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Ucraini di Ferrara, Pasqua fra tradizione e speranza

29 Mar

La guida degli ucraini cattolici in Diocesi, don Verbitskyy, ci racconta le iniziative per la Pasqua, la raccolta dei farmaci per il Paese in guerra e la prossima accoglienza di 18 bambini ucraini

di Andrea Musacci

Davanti alla nuova iconostasi, che divide il presbiterio dalle navate, sono stati posati alcuni dolci e della cioccolata. Un’offerta che regalerà un sorriso a diversi bambini ucraini, sia in Ucraina sia a Ferrara. Siamo nella chiesa di Santa Maria dei Servi in via Cosmé Tura, a due passi dal Castello. Qui incontriamo la guida dei fedeli cattolici ucraini di rito bizantino, don Vasyl Verbitskyy, per fare il punto sulla sua comunità in vista della Pasqua.

LA GIOIA DELLA PASQUA

Partiamo da come vivranno quest’ultima: la Domenica delle Palme, il Sabato Santo e il giorno di Pasqua «faremo il nostro mercatino pasquale qui sul sagrato della chiesa, con oggetti decorativi fatti a mano dal nostro circolo “Luce da luce”», ci spiega don Vasyl. Il programma della Settimana Santa, invece, prevede lunedì 25 la S. Messa per la Festa dell’Annunciazione del Signore. Dopo la liturgia del Giovedì Santo, il Venerdì Santo vedrà alle ore 14 i Vespri e l’esposizione della Sindone. Per l’occasione, la chiesa sarà aperta giorno e notte fino a sabato sera, quando alle 21.30 inizierà la Veglia di Pasqua, a cui seguirà la Messa e la benedizione dei cestini pasquali. «Questi cestini tradizionali – ci spiega don Vasyl – contengono un pane dolce» (rotondo, simile al nostro panettone), «uova naturali, burro, formaggio, carne, salumi»: vale a dire, tutto ciò che, preparato dalle famiglie, verrà da loro consumato per la colazione del giorno di Pasqua, «perché la notizia della Resurrezione è arrivata la mattina presto». L’agnello, invece, non fa parte della tradizione pasquale ucraina. Il giorno di Pasqua, poi, vi sarà la Messa mattutina alle ore 10 e quella pomeridiana alle ore 14.30 con la benedizione dei cestini.

Sul pane dolce prima citato: si chiama artos, dal greco, ed è un pane santo, benedetto, che viene avvolto in un’icona circolare con l’immagine del Cristo Risorto, come detto nel Vangelo: «Io sono il pane vivo» (Gv 6, 51), «il pane nuovo che ci invita a fare la comunione e che – prosegue don Vasyl – poi viene lasciato esposto in chiesa per una settimana, fino alla prima domenica di Pasqua, quando verrà diviso e dopo la Messa distribuito tra i fedeli presenti come simbolo della Resurrezione del Cristo». Sull’icona che lo avvolge è scritto: «Cristo è risorto dai morti, con la morte ha calpestato la morte, e ai morti nei sepolcri ha elargito la vita», come recita un canto del rito bizantino.

DOLORE E CARITÀ PER L’UCRAINA

Dal 6 al 12 febbraio scorsi, si è svolta anche a Ferrara e provincia la Giornata di Raccolta del Farmaco a cura del Banco Farmaceutico. Per l’occasione, alla comunità cattolica ucraina ferrarese sono stati donati 293 farmaci per un valore economico di 2.439,85 euro, parte dell’importante donazione di farmaci da parte del Banco Farmaceutico dal febbraio 2022 per i profughi ucraini in Italia. «I farmaci donatici – ci spiega don Vasyl – li abbiamo inviati in un ospedale di Lyman nel Donbass e in parte donati alle cinque mamme ucraine residenti nel Ferrarese che hanno figli al fronte: queste, li han fatti a loro volta recapitare ai loro ragazzi che combattono per difendere la nostra patria». Si tratta di antidolorifici, bende e garze. «Solo Cristo può aiutarci a sopportare questa guerra», ci dice don Vasyl. «Dobbiamo continuare a pregare per la giusta pace». Intanto, i furgoncini da Ferrara continuano a portare regolarmente in Ucraina anche farmaci specifici richiesti, vestiti, prodotti per l’igiene personale e alimentari «a familiari di nostri parrocchiani, persone che vivono in Ucraina e si trovano in difficoltà economica».

PREGHIERA, FUTURO E SPERANZA

Oltre alla carità, al centro della comunità cattolica ucraina vi è la preghiera. Nella Veglia serale dell’Annunciazione del Signore – prosegue don Vasyl – «le “Madri in preghiera” pregheranno per i loro figli in Ucraina. Ringraziamo Dio perché quest’anno festeggiamo i 15 anni del gruppo a Ferrara», gruppo di cui don Vasyl dallo scorso ottobre è coordinatore e guida spirituale a livello nazionale. Inoltre, «la Veglia dell’Annunciazione è una liturgia per noi particolarmente importante perché è stata la prima Messa della comunità cattolica ucraina qui a Ferrara, nel 2001». Dal ricordo all’avvenire, che non può non essere intessuto di speranza e vive anche nella carne dei più giovani: per questo, a fine maggio, per una settimana, «ospiteremo nella nostra comunità 18 bambini ucraini provenienti dall’Oratorio “Gloria” di Drohobych», nell’oblast’ di Leopoli. Il gruppo teatrale di quest’oratorio farà uno spettacolo nella nostra città il prossimo 31 maggio o 1° giugno (mentre il 30 maggio lo spettacolo si terrà nella Diocesi di Adria-Rovigo, la cui comunità cattolica ucraina di rito bizantino è diretta dallo stesso don Vasyl). Questa settimana di ospitalità riguarda bambini orfani o i cui genitori sono al fronte ed è resa possibile grazie al nostro Arcivescovo e alla Fondazione Migrantes, con l’aiuto anche della vicina parrocchia di San Benedetto. 

Proseguendo, domenica 2 giugno, continua don Vasyl, «festeggeremo i primi 5 anni del nostro circolo ricreativo “Luce da luce”». Inoltre, il prossimo 12 maggio, Festa della mamma, «il coro della nostra comunità ferrarese canterà nella Basilica di Santa Sofia a Roma per il raduno degli ucraini cattolici che vivono in Italia». Nel nostro Paese, l’Esarcato Apostolico per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino comprende 150 comunità, fra cui la nostra di Ferrara. Una grande famiglia unita nel Cristo Risorto, sofferente per la guerra nel proprio Paese ma salda nella fede e nella speranza.

Pubblicato sulla “Voce” del 29 marzo 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

Excrucior, arte e fede a Mesola

28 Apr
Gesù è inchiodato alla croce, Samuel Moretti

La sera di lunedì 18 aprile in chiesa concerto col brano di Franca Gianella e opere di Samuel Moretti

Si intitola “Excrucior” l’evento dedicato alla Via Crucis svoltosi la sera di lunedì 18 aprile nella chiesa arcipretale di Mesola.

Un progetto artistico particolare che ha visto la collaborazione fra l’artista mesolano Samuel Moretti, la compositrice di Bosco Mesola Franca Gianella e diversi musicisti e cantanti: Gianmaria Raminelli (organo), Cecilia Padovani (soprano), Elene Sanadze (soprano), Elisabetta Fantinati (mezzosoprano), Francesca Cavallari (mezzosoprano).

«Questa Via Crucis la realizzai due anni fa», ci racconta Moretti. «Gianella stava lavorando sullo stesso tema. Dopo aver visto i miei lavori, ha realizzato questo brano», “Donata Croce (Per sempre amato)”, un lavoro per voci a bocca chiusa che la sera del 18 è stato accompagnato all’organo da Gianmaria Raminelli, e ha visto alcuni momenti “teatrali” con interventi del coro narrante, voci maschili e femminili a rappresentare il popolo che assiste alla condanna di Gesù Cristo. Il brano, diviso in tre blocchi, è stato intermezzato da due Salmi (Salmo 54 e Salmo 21) e da Isaia 52 (Carme del Servo Sofferente). 

«Dopo aver scritto l’inno dedicato alla Vergine Maria Vivida luce per Soprano, Alto, Basso e Organo, ho composto la Via Crucis Donata Croce per Soprano, Alto, Coro narratore e Organo», spiega Gianella. «Per questa composizione mi sono ispirata a Maria, al dolore della madre che accompagna il figlio alla croce; le parti cantate sono tutte a bocca chiusa con momenti a bocca socchiusa e altri con suoni generici aspirati per sottolineare l’inesprimibile disumanità del dolore causato dal dover sopravvivere ai propri figli». Coro, organo e cantanti si sono esibiti davanti all’altare, dove sono state esposte, ad arco, le 14 stazioni realizzate da Moretti, disegni su carta in tavolette ovali su sostegni, ognuna di 30×14 cm circa. Per l’occasione è stato realizzato un catalogo, curato dagli Amici dell’Arte di Faenza, con cui Moretti collabora, con le opere dello stesso Moretti, il brano di Gianella, e testi dell’Assessora Lara Fabbri e del parroco don Mauro Ansaloni.

«Samuel Moretti ripropone la Passione di Cristo con disegni raffiguranti ciascuno un volto, il volto della sofferenza», sono parole di don Ansaloni. «Franca Gianella, col suo brano, ci permette di entrare nella drammaticità delle immagini del Cristo sofferente. L’arte certamente può aiutarci a rendere visibile l’Invisibile. L’occhio della fede ci introduce al Mistero, ma anche al non credente l’immagine può svelare realtà molto profonde e intime.

Franca e Samuel ci offrono, prima di tutto, l’occasione di riflettere sul dolore e sulla morte. In ciò che ha vissuto Cristo ritroviamo le nostre esperienze di sofferenza; possiamo rileggere la realtà del mondo e del nostro tempo».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 22 aprile 2022

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E all’alba, ecco la nostra rinascita: “Passio Christi” al Teatro Comunale

6 Apr
Vito Lopriore – (C) Marco Caselli Nirmal

L’opera di Michele Placido con la “Passione” di Mario Luzi presentata il Venerdì Santo: i tormenti della condizione umana e la Liberazione in Cristo

di Andrea Musacci

L’affanno di chi ha paura, il rantolo dell’angoscia, di chi è solo e senza luce. Di chi, disarmato, vive la lontananza, l’apparente insanabilità dello smarrimento. Dove ogni dire e udire è vano, ogni sguardo è nemico, dove il male ha le sembianze dell’irreparabile.
Oltre 20 anni fa il poeta Mario Luzi, invitato da Giovanni Paolo II a scrivere i testi per la Via Crucis al Colosseo, seppe, come pochi, dare parola a questo tremendo umanissimo non comprendere. Per questo, la scelta di alcuni di quei versi per lo spettacolo “Passio Christi”, non può non commuovere. Il progetto tra cinema e teatro andato in onda la sera di Venerdì Santo sul canale You Tube del Teatro Comunale di Ferrara (e disponibile fino al 12 aprile), è stato ideato dal Presidente dell’“Abbado” Michele Placido su testi, oltre che di Luzi, di Dario Fo e Franca Rame (“Maria alla croce”), coi Salmi recitati da Moni Ovadia e lo Stabat Mater interpretato in dialetto trentino da Daniela Scarlatti. In scena, anche lo stesso Placido, Sara Alzetta e Vito Lopriore nei panni del Cristo. Fra i luoghi della nostra città scelti, la chiesa di San Giuliano e il Cimitero ebraico. Magistrale il Coro dell’Accademia dello Spirito Santo diretto da Francesco Pinamonti.

La stanchezza, dicevamo, quel respiro affannoso che «inciampava nei denti» (1). E, insieme, la violenza della derisione, lo scherno impietoso che anticipa la brutalità sulla carne. «Dubito talora – prega al Padre il Cristo di Luzi – / che questa sofferenza non ti arrivi / poi subito di questo mi ravvedo / perché so la tua misericordia». Ma la notte è buia, i minuti non scorrono ma incombono: «Io dal fondo del tempo ti dico: la tristezza / del tempo è forte nell’uomo, invincibile». E quegli anfratti sono, nella “Passio” di Placido, le budella nascoste del teatro ferrarese, dove gli umori e i tormenti urlano per affiorare, per rivivere in questa stagione di non-presenza, di chiusura e lontananze. E questa mancanza, questa privazione il regista sceglie di mostrarla, per renderle giustizia. È il “retroscena” col suo travaglio a un tempo manuale e intellettuale, del legno e del pensiero, in una zona ambigua dove finzione e realtà sovrapponendosi sanno di incertezza.

Negli interstizi dietro, sopra e oltre la scena, dunque, al di là dell’apparire – vero o falso che sia – il dialogo è con Dio, sempre, è la confidenza del Figlio col Padre, è la preghiera che si apre all’eterno. Dai sottofondi, la vertigine: «quanto è lontana da te l’angoscia che mi opprime»; e ancora Luzi: «Anche la morte pare eterna, è duro convincerli, gli umani, / che non ci sono due eternità contrarie, / il tutto è compreso in una sola e tu sei in ogni parte / anche dove pare che tu manchi». Anche in quell’ossatura di legno e polvere, dove una debole luce filtra, sul palco dell’umano dimenarsi dove le tuniche, come detto, possono essere inganno o domanda perpetua, lì, nel fastidio e nel dubbio, «Tu entri» «e lo disbrogli / pure così lontano come sei nella tua eternità / da questi nodi delle esistenze temporali».

E nei viluppi entra anche il femminile, portando cura e visione, rivelandosi nel viso contratto di Maria, sulle labbra il lamento, ancora l’affanno della via che porta alla croce. Lungo la strada – di nuovo – la scelta, fino al sepolcro, è di affiancare, coi loro corpi, alcuni morti ammazzati del nostro tempo: da Pier Paolo Pasolini a Stefano Cucchi, da George Floyd ai bambini vittime delle guerre. Volti morti o sofferenti privi di luce, come nel tremendo silenzio del sabato. Ma Lui «non è qui», e allora perché Lo cerchiamo tra ciò che non può essere all’altezza di tutto il nostro dolore? Perché, invece, nello smarrimento non tentare di riconoscerLo mentre ci accompagna, quando nel buio ci affianca? Perché anche lungo la via che Tu hai tracciato, che Tu sei, è «difficile tenersi». Ma «Tu solo» davvero sai il Mistero. 

«Ora sì, o Redentore», «invochiamo il tuo soccorso, tu, guida e presidio, non ce lo negare».  Ora e sempre, ora e ogni giorno. Adesso possiamo chiederglieLo, sappiamo di poterglieLo chiedere perché crediamo nella Sua Resurrezione, perché – sempre tentati dal non sperare – ancora una volta speriamo. Nell’affanno, «con amore ti chiediamo amore». Un amore che libera, che fa uscire, un amore «infinitamente più grande».

La resurrezione è, nella “Passio”, proprio un’uscita, una fuga, una lode, ancora e sempre, una perenne preghiera sulle labbra, in canto o in prosa, nel giubilo o nel dolore. Si ricongiunge il cammino, ritorna su quei passi iniziali, gli stessi ma incredibilmente diversi: nell’esordio della “Passio” vi era, infatti, Placido pellegrino inquieto fra le vie del centro di Ferrara. Un sobbalzo nel petto, poi gli spari improvvisi come un lampo di luce, e invece era notte, una lunga notte, quella dei corpi riversi ai piedi del Castello, quella tremenda notte nel novembre del ’43. Ma non dormono, no, sono morti, giacciono ma rivivranno. E allora «di mattino, quando era ancora buio» (2), in un’alba grigia e vuota, è l’ora della Liberazione, della Rinascita, è il tempo della pienezza, anche per noi, per chi, come gli apostoli, non aveva «ancora compreso» (3). 


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(dove non indicato, le citazioni sono tratte da “La Passione. Via Crucis al Colosseo” di Mario Luzi, 1999)


(1) F. Guccini, “Venezia”.

(2) Gv 20, 1.

(3) Gv 20, 9.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 aprile 2021

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