Martedì 5 marzo nella Libreria Feltrinelli è stato presentato il libro “La critica della violenza di Andrea Caffi”, con relatore Alberto Castelli, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Ferrara, che ne ha curato la riedizione, e che ha dialogato con Daniele Lugli, organizzatore del ciclo di incontri “Raccontare la storia, raccontare storie. Nonviolenza in azione”. Chi era Andrea Caffi (1887-1955)? Nato a San Pietroburgo, in una famiglia italiana, fin da giovane conosce da vicino le condizioni di sfruttamento dei lavoratori e dei contadini nella Russia zarista. Partecipa, da socialista non bolscevico, alla Rivoluzione russa del 1905, viene arrestato e condannato a tre anni di reclusione. Trascorsi alcuni anni a Berlino, dove studia filosofia, si trasferisce a Firenze e poi a Parigi, e partecipa al primo conflitto mondiale. Torna poi in Russia, dove critica la violenza e l’autoritarismo dei bolscevichi, e per questo viene incarcerato. Nel 1923 è di nuovo in Italia, ma tre anni dopo, per via della dittatura fascista, è costretto a fuggire in Francia. Nel tempo consolida una visione sempre più pacifista e nonviolenta, contro l’autoritarismo sovietico e la democrazia liberale dell’epoca. “Penso che alcune idee esposte da Hannah Arendt in ’Sulla rivoluzione’ – ha spiegato Castelli – le siano state ispirate da Caffi, anche se lei, com’era sua abitudine, non citava quasi mai le sue fonti. Quella di Caffi – ha proseguito – era una critica feroce della violenza e dei metodi rivoluzionari bolscevichi: per lui l’uso della violenza organizzata non era mai funzionale all’idea di una società autentica. Pane, libertà e pace, secondo Caffi, aumentano quando aumenta la sfera dei cosiddetti rapporti spontanei, umani, non gerarchici, la sfera della socievolezza, la vera ’società’, come la definiva. Idea – ha concluso – maturata pensando soprattutto ai gruppi dei primi cristiani nelle catacombe dell’Impero”.
Andrea Musacci
Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 marzo 2019
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