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Da luoghi di morte a luoghi di bellezza: riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie

19 Ott

Intervista a Donato La Muscatella referente del Coordinamento ferrarese di “Libera”: numeri e storie in Italia ed Emilia-Romagna

A cura di Andrea Musacci

Si può dire che la confisca dei beni e il loro riutilizzo per finalità sociali come arma nella lotta alle mafie e alle organizzazioni criminali faccia parte dell’anima di Libera fin dalla sua nascita nel 1995.
Proprio 25 anni fa lanciò, infatti, la prima campagna nazionale con una raccolta firme che portò l’anno successivo alla 109, legge che rende finalmente la società civile protagonista della lotta alle mafie, attraverso la possibilità di riappropriarsi di spazi e crearne di nuovi. Una ricerca di Libera ha censito finora 865 soggetti diversi impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli enti locali, in ben 17 regioni su 20.
Il tema del riutilizzo sociale dei beni confiscati è stato al centro della Festa della Legalità e della Responsabilità a Ferrara, che ha visto Libera tra gli organizzatori insieme ad altri soggetti (Ufficio Stampa del Comune di Ferrara, Avviso Pubblico, Presidio di Libera del Centopievese, Camera di Commercio di Ferrara, Comitato Ferrarese Area Disabili, Biblioteca popolare Giardino, Comune di Voghiera, Pro loco di Voghiera, Factory Grisù, Hangar Birrerie). L’evento si è svolto dal 15 al 17 ottobre negli spazi di Factory Grisù. Per l’occasione abbiamo intervistato Donato La Muscatella, referente del Coordinamento di Ferrara di Libera.


Beni confiscati trasformati in “bene comune”: perché la scelta di questo tema per la vostra tre giorni?
Come Libera, all’interno dello spazio che ci è stato concesso, abbiamo deciso di tornare a parlare di beni confiscati per poterne approfondirne il valore, non solo economico, ma soprattutto civico e sociale, assieme a relatori qualificati. Si tratta di un modo per raccontare come potersi impegnare concretamente, restituendo libertà e bellezza a territori che sono stati depredati e dominati da una contro-cultura che non significa solo crimine, ma anche potere, presunzione di essere al di sopra delle regole, di tutto e di tutti.
Viviamo in una Regione, peraltro, che ha preso a cuore questa tematica, vedendo nascere un Protocollo per la gestione dei beni che, attivando sinergie positive tra tutte le Istituzioni coinvolte, sta facendo scuola su scala nazionale.


Un po’ di numeri a livello nazionale per inquadrare meglio il tema?
I dati sono in costante evoluzione e questa tendenza deve essere letta, a mio avviso, in una duplice ottica: da un lato, dimostra, purtroppo, la significativa consistenza del patrimonio prodotto dalle attività delle organizzazioni di stampo mafioso; dall’altro, testimonia l’impegno degli inquirenti nell’agire con gli strumenti a loro disposizione, per contrastare anche sul piano patrimoniale la criminalità organizzata.
Concentrandoci sui beni immobili, protagonisti della legge che ne consente la ridestinazione a finalità sociali, sono 16.446 quelli già destinati e 17.376, invece, quelli ancora in gestione e in attesa di nuovo utilizzo (in base ai dati più recenti dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ANSBC).


Nella nostra Regione, invece, quali e quanti beni sono stati confiscati e restituiti alla collettività?
In Emilia-Romagna sono entrati nel circuito di gestione supervisionato dall’ANSBC 631 immobili, mentre 144 sono già stati destinati, tornando a disposizione alle diverse comunità.


Nello specifico, ci può fare qualche esempio in Emilia-Romagna? E quali sono gli 8 nella nostra provincia di Ferrara?
Il panorama è ampio: si va da un’abitazione rurale nel Comune di Salsomaggiore Terme (Parma), che è ora lo spazio dove svolge le proprie attività istituzionali e divulgative il Consorzio del Parco Fluviale Regionale dello Stirone, alla nuova sede della Casa per la donna in via San Vitale a Bologna, sino a cinque appartamenti riconsegnati al Comune di Sorbolo (Parma) lo scorso luglio, alla presenza della Ministra Lamorgese, affinché possano ospitare famiglie in difficoltà.
In provincia di Ferrara, tra gli 8 beni immobili già in uso per le finalità previste dalla legge n. 109 del 1996, tre sono divenuti alloggi di servizio per militari dell’Arma dei Carabinieri; uno, invece, è un’abitazione che ospita donne vittime di violenza domestica, sostenuta dal Centro Donna e Giustizia di Ferrara e dallo Sportello Antiviolenza; le tre restanti unità immobiliari (una delle quali con un piccolo terreno pertinenziale), vengono utilizzate per gestire casi di emergenza abitativa.

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Crisi sociale e criminalità nel tempo dell’emergenza Covid: Un seminario svoltosi il 17 ottobre nella Factory Grisù di Ferrara

“Illegalità e criminalità organizzata al tempo del Coronavirus: l’impatto economico su cittadini e imprese” è il titolo dell’incontro pubblico svoltosi sabato 17 ottobre nella sede del Consorzio Factory Grisù di via Poledrelli a Ferrara.

Il Seminario, parte della Festa della della Legalità e Responsabilità organizzato dal Comune di Ferrara, è stato proposto da Ordine dei Giornalisti, Fondazione Giornalisti dell’Emilia-Romagna in collaborazione con l’Ufficio stampa del Comune di Ferrara e Avviso Pubblico.
Ha preso le mosse dal Rapport Caritas uscito il giorno stesso, il Prefetto di Ferrara Michele Campanaro, prima di ripercorrere la gestione del lockdown nel nostro territorio: l’anomalia della pandemia, ha spiegato, «ha reso tutto più difficile, in quanto ha necessitato di una gestione straordinaria». Per Campanaro, in ogni caso, «non vi è nulla di strano nel ricorso all’uso di decreti governativi», perché è prassi «nei casi di emergenza di Protezione Civile come l’attuale». Nello specifico, «la chiusura delle attività produttive nel lockdown ha rappresentato anche per la nostra Prefettura un lavoro importante, per le tante richieste pervenuteci». Nell’attuale fase, ha concluso, pur nell’incertezza, «non saranno, come nella fase 1, gli strumenti repressivi a dominare, perché siamo, almeno per ora, ancora nella fase della ricostruzione. Complessivamente comunque nel nostro territorio il sistema è sano, ma non bisogna adagiarsi sugli allori» e mantenere alta l’attenzione.
«È molto importante – ha invece riflettuto Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso Pubblico – organizzare una rete di presenza degli enti locali, soprattutto in questa che è anche un’emergenza sociale ed economica». Anche perché «la storia ci insegna che nei momenti di emergenza le mafie trasformano le difficoltà in opportunità» a loro vantaggio. In particolare Regioni e Comuni devono quindi saper unire «celerità e trasparenza» nelle decisioni, «sempre nel rispetto delle regole». Infine, un monito: «attenzione anche al forte aumento negli ultimi mesi del gioco d’azzardo on line».
Dopo l’intervento di Andrea Migliari, responsabile Servizio Qualità, Comunicazione e Progetti speciali Camera di commercio di Ferrara, ha preso la parola Gianni Belletti, responsabile Comunità Emmaus di Ferrara, che è partito dal concetto di “vulnerabilità”: «non tutte le persone criminali sono vulnerabili, ma di certo la vulnerabilità spesso porta alla criminalità». Emmaus è un esempio importante di come la vulnerabilità possa essere accompagnata e aiutata ogni giorno: 20 persone vivono nella comunità locale, che si mantiene esclusivamente col mercatino dell’usato. Infine, sull’emergenza sociale Belletti ha brevemente presentato la proposta, a suo parere urgente e necessaria, del reddito di base.
La mattinata si è conclusa con una tavola rotonda sul tema “Raccontare la cronaca nera e quella giudiziaria durante il lockdown per l’emergenza sanitaria Covid-19” con la partecipazione di alcuni giornalisti locali.

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 23 ottobre 2020

https://www.lavocediferrara.it/

“Comunità e riscoperta del volto: da qui dobbiamo ripartire”

19 Ott

In vista dei nuovi corsi di aggiornamento, abbiamo incontrato mons. Vittorio Serafini, Direttore Ufficio IRC, per riflettere su com’è cambiato il ruolo degli insegnanti di religione nella scuola in tempo di covid. E per capire quali forme di resilienza adottare

di Andrea Musacci


“Il coraggio di andare oltre l’umano” è il titolo scelto quest’anno dall’Ufficio diocesano per l’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC) per i corsi di aggiornamento 2020/2021 rivolti agli insegnanti di religione di ogni ordine e grado scolastico.
Abbiamo incontrato il Direttore dell’Ufficio diocesano IRC mons. Vittorio Serafini, per rivolgergli alcune domande sui temi scelti per i corsi.
Abbiamo incontrato il Direttore dell’Ufficio diocesano IRC mons. Vittorio Serafini, per rivolgergli alcune domande sui temi scelti per i corsi.


In un periodo così complicato – anche nella scuola – come quello che stiamo vivendo, quale può essere il valore aggiunto degli insegnanti di religione?
Il periodo del covid-19 non è un tempo complicato, ma complicatissimo. Da sempre si sottolinea che le finalità dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane sono quelle di agevolare la ricerca di risposte di senso ai perché della vita. Il dramma mondiale del coronavirus esige delle risposte sia sul piano delle paure, sia sul piano della responsabilità nei comportamenti. L’insegnante di religione può offrire tanto di fronte alle contraddizioni del momento presente e di fronte alle incertezze che riguardano il futuro. Teniamo anche presente che nella nostra Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio i ragazzi e i giovani che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica sono circa l’80%.


Lei è in contatto con diversi di questi insegnanti: in questo primo mese di scuola in presenza dopo il lockdown, qual è l’umore prevalente? Quali situazioni si trovano ad affrontare?
Al termine dell’anno scolastico 2019-2020, dopo il periodo del lockdown, a seguito delle lezioni non in presenza, le lamentele sono state tante e forti. Molti insegnanti si sfogavano dicendo di essere stati costretti a lavorare il doppio, a ricorrere ad una tecnologia sulla quale non erano preparati, ad avere delle risposte inferiori da parte degli alunni rispetto alle lezioni in presenza. Con i primi mesi dell’anno scolastico 2020-2021 i disagi sono stati trasferiti sul piano dell’organizzazione generale degli istituti e delle singole classi: distanziamento nelle aule e nelle parti comuni, obbligo di indossare le mascherine, controllo di tutti gli spostamenti di entrata ed uscita. Una cosa comunque è certa: la scuola è per vocazione “in presenza”. Ogni altra soluzione è solo un’agevolazione ed un rimedio.


Venendo al corso d’aggiornamento: fra i temi che verranno trattati, mi soffermerei su quello del trauma e dell’educazione alla resilienza. Ci spiega come verrà declinato?
Il nostro Arcivescovo aveva suggerito di redigere un piano triennale dove prendere in esame tutte le principali religioni monoteiste. Avevamo pensato in questo primo anno lo studio della religione ebraica. Poi con la consulta ci abbiamo ripensato. Il coronavirus è stato un dramma per tutti e quindi anche per gli studenti e gli insegnanti che si sono trovati improvvisamente davanti ad un trauma che ha sconvolto il loro modo di vivere. Attraverso il corso di aggiornamento vorremmo far riflettere sul fatto che dobbiamo continuare a sentirci comunità. Con il lockdown infatti siamo andati contro il paradigma che ci si salva se si sta insieme, se si fa gruppo, se si sta uniti. Ora per diversi mesi si è predicato che solo stando lontani ed isolati possiamo sconfiggere il covid-19. È la prima volta che questo avviene in modo così esplicito e globale nella storia dell’uomo. Sono stati impediti, infatti, tutti i gesti che per cultura abbiamo sempre compiuto: darsi la mano, abbracciarsi, entrare in contatto fisico. Come risolvere il problema? Sarà fondamentale dare importanza agli sguardi, curare l’espressività del volto, esprimere gioia o dolore attraverso la luce degli occhi. Che cosa intendiamo per resilienza della quale vorremmo parlare? È la capacità di resistere agli eventi negativi, di superare le avversità in modo attivo e creativo. La persona resiliente è quella che trasforma uno svantaggio in un vantaggio.


Un altro tema, che verrà affrontato nei corsi, sarà quello delle religioni in tempo di covid. Mi ha colpito questa frase scelta per presentarlo: “L’epilogo più grigio sarebbe quello di lasciare cadere nell’irrilevanza l’esperienza vissuta”. Lei pensa che si stia correndo questo rischio, che nella società manchi un po’ una riflessione sul senso profondo di quello che abbiamo vissuto e che ancora stiamo vivendo?
L’esperienza dolorosa del coronavirus è stata vissuta dagli uomini di ogni religione. Tutti si sono organizzati nel continuare a pregare a distanza, sentendosi ancora comunità. I cristiani sono ricorsi a funzioni religiose con dirette via internet, con bollettini parrocchiali online o con conferenze video di sacerdoti e religiosi. Anche il suono delle campane ha aiutato a sentirsi uniti nella prova. So che molti buddisti hanno intensificato e rafforzato quegli esercizi della mente che aiutano a mantenersi tranquilli. In televisione si sono visti gli induisti pregare e meditare davanti ai loro piccoli templi domestici con le statue delle loro divinità. I musulmani, nella sofferenza per il fatto che la comunità non poteva riunirsi assieme per pregare, si sono rifugiati nella preghiera domestica e nello studio del Corano con i propri familiari. Insomma per tutti c’è stata la grande occasione per riscoprire i valori più autentici. Non è cosa da poco se in tanti hanno cominciato a discernere tra ciò che è superfluo e ciò che è indispensabile. Voglio credere che sia aumentata la compassione per chi soffre e che tanti abbiano recuperato l’importanza delle relazioni umane. Se il coronavirus non ha insegnato tutto questo, allora è stato un avvenimento traumatico e doloroso ma che …non ha educato a nulla.

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 23 ottobre 2020

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