
FEDERICO ALDROVANDI. A 20 anni dall’uccisione del giovane, Patrizio Fergnani gli ha dedicato il brano Il Coraggio di ieri è la strada di oggi. Lo abbiamo intervistato
di Andrea Musacci
Da alcuni giorni è disponibile su tutte le piattaforme online la canzone Il Coraggio di ieri è la strada di oggi, testo e musica di Patrizio Fergnani e riferita alla storia di Federico Aldrovandi, il ragazzo di 18 anni ucciso il 20 settembre 2025 da quattro agenti di polizia in zona Ippodromo a Ferrara.
L’immagine di copertina scelta è a cura di Nicola Fergnani: si vede Federico sorridente a tavola durante una festa di compleanno a casa di Patrizio Fergnani il 3 ottobre del 2000.Ai tempi Federico aveva 13 anni.
Abbiamo incontrato Fergnani per farci raccontare la genesi e il senso di questo progetto musicale della memoria.
Patrizio, come e quando è nato in te il desiderio di comporre e quindi cantare questo brano? Possiamo dire sia stata una sorta di “urgenza” sopraggiunta nel tuo cuore?
«Quest’anno sono vent’anni dalla morte di Federico. Mi è capitato di incontrare più volte Lino, suo papà, e confrontarmi con lui su diversi temi partendo dalle nostre esperienze di padri. Ho trovato in lui una forza e una dignità che mi hanno toccato profondamente. Luigi Manconi, alla presentazione delle iniziative previste per ricordare Federico, mi ha emozionato rilanciando il dolore dell’esperienza vissuta come uno stimolo per guardare avanti.
Ero un po’ scombussolato e ho provato a scrivere qualcosa con la chitarra e il piano: in un paio di giorni ho finito la canzone. Come dici tu è stata una specie di urgenza che ho vissuto pochissime volte».
Raccontaci se vuoi del tuo legame con Federico e dell’amicizia storica con la sua famiglia.
«Federico è coetaneo e compagno di scuola di mio figlio Andrea: alla Sacra Famiglia sono stato catechista del loro gruppo dalla prima confessione alla cresima. È stato così che ho conosciuto Lino e Patrizia.
Dopo la morte di Federico li ho seguiti “a distanza”, incapace di accettare fino in fondo la tragedia che li ha coinvolti. È un legame di solidarietà alimentato anche dalla conoscenza di Stefano, il fratello di Federico, amico di mia figlia Irene».

Quando e come hai reso partecipi i suoi famigliari e i suoi amici di questo tuo progetto di una canzone a lui dedicata? E come hanno reagito?
«Ai primi di luglio avevo la versione “grezza” della canzone: ho chiamato Lino e sono andato da lui a fargliela sentire. C’era anche sua mamma: per me è stato un momento molto intenso e loro, commossi, mi hanno incitato a proseguire. Insieme abbiamo scelto il titolo che è l’inizio dell’ultima strofa.
Successivamente ho inviato la prima registrazione, fatta alla buona con lo smartphone, e il testo a Patrizia, la mamma di Federico: anche lei mi ha incoraggiato. A seguire ho inviato il tutto al gruppo degli amici del Comitato Federico Aldrovandi 2005–2025 che mi hanno inserito nel programma del concerto del 27 settembre. L’esecuzione poi è saltata a causa del fortissimo temporale che si è scatenato proprio nel tempo a nostra disposizione».
Come sempre capita per i tuoi progetti musicali, anche questo brano vede diverse collaborazioni artistiche: ce ne vuoi accennare?
«Conosco i miei limiti da “chitarrista da parrocchia” e da pianista che ha smesso di studiare nel secolo scorso: per questo sono fortunato ad avere amici a cui posso rivolgermi. Corrado Calessi ha fatto un bellissimo arrangiamento e ha coinvolto musicisti di grande valore a cui si è aggiunta Erika Corradi con la sua bella voce (che supporta la mia che a volte rivela la mia emozione) e ha curato i riempimenti vocali.
Abbiamo registrato nella taverna-studio di Corrado: per me una sensazione speciale sapendo che al piano di sopra abita il maestro Pierluigi Calessi che tanti lettori della Voce ricorderanno come direttore storico dell’Accademia Corale Vittore Veneziani. Era pronto ad accompagnarmi dal vivo anche un quartetto d’archi ma il temporale di cui sopra lo ha impedito».
In questo tuo brano ci trovo un’ambivalenza: da una parte un senso di sconforto, di disillusione, di crudo realismo nei confronti dell’ingiustizia che spesso sembra dominare questo mondo (la «menzogna», il «marcio», la «miseria» umana, «l’indifferenza»); dall’altra parte una speranza sempre viva (un futuro vivo, una luce che sempre si accende…). In quale tensione stanno i due poli, nel tuo cammino di fede e nella vicenda di Federico?
«La tensione fra questi poli penso sia il nucleo dell’esperienza di molte persone: sicuramente vale per me. Tra lo sconforto e la fiducia ci si muove quotidianamente: penso alla forza con cui Patrizia, Lino e Stefano affrontano ogni giornata da vent’anni a questa parte. Nella canzone ho espresso una possibilità inserendo nel ritornello il salmo 85 (“Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno”): mi sembra uno slancio che non implica necessariamente uno sguardo di fede.
Subito dopo, però, appare la fatica nella consapevolezza che “la speranza non è consolazione”».
Un’ultima domanda: quattro anni fa hai presentato il tuo brano dedicato a un’altra giovane prematuramente scomparsa, la Serva di Dio Laura Vincenzi. La storia di Laura e quella di Federico – pur diverse – hanno qualcosa in comune?
«Per me sono due canzoni nate entrambe quasi come volessero scriversi da sole e questo mi fa riflettere molto. Poi le loro diverse storie di sofferenza hanno in comune il coinvolgimento successivo di tante persone: Aldro vive con noi e Laura canta insieme a noi testimoniano una presenza importante.
Infine li immagino insieme, nel posto riservato a loro in Paradiso, a scrivere nuove canzoni da mandare qui da noi attraverso qualche persona».
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 12 dicembre 2025
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