
Gabriele Turola critico d’arte: in un volume curato da Corrado Pocaterra e Lucio Scardino raccolti i suoi articoli su creativi ferraresi del ‘900 e oltre
di Andrea Musacci
Un’originale antologia degli artisti ferraresi del Novecento è quella curata da Corrado Pocaterra e Lucio Scardino nel volume “Gabriele Turola. I figli delle Muse Inquietanti” (Ferrara, 2025). Il libro verrà presentato nel mese di febbraio nella sede della Camera di Commercio di Ferrara (data ancora da definire) e sarà possibile acquistarlo in alcune librerie in città. Ricordiamo che lo scorso settembre la Galleria del Carbone ha omaggiato Turola – morto improvvisamente nell’agosto del 2019 all’età di 74 anni – con la mostra “Dedicato a Gabriele Turola”, curata dallo stesso Pocaterra.
Nel 1986 il giornalista (e «pittore per diletto») Gian Pietro Testa chiede a Turola di tenere una rubrica su “Ferrara”, rivista mensile del Comune da lui diretta. I due coniano il titolo “I figli delle Muse Inquietanti”, a voler ricordare il capolavoro di De Chirico. Successivamente, Turola continuerà i suoi ritratti sulle colonne de “La Pianura”, rivista edita per oltre un secolo dalla locale Camera di Commercio (e lo fece sino al 2016, anno in cui cessarono le pubblicazioni). «Abbiamo deciso – scrivono Pocaterra e Scardino nel libro – di ristampare i profili monografici di quegli artisti famosi che hanno portato il nome di Ferrara nel mondo, coltivando il proprio DNA di “figli di Muse Inquietanti”, ma declinandolo all’infuori di stretti localismi, di un provincialismo odiosamato». Una 50ina le artiste e gli artisti raccontati negli anni dalla brillante penna di Turola: dai più noti Boldini, De Pisis, Goberti o Zanni (solo per citarne alcuni), a molti poco o per nulla conosciuti. E con un inedito dedicato a Marcello Carrà, artista classe ’76.
IN DIALOGO SUL PROFONDO MARE
La critica – in questo caso artistica – si sa, è mestiere difficile, dove chi scrive rischia di soffocare – col velo pesante delle proprie parole – l’artista e le opere che intende raccontare. Turola – nella sua sensibilità profonda verso le realtà dello spirito – riusciva invece a cogliere il cuore dell’artista che sceglieva di far protagonista della sua narrazione; e solo poi, gli sedeva di fronte, per un “dialogo” schietto, su quella comune zattera che è la ricerca del Bello. Nella delicatezza di questo ondeggiare senza meta, ma pur sempre con la volta celeste a tracciare sentieri di senso nella notte e nell’oscuro dell’esistenza. Così, dei quadri di Alfeo Capra (Filo di Argenta 1902 – S. Maria Maddalena 1997) poteva scrivere che «sono come parole appena sussurrate, che invitano al silenzio, che nascono dal silenzio e nel silenzio vogliono avvolgersi, come bruchi in un bozzolo, forse per dichiararci che dall’ignoto tutte le cose provengono e nell’ignoto tutte le cose ritornano»; e di Gianfranco Goberti (Ferrara 1939-2023), che «mette in discussione la realtà per mezzo della pittura, rappresenta una dimensione concettuale inventiva, fatta di istinto pittorico e di intelligenza».
E ancora, alla ricerca perenne di anime gemelle con cui navigare nel vasto e agitato mare della vita: Gianni Guidi (Bologna 1942) è «un creatore anarchico perché ama rivoluzionare, sconvolgere la geografia normale, consueta, riportandola a caos di frammenti spezzati; eppure in questa farragine si rintracciano le note di un’armonia intima e preziosa». O la trova in Giuseppe Malagodi (Cento 1890 – Roma 1968), che «indulge in zone d’ombra, in malinconie crepuscolari».
Accenni a parte meritano alcune artiste, come Paola Bonora (Ferrara 1945), per la quale «la pittura diventa un diario dell’anima che traduce in immagini e visioni gli impulsi psicologici più intimi, i ricordi, le malinconie più riposte, i sogni più ancestrali dell’inconscio collettivo»; o Adriana Mastellari (Ferrara 1933-2023), la cui scultura «è un atto di amore e di lotta: amore perché permette di creare forme di vita poetica, lotta perché è un impatto con la materia che imprigiona l’idea». E per concludere, la poco nota Luciana Neri (Ancona 1944 – Ferrara 1987) – che «ha sempre vissuto come una donna ed un’artista forte, libera, indipendente, coraggiosa, non vincolata ad alcun rigido schema» – ed Ernesta Tibertelli De Pisis (Ferrara 1895-1970), sorella di Filippo, «donna vittima di una società, non ancora aperta all’emancipazione femminile, che non le permetteva di sviluppare pienamente il suo talento artistico».
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 24 gennaio 2025
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