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«Intransigente nella fede e universale nell’amore»: Don Giovanni Minzoni, prete da riscoprire

6 Lug

Una sera di fine agosto del 1923 ad Argenta i fascisti uccidono barbaramente il parroco don Giovanni Minzoni. Ritratto di un uomo che ha scelto di dedicare la propria vita a Cristo e, quindi, sempre capace di chinarsi davanti al dolore delle persone. In ogni “trincea” in cui ha vissuto

di Andrea Musacci

Può capitare che alcune vicende decisive nell’esistenza di una persona portino i suoi biografi a costruirne, più o meno in buona fede, un ritratto non sempre aderente alla vita reale della persona stessa. Il rischio di ridurre personalità complesse a ruoli, pur nobili ma parziali, è dunque spesso dietro l’angolo.

Così è accaduto anche per don Giovanni Minzoni, sacerdote ravennate, parroco di Argenta fino alla morte, avvenuta per mano degli squadristi di Italo Balbo nel 1923. Una vita, la sua, scandita certamente da fasi differenti (Seminario-primi anni da prete; in trincea; anni ad Argenta), fra le quali è possibile individuare una chiara maturazione umana e spirituale. Può essere superficiale, però, non intravedere tra le varie fasi un filo rosso, segno del suo carattere sempre forte ed entusiasta, idealista ma non astratto, le cui inquietudini giovanili – pur nell’acerbità – sono nient’altro che quelle di un uomo che non cerca infingimenti rispetto alla condizione umana e, nello specifico, al proprio tempo. 

AMORE PER LA VERITÀ

Pur nella mancanza, nel periodo in Seminario e nei primissimi anni ad Argenta, prima della guerra, di un contatto diretto e quotidiano con la realtà concreta del suo popolo, don Giovanni dimostra nel suo Diario una lucidità non scontata verso la società nella quale è chiamato a vivere. Così, l’arroganza di un sapere tecno-scientifico slegato dalla realtà – oggi così drammaticamente attuale – era già ùin nuce: «Quante volte l’uomo chiede ad una scienza vana chi è Dio e quali siano le prove della sua esistenza, mentre poi la risposta la può dare solo la vita, ossia l’anima che compie il suo dovere, che lotta per il bene e vive e succhia tutto ciò che è puro! La scienza è una cosa troppo unilaterale in un problema così vitale» (8 aprile 1909).

E ancora: «Il fosco medio evo quanta luce, quanto più sole non faceva gustare all’ombra delle abbazie ai figli dei nostri avi, a quei figli che uscivano dalle scuole non scienziati, ma uomini» (4 ottobre 1909). La chiarezza delle posizioni non gli mancava nemmeno allora (manca, invece, spesso oggi in alcuni cattolici): «Noi dobbiamo attingere un’unica scienza, quella del Vangelo; l’unica, e non dimentichiamolo mai, che possa convertire la presente società» (18 giugno 1909).

AMORE PER IL PROSSIMO

Non solo una passione astratta, quella di don Minzoni, ma sempre con lo sguardo rivolto ai dolori e alle speranze delle persone: «Gesù è amato dalle anime tribolate (…), poiché egli è il primo martire dell’umanità: martire dell’amore» (13 ottobre 1909).

Il tormento più grande deriva dall’incapacità di vedere l’altro, di amare. Don Minzoni lo sa: riguardo a un giovane socialista «che sente disprezzo per me», scrive nel suo Diario: «Dio mio, se potessi baciarlo in viso quanto sarei felice! Vorrei fargli sentire che sotto questa veste v’è un cuore che ama ed ama fortemente; vorrei fargli sentire quanto io gli sia fratello; vorrei fargli comprendere che se sono intransigente nella fede sono però universale nell’amore!» (22 novembre 1909).

Il 28 dicembre dello stesso anno porta la Comunione a un vecchio morente: «in quell’ampia ma bassa stanza, annerita dal tempo e resa solenne dal rantolo di quell’esistenza che lentamente spegnevasi, ho provato un sentimento che non so esprimere, ma che tuttora sento in cuore, come un’eco dolce e mesta». Nello stesso momento, sente il vagito di un neonato proveniente da un’altra stanza: «la culla e la tomba parlavano il medesimo linguaggio: dolore!… Gesù, sospeso nelle mie mani sacerdotali, benediva ad entrambi!».

LA GUERRA: ORRORE E PIETÀ

La Storia catapulterà don Giovanni nell’inferno della prima guerra mondiale: nel 1916, poco dopo l’incarico ad Argenta, viene arruolato, prima in un ospedale militare di Ancona, poi è lui stesso a chiede di essere inviato al fronte. Lo spirito nazionalista, l’attaccamento alla Patria non fa però mai venir meno i suoi sentimenti più profondamente umani. Il 26 maggio 1918, riguardo al famoso combattimento aereo, avvenuto sul Montello, dove perde la vita l’eroico aviatore Francesco Baracca di Lugo, scrive: «Ai caduti del cielo ho impartito l’assoluzione: certo, in quel momento tragico precipitando nel grande vuoto e nel martirio delle fiamme, lo spirito deve essersi rifugiato in Dio con un grido di preghiera (…). Lì, in disparte, coperto da un telo da tenda, giaceva il martire del dovere (forse, lo stesso Baracca, ndr). Non aveva più forma umana, essendo in parte bruciato ed in parte disfatto. Nessuno si curava di lui; quasi lo calpestavano per vedere lo spettacolo (…). Mormorai una preghiera su quei miseri avanzi, pensai ad un cuore di madre lontana che forse nel presentimento materno già piangeva la sua creatura che precipitando dallo spazio era divenuto figlio del Cielo!».

CRISTO, VERA RISPOSTA AL DOLORE

Don Minzoni rimarrà sempre, al di là delle sue idee politiche e sociali, un sacerdote della Chiesa, colui che, anche nell’orrore della guerra, porta Cristo alle donne e agli uomini.

In una lettera a don Giovanni Mesini, amico e maestro di Ravenna, il 7 giugno 1917, così scrive: «I miei soldati sentono odor di polvere e, senza che io li spinga, vengono essi stessi in cerca del Cappellano. Non più tardi di ieri sera vedevo anche gli ufficiali che mi desideravano sia come amico, sia come sacerdote. Oh, che confessioni ho udito! Piene di lacrime e di propositi santi. Ho pianto io pure mentre cercavo di dire loro quella parola intima, forte e serena che solo può dire la Religione. Li ho baciati ad uno ad uno…speriamo bene (…). Penso a Dio, alla mia coscienza, alla sorte che mi potrà toccare ed ogni sera dico con cuore calmo e rassegnato: Signore sia fatta la vostra piena, paterna, inscrutabile volontà».

E ancora, sul suo Diario il 9 marzo 1918: «Vi sono (…) anime che in questo lungo e doloroso periodo della guerra sono diventate più profondamente religiose: la guerra ha fatto sentire maggiormente Iddio non in base ad un profondo ragionamento, ma attraverso l’onestà e la bontà della vita. Più l’uomo è venuto meno alla serietà, più queste anime sono andate a Dio e in Dio stanno incondizionatamente, perché al di fuori di Dio non trovano conforto».

«LA RELIGIONE NON AMMETTE SERVILISMI, MA IL MARTIRIO»

Tutta la vita, dunque, e anche la drammatica morte di don Minzoni sono sempre nella fede in Cristo Risorto. In un’altra lettera a don Mesini dell’agosto ‘23, così si esprime: «Gli avversari mi fanno colpa dell’influenza spirituale che ho nel paese…ma che debbo farci se il paese mi vuol bene? Come un giorno per la salvezza della Patria offersi tutta la mia giovane vita, felice se a qualche cosa potesse giovare, oggi mi accorgo che battaglia ben più aspra mi attende. Ci prepariamo alla lotta tenacemente e con un’arma che per noi è sacra e divina, quella dei primi cristiani: preghiera e bontà. Ritirarmi sarebbe rinunciare ad una missione troppo sacra. A cuore aperto, con la preghiera che spero mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo (…). La religione non ammette servilismi, ma il martirio».

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Una vita in prima linea

Giovanni entra in seminario nel 1897 (dove entra in contatto con Romolo Murri) e nel 1909 è ordinato sacerdote. Nel ’10 è nominato cappellano ad Argenta, dove rimane fino al ’12 per andare a studiare alla scuola sociale della Diocesi di Bergamo. 

Alla morte del parroco di Argenta nel gennaio 1916, viene designato a succedergli, ma dopo pochi mesi viene chiamato alle armi: prima opera in un ospedale militare di Ancona, ma poi chiede di essere inviato al fronte: vi giunge come tenente cappellano del 255º reggimento fanteria della Brigata Veneto. Durante la battaglia del solstizio sul Piave, viene decorato sul campo con la medaglia d’argento al valore militare. Al termine del conflitto torna ad Argenta e diviene parroco di San Nicolò, dove promuove la costituzione di cooperative tra i braccianti e le operaie del laboratorio di maglieria, il doposcuola, il teatro parrocchiale, la biblioteca circolante, i circoli maschili e femminili. Grazie all’incontro con don Emilio Faggioli, si convince della validità dello scoutismo, per cui fonda un gruppo scout in parrocchia. Contrasta l’Opera Nazionale Balilla e l’Avanguardia giovanile fascista. 

La sera del 23 agosto 1923 viene ucciso a bastonate da alcuni squadristi facenti capo all’allora console di milizia Italo Balbo.

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Zuppi ad Argenta

Mercoledì 23 agosto alle ore 18 nel Duomo di Argenta si svolgerà la Commemorazione solenne del centenario del Martirio di don Giovanni Minzoni.

Concelebra il Presidente della CEI Card. Matteo Maria Zuppi.

Iniziativa organizzata dalla Parrocchia di Argenta in collaborazione col Comune di Argenta.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 luglio 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Diario di un prete di Comacchio nella tempesta di inizio ‘900

10 Giu

Le memorie di don Antonio Fogli sono state trascritte e pubblicate da Maurizio Marcialis in un libro: il sacerdote racconta la politica, la fame, la guerra e la fede di un popolo

di Andrea Musacci

Quel grande guazzabuglio che è stata l’Italia di inizio Novecento, con le sue passioni divoranti, la guerra che falciava vite, le epidemie, la sorda miseria, gli embrioni dei grandi partiti politici. E la fede in Cristo che non muore, pur iniziando a vivere come sotto assedio, odorando l’arrivo dell’ateismo diffuso.

A volte è più utile un diario personale che un pur più preciso e obiettivo manuale di storia, a descrivere tutto ciò. Per questo, i diari ritrovati del canonico comacchiese Antonio Fogli sono un documento alquanto prezioso, perché testimonianza non solo dei fatti storici, locali, nazionali e mondiali, ma anche un documento importante per capire la visione del mondo di un anziano prete a contatto con le miserie del suo tempo.

È grazie all’architetto Maurizio Marcialis, che questi diari sono stati editi nel volume “Diario di un curato di valle. Dal 1900 al 1921 del Canonico Antonio Fogli” (Gruppo Editoriale Lumi, 2020). L’autore ha presentato il libro lo scorso 29 maggio nella Biblioteca Ariostea di Ferrara assieme a Diego Cavallina e Alberto Lazzarini, quest’ultimo prefatore assieme ad Aniello Zamboni.

Marcialis ha ritrovato casualmente il manoscritto oltre 20 anni fa in un mercatino invernale a Cesena, trascrivendolo con minuzia durante il lockdown di tre anni fa. Nato nel 1842 a Comacchio, dove muore nel 1938, don Fogli – secondo di otto figli – viene ordinato sacerdote a Ravenna nel ’65. Nella sua città sarà canonico dopo esser stato arciprete a Mesola, Goro e Gorino, e poi a Codigoro.

Nel 1900 il sacerdote inizia il proprio diario già prevedendo i tumulti che investiranno anche la sua terra: «Dal 1899 al 1900 nella mezzanotte in tutte le cattedrali e chiese parrocchiali del mondo cattolico si cantò la messa e il Tedeum. Nei primi dell’anno fu innalberato su i principali monti il vessillo della Croce e in molti luoghi elevati la statua del Redentore. Ah! Si prevedeva che nella corrottissima società si sarebbero svolti fatti eccezionali: epperciò fin da allora si scongiurava la divina Misericordia a salvare religione e società dal massimo pericolo».

L’ODIO POLITICO: DALLE VIOLENZE SOCIALISTE ALL’ARRIVO DEL FASCISMO

Un umile, pur dotto, prete di provincia, non poteva non avere una visione del movimento socialista esclusivamente come ateista e dedito alla violenza contro l’ordine costituito. Sua fonte, dalla quale a volte ritagliava anche articoli che inseriva nel proprio diario, era il giornale cattolico locale “La Domenica dell’operaio”. Nel 1912 a Comacchio viene linciato Demetrio Faccani, guardia valliva proveniente da Alfonsine. Don Fogli ne parla così: «Lo sciopero indetto dalla brutta peste dei Socialisti, che raccogliendo il fango delle piazze si nutriva di passioni e di odi feroci, si convertì in atto sanguinesco di crudeltà». Nel 1919 scrive: «I socialisti fanno dovunque atti di violenza contro le persone dabbene, contro il Clero, contro le Chiese e seminano contro le più sacre funzioni lo scompiglio e perfino le morti. Quasi la nazione viveva meglio nel tempo della guerra, se la perdita di tanti carissimi giovani non l’avesse addolorata». 

Nel 1919 si affaccia la speranza grazie al neonato Partito Popolare Italiano: «Un partito però dell’ordine che richiamava i principi cristiani sorse per incanto e, sebben bambino, e contrastato con tutte le arti maligne prese un posto dignitoso sorpassando per numero gli altri partiti e mettendosi di fronte ai Socialisti». 

Ma nel febbraio del ’21, vede nel nascente squadrismo fascista una reazione giustificata alle violenze socialiste: «I grandi soprusi, le soverchierie, le barbarie commesse dai socialisti, che hanno innalzato il regno del terrore» nel nostro Paese, e che il governo «è impotente ormai a frenare: ha fatto sì che nei popoli è nata una reazione contro di loro e per bisogno di difendere la libertà sono sorti i fascisti». Ma poco dopo avrà modo, almeno in parte, di ricredersi: «Introdottisi nei fascisti degli elementi sovversivi, e può dirsi anche criminabili, non si fermò più il fascismo alla giusta difesa del popolo e de’ suoi diritti, ma a sfogare con violenza gli odi personali». Nell’agosto dello stesso anno scrive: gli uomini «non ascoltano sacerdoti, anzi li guardano come nemici: non vanno più in chiesa, epperciò il Signore li abbandona ai loro partiti diabolici».

LA CARNEFICINA DELLA GUERRA

Don Fogli vive la guerra innanzitutto come peste che distrugge le vite della povera gente, costretta a partecipare al massacro, o di cui ne subisce le conseguenze. Non manca però il sentimento nazionalista; l’Austria, scrive, «teneva la nostra penisola come una serva da strapazzo». 

Ma il 6 luglio 1915 accenna a un episodio che ben spiega il clima bellico: «Alle 15 vengono arrestati tutti i frati del Convento dei Cappuccini e scortati a Ferrara sotto l’iniqua imputazione di fare segnalazioni al nemico». Don Fogli incolpa di ciò «la camorra brutale della massoneria». I frati verranno liberati senza processo 24 giorni dopo.

Nelle sue memorie accenna anche ai bombardamenti nemici, come quello nel 1916 a Codogoro: «altra barbarie» commesse dagli austriaci «con l’intenzione malefica» di bombardare l’idrovora e il vicino zuccherificio. Morirono 5 persone fra cui una bambina, 2 i feriti. Nel giugno ’17 riporta di altre incursioni aeree sopra Codigoro e poi sopra Comacchio: gli aerei nemici «li abbiamo veduto girarci sopra: ma anche in tal occasione la Madonna ci ha salvato: e a quegli uccellacci, portatori di rovine e morte, ha intimato: vade retro satana». Il 4 novembre 1918, con l’armistizio di Villa Giusti che sancì la resa dell’Impero austro-ungarico all’Italia, finisce la guerra: «vittoria grande incredibile» dell’Italia sull’Austria, scrive il sacerdote. L’Austria «ha abbassato la sua testa grifagna» davanti al nostro Paese. 

LA MISERIA: «TUTTO È SECCO, TUTTO MUORE»

La tragedia del conflitto mondiale, unita all’inclemenza della terra, gettano il suo popolo nella povertà più assoluta. Nel luglio 1916 scrive della siccità: «Sono tre mesi dacché non piove (…). Tutto è secco, tutto muore. Frumentone è andato, faggioli sono perduti: muoiono disseccati perfin gli alberi, e alle viti crolla l’uva». Mentre a novembre dello stesso anno, è l’esatto contrario: «Rovesci di pioggia continua han fatto temere rotte ed ancora non siamo fuori di pericolo. Burrasche di mare prodotte da fortissimi scirocchi hanno portato le onde sopra le dune di Magnavacca». A gennaio ’17, una nuova inondazione: «Quasi tutti i piani terreni delle case hanno l’acqua dentro».

A ciò si aggiungerà l’epidemia di spagnola tra il ‘17 e il ’18, che «sempre più infierisce e miete giovani vittime (…). Si indicano preparativi, disinfettanti. (…) Conseguenza della guerra! (…)». Le precauzioni ricordano, pur con le dovute differenze, ciò che abbiamo vissuto col Covid: le limitazioni di movimento e di assembramento, il divieto di stringersi la mano, i consigli ad arieggiare frequentemente le abitazioni, a proteggere gli ammalati, a rimanere in casa per ogni minima indisposizione, a fare lunghi periodi di convalescenza.

La guerra farà il resto; a fine 1916 scrive: «Decreti sopra decreti limitano i generi più necessari. La carne, i salumi non si possono vendere che tre volte la settimana: le ova si vendono in Comune; il latte è requisito. Il pane non si può mangiare che vecchio. Vino non ce n’è più e solo un poco a £2 il boccale. L’acqua scende e minaccia innondazione (…). La caccia è proibita (…). La pesca di mare è proibita. Poi notizie sempre dolorose e mai un barlume che accenni la pace. O gran Dio salvaci da tante torture!». 

MARIA, MADRE NOSTRA, AIUTACI!

Quella «divina Misericordia» implorata a inizio secolo, sarà sempre presente nel suo cuore, come in quello della sua gente. Nel maggio del ’17, di fronte a così tanti orrori e tragedie, racconta di come «nel popolo comacchiese sorse il desiderio ardente di muovere la vetustissima e sempre venerata immagine di Maria SS.ma in Aula Regia». Ma il Vescovo non poteva permetterlo dato il divieto, in tempo di guerra, di processioni pubbliche. Si decise, quindi, di portarla in Duomo a mezzanotte del 30, di nascosto, scortata dai carabinieri. «Nonostante però tali precauzioni molta parte della popolazione ne aspettò il trasporto che arrivato alle porte della cattedrale, eruppe da ogni petto il grido di “Evviva Maria”».

Un episodio che dice, a distanza di un secolo, di come la devozione popolare, la fede mai sradicata dall’anima del nostro popolo, in tempi bui possa essere, ancora, l’estremo rifugio, l’unica vera àncora di salvezza.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto: bambini sul Ponte Pizzetti, posto di lato alla facciata della chiesa del Carmine, nel 1920. Grazie a Maurizio Marcialis)

Le tracce della storia cento anni dopo

5 Set

L’attività dell’associzione culturale ferrarese “Pico Cavalieri” raccontata dai soci tra libri, cimeli e fotografie

Come in un’epica battaglia d’altri tempi, un gruppo di appassionati di storia ed escursionismo da quasi vent’anni porta avanti un approfondito lavoro di ricerca e divulgazione sul periodo che va dal Risorgimento alle due guerre mondiali. Stiamo parlando dell’Associazione Culturale di Ricerche Storiche Pico Cavalieri, nata nel 1999 grazie a Enrico Trevisani (Responsabile Archivio Grande Guerra e Archivi delle fonti orali nell’Archivio Storico Comunale) e a Donato Bragatto (ai tempi impegnato nell’Archivio come obiettore civile), anche se solo nel 2004 diventa ufficialmente Associazione.

La Cavalieri raccoglie e conserva libri, documenti, foto, filmati, diari, indumenti e oggettistica (divise, armi, munizioni ecc.) del periodo in questione, in particolare della Grande Guerra. Realizza, inoltre, opuscoli, volantini, pubblicazioni, e organizza mostre, incontri pubblici ed escursioni storiche.

Ma chi fu Cavalieri? Pico Adeodato Cavalieri nacque a Ferrara il 10 novembre 1873 in una famiglia patriottica. Fu fondatore dei Boy Scouts cittadini, tra i fondatori del gruppo nazionalista locale, studioso di polizia scientifica e attivo nella Protezione civile. Fu però soprattutto un militare: dal 1903 al 1910 partecipa a diverse manovre, e nel 1911 alla guerra in Libia. Fu volontario nella Grande Guerra. Morì per un guasto meccanico su un idrovolante a Sesto Calende il 4 gennaio 1917. Riposa nel cimitero ebraico di Ferrara (la famiglia paterna era ebrea). La sede in c.so Giovecca fu la casa dove Cavalieri visse con la famiglia: nel suo testamento indicò di lasciarla alla cittadinanza. Ora è “Casa della Patria Pico Cavalieri”, sede delle varie associazioni combattentistiche ferraresi (tra cui l’Associazione a lui intitolata e l’ANPI) e dell’AVIS.

Abbiamo incontrato alcuni degli animatori dell’Associazione: Donato Bragatto (Presidente), Giorgio Cavicchi (Vice Presidente), Marco Vaccari e Flavio Rabar (Consiglieri dell’Associazione). Dopo vari cambi di sede (prima nei locali del Tiro a Segno, poi Croce Rossa, Museo Risorgimento e Resistenza), ora l’Associazione è ospitata nei locali della Casa della Patria normalmente occupati dall’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci.

«Oggi siamo circa 70 soci – ci spiega Bragatto – soprattutto over 50. Normalmente da maggio a settembre, ogni primo mercoledì del mese facciamo una riunione su temi della Grande Guerra. A novembre, invece, una volta a settimana organizziamo le Serate storiche, con videoconferenze, presentazioni di libri e proiezioni di filmati, e i canti del coro “I 4 della Pico”. Tutti gli incontri sono aperti anche ai non soci». La scelta di intitolare a Cavalieri l’Associazione dipende in particolare dal fatto che, rispetto ad altri “eroi” ferraresi moderni, la sua figura è meno nota, nonostante le imprese realizzate a livello militare e non.

Sul sito internet (http://www.picocavalieri.org) tra l’altro si può trovare l’elenco dei caduti ferraresi nella Grande Guerra, cartoline, foto e documenti storici, oltre al progetto didattico pensato per le scuole, dedicato alla Prima Guerra Mondiale, e curato da Giorgio Cavicchi.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara l’01 settembre 2016

 

In Biblioteca Ariostea Emilio Lussu e la guerra

4 Dic

Emilio_Lussu_WWIIn occasione degli eventi dedicati agli anniversari, oggi alle 17 avrà luogo l’evento “Emilio Lussu, ‘Un anno sull’altipiano’ “, un dialogo, organizzato da Istituto Gramsci e ISCO Ferrara, tra Anna Quarzi e Davide Nanni in occasione del centenario dell’entrata in guerra dell’Italia.

Per la prima volta nella letteratura italiana, l’irrazionalità e insensatezza della guerra, della gerarchia e dell’esasperata disciplina militare al tempo in uso. Pubblicato per la prima volta nel 1938, il libro (edito da Einaudi) ripercorre le esperienze vissute dal pluridecorato tenente Lussu come ufficiale di fanteria della Brigata Sassari nella Grande Guerra. Con questo volume – capostipite di tutti i libri ispirati alla Grande Guerra – Lussu ha cercato di colmare il divario fra ciò che accadeva nelle trincee e quello che veniva raccontato.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 04 dicembre 2015

Le poesie di Rizzi per scoprire gli autori della Grande Guerra

2 Dic

12313766_884789954901422_5276152617065811689_nOggi alle 18.30 nella sede di via de’ Romei, 38 a Ferrara, l’Associazione Olimpia Morata ospita la rappresentazione e presentazione delle opere poetiche di Alberto Rizzi, “Poesie dell’uccidere in volo”, sulla Grande Guerra, con l’accompagnamento musicale di Simone Montanari al violoncello e l’introduzione di Francesca Mariotti, presidente dell’Associazione.

Uscito in autoproduzione nel 2006, l’opera è una meditazione su quelle persone, spesso arruolatesi volontarie, che finirono per prendere coscienza tragicamente della guerra. Furono coloro, come Clemente Rebora o Eugenio Montale, che costruirono, dopo la guerra, la letteratura italiana del Novecento.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 02 dicembre 2015

Oggi in Ariostea l’incontro con Falsetti sui poeti della Grande Guerra

30 Set

Palazzo Paradiso AriosteaOggi alle ore 17 nella Sala Agnelli della Biblioteca Comunale Ariostea in via Scienze, 17 a Ferrara Franchino Falsetti terrà l’incontro dal titolo “Poesia e poeti della Prima Guerra Mondiale”. L’iniziativa aiuterà a riflettere non solo sulla tragicità tipica di ogni conflitto bellico, ma anche sulle testimonianze contro e le verità censurate che li accompagnano. Quest’anno cade il centenario del secondo anno della Grande Guerra: tante sono le pagine rivelatrici delle idealità, delle sofferenze, dei drammi vissuti da tanti poeti-soldati, tra i quali Giuseppe Ungaretti, che hanno dato voce non solo ai tanti militi, ma a tutto il popolo italiano.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 30 settembre 2015

Zagagnoni vola nella malga di Cima Campo col suo romanzo

18 Giu

light2Dopo la presentazione di lunedì nella Sala Arengo del Palazzo Municipale di Ferrara, domenica lo scrittore ferrarese Simone Zagagnoni presenta il suo ultimo romanzo, “Il battaglione dimenticato” (2015) nella Malga di Cima Campo, nel bellunese, proprio sotto al forte teatro delle vicende narrate nel libro. Il volume, infatti, è dedicato a una pagina importante ma in parte ancora sconosciuta della Grande Guerra: i fatti accaduti al Forte di Cima Campo, Comune di Arsiè (BL), con  molti dei componenti del battaglione Monte Pavione ancora oggi ignoti. Il programma della giornata prevede alle 11 il ritrovo alla Malga, il saluto alle autorità presenti e la presentazione del volume. Alle 11.45 vi sarà la salita al forte e la visita alla struttura e alle 13 il pranzo (non obbligatorio) alla Malga con prodotti e piatti tipici del luogo.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 18 giugno 2015

L’ultimo romanzo di Zagagnoni oggi in Sala Arengo

15 Giu

light2L’ultimo romanzo dello scrittore Simone “Salinguerra” Zagagnoni, “Il battaglione dimenticato” (2015), verrà presentato oggi alle ore 17 nella Sala dell’Arengo del Palazzo Municipale di Ferrara. Oltre all’autore sarà presente anche Marco Ardondi, illustratore del libro, che ha avuto il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri (per il centenario della Prima Guerra Mondiale), della Provincia di Belluno, dei Comuni di Feltre e Ferrara e della Pro Loco di Arsiè.

Il volume di Zagagnoni è dedicato a una pagina importante, ma rimasta in parte ancora sconosciuta, della Grande Guerra, vale a dire i fatti accaduti al Forte di Cima Campo, Comune di Arsiè (BL), nel novembre del 1917, in occasione dell’accerchiamento della fortezza italiana da parte dell’esercito austriaco. Il Forte di Cima Campo venne costruito probabilmente a inizio Novecento, e fu terminato attorno al 1912. Il Forte, situato su una collina a 1560 metri di altezza, a ridosso fra il solco della Valsugana e quello del torrente Senaiga, a partire dal 1917 venne presidiato dal battaglione Monte Pavione, il quale si era costituito a Feltre il 1° Dicembre del 1915, poco dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il battaglione fu fondato raggruppando tre compagnie, la 95a, la 148a e la 149°. Molti dei suoi componenti sono ancora oggi ignoti.

Zagagnoni, ferrarese classe ’76, il prossimo 21 giugno presenterà il suo “Il battaglione dimenticato” proprio nella malga sottostante il Forte di Cima Campo, mentre la sera del prossimo 22 luglio lo presenterà presso il Palazzo della Racchetta (in via Vaspergolo, 4 a Ferrara) in occasione del Ferrara Art Festival.

Andrea Musacci

Pubblicato (in versione ridotta) su la Nuova Ferrara il 15 giugno 2015

Mostra in Prefettura con le cartoline sulla Grande Guerra

17 Mar

Mostra Grande Guerra MRROggi alle 16.30 il Prefetto Michele Tortora inaugura la mostra storico-documentaria “La Grande Guerra attraverso le cartoline di Tommaso Cascella”, visitabile nei locali della Prefettura (Corso Ercole I d’Este, 16). Proveniente da collezione privata, l’esposizione delle cartoline realizzate dall’artista abruzzese Tommaso Cascella, a beneficio della Croce Rossa Italiana, sulla tematica della Grande Guerra, è a cura di Antonella Guarnieri ed Elena Ferraresi del Museo del Risorgimento e della Resistenza.

La mostra è visitabile (a ingresso libero) fino al 31 marzo da lunedì a venerdì dalle 9.30 alle 13 e dalle 15 alle 18, sabato solo dalle 9.30 alle 13.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 17 marzo 2015

In Corso Ercole I d’Este Beltrami e la Grande Guerra

13 Feb

Mostra MRR BeltrameDomani alle 11 al Museo del Risorgimento e della Resistenza in C.so Ercole I d’Este, 19 a Ferrara, si terrà l’inaugurazione della mostra “E Beltrame disegnò la Grande Guerra”. La prima sezione ha come titolo “Social network a confronto” con illustrazione (“La Domenica del Corriere”, Italia) e fotografia (“Le Miroir”, Francia), (“Illustrierte Kriegs – Zeitung – Das Weltbild”, Germania).

La mostra nasce dall’incontro tra Gian Paolo Marchetti, il MRR, il prof. Luigi Davide Mantovani, il prof. Bruno Scaramuzza (Istituto per la Storia del Risorgimento), l’ISCO e l’Anmig.

Il percorso espositivo è accompagnato da un testo di Gian Paolo Marchetti, da alcuni pannelli curati da Antonella Guarnieri e da una scheda di Elena Ferraresi su Achille Beltrame. A questa prima sezione ne farà seguito una seconda che sviscererà ulteriormente l’opera di Beltrame.

La mostra è visitabile fino all’8 marzo  dal martedì alla domenica dalle 9.30 alle 13 e dalle 15 alle 18.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 13 febbraio 2015