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«Madre Cànopi faceva sentire il Verbo vivente»

9 Ott

Al Monastero di S.Antonio in Polesine presentata la mostra sulla nota abbadessa e scrittrice

Era la generatività la cifra di Madre Anna Maria Cànopi, abbadessa dell’abbazia benedettina “Mater Ecclesiae” sull’isola di San Giulio (Novara) e autrice di numerose pubblicazioni, tornata al Padre il 21 marzo 2019, Transito di San Benedetto. 

Dal 5 al 12 ottobre nel Monastero di Sant’Antonio in Polesine a Ferrara è possibile visitare la mostra con gli acquerelli della nipote Agnese Cànopi (nella foto, assieme alla zia) dedicati a Madre Cànopi e all’isola di San Giulio, organizzata assieme a Gianfranco Mastrolilli; opere che sono accompagnate da diverse foto di Madre Cànopi e della sua famiglia, oltre a copie di molti suoi libri e a due sue poesie inedite, “Fili d’erba” e “Il nido”. 

La mostra è visitabile dalle ore 9.30 alle 11.30 e dalle 15.15 alle 16.45. Il 12 ottobre padre Raffaele Talmelli presiederà la Santa Messa in ricordo di Madre Cànopi. 

In mostra, opere lievi, leggere, piene di una poesia dolce e personale. E colme di luce: quella del sole che sorge, quella di una lampada della notte.Del lago e del verde della natura. Quella di mani unite nel gesto della preghiera, e quella di un girasole, che Madre Cànopi tanto amava.

La mattina dello scorso 5 ottobre il nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego è intervenuto all’inaugurazione della mostra assieme all’abbadessa del Monastero ospitante Madre Maria Ilaria Ivaldi, ad Agnese Cànopi e a Mariella Enoc.

UNA DONNA ECCEZIONALE

«Fra le tante sorprese della vita monastica, questa di introdurre una mostra su Madre Cànopi è per me una delle più belle e sorprendenti», ha esordito emozionata Madre Maria Ilaria. «Tanto è il bene che ho appreso da questa donna eccezionale, di preghiera e di ascolto. Una donna che generava il Signore. La mia benedizione abbaziale è stata l’ultima occasione nella quale ho potuta incontrarla, dato che venne qui a Ferrara. Per me rimarrà sempre un ricordo commovente».

MOSTRA ITINERANTE

Agnese Cànopi ha vissuto la presentazione pubblica con un forte coinvolgimento emotivo. Nel suo intervento ha spiegato come lo scorso marzo la mostra è stata esposta a Tortona, «la mia Diocesi, assieme alla presentazione di due libri di Madre Cànopi». La mostra è già stata allestita – e verrà allestita – in diversi altri luoghi benedettini e non: prossimamente, andrà anche a Pecorara, luogo di nascita di Madre Cànopi.

DONNA FRAGILE E FORTE

La storia dell’abbazia “Mater Ecclesiae” è stata illustrata da Mariella Enoc.Dopo la morte dell’anziano parroco dell’Isola, il Vescovo di Novara mons. Aldo Del Monte chiese all’Abbazia di  Viboldone la disponibilità ad inviare alcune monache per la fondazione di un monastero benedettino. All’inizio non fu facile: M. Cànopi con le prime cinque monache trovarono un luogo «poco accogliente, senza riscaldamento. C’è da dire che anche la Diocesi non condivideva molto la scelta del proprio Vescovo», ha spiegato Enoc. «Ma la gente che abitava nei dintorni si affezionò alle monache e iniziò ad aiutarle». Poi prese avvio l’accoglienza, «ancora oggi uno dei punti di forza del Monastero. Lì c’è una grazia, un’atmosfera molto particolare. Solo pochi giorni fa vi ho accompagnato un gruppo di ricchi cinesi che in Italia volevano imparare il significato di “filantropia”…». E dove non imparare l’amore vero per la persona se non in luogo così?

«Madre Cànopi – ha proseguito – era una donna tanto fragile nel corpo quanto forte dentro, di grandissima umanità. La sua, quindi, è una storia di grande generatività. Nel suo Monastero ha sempre anche accolto giovani monache non perfette, con dei limiti, che magari all’inizio potevano creare problemi, ma che col tempo si trasformavano». Si trasfiguravano, perché Madre Cànopi «era capace di valorizzare anche le povertà spirituali. Era una mistica, una donna capace di far sentire l’umanità di Dio: non solo la Parola ma anche il Verbo incarnato, vivente. Cercate anche voi, qui a Ferrara, di capire a fondo l’importanza di avere un Monastero benedettino».

IL VESCOVO: «QUANDO LA CONOBBI DI PERSONA»

«Tutti e tre i nostri Monasteri sono doni per la nostra città», ha rimarcato mons.Perego. «Madre Cànopi – ha aggiunto – è una delle figure più importante degli ultimi 50 anni. Ho avuto la grazia di incontrarla una volta, quand’ero seminarista: ricordo la sua figura semplice, che generava un clima di silenzio, di preghiera. E ricordo l’invito a sentire il Signore sempre presente nella nostra vita. Senza una relazione col Signore, la nostra vita – infatti – può affossarsi: abbiamo bisogno di uno sguardo che veda oltre». Poi, «durante i miei studi di teologia – ha proseguito il Vescovo -, i suoi libri sono stati strumenti importanti di preghiera e di meditazione». Riguardo alle opere della  nipote Agnese, mons.Perego ha infine spiegato come la tecnica dell’acquerello richieda «delicatezza» e una scelta netta, precisa, in quanto non si può correggere in corsa. Segno, quindi, di una tempra e di una dolcezza condivise con l’amata zia.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 ottobre 2024

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Monastero delle Benedettine “invaso” dai giovani

29 Nov
Linda Rouhani e Caterina Brunaldi

Sant’Antonio in Polesine. Visite guidate grazie ad alcuni studenti del Dosso Dossi come  “apprendisti ciceroni”. Il Monastero benedettino dal 22 al 26 novembre è stato animato dal progetto del FAI. In tutto, 250 bambini e ragazzi in visita

di Andrea Musacci
Un afflusso tranquillo ma comunque anomalo per il Monastero di Sant’Antonio in Polesine. Un’apertura eccezionale per permettere a tanti bambini e ragazzi di conoscere meglio questo angolo di Cielo nel cuore antico della nostra città.

Da lunedì 22 a venerdì 26 novembre, dalle 9 alle 12, il Monastero che ospita le Monache Benedettine ha aperto le proprie porte a circa 250 alunni e ad alcuni loro insegnanti in occasione della decima edizione delle “Giornate Fai per le scuole”, che in tutto il Paese (nelle altre località fino al 27) prevedevano visite esclusive a luoghi di interesse storico, artistico e naturale a cura degli “apprendisti ciceroni”. La delegazione ferrarese del FAI ha organizzato visite riservate alle classi “Amiche FAI” e gestite da studenti formati dagli stessi volontari del Fondo Ambiente Italiano insieme ai docenti. A Ferrara gli “apprendisti ciceroni” sono stati gli alunni della classe 3 B/E del Liceo Artistico “Dosso Dossi”, impegnati per l’occasione nell’attività di PCTO – Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (l’alternanza scuola-lavoro) e coordinati dalla prof.ssa Donatella Palchetti, docente di italiano e referente del progetto, da lei curato insieme alla collega Patrizia Massarenti, docente di Storia dell’arte.

Le ragazze e i ragazzi della 3 B/E hanno accolto e accompagnato, per visite di 45 minuti, in alcuni ambienti del Monastero bambini e ragazzi appartenenti a 13 classi di alcuni istituti cittadini: Istituto Comprensivo Alda Costa, I. C. Dante Alighieri, I. C. Boiardo, I.I.S. Luigi Einaudi e dello stesso Dosso Dossi, dalle classi IV delle Primarie fino al III° anno delle Superiori.

Viviana Babacci, volontaria del FAI impegnata in questo progetto insieme a Cristina Bignami e Marcella Pivano, ci spiega come dopo la stipula della convenzione tra il FAI e il Liceo, il progetto ha preso avvio tra fine settembre e inizio ottobre, per poi, a fine ottobre, iniziare la settimana di preparazione con lo studio del materiale, la redazione dei testi per le visite e una prima visita preparatoria al Monastero insieme alla Madre abbadessa Maria Ilaria Ivaldi.

I “ciceroni” del Dosso sono stati divisi in tre gruppi: uno si occupava di illustrare l’ingresso, lo spazio accoglienza e il chiostro; il secondo il sepolcro della Beata – la cui tomba in marmo i ragazzi hanno potuto vedere “gemmata” dalle “lacrime” della Beata Beatrice II d’Este, che normalmente è possibile ammirare fino a marzo -, il coro e le tre cappelle; il terzo, la chiesa.

Lorenzo Baroni e Marta Montanari sono due dei “ciceroni” incaricati di accogliere e guidare i gruppi di studenti nell’ingresso del Monastero per la prima parte della visita. «All’inizio – ci spiega Lorenzo – è stato difficile comprendere un luogo così particolare, così distante da quelli che normalmente viviamo. Prima di riuscire a spiegarlo, ho dovuto cercare di capirlo. E c’è voluto un po’ di tempo». La chiusura e il silenzio un po’ intimoriscono e spiazzano anche Marta, comunque ammaliata, come Lorenzo e i loro compagni, dalla bellezza e dal fascino del luogo. «Importante – aggiunge Marta – è anche il confronto con persone diverse» in questa che assomiglia a una prima esperienza lavorativa: «mi sento più matura», ci confida.«Le monache bevono l’acqua del pozzo?«. È una delle domande bizzarre rivolte ai “ciceroni” da alcuni bambini, più curiosi e spontanei rispetto ai loro omologhi adolescenti. «È bello spiegare da studente a studenti», ci spiega ancora Lorenzo, e «di volta in volta adattare i termini e il linguaggio in base alle età di chi mi ascolta, non usando o spiegando meglio alcuni termini più difficili».

Nell’ultima tappa in chiesa incontriamo, invece, Linda Rouhani e Caterina Brunaldi, interessate in particolare alla parte esterna della chiesa, alle decorazioni e agli affreschi. «La vita delle monache – riflette con noi Linda – la immagino difficile da seguire, così staccata dal mondo, mentre noi adolescenti siamo abituati ad ambienti caotici». Il luogo, però, concorda anche Caterina, è «davvero molto bello e tranquillo». «Il Miracolo – per Caterina – può sembrare inventato, ma dall’altra parte bisogna ammettere che è qualcosa di davvero inspiegabile».


Storia di un luogo davvero unico

Primo monastero femminile nella città estense, il complesso di S. Antonio fu creato per accogliere Beatrice d’Este, figlia del marchese Azzo VII Novello d’Este, e le giovani che, come lei, intendevano seguire la regola benedettina. Già intorno all’anno Mille si erano insediati sull’isoletta tra i terreni paludosi, monaci agostiniani devoti a S. Antonio: il marchese acquistò dai padri l’area e gli edifici nel 1257. L’anno seguente Beatrice e le sue compagne si trasferirono nel complesso, oggetto di importanti lavori, che Beatrice non riuscì a vedere completati poiché fu colta dalla morte nel 1262. Nel 1413 il vescovo di Ferrara, Pietro Boiardi, consacrò la chiesa. Le benedettine separarono la chiesa in due spazi, uno per i fedeli, l’altro per le loro preghiere. Già dal 1473, infatti, si ottennero, dividendo l’edificio, le due chiese attuali. La chiesa esterna ebbe nel secolo seguente un splendido organo, opera di Giovanni da Cipro, dal 1796 sistemato nella chiesa del Suffragio. Nel ‘600 la chiesa esterna fu abbellita da nuovi altari e da grandi tele e venne ridipinto il soffitto della chiesa esterna, ad opera di Francesco Ferrari, supportato forse dal figlio Felice. Il tema prescelto per la decorazione fu la Madonna col Bambino in gloria ed i Santi Antonio e Benedetto sistemati tra ricchi motivi ornamentali, e sei immagini di santi benedettini.

Si deve a interventi operati nel XVIII secolo la sistemazione della selciata della corte, come attestano le perizie coeve. Furono queste le ultime opere eseguite prima del tracollo del monastero, provocato dall’arrivo degli eserciti francesi: nel 1796 S. Antonio il Polesine ebbe chiuso il tempio, e il convento fu ridotto a reclusorio.La ripresa ufficiale dell’abito monastico si ebbe solamente nel 1924, tra vicende alterne che videro pure sistemare il nuovo altare del SS. Sacramento (1806) e creare una sorta di cappella, decorata da una statua della Beata.Nel 1910 l’ala delle novizie fu adibita a Caserma. Nello stesso anno il Comune di Ferrara acquistò tutto il complesso affidandolo alla custodia delle benedettine. All’entrata del monastero ci si trova nell’ala settentrionale del chiostro, in cui si venera il sepolcro della beata fondatrice dalla cui tomba in marmo periodicamente stilla un’acqua miracolosa detta le “Lacrime della Beata”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 3 dicembre 2021

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