Archivio | gennaio, 2025

Basso Ferrarese, ecco la ricerca CISL-CDS

31 Gen

Impresa, demografia, infrastrutture non vanno. Servono interventi pubblici. Una proposta seria

È ora disponibile il Rapporto finale del progetto di ricerca “Sulla sostenibilità socio-economica ed ambientale nell’Area Interna del Basso Ferrarese”, promosso da CISL Ferrara e a cura di CDS – Centro Ricerche Documentazione e Studi Economico Sociali OdV, con la Collaborazione Scientifica di Aurelio Bruzzo, già afferente al Dipartimento di Economia e Management UniFe. Qui il testo completo della Ricerca: urly.it/3149s2

Risulta evidente – è scritto nel testo – che nell’Area Interna Basso Ferrarese è presente «un circolo vizioso che ovviamente andrebbe interrotto, per poter lanciare un vero e proprio processo di sviluppo». Circolo vizioso «alimentato dallo spostamento al di fuori dell’area in oggetto di importanti risorse – come il capitale umano e presumibilmente anche il capitale finanziario» che «contribuiscono all’ulteriore impoverimento dell’Area Interna, soprattutto in termini di potenzialità circa un futuro sviluppo socio-economico. L’interruzione di tale circolo non può che avvenire attraverso l’adozione di una serie di misure d’intervento pubblico».

L’Area Interna – «anche a causa dello spostamento verso l’esterno – gode di una minore quantità di forza lavoro rispetto all’area rimanente che compone la provincia di Ferrara; inoltre si è appurato che nell’Area Interna sono maggiormente presenti le imprese di piccola o piccolissima dimensione, le quali molto spesso sono diffuse sul territorio, anziché essere agglomerate in apposite aree attrezzate destinate alle attività produttive (industriali e terziarie), come quella di San Giovanni di Ostellato. Tutto ciò comporta che le imprese localizzate nell’Area interna non usufruiscono né delle economie di scala né di quelle di agglomerazione; conseguentemente, esse sostengono costi di produzione molti elevati che vanno a ridurre i margini di guadagno registrati nei bilanci aziendali. La disponibilità di manodopera non particolarmente formata – salvo le debite eccezioni – contribuisce ad ottenere dalle iniziative imprenditoriali operanti nell’Area livelli di produttività e di redditività inferiori a quelli possibili, che si riesce invece ad ottenere al di fuori dell’Area».

Per quanto riguarda le famiglie, «a causa del basso livello di reddito pro capite goduto dai residenti nei Comuni dell’Area, i consumi che in parte potrebbero essere costituiti da autoconsumo, sono anch’essi limitati, per cui la domanda di beni di consumo avanzata nei confronti delle imprese produttive, locali e non, sarà anch’essa limitata», e quindi queste «riusciranno a produrre una quantità altrettanto limitata di beni».

Proseguendo, l’Area interna Basso Ferrarese si caratterizza per «un elevato livello di fragilità socio-demografica, a causa dello spopolamento e dell’invecchiamento della popolazione che rimane a risiedere, di frammentazione territoriale delle attività produttive e di una elevata, quanto paradossale differenziazione fra i Comuni che la compongono, che sono di diversa dimensione demografica e specializzati in attività tra loro diverse, ma non complementari».

Un’altra caratteristica propria di quest’area è rappresentata dalla «carenza di infrastrutture, sia materiali che immateriali, rispetto al resto del territorio provinciale in settori come quelli delle telecomunicazioni, del trasporto pubblico e, di conseguenza, della mobilità, mediante le quali si potrebbe favorire delle relazioni più intense e strette sia all’interno dell’Area stessa, sia con le aree contermini presenti nella provincia, a ovest e a sud, nonché con quelle delle province circostanti (in particolare Rovigo, Modena, Bologna e Ravenna). Le maggiori, sia in termini di frequenza che di intensità, relazioni consentirebbero ovviamente di incrementare gli scambi commerciali, sia con le attività produttive localizzate nelle aree menzionate, sia con quelle straniere attraverso infrastrutture logistiche e di trasporto – come le ferrovie e le banchine portuali – presenti in altre aree della regione, come la provincia di Ferrara». A tal proposito, importante è il recente progetto di Zona Logistica Semplificata, imperniata sul porto di Ravenna, «della quale però le attività produttive localizzate nell’Area Interna che volessero effettuare attività di import-export non potrebbero avvalersi di un collegamento diretto attraverso la Strata statale Romea (S.S. 309) o una adeguata rete ferroviaria, per ricorrere al polo logistico di Bondeno, situato molto più a ovest».

Andando avanti nell’analisi, si registra la totale assenza di un adeguato coordinamento tra i progetti di investimento pubblico finanziati mediante il PNRR, la politica di coesione europea e la STAMI (Strategie territoriali per le aree montane e interne, ndr), in sede di programmazione iniziale e a livello di intera Area interna». Andrebbe invece «individuata una sede o un soggetto istituzionale che riesca a svolgere una simile funzione di coordinamento».

Per concludere, i sopracitati necessari interventi finalizzati allo sviluppo reddituale e a quello del benessere sociale «dovrebbero essere effettuati in vari ambiti di competenza pubblica (dall’assistenza socio-sanitaria all’istruzione, dalla creazione di nuovi posti di lavoro duraturi e di qualità alla salvaguardia dell’ambiente, dalla valorizzazione turistica e culturale delle numerose località dotate di caratteri di attrattività, ecc.)»; e «dovrebbero puntare all’inversione del trend demografico e a favorire l’inclusione della nuova popolazione che volesse trasferirsi in questa area, che presenta numerose e inestimabili ricchezze ambientali». Il «recupero dell’attuale patrimonio residenziale, attraverso la sua ristrutturazione e l’adeguamento dal punto di vista energetico» è un intervento «mai stato preso in debita considerazione» ma significativo per il futuro di quest’area che ancora vive difficoltà e contraddizioni profonde che la rendono povera e poco attrattiva.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 gennaio 2025

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La carica dei 130 “sinodali”

29 Gen

La nostra Chiesa riparte dall’incontro: partecipata e proficua Assemblea il 25 gennaio nel Complesso di San Giacomo all’Arginone

Un brusio diffuso, che percorre le sale e nasce e si spegne, ripetutamente, nei corridoi. Qualche sprazzo di ilarità, mentre un altro scorcio tradisce un momento di raccoglimento, gli occhi chiusi, i corpi vicini in un unico Corpo. I silenzi abbondano: non sono né di imbarazzo né di noia, ma di ascolto e attesa reciproca. È questa l’essenza della narrazione che possiamo donarvi del lavoro dei 12 gruppi sinodali diocesani che nel pomeriggio dello scorso 25 gennaio si sono messi al lavoro in contemporanea negli ambienti parrocchiali di San Giacomo Ap. all’Arginone (Ferrara) per la prima “Assemblea sinodale diocesana”, erede della Giornata del Laicato.

130 i presenti divisi nei 12 gruppi, ognuno partito con un’invocazione alloSpirito Santo e con un facilitatore: Cecilia Flammini, Alberto Mion, Augusto Pareschi, Francesca Ferretti, Marcello Musacchi, Chiara Fantinato, Anna Perale, Alberto Natali, Nicola Martucci, Giulio Olivo, Patrizia Trombetta, Giorgio Maghini. Si è trattato di gruppi di conversazione nello Spirito, dove ognuno poteva intervenire liberamente portando il proprio contributo. Da ogni gruppo sono uscite tre proposte fondamentali che saranno poi analizzate dall’équipe sinodale diocesana e dal nostro Arcivescovo (ne parleremo sul prossimo numero)

«Il Sinodo è un cambiamento di visuale sulla Chiesa, il mondo, le persone, ilSignore», ha detto il diacono Giorgio Maghini, uno degli organizzatori, a inizio Assemblea. «Ed è qualcosa non di periodico, ma permanente, nella quale tutti i cristiani – laici e consacrati – assumono la responsabilità di farla vivere, di rinnovarla».

Mons. Gian Carlo Perego dopo aver guidato la preghiera iniziale dell’Ora Media, è rimasto ascoltando tutti gli interventi svoltisi prima dei gruppi. Interventi che hanno visto, dopo Maghini, prendere la parola Patrizia Trombetta (équipe sinodale diocesana) per  raccontare l’esperienza dell’Assemblea sinodale nazionale a Roma dello scorso novembre, alla quale han partecipato 1 migliaio di persone da tutta Italia.«Ci viene chiesto – ha riflettuto Trombetta – una conversione personale e comunitaria, e di essere vigili, affidabili e corresponsabili all’interno delle nostre parrocchie, Unità pastorali e della nostra Chiesa locale».

Cecilia Flammini, anch’essa presente all’Assemblea di Roma dello scorso novembre, ha raccontato la «forte emozione» di quei giorni, la «sensazione di essere parte di una grande famiglia» e la sostanza di una Chiesa «che non ha paura di mescolarsi col mondo», mondo nel quale è viva, «nel quale agisce tenendo viva la speranza». Questa grande famiglia che è la Chiesa «accoglie i doni di ognuno dei propri membri» ma, dall’altra parte, «ancora fatica a considerarsi povera e libera da pesi che la opprimono». 

L’annuncio nello spirito sinodale, dunque – ha proseguito Flammini – significa «prossimità, il sapersi mettere nel punto di vista degli altri, nella libertà e senza l’obiettivo di rafforzare le proprie fila». Il criterio è quello della Pasqua: «una sconfitta, ma vittoriosa». La missione che spetta a ognuno di noi (non solo alle “gerarchie”) «non è finalizzata a una “riconquista” ma all’annuncio nella Grazia di Dio».

Il passo e il tono per riprendere questo discorso, sono stati quelli giusti.

Andrea Musacci 

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 gennaio 2025

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«Dio compagno di cammino che sale con noi sulla croce dei letti di ospedale»

24 Gen

Il nuovo libro di Simone e Alberto Fogli: il mistero della sofferenza e la misericordia vera

“Il senso autentico della sofferenza nella comunicazione ecclesiale. Frammenti di Verità e Carità per una Chiesa in uscita” (Booksprint ed., 2024, 19,90 euro): questo il titolo del nuovo libro di Simone Fogli e Alberto Fogli.

Il libro tratta il tema del dolore e del limite umano con un approccio tanto teologico quanto concreto, attingendo anche dalla diretta esperienza degli autori.

«Una volta si sapeva morire», scrive Simone Fogli. «Lo si imparava così come si apprendeva qualsiasi altro comportamento (…). Ieri, come oggi, morte e malattia facevano paura, ma con ragioni diverse: in passato il credente aveva paura di ciò che faceva seguito alla morte; oggi teme il tormento dell’agonia». In ogni caso, per un cristiano la sofferenza rimane «sempre un grande mistero, fatto della Trascendenza di Dio e intriso di umanità». Per questo, «nessuno dovrebbe vivere la malattia e la sofferenza da solo, senza speranza e senza preparazione a ciò che verrà, con consolazione».

Nella malattia, infatti, «emergono in un colpo solo tutti i nostri limiti e l’impossibilità tangibile di superarli. Perfino coloro che hanno una radicata fiducia in Dio, che credono alla vita come un dono, sperimentano con angoscia che riconoscersi in un disegno di bontà infinita è davvero arduo». Oggi, poi, una visione secolarizzata della realtà di certo non aiuta: viviamo, infatti, in una «società che vuole il completo benessere corporeo», nella quale quindi «essere ammalati significa essere “diversi”, non potersi più accettare e essere accettati».

«La sofferenza – si chiede ancora Simone Fogli – non è forse un ammiccare della morte che rappresenta l’annientamento del soggetto nella sua condizione esistenziale?». Di conseguenza, «il malato ha bisogno di dare un senso alla sua condizione di sofferente e, molto spesso e in tempi diversi, va aiutato a farlo». In questo complessissimo e per nulla scontato cammino, la persona malata «diviene libera di maturare la sua sensibilità e la sua capacità di cogliere la preziosità del suo intimo. Si comincia a scoprire cose mai ritenute importanti».

Arriva, pur fra tentennamenti e contraddizioni, a intuire il nucleo della Verità: ciò che è radicalmente prezioso è solo l’Amore. «In un ambito di fede della Rivelazione – prosegue il testo -, all’uomo viene comunicato un significato al soffrire umano (l’Amore Misericordioso e Redentivo di Dio) che aumenta la conoscenza e la capacità intellettiva di partecipazione divina. Si ha una visione più profonda della realtà per partecipare alla stessa luce divina». Solo da qui può nascere la vera Speranza, dalla prossimità di un Dio che è «compagno di cammino che sale con noi sulla croce dei letti di ospedale e della solitudine». Dio «si fa carico della sofferenza del malato, entra nella condizione umana perché l’uomo possa entrare nella Gloria di Dio». Prossimità di Dio che interpella sempre la nostra prossimità: da qui, l’importanza decisiva delle relazioni per la persona malata, a partire dalla famiglia e dagli affetti più cari, fino all’intera comunità ecclesiale; e senza dimenticare la necessità di un approccio umano da parte del personale medico e infermieristico.

L’ultima parte del libro, a cura di Alberto Fogli, è dedicata invece al rapporto fra Chiesa e comunicazione in un mondo dove questa la fa da padrona. «I mezzi di comunicazione sociale possono sostenere lo sviluppo della Comunità umana», scrive. «In questo modo essi adempiono al compito di testimoniare la Verità sulla vita, sulla dignità umana, sul significato autentico della nostra libertà e mutua interdipendenza». Si tratta – prosegue Fogli – «di vivere pienamente la funzione profetica che compete a tutti i cristiani in quanto battezzati. Il profeta è colui che sente la Parola di Dio e non può fare a meno di comunicarla». Ma il profeta stravolge le consuetudini, “scandalizza” chi vive di luoghi comuni e di confortevoli – ma illusorie – certezze: «il Popolo di Dio – spiega quindi Fogli – non si confonda con le altre istituzioni economiche e politiche che gestiscono» i mezzi di comunicazione, «ma abbia» nella comunicazione stessa «un’era nuova di comunione universale».

Comunione che, appunto, è possibile solo nel rispetto della dignità assoluta della persona, anche e soprattutto nei momenti di fragilità come la malattia e la morte, attimi eterni nei quali il Mistero si fa più denso e la Misericordia più vera.

Andrea Musacci

***

CHI SONO GLI AUTORI

Simone Fogli 

Docente di Religione cattolica, già studente di Medicina, ha collaborato con una Comunità di assistenza a persone con difficoltà gravi, prestando anche la sua opera al domicilio di persone sole e/o colpite da patologie a volte incurabili. 

Oltre agli studi in Sacra Teologia con il massimo dei voti presso la Pontificia Università “Antonianum” di Roma, ha prestato servizio in un Hospice per ammalati gravi e terminali.

Alberto Fogli 

Ex Docente di Istituto scolastico superiore e Giornalista pubblicista, laureato in Scienze Religiose (ISSR-Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna di Bologna) e diplomato in Teologia pastorale (Pontificia Università Lateranense – Città del Vaticano – Roma), è ex Presidente diocesano di Azione Cattolica e Presidente Avis (Donatori di sangue) dal 1991 al 2021.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 24 gennaio 2025

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(Foto: Agensir)

Figli di Muse Inquietanti: 50 ritratti di artisti nel libro di Turola

22 Gen

Gabriele Turola critico d’arte: in un volume curato da Corrado Pocaterra e Lucio Scardino raccolti i suoi articoli su creativi ferraresi del ‘900 e oltre

di Andrea Musacci

Un’originale antologia degli artisti ferraresi del Novecento è quella curata da Corrado Pocaterra e Lucio Scardino nel volume “Gabriele Turola. I figli delle Muse Inquietanti” (Ferrara, 2025). Il libro verrà presentato nel mese di febbraio nella sede della Camera di Commercio di Ferrara (data ancora da definire) e sarà possibile acquistarlo in alcune librerie in città. Ricordiamo che lo scorso settembre la Galleria del Carbone ha omaggiato Turola – morto improvvisamente nell’agosto del 2019 all’età di 74 anni – con la mostra “Dedicato a Gabriele Turola”, curata dallo stesso Pocaterra.

Nel 1986 il giornalista (e «pittore per diletto») Gian Pietro Testa chiede a Turola di tenere una rubrica su “Ferrara”, rivista mensile del Comune da lui diretta. I due coniano il titolo “I figli delle Muse Inquietanti”, a voler ricordare il capolavoro di De Chirico. Successivamente, Turola continuerà i suoi ritratti sulle colonne de “La Pianura”, rivista edita per oltre un secolo dalla locale Camera di Commercio (e lo fece sino al 2016, anno in cui cessarono le pubblicazioni). «Abbiamo deciso – scrivono Pocaterra e Scardino nel libro – di ristampare i profili monografici di quegli artisti famosi che hanno portato il nome di Ferrara nel mondo, coltivando il proprio DNA di “figli di Muse Inquietanti”, ma declinandolo all’infuori di stretti localismi, di un provincialismo odiosamato». Una 50ina le artiste e gli artisti raccontati negli anni dalla brillante penna di Turola: dai più noti Boldini, De Pisis, Goberti o Zanni (solo per citarne alcuni), a molti poco o per nulla conosciuti. E con un inedito dedicato a Marcello Carrà, artista classe ’76.

IN DIALOGO SUL PROFONDO MARE

La critica – in questo caso artistica – si sa, è mestiere difficile, dove chi scrive rischia di soffocare – col velo pesante delle proprie parole – l’artista e le opere che intende raccontare. Turola – nella sua sensibilità profonda verso le realtà dello spirito – riusciva invece a cogliere il cuore dell’artista che sceglieva di far protagonista della sua narrazione; e solo poi, gli sedeva di fronte, per un “dialogo” schietto, su quella comune zattera che è la ricerca del Bello. Nella delicatezza di questo ondeggiare senza meta, ma pur sempre con la volta celeste a tracciare sentieri di senso nella notte e nell’oscuro dell’esistenza. Così, dei quadri di Alfeo Capra (Filo di Argenta 1902 – S. Maria Maddalena 1997) poteva scrivere che «sono come parole appena sussurrate, che invitano al silenzio, che nascono dal silenzio e nel silenzio vogliono avvolgersi, come bruchi in un bozzolo, forse per dichiararci che dall’ignoto tutte le cose provengono e nell’ignoto tutte le cose ritornano»; e di Gianfranco Goberti (Ferrara 1939-2023), che «mette in discussione la realtà per mezzo della pittura, rappresenta una dimensione concettuale inventiva, fatta di istinto pittorico e di intelligenza».

E ancora, alla ricerca perenne di anime gemelle con cui navigare nel vasto e agitato mare della vita: Gianni Guidi (Bologna 1942) è «un creatore anarchico perché ama rivoluzionare, sconvolgere la geografia normale, consueta, riportandola a caos di frammenti spezzati; eppure in questa farragine si rintracciano le note di un’armonia intima e preziosa». O la trova in Giuseppe Malagodi (Cento 1890 – Roma 1968), che «indulge in zone d’ombra, in malinconie crepuscolari».

Accenni a parte meritano alcune artiste, come Paola Bonora (Ferrara 1945), per la quale «la pittura diventa un diario dell’anima che traduce in immagini e visioni gli impulsi psicologici più intimi, i ricordi, le malinconie più riposte, i sogni più ancestrali dell’inconscio collettivo»; o Adriana Mastellari (Ferrara 1933-2023), la cui scultura «è un atto di amore e di lotta: amore perché permette di creare forme di vita poetica, lotta perché è un impatto con la materia che imprigiona l’idea». E per concludere, la poco nota Luciana Neri (Ancona 1944 – Ferrara 1987) – che «ha sempre vissuto come una donna ed un’artista forte, libera, indipendente, coraggiosa, non vincolata ad alcun rigido schema» – ed Ernesta Tibertelli De Pisis (Ferrara 1895-1970), sorella di Filippo, «donna vittima di una società, non ancora aperta all’emancipazione femminile, che non le permetteva di sviluppare pienamente il suo talento artistico».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 24 gennaio 2025

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Far “salire al cielo” la parola: il Coro e l’Orchestra “Immacolata”

18 Gen

25 gennaio, Conversione di San Paolo Apostolo. La sera, concerto nella chiesa di San Paolo a Ferrara del Coro e Orchestra “Immacolata”. Abbiamo intervistato il Direttore Giorgio Zappaterra

a cura di Andrea Musacci

Innanzitutto, facciamo un bilancio dei primi mesi di vita del Coro e Orchestra “Immacolata”.  E quali altri concerti avete in programma?

«Il Coro è nato 15 mesi fa, e poco dopo si è formata l’Orchestra. Dopo l’esordio, avvenuto il 3 marzo scorso al Monastero delle Clarisse del Corpus Domini di Ferrara, siamo stati chiamati a svolgere il servizio liturgico presso la chiesa dell’Immacolata, in Cattedrale, alla riapertura della chiesa di San Paolo, a San Cristoforo della Certosa, per un totale di 11 uscite. Quello del 25 gennaio è il nostro primo concerto. Nei prossimi 5 mesi sono previsti diversi impegni, fra cui un altro concerto nel mese di maggio a San Giorgio. Chi vuol essere informato sulla nostra attività può seguirci su Instagram (www.instagram.com/coroeorchestraimmacolata).

Il bilancio di questi primi mesi è molto positivo, in primo luogo per la crescita del coro nella coesione e nell’amicizia, nelle capacità espressive, nell’interazione con i musicisti. Fare musica insieme favorisce il superamento delle barriere generazionali: in coro tra il più giovane e il più vecchio c’è una differenza di 60 anni, in orchestra di 50 anni ma si lavora tutti con impegno ed entusiasmo per raggiungere l’obiettivo comune, contribuire alla bellezza della celebrazione. In tanti ci hanno ringraziato per averli aiutati a vivere la liturgia con intensità e raccoglimento».

(Leggi l’intervista completa qui)

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 17 gennaio 2025

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Antonioni e la sua «Ferrara sempre nel cuore»

15 Gen

Presentato in Biblioteca Ariostea il volume “Infinito Antonioni”. Gli aneddoti della nipote

Il piccolo ma ricchissimo mondo di Ferrara e il grande e caotico universo degli anni ’60, con i suoi tumulti e le sue rivoluzioni.

Michelangelo Antonioni durante la sua lunga e complessa carriera artistica ha saputo porsi nei diversi punti di intersezione- temporali e spaziali – fra queste diverse dimensioni. Di questo e molto altro si è parlato lo scorso 10 gennaio in Biblioteca Ariostea a Ferrara nel corso della presentazione del libro “Infinito Antonioni. Una ricerca rivoluzionaria sulle immagini” (L’Asino d’oro edizioni, Roma, 2024). Il volume, curato da Elisabetta Amalfitano e Giusi De Santis, raccoglie i contributi di Giulia Chianese, Iole Natoli e Francesca Pirani.

Proprio Chianese il 10 ha dialogato con la storica Antonella Guarnieri, il fondatore della Ferrara Film Commission Alberto Squarcia e il pittore Luca Zarattini.

POPOLARE E SEMPRE OLTRE

«Antonioni, nonostante le sue origini borghesi, scelse il mondo popolare, protagonista dei suoi primi film, dimostrando così di avere uno sguardo diverso, profondo sulla realtà». Così Guarnieri nel suo intervento. «Possedeva uno sguardo politico nel senso di umano, nel saper guardare la commozione profonda di chi non poteva esprimersi».

Della Ferrara metafisica, città dei silenzi e città in bianco e nero», ha invece parlato Squarcia: «Antonioni è stato fortemente influenzato dalla sua città ma al tempo stesso ha raccontato le trasformazioni e le inquietudini degli anni ’60», ha aggiunto.

Sulla stessa scia, Chianese, la quale ha sottolineato la sua «capacità di cogliere dinamiche profondissime e di rappresentarle per immagini».

Zarattini ha invece spiegato come il regista abbia influenzato la sua arte, per poi riflettere sul rapporto tra Antonioni e la musica jazz. «Grande era la sua capacità di mettersi sempre in discussione – ha riflettuto il pittore -, di andare sempre oltre e oltre il proprio tempo in maniera sempre originale». Zarattini ha poi mostrato alcuni suoi disegni realizzati per l’occasione e ispirati ad alcune immagini delle pellicole di Antonioni, fra cui “Gente del Po”, “La notte” e”L’eclisse”.

ANEDDOTI AGRODOLCI

L’incontro si è quindi concluso con l’intervento di Elisabetta Antonioni, fondatrice e Presidente dell’Associazione “Michelangelo Antonioni” e protagonista di un’intervista contenuta nel volume. Diversi gli aneddoti raccontati in una Sala Agnelli colma di persone. Le origini familiari, innanzitutto: «la madre di Michelangelo, mia nonna Elisabetta Alfonsina Maria – ha detto – era casalinga e per radio ascoltava sempre le commedie, e Michelangelo si lagnava un po’ di questo»…mentre suo padre «amava i treni e le ferrovie». Michelangelo, «che a 8-10 anni suonava il violino», aveva un tic «amato da tante ragazze», e il sogno «di girare un documentario nel manicomio di Ferrara, grazie al fatto che suo padre ne conosceva il Direttore». Ma non andò a buon fine. Un altro dispiacere era legato al fatto che «metà del girato di “Gente del Po” andò perduto» e alle critiche «della sinistra politica di allora al suo “Grido”, perché in esso – a dire di alcuni – aveva rappresentato i sentimenti “borghesi” di un operaio». Altra delusione fu la stroncatura de “L’avventura” a Cannes, con Monica Vitti che «esce piangendo dalla sala della prima perché nel pubblico in tanti fischiano e sghignazzano. Ma il mattino dopo molti critici sostengono pubblicamente con una lettera la pellicola« (il documento è esposto allo Spazio Antonioni). E ancora: «le foto andate perdute» delle giovani fan a un concerto dei Beatles e la «forte preoccupazione di Michelangelo perché dopo il grande successo di “Blow Up” si sentiva oppresso in quanto temeva di non riuscire più a fare un film all’altezza». Paura infondata. Infine, il “ritorno” a Ferrara coi ricordi e Michelangelo che «impara a sciare sul Montagnone», la casa nel quartiere San Giorgio e l’ultima casa ferrarese dove ha abitato, in via Cortevecchia, 57, dove ora si trova un noto bar-pasticceria. Insomma, «Michelangelo non ha mai perduto la sua Ferrara: l’ha sempre tenuta nel cuore».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 17 gennaio 2025

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(Foto: dal film “La notte”)

Presepi viventi ucraini, il racconto di un popolo 

10 Gen

In 200 a Ferrara per il Festival con parrocchie da varie città del Nord Italia. L’Esarca a “La Voce”: «qui ci sentiamo a casa»

Il dramma della guerra e la letizia del Natale. Le contraddizioni del mondo e la speranza che non delude. L’eterna lotta tra il bene e il male è al centro delle Sacre Scritture e così il Festival dei Presepi Viventi ucraini tenutosi a Ferrara ha voluto rappresentarla nelle forme delle tradizioni popolari. 

Erano circa 200 i presenti lo scorso 4 gennaio nella nostra città per l’importante iniziativa che ha visto direttamente coinvolte parrocchie di diverse località, oltre a Ferrara: Firenze, Mantova, Reggio Emilia, Rovigo, Bologna, Brescia, Carpi, Correggio, Modena, Parma, Rimini e Cattolica. Gli sguardi a un tempo dolci e fieri delle ragazze e dei ragazzi emigrati – o qui nati – hanno interpretato la Vergine Maria, san Giuseppe, Elisabetta, i Re Magi. Ma non sono mancate streghette, diavoletti, soldati romani e centurioni con scudi e armature, pastori, pastorelle, pecorelle. E un ragazzo vestito di bianco con mantella nera che impugna una falce: è la morte, la morte che sconfigge il male, tipica della tradizione ucraina. E ancora: diverse le bandierine col simbolo dell’Ucraina, fasci di grano (altro simbolo del Paese), angeli e angioletti, e tante donne con gli abiti tipici tradizionali. E poi la Stella di Betlemme, a 8 punte, anch’essa tipica ucraina, che annuncia il Natale (anche se dal 2023 i greco-cattolici ucraini lo hanno “anticipato” dal 7 gennaio al 25 dicembre). 

Nella tarda mattinata, nella chiesa di Santa Maria dei Servi (via Cosmè Tura, ang. Contrada della rosa) il nostro Arcivescovo mons. Perego ha presieduto la Divina Liturgia assieme all’Esarca Apostolico in Italia mons. Paulo Dionisio Lachovicz e ad altri sacerdoti e diaconi sia della nostra Arcidiocesi che di altre comunità cattoliche ucraine in Italia. Dopo il pranzo comunitario, è partita la processione dei Presepi Viventi da S. Maria dei Servi fino alla Sala Estense (piazza Municipale), passando per via Contrada della Rosa, viale Cavour, corso Martiri della libertà; dopo una breve “sosta” in piazza Duomo, l’ingresso in piazza Municipale e quindi in Sala Estense. Un uomo con la fisarmonica ha accompagnato l’esecuzione di alcuni canti tradizionali, fra cui “Una nuova gioia”. In Sala Estense si sono quindi alternati i Presepi Viventi ucraini: alcuni uomini hanno indossato moderne divise militari, una donna era vestita da infermiera, una giovane col violino ha suonato le note di “Astro del ciel”. Il dramma della guerra ha dunque richiamato l’eterna lotta tra il bene e il male, di cui rappresenta l’ultima terribile manifestazione. Ma la letizia del Natale di Nostro Signore non viene solo per addolcire i volti stanchi e malinconici di questi emigrati, ma è autentica promessa di una Pace duratura, di una Pace che non mente, di una Pace senza ombre.

L’ESARCA ALLA “VOCE”: «UCRAINI QUI SI SENTONO A CASA»

Prima della Divina Liturgia, l’Esarca mons. Paulo Dionisio Lachovicz ha rilasciato alcune dichiarazioni al nostro Settimanale: «i cattolici ucraini nella chiesa e nella comunità di Ferrara si sentono a casa, si ritrovano a casa, possono cantare e pregare in ucraino. Questo è molto importante. Si sentono nel loro Paese, nel loro spazio sacro». Due le Porte Sante aperte da mons. Lachovicz in chiese “ucraine” in Italia: una, la Cattedrale della Madonna di Zhyrovyci e dei Santi Martiri Sergio e Bacco a Roma; l’altra, la chiesa di San Michele a Bologna, entrambe scelte quindi come chiese giubilari. E Porte Sante, naturalmente, sono state aperte a Kiev e in tutte le Diocesi dell’Ucraina. Gli chiediamo della guerra che ancora non si ferma da quasi 3 anni dall’invasione russa all’Ucraina: «è una tragedia immensa, una distruzione sistematica», commenta con dolore. «Se Putin non verrà fermato, distruggerà l’Ucraina». A fine Messa ha poi ringraziato pubblicamente mons. Perego e la Diocesi «per la vostra vicinanza al nostro popolo, alla nostra gente. Grazie per aver accolto tutti i nostri migranti».

I CAMPANARI AMICI 

Prima della Liturgia, ci è stato consentito come “Voce” di salire sul campanile della chiesa di Santa Maria dei Servi assieme a Francesco Buttino, membro dei Campanari Ferraresi dei quali fa parte da 25 anni. Tre le campane, una delle quali – la centrale, la maggiore, con caratteri gotici – risale al 1412 ed è probabilmente la più antica nella nostra Diocesi. Nel 2022 a S. Maria dei Servi i Campanari Ferraresi (che attualmente contano una dozzina di membri) han suonato ogni giorno dei primi mesi successivi allo scoppio della guerra, e successivamente in occasione delle feste. «La prima volta che abbiamo suonato qui – ci spiega Buttino – è stato per la Pasqua di 10 anni fa». E «la prima domenica in lockdown, a marzo 2020, abbiamo suonato su vari campanili qui in città: molte persone si affacciavano per applaudirci e gridarci il loro grazie. Fu commuovente».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 10 gennaio 2025

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(Foto Roberto Targa – Alessandro Berselli)

Giubileo, quella speranza che ci àncora al cielo

8 Gen

La meditazione di don Ruffini in Duomo: «confessione, perdono e carità al centro»

Nella Cattedrale di Ferrara si sono tenute le tre meditazioni sul tema del Giubileo 2025: dopo quella del Vescovo il 6 dicembre e quella di don Bovina il 13, l’ultima si è svolta il 20 dicembre con don Fabio Ruffini che ha riflettuto su “Giubileo: cammino di perdono”. 

Don Ruffini ha preso le mosse dalla Lettera ai Romani (5, 1-5), da quella «speranza che non delude e non illude», perché «l’Amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo».

È grazie alla docilità allo Spirito Santo che il Vangelo «entra davvero nella nostra vita e non rimane un mero spartito scritto ma è la nostra stessa vita a diventare una bella musica che suona». L’Anno Santo – ha proseguito il relatore – è anche «un atto di pedagogia da parte della Chiesa, che diventa ancor più nostra maestra».Da parte della Chiesa, dunque, c’è «la volontà di richiamare all’importanza di determinate verità di fede, a partire dai novissimi».

Da qui, il tema del Giubileo, “Pellegrini di speranza”, «che in realtà sarebbe meglio tradurre con “Pellegrini attraverso /dentro / verso la speranza”, in modo da sottolineare maggiormente il dinamismo, il cammino di speranza e di perdono».

Citando la Lettera agli ebrei (6,18-20), don Ruffini ha quindi spiegato come la speranza è «un’àncora gettata nel domani di Dio, nel pieno compimento: siamo àncorati al Cielo, al Cristo risorto dai morti. La speranza trascina già il cuore al di là della meta».

Il nostro dev’essere «un cammino di continua versione e di perdono, anche attraverso le indulgenze». E la comunione con Cristo e in Cristo è «comunione con i nostri fratelli e sorelle, oltre che con i morti e i santi». Sempre, però, «tenendo assieme la Confessione dei peccati, l’indulgenza e la carità».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 10 gennaio 2025

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(Foto Alessandro Berselli)