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“La speranza è che ora tanti ritrovino nella Chiesa un legame e un senso di appartenenza con Cristo e tra di loro”

8 Apr

Nei giorni immediatamente precedenti la riapertura della chiesa di San Benedetto, abbiamo incontrato il parroco don Luigi Spada per rivolgerli alcune domande sul recente passato e sul futuro della parrocchia

S.Benedetto (8)L’amarezza nel vedere “una comunità in diaspora, disgregata, divisa, ferma ai ricordi e alle memorie”, le difficoltà legate al sacramento della penitenza, ma al tempo stesso il fatto che “la parte di comunità che ha retto meglio” l’inaccessibilità della chiesa “è stata quella degli adolescenti e dei giovani”, e che tante attività e cammini di fede sono proseguiti. Abbiamo incontrato il parroco don Luigi Spada per fare il punto della situazione sulla parrocchia affidatagli tre anni fa.

E’ una grande gioia tornare ad abitare questa Casa che è il Tempio di San Benedetto: a chi rivolge il primo pensiero in questi giorni di festa?
Se devo essere sincero, il primo pensiero lo rivolgo ai miei parrocchiani che da una decina d’anni hanno vissuto tre grandi sofferenze: la morte improvvisa del parroco don Pietro nell’aprile del 2007, l’incendio della chiesa nel giugno dello stesso anno, e il tremendo maggio 2012, col terremoto. Un prete, una comunità religiosa trova sempre nell’Eucarestia e nella preghiera una risposta, un laico forse fa più fatica. Alcune sere fa con alcuni responsabili delle commissioni del CPP stavamo preparando la Via Crucis del Venerdì Santo e alla frase “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, mi hanno chiesto una testimonianza da parte della comunità salesiana e mi domandavano: “come avete reagito nella fede a questo grido di dolore di Gesù nella situazione di disagio vissuta come comunità?”.

Quali sono state le difficoltà maggiori che ha notato e vissuto in questi anni, legate alla chiusura della chiesa?
Anche qui la prima difficoltà l’ho vissuta contemplando la mia gente. Dopo quasi tre anni dal mio arrivo a Ferrara posso affermare di trovare una comunità in diaspora, disgregata, divisa, ferma ai ricordi e alle memorie. In seconda istanza penso ai tanti passaggi della vita che possono essere occasioni per un’esperienza di fede – battesimi, catechesi della IC, matrimoni, funerali…Nella parrocchia siamo arrivati ad una percentuale di frequenza domenicale attorno al 5-7 %. Abbiamo il grande vuoto dai 25 ai 40 anni. E infine per tanti ragazzi, il crescere senza un’esperienza liturgico-ecclesiale.
Aggiungo che uno zoccolo duro ha continuato a frequentare nonostante tutto, e la parte di comunità che ha retto meglio è stata quella degli adolescenti e dei giovani. L’Oratorio e il Centro Giovanile hanno continuato con tenacia i loro itinerari e i cammini di fede, così pure le attività estive per i ragazzi sono sempre state organizzate con impegno ed entusiasmo. Le forze più a rischio sono quelle degli anziani che hanno sperimentato la fatica più grande. Un settore che ne è uscito frastornato è quello della penitenza, non ho confronti con il passato ma non avere la Chiesa ha quasi azzerato la domanda o la possibilità di celebrazione del sacramento della confessione. San Benedetto era una Chiesa di riferimento dentro la città grazie alla presenza di grandi e saggi sacerdoti quali don de Ponti e don Giuseppe.

Che cosa di positivo ha invece portato questa difficoltà? Ad esempio, ha “costretto” i parrocchiani a ripensare alcune attività, alcune modalità, a sentirsi tra loro maggiormente coesi?
Penso che positivamente abbia dato dei grandi doni, uno immediatamente e nei prossimi anni e il secondo in questi ultimi tempi. Appena successo il fatto, la comunità aveva reagito molto bene crescendo e ritrovandosi attorno a strutture semplici e povere ma che affinano il senso di appartenenza. Poi lentamente il tutto si è spento e raffreddato. In questi ultimi anni posso dire che ci si è resi maggiormente consapevoli dell’importanza delle relazioni e dei rapporti interpersonali sinceri.

A Lei invece cos’ha insegnato il dover affrontare una difficoltà di questo genere?
Ha insegnato l’arte dell’umiltà, della collaborazione, la fatica dell’attesa, il passare da una pastorale dei numeri a quella delle persone, il vedere che l’essenziale di una vita comunitaria è rimasto ed è Gesù. Lui è sempre stato presente e ci ha custoditi in tutti questi anni. Nei dieci anni di parroco a Bologna, avendo la chiesa più grande della diocesi, come parrocchia, l’obbedienza nell’arco di una settimana mi ha trasferito in una parrocchia sempre di 8000 anime ma senza strutture parrocchiali e tante volte mi sono chiesto il significato di ciò, e alla fine ho rimesso il tutto nel grande valore dell’obbedienza e della comunità religiosa.
Come confratelli l’esempio più bello è arrivato dalle due colonne don De Ponti e don Giuseppe che mi hanno sempre accompagnato e incoraggiato ponendomi questa domanda: “Che cosa vuoi darci Signore in tutto questo?”. E avanti con coraggio.

Per il futuro: quali novità vi saranno?
L’unico vero progetto che penso di avere è quello di creare tante occasioni di incontri fra tutte le fasce della comunità perché lentamente ritrovino nella Chiesa un legame e un senso di appartenenza con Cristo e tra di loro.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 12 aprile 2019

La Voce di Ferrara-Comacchio

(foto Pino Cosentino)