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Excrucior, arte e fede a Mesola

28 Apr
Gesù è inchiodato alla croce, Samuel Moretti

La sera di lunedì 18 aprile in chiesa concerto col brano di Franca Gianella e opere di Samuel Moretti

Si intitola “Excrucior” l’evento dedicato alla Via Crucis svoltosi la sera di lunedì 18 aprile nella chiesa arcipretale di Mesola.

Un progetto artistico particolare che ha visto la collaborazione fra l’artista mesolano Samuel Moretti, la compositrice di Bosco Mesola Franca Gianella e diversi musicisti e cantanti: Gianmaria Raminelli (organo), Cecilia Padovani (soprano), Elene Sanadze (soprano), Elisabetta Fantinati (mezzosoprano), Francesca Cavallari (mezzosoprano).

«Questa Via Crucis la realizzai due anni fa», ci racconta Moretti. «Gianella stava lavorando sullo stesso tema. Dopo aver visto i miei lavori, ha realizzato questo brano», “Donata Croce (Per sempre amato)”, un lavoro per voci a bocca chiusa che la sera del 18 è stato accompagnato all’organo da Gianmaria Raminelli, e ha visto alcuni momenti “teatrali” con interventi del coro narrante, voci maschili e femminili a rappresentare il popolo che assiste alla condanna di Gesù Cristo. Il brano, diviso in tre blocchi, è stato intermezzato da due Salmi (Salmo 54 e Salmo 21) e da Isaia 52 (Carme del Servo Sofferente). 

«Dopo aver scritto l’inno dedicato alla Vergine Maria Vivida luce per Soprano, Alto, Basso e Organo, ho composto la Via Crucis Donata Croce per Soprano, Alto, Coro narratore e Organo», spiega Gianella. «Per questa composizione mi sono ispirata a Maria, al dolore della madre che accompagna il figlio alla croce; le parti cantate sono tutte a bocca chiusa con momenti a bocca socchiusa e altri con suoni generici aspirati per sottolineare l’inesprimibile disumanità del dolore causato dal dover sopravvivere ai propri figli». Coro, organo e cantanti si sono esibiti davanti all’altare, dove sono state esposte, ad arco, le 14 stazioni realizzate da Moretti, disegni su carta in tavolette ovali su sostegni, ognuna di 30×14 cm circa. Per l’occasione è stato realizzato un catalogo, curato dagli Amici dell’Arte di Faenza, con cui Moretti collabora, con le opere dello stesso Moretti, il brano di Gianella, e testi dell’Assessora Lara Fabbri e del parroco don Mauro Ansaloni.

«Samuel Moretti ripropone la Passione di Cristo con disegni raffiguranti ciascuno un volto, il volto della sofferenza», sono parole di don Ansaloni. «Franca Gianella, col suo brano, ci permette di entrare nella drammaticità delle immagini del Cristo sofferente. L’arte certamente può aiutarci a rendere visibile l’Invisibile. L’occhio della fede ci introduce al Mistero, ma anche al non credente l’immagine può svelare realtà molto profonde e intime.

Franca e Samuel ci offrono, prima di tutto, l’occasione di riflettere sul dolore e sulla morte. In ciò che ha vissuto Cristo ritroviamo le nostre esperienze di sofferenza; possiamo rileggere la realtà del mondo e del nostro tempo».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 22 aprile 2022

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E all’alba, ecco la nostra rinascita: “Passio Christi” al Teatro Comunale

6 Apr
Vito Lopriore – (C) Marco Caselli Nirmal

L’opera di Michele Placido con la “Passione” di Mario Luzi presentata il Venerdì Santo: i tormenti della condizione umana e la Liberazione in Cristo

di Andrea Musacci

L’affanno di chi ha paura, il rantolo dell’angoscia, di chi è solo e senza luce. Di chi, disarmato, vive la lontananza, l’apparente insanabilità dello smarrimento. Dove ogni dire e udire è vano, ogni sguardo è nemico, dove il male ha le sembianze dell’irreparabile.
Oltre 20 anni fa il poeta Mario Luzi, invitato da Giovanni Paolo II a scrivere i testi per la Via Crucis al Colosseo, seppe, come pochi, dare parola a questo tremendo umanissimo non comprendere. Per questo, la scelta di alcuni di quei versi per lo spettacolo “Passio Christi”, non può non commuovere. Il progetto tra cinema e teatro andato in onda la sera di Venerdì Santo sul canale You Tube del Teatro Comunale di Ferrara (e disponibile fino al 12 aprile), è stato ideato dal Presidente dell’“Abbado” Michele Placido su testi, oltre che di Luzi, di Dario Fo e Franca Rame (“Maria alla croce”), coi Salmi recitati da Moni Ovadia e lo Stabat Mater interpretato in dialetto trentino da Daniela Scarlatti. In scena, anche lo stesso Placido, Sara Alzetta e Vito Lopriore nei panni del Cristo. Fra i luoghi della nostra città scelti, la chiesa di San Giuliano e il Cimitero ebraico. Magistrale il Coro dell’Accademia dello Spirito Santo diretto da Francesco Pinamonti.

La stanchezza, dicevamo, quel respiro affannoso che «inciampava nei denti» (1). E, insieme, la violenza della derisione, lo scherno impietoso che anticipa la brutalità sulla carne. «Dubito talora – prega al Padre il Cristo di Luzi – / che questa sofferenza non ti arrivi / poi subito di questo mi ravvedo / perché so la tua misericordia». Ma la notte è buia, i minuti non scorrono ma incombono: «Io dal fondo del tempo ti dico: la tristezza / del tempo è forte nell’uomo, invincibile». E quegli anfratti sono, nella “Passio” di Placido, le budella nascoste del teatro ferrarese, dove gli umori e i tormenti urlano per affiorare, per rivivere in questa stagione di non-presenza, di chiusura e lontananze. E questa mancanza, questa privazione il regista sceglie di mostrarla, per renderle giustizia. È il “retroscena” col suo travaglio a un tempo manuale e intellettuale, del legno e del pensiero, in una zona ambigua dove finzione e realtà sovrapponendosi sanno di incertezza.

Negli interstizi dietro, sopra e oltre la scena, dunque, al di là dell’apparire – vero o falso che sia – il dialogo è con Dio, sempre, è la confidenza del Figlio col Padre, è la preghiera che si apre all’eterno. Dai sottofondi, la vertigine: «quanto è lontana da te l’angoscia che mi opprime»; e ancora Luzi: «Anche la morte pare eterna, è duro convincerli, gli umani, / che non ci sono due eternità contrarie, / il tutto è compreso in una sola e tu sei in ogni parte / anche dove pare che tu manchi». Anche in quell’ossatura di legno e polvere, dove una debole luce filtra, sul palco dell’umano dimenarsi dove le tuniche, come detto, possono essere inganno o domanda perpetua, lì, nel fastidio e nel dubbio, «Tu entri» «e lo disbrogli / pure così lontano come sei nella tua eternità / da questi nodi delle esistenze temporali».

E nei viluppi entra anche il femminile, portando cura e visione, rivelandosi nel viso contratto di Maria, sulle labbra il lamento, ancora l’affanno della via che porta alla croce. Lungo la strada – di nuovo – la scelta, fino al sepolcro, è di affiancare, coi loro corpi, alcuni morti ammazzati del nostro tempo: da Pier Paolo Pasolini a Stefano Cucchi, da George Floyd ai bambini vittime delle guerre. Volti morti o sofferenti privi di luce, come nel tremendo silenzio del sabato. Ma Lui «non è qui», e allora perché Lo cerchiamo tra ciò che non può essere all’altezza di tutto il nostro dolore? Perché, invece, nello smarrimento non tentare di riconoscerLo mentre ci accompagna, quando nel buio ci affianca? Perché anche lungo la via che Tu hai tracciato, che Tu sei, è «difficile tenersi». Ma «Tu solo» davvero sai il Mistero. 

«Ora sì, o Redentore», «invochiamo il tuo soccorso, tu, guida e presidio, non ce lo negare».  Ora e sempre, ora e ogni giorno. Adesso possiamo chiederglieLo, sappiamo di poterglieLo chiedere perché crediamo nella Sua Resurrezione, perché – sempre tentati dal non sperare – ancora una volta speriamo. Nell’affanno, «con amore ti chiediamo amore». Un amore che libera, che fa uscire, un amore «infinitamente più grande».

La resurrezione è, nella “Passio”, proprio un’uscita, una fuga, una lode, ancora e sempre, una perenne preghiera sulle labbra, in canto o in prosa, nel giubilo o nel dolore. Si ricongiunge il cammino, ritorna su quei passi iniziali, gli stessi ma incredibilmente diversi: nell’esordio della “Passio” vi era, infatti, Placido pellegrino inquieto fra le vie del centro di Ferrara. Un sobbalzo nel petto, poi gli spari improvvisi come un lampo di luce, e invece era notte, una lunga notte, quella dei corpi riversi ai piedi del Castello, quella tremenda notte nel novembre del ’43. Ma non dormono, no, sono morti, giacciono ma rivivranno. E allora «di mattino, quando era ancora buio» (2), in un’alba grigia e vuota, è l’ora della Liberazione, della Rinascita, è il tempo della pienezza, anche per noi, per chi, come gli apostoli, non aveva «ancora compreso» (3). 


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(dove non indicato, le citazioni sono tratte da “La Passione. Via Crucis al Colosseo” di Mario Luzi, 1999)


(1) F. Guccini, “Venezia”.

(2) Gv 20, 1.

(3) Gv 20, 9.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 aprile 2021

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