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Mons. Mosconi Vescovo a Comacchio, tra miseria e Verità nella Carità

15 Set

Il nuovo volume di Alberto Fogli racconta l’episcopato in quella che nei primi anni ’50 era una delle Diocesi più povere d’Italia.Il ritratto di un pastore che ha lasciato il segno

di Andrea Musacci

Le cene durante il Concilio con Montini e Ratzinger, il rischio di finire in un campo di concentramento, il pranzo assieme a 400 poveri. Sono solo alcuni aneddoti riguardanti mons. Natale Mosconi, Vescovo di Comacchio dal 1951 al 1954 e poi di Ferrara fino al 1976. 

Questa complessa personalità è delineata nell’ottimo libro in uscita dal titolo “Natale Mosconi. Il vescovo del paludoso Delta Padano e della riforma agraria” (Ediz. San Paolo, 2023). Il volume di Alfredo Alberto Fogli, con la prefazione del nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, come si evince dal titolo si concentra sul Mosconi Vescovo di Comacchio (dove tornò dal ’69 come Amministratore Apostolico). Un triennio particolarmente intenso quello nell’allora «Diocesi più povera d’Italia», iniziato con l’avvio della bonifica da parte dell’Ente Delta Padano di un territorio di 21.000 ettari che darà lavoro a numerosi braccianti agricoli locali e veneti. Da qui, il problema della casa, del lavoro, delle scuole e degli asili per questa povera gente. La riforma agraria come necessità, e poi, sempre nel ’51, la tremenda alluvione nel Polesine. E la nascita del Settimanale della Diocesi, “La Croce”.

VERITÀ E CARITÀ TRA LORO FUSE

Fogli nel suo volume riflette in modo particolare su come nell’episcopato di Mosconi fossero fra loro intrecciate Verità e Carità: «sapeva soffrire per la povertà della sua gente, povertà alla quale non riusciva a rassegnarsi ed era inflessibile nei confronti della mancanza di Carità e dell’indifferenza verso la Verità rivelata (“Caritas in Veritate” cinquant’anni prima!..). La sua formazione lo vedeva molto vicino alle posizioni pastorali di don Primo Mazzolari». Mons. Mosconi era «specialmente e sopra tutto, un assertore e difensore della verità cristiana, che riteneva l’unica via per salvare l’uomo e la Società dalla inevitabile disgregazione morale e spirituale». L’analisi dei mali della società contemporanea era spesso impietosa: il mondo attuale – scriveva il Vescovo – «è un mondo di infermi che non conoscono le loro infermità. Sono anime ammalate ingannate da Satana, dai sensi, dalle ideologie del mondo. Bisogna salvarle queste povere anime, ma per salvare le anime bisogna soffrire con le anime». Ancora una volta, dunque, nessun altezzoso distacco ma tanto la franchezza quanto la com-passione di un Vescovo. «Lavorerò», «pregherò» e «soffrirò con voi», disse al suo arrivo a Comacchio.

CONTRO IL FASCISMO

La personalità e il coraggio dell’annuncio di certo non mancavano nemmeno al giovane Mosconi, prete nella Diocesi di Cremona. Nel 1936 viene incaricato della direzione del Settimanale della Chiesa locale. Fin da subito, scrive parole dure contro il nazismo. «Mosconi scrive come parla: martellante, su un’opinione pubblica sempre più divisa tra consenso e dissenso. Inevitabile lo scontro con il regime fascista di Farinacci. Donde le polemiche, le diffide, ed i minacciati sequestri che giungono nel 1937». Tra i suoi collaboratori vi è don Primo Mazzolari: «due penne di primo piano del cattolicesimo cremonese. Giornalisti scomodi e rocciosi. Il primo sequestro del settimanale avviene il 5 marzo 1937». 

Fogli cita un ricordo dell’ex segretario particolare di Mosconi, una confidenza dello stesso Vescovo: «dopo gli inutili interventi e sequestri del settimanale diocesano, Farinacci aveva deciso l’arresto e l’internamento in campo di concentramento del direttore Mosconi. L’intervento deciso e determinato del card. Ildefonso Schuster risolse la spiacevole situazione. Ma don Natale deve lasciare la direzione del giornale. Anche parte del clero cremonese lo vuole. La parte più collusa con il regime». E negli anni della guerra (1940-45) don Mosconi sarà protagonista della Resistenza dei cattolici cremonesi al regime fascista e alla repubblica di Salò.

MISERIA E DIGNITÀ DI UN POPOLO

«Va in una terra di grande miseria quale lei non ha mai visto. Situazione cancrenosa. La gente di Comacchio non ha più speranza. Non crede nella solidarietà sociale». Con queste parole schiette, Pio XII assegna l’incarico a mons. Mosconi. Scrive Fogli: «qui mancavano attività commerciali, artigianali e industriali. Tutto si riduceva all’agricoltura, per lo più gestita da grosse società, e alla pesca valliva e marina. Ma anche questa opportunità di lavoro risultava precaria e saltuaria e anche poco pagata. Le valli erano gestite da Consorzi e dal Comune offrendo ai più, lavoro di tipo stagionale. Il pesce era il cibo dei poveri i quali, per sfamare le loro famiglie spesso numerose, ricorrevano alla pesca di frodo». In molte zone della Diocesi comacchiese «scarseggiavano persino l’acqua e l’elettricità. Le abitazioni erano misere, malsane e insufficienti per il numero dei componenti la famiglia. È così che questa parte del mondo ferrarese veniva accostata alle zone più povere del meridione italiano». 

Per questo, mons. Mosconi sul Bollettino diocesano parla di «terra di missione»: «perché la parrocchia dove esiste non influisce che in piccolissima proporzione sulla massa degli abitanti; per l’abbandono pauroso in cui tante zone sono state lasciate; per la mancanza di quel minimum di fattori di civiltà che sono insieme elementi essenziali di vita: acqua e case e imprese».

Da qui, nascerà anche l’idea di un nuovo seminario, inaugurato «non con taglio di nastri, ma con un pranzo offerto a quattrocento poveri perché un seminario nato dalla carità doveva inaugurarsi con un atto di amore ai poveri». E lo stabile del vecchio seminario decide di trasformarlo in un orfanotrofio per i ragazzi di sesso maschile di età compresa fra i 6 e i 14 anni (ne esisteva già uno per le bambine).

Mosconi, inoltre, «appoggia il progetto di bonifica delle terre vallive e preme perché parta presto. Si impegna a fondo perché l’acqua potabile arrivi in tutte le famiglie sia pure attraverso una forma primaria di approvvigionamento. Favorisce lo sviluppo di una nuova coscienza sociale improntata alla reciproca solidarietà in cui ciascuno si senta prossimo secondo il dettato evangelico. Predica contro i cattivi costumi sociali e contro le strutture che li sostengono senza mai condannare le singole persone». E difende la riforma agraria, una riforma «capace di cambiare una strana situazione che vedeva alcune multinazionali, autentiche proprietarie dei terreni coltivabili, lasciare fuori da ogni prospettiva di miglioramento economico e da possibilità di un lavoro a conduzione in proprio, migliaia di agricoltori». Un esperimento concreto di «civiltà contadina cristiana», con borgate rurali dove ci fossero, oltre le case, chiesa, asilo, scuola, bar e sede della cooperativa.

DAI “NO” A PAOLO VI AL MOCCOLO DEI BAMBINI

«Temperamento focoso e inquieto, mai domo, molto severo con sé stesso e con gli altri. Esigente e volitivo come nessuno. Determinato fino alla testardaggine. Autorevole e a volte autoritario fino all’antipatia ma sempre disposto a scusarsi se comprendeva di avere umiliato qualcuno». Così, Alberto Fogli abbozza il carattere del Vescovo Mosconi, in un volume dove non mancano anche aneddoti interessanti. Come quelli sul rapporto con Montini/Paolo VI: «Una stima talmente profonda che – afferma l’ex segretario di Mosconi, mons. Guido Rossi – durante il Concilio li vedeva a cena insieme due volte la settimana. (…) Una stima che si espresse da parte di papa Paolo VI, prosegue mons. Rossi, con l’offerta dell’incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Mons. Mosconi declinò l’offerta affermando che lui era fatto per essere vescovo diocesano e non per la Curia. Nel 1965, poi, papa Montini gli offrì la cattedra arcivescovile di Torino. Mosconi accettò ma a condizione di non essere nominato cardinale. E ciò impedì il suo trasferimento». Ancora mons. Rossi raccontava: «durante lo svolgimento del Concilio don Ratzinger venne a pranzo almeno dieci volte da mons. Mosconi presso le Carmelitane di Monte Mario dove soggiornavamo». «Un giorno don Joseph mi disse: “ha un arcivescovo intelligentissimo, di una cultura rara”». 

Ma in quelle cene romane con due futuri Pontefici c’era lo stesso Mosconi capace di “abbassarsi” – anche letteralmente – ai più piccoli. Scrive Fogli: «spesso, passando per le vie di Comacchio (o di altre località diocesane), gli piaceva intrattenersi con le persone, specie anziane, ammalate, povere e con ragazzi e bambini. Non di rado notava questi ultimi con vestiti in disordine, scarpe slacciate e moccolo al naso. Allora si fermava, distribuiva loro qualche caramella e prima di riprenderli, si coricava ad allacciare le scarpe e a soffiare loro il naso ed a correggerli amabilmente con un gesto affettuoso, accorto e un po’ accorato». 

Pubblicato sulla “Voce” del 15 settembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

«Condividete il pane materiale e quello Eucaristico». La Lettera di mons. Mosconi del ’71

27 Set
Cena in Emmaus, Caravaggio, 1606, Pinacoteca di Brera (Milano)

All’inizio dell’ultima Lettera (“L’Eucaristia, sacramento del dono”), mons. Perego cita “La Sacra Eucarestia e i nostri problemi”, Lettera pastorale del ’71 (8° centenario del Miracolo di S. Maria in Vado) del Vescovo di Ferrara mons. Natale Mosconi.

Nella seconda parte, mons. Mosconi analizza i problemi della società moderna e della Chiesa, di cui l’Eucarestia rimane l’«unica soluzione»: «Gesù è la risposta» ai «problemi di vita, di pane e di vestito, di lavoro e di assistenza, di infermità e di sofferenza, di giustizia e di colpa; di aspirazioni senza fine e di miseria e di morte». «Non li abolisce, non li cancella: li risolve».

«E penso – prosegue – a uno dei più tremendi problemi morali dell’uomo: la solitudine, che può decidere fatalmente e tragicamente, e che dalla Realtà Eucaristica è superata, eliminata. Abbandonato dagli uomini, respinto o dimenticato o comunque rimasto solo, il cristiano trova sempre nel Cristo Vivente nell’Eucaristia il compagno della sua vita, Colui che non lo lascia mai solo, il fratello sempre a lui vicino che risponde a ogni sua domanda e accoglie ogni sua invocazione».

Mons. Mosconi passa poi ai problemi della famiglia e a quelli nella Chiesa: anche «l’accostamento dei lontani e l’incontro con i non credenti sia del mondo del lavoro sia del mondo intellettuale e filosofico e scientifico-tecnico, non può escludere questa via, perché è la via di Cristo». Riguardo ai problemi a livello mondiale, «il rinnovamento della liturgia nella sua accentuazione comunitaria», dev’essere «concreto e portare il cristiano a (…) precisi impegni». Perché, spiega, «non ci sarà mai pace che nell’affermazione attuosa della carità, né affermazione attuosa della carità nel mondo senza la Sacra Eucaristia, la fonte della carità», «Mensa di pace». «Invito a dividere con i fratelli il pane materiale allo stesso modo che condividiamo il Pane Eucaristico».

La Lettera si conclude con ventuno «Avvertimenti», l’ultimo dei quali è “profetico”: «Abbiamo (…) comunità care al Signore prive della permanente presenza sacerdotale. Stiamo diventando “terra di missione”?», si chiede. L’appello è quindi rivolto «al generoso cuore apostolico dei carissimi sacerdoti» e ai «candidati al sacerdozio» per «un impegno “missionario”».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 1° ottobre 2021

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