tanti presenti (quasi un centinaio) e visitato la struttura, accolto – è proprio il caso di dirlo – come in famiglia. Fra i presenti, vi erano rappresentanti dell’Ufficio Missionario diocesano, di Viale K, Amici di Kamituga e Città del Ragazzo.
Durante l’incontro nel chiostro con gli operatori, i volontari e i presenti, accompagnato dal Vicario Generale Mons. Massimo Manservigi, dal Direttore Caritas Paolo Falaguasta, dall’Assistente spirituale don Paolo Valenti e dal Responsabile diocesano dell’Ufficio Migrantes, il diacono Roberto Alberti, Mons. Perego ha esordito mettendo innanzitutto in chiaro il cuore della sua missione pastorale: «come in una famiglia, bisogna amare di più, chi più soffre, chi più ha bisogno di essere amato». In concreto, però, « l’amore dev’essere continuamente aggiornato e adattato» ai cambiamenti personali e collettivi. Anche per questo, Caritas e Migrantes «non sono e non possono essere solo uffici, ma luoghi di vicinanza e di relazione». ll “bersaglio” di Mons. Perego è quell’insieme di pregiudizi che impediscono un approccio realistico e umano alle vicende delle persone. «Spesso incontriamo gente con gli occhiali del pregiudizio, mentre un’esperienza autentica ci permette di incontrare le persone nella concretezza della loro storia». Realismo e concretezza sono, dunque, necessari, «altrimenti – ha proseguito Perego – vincono quegli slogan che fanno solo male alle persone e non permettono una continua costruzione della città». A seguire, i presenti hanno rivolto alcune domande all’Arcivescovo, il quale nel rispondere ha affrontato anche il tema spinoso del difficile equilibrio tra accoglienza e sicurezza nelle città: «dobbiamo impedire – ha risposto alla domanda di un’anziana signora residente sola in via Battisti – che anche nella nostra città vi siano sacche di disagio abbandonate a se stesse. La sicurezza nasce anche da un’organizzazione urbana che non lasci fuori nessun luogo».
La mattinata si è conclusa con la visita completa della struttura, gli appartamenti dove sono ospitate 34 persone tra donne e minori, la mensa, la sala pranzo, la sala lavatrici, i due ambulatori e il piccolo “emporio” dove vengono distribuiti vestiario e coperte.
Mi chiamo Andrea Musacci.
Da aprile 2014 sono Giornalista Pubblicista, iscritto all’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna.
Sono redattore e inviato del settimanale "la Voce di Ferrara-Comacchio" (con cui collaboro dal 2014: http://lavoce.e-dicola.net/it/news - www.lavocediferrara.it), e collaboro con Filo Magazine, Periscopio e Avvenire.
In passato ho collaborato con La Nuova Ferrara, Listone mag e Caritas Ferrara-Comacchio.
-------------
"L'unica cosa che conta è l'inquietudine divina delle anime inappagate."
(Emmanuel Mounier)