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Da luoghi di morte a luoghi di bellezza: riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie

19 Ott

Intervista a Donato La Muscatella referente del Coordinamento ferrarese di “Libera”: numeri e storie in Italia ed Emilia-Romagna

A cura di Andrea Musacci

Si può dire che la confisca dei beni e il loro riutilizzo per finalità sociali come arma nella lotta alle mafie e alle organizzazioni criminali faccia parte dell’anima di Libera fin dalla sua nascita nel 1995.
Proprio 25 anni fa lanciò, infatti, la prima campagna nazionale con una raccolta firme che portò l’anno successivo alla 109, legge che rende finalmente la società civile protagonista della lotta alle mafie, attraverso la possibilità di riappropriarsi di spazi e crearne di nuovi. Una ricerca di Libera ha censito finora 865 soggetti diversi impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli enti locali, in ben 17 regioni su 20.
Il tema del riutilizzo sociale dei beni confiscati è stato al centro della Festa della Legalità e della Responsabilità a Ferrara, che ha visto Libera tra gli organizzatori insieme ad altri soggetti (Ufficio Stampa del Comune di Ferrara, Avviso Pubblico, Presidio di Libera del Centopievese, Camera di Commercio di Ferrara, Comitato Ferrarese Area Disabili, Biblioteca popolare Giardino, Comune di Voghiera, Pro loco di Voghiera, Factory Grisù, Hangar Birrerie). L’evento si è svolto dal 15 al 17 ottobre negli spazi di Factory Grisù. Per l’occasione abbiamo intervistato Donato La Muscatella, referente del Coordinamento di Ferrara di Libera.


Beni confiscati trasformati in “bene comune”: perché la scelta di questo tema per la vostra tre giorni?
Come Libera, all’interno dello spazio che ci è stato concesso, abbiamo deciso di tornare a parlare di beni confiscati per poterne approfondirne il valore, non solo economico, ma soprattutto civico e sociale, assieme a relatori qualificati. Si tratta di un modo per raccontare come potersi impegnare concretamente, restituendo libertà e bellezza a territori che sono stati depredati e dominati da una contro-cultura che non significa solo crimine, ma anche potere, presunzione di essere al di sopra delle regole, di tutto e di tutti.
Viviamo in una Regione, peraltro, che ha preso a cuore questa tematica, vedendo nascere un Protocollo per la gestione dei beni che, attivando sinergie positive tra tutte le Istituzioni coinvolte, sta facendo scuola su scala nazionale.


Un po’ di numeri a livello nazionale per inquadrare meglio il tema?
I dati sono in costante evoluzione e questa tendenza deve essere letta, a mio avviso, in una duplice ottica: da un lato, dimostra, purtroppo, la significativa consistenza del patrimonio prodotto dalle attività delle organizzazioni di stampo mafioso; dall’altro, testimonia l’impegno degli inquirenti nell’agire con gli strumenti a loro disposizione, per contrastare anche sul piano patrimoniale la criminalità organizzata.
Concentrandoci sui beni immobili, protagonisti della legge che ne consente la ridestinazione a finalità sociali, sono 16.446 quelli già destinati e 17.376, invece, quelli ancora in gestione e in attesa di nuovo utilizzo (in base ai dati più recenti dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ANSBC).


Nella nostra Regione, invece, quali e quanti beni sono stati confiscati e restituiti alla collettività?
In Emilia-Romagna sono entrati nel circuito di gestione supervisionato dall’ANSBC 631 immobili, mentre 144 sono già stati destinati, tornando a disposizione alle diverse comunità.


Nello specifico, ci può fare qualche esempio in Emilia-Romagna? E quali sono gli 8 nella nostra provincia di Ferrara?
Il panorama è ampio: si va da un’abitazione rurale nel Comune di Salsomaggiore Terme (Parma), che è ora lo spazio dove svolge le proprie attività istituzionali e divulgative il Consorzio del Parco Fluviale Regionale dello Stirone, alla nuova sede della Casa per la donna in via San Vitale a Bologna, sino a cinque appartamenti riconsegnati al Comune di Sorbolo (Parma) lo scorso luglio, alla presenza della Ministra Lamorgese, affinché possano ospitare famiglie in difficoltà.
In provincia di Ferrara, tra gli 8 beni immobili già in uso per le finalità previste dalla legge n. 109 del 1996, tre sono divenuti alloggi di servizio per militari dell’Arma dei Carabinieri; uno, invece, è un’abitazione che ospita donne vittime di violenza domestica, sostenuta dal Centro Donna e Giustizia di Ferrara e dallo Sportello Antiviolenza; le tre restanti unità immobiliari (una delle quali con un piccolo terreno pertinenziale), vengono utilizzate per gestire casi di emergenza abitativa.

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Crisi sociale e criminalità nel tempo dell’emergenza Covid: Un seminario svoltosi il 17 ottobre nella Factory Grisù di Ferrara

“Illegalità e criminalità organizzata al tempo del Coronavirus: l’impatto economico su cittadini e imprese” è il titolo dell’incontro pubblico svoltosi sabato 17 ottobre nella sede del Consorzio Factory Grisù di via Poledrelli a Ferrara.

Il Seminario, parte della Festa della della Legalità e Responsabilità organizzato dal Comune di Ferrara, è stato proposto da Ordine dei Giornalisti, Fondazione Giornalisti dell’Emilia-Romagna in collaborazione con l’Ufficio stampa del Comune di Ferrara e Avviso Pubblico.
Ha preso le mosse dal Rapport Caritas uscito il giorno stesso, il Prefetto di Ferrara Michele Campanaro, prima di ripercorrere la gestione del lockdown nel nostro territorio: l’anomalia della pandemia, ha spiegato, «ha reso tutto più difficile, in quanto ha necessitato di una gestione straordinaria». Per Campanaro, in ogni caso, «non vi è nulla di strano nel ricorso all’uso di decreti governativi», perché è prassi «nei casi di emergenza di Protezione Civile come l’attuale». Nello specifico, «la chiusura delle attività produttive nel lockdown ha rappresentato anche per la nostra Prefettura un lavoro importante, per le tante richieste pervenuteci». Nell’attuale fase, ha concluso, pur nell’incertezza, «non saranno, come nella fase 1, gli strumenti repressivi a dominare, perché siamo, almeno per ora, ancora nella fase della ricostruzione. Complessivamente comunque nel nostro territorio il sistema è sano, ma non bisogna adagiarsi sugli allori» e mantenere alta l’attenzione.
«È molto importante – ha invece riflettuto Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso Pubblico – organizzare una rete di presenza degli enti locali, soprattutto in questa che è anche un’emergenza sociale ed economica». Anche perché «la storia ci insegna che nei momenti di emergenza le mafie trasformano le difficoltà in opportunità» a loro vantaggio. In particolare Regioni e Comuni devono quindi saper unire «celerità e trasparenza» nelle decisioni, «sempre nel rispetto delle regole». Infine, un monito: «attenzione anche al forte aumento negli ultimi mesi del gioco d’azzardo on line».
Dopo l’intervento di Andrea Migliari, responsabile Servizio Qualità, Comunicazione e Progetti speciali Camera di commercio di Ferrara, ha preso la parola Gianni Belletti, responsabile Comunità Emmaus di Ferrara, che è partito dal concetto di “vulnerabilità”: «non tutte le persone criminali sono vulnerabili, ma di certo la vulnerabilità spesso porta alla criminalità». Emmaus è un esempio importante di come la vulnerabilità possa essere accompagnata e aiutata ogni giorno: 20 persone vivono nella comunità locale, che si mantiene esclusivamente col mercatino dell’usato. Infine, sull’emergenza sociale Belletti ha brevemente presentato la proposta, a suo parere urgente e necessaria, del reddito di base.
La mattinata si è conclusa con una tavola rotonda sul tema “Raccontare la cronaca nera e quella giudiziaria durante il lockdown per l’emergenza sanitaria Covid-19” con la partecipazione di alcuni giornalisti locali.

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 23 ottobre 2020

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Errare alla ricerca della bellezza: il Festival “Riaperture”

28 Set

Il 4 ottobre si conclude il festival “Riaperture” con mostre fotografiche in luoghi abbandonati della città. Quest’anno c’è anche Ai Weiwei. Frasson (Comune di Ferrara) su S. Paolo: “A ottobre 2022 riapre la chiesa, fra un mese il chiostro piccolo e il Refettorio”. Palazzo Zanardi sarà trasformato in residenziale, ancora ignoto il futuro della Caserma di via Cisterna del Follo

di Andrea Musacci


«E dove sono condotti, tutte le volte, dalla notte dell’esodo che si rinnova un anno dopo l’altro? In un luogo che non è un luogo, dove non è possibile risiedere».
(Maurice Blanchot, “La conversazione infinita”)


In epoca di chiusure e riaperture a intermittenza a causa dell’emergenza sanitaria in corso, il nome di questo Festival, giunto alla IV^ edizione, suona più che mai azzeccato.
Inizialmente in programma tra fine marzo e aprile, ma rimandato per il lockdown, il “Riaperture PhotoFestival Ferrara 2020” è in programma in due fine settimana, il 25, 26, 27 settembre e il 2, 3 e 4 ottobre con mostre, workshop, letture portfolio, incontri e molto altro. La rassegna ideata da un gruppo di giovani fotografe/i ferraresi guidato da Giacomo Brini ogni anno ha il duplice pregio di porre i riflettori su edifici della nostra città da tempo chiusi e, all’interno degli stessi, di ospitare personali di fotografe/i da tutto il mondo. Sempre attraverso un filo rosso tematico: quest’anno il tema scelto è “Errante”, termine dal duplice significato. Da una parte, infatti, il rimandare a un movimento senza meta precisa, predefinibile, dall’altra, l’atto dello sbagliare. Due accezioni tra loro legate, che ben raccontano la condizione umana fragile, sempre incerta nel trovare sicurezze definitive e dunque inevitabilmente propensa all’errore, allo scacco. Di certo, i progetti fotografici raccontano e propongono questo desiderio, pur frustrante, dell’essere raminghi come segno di libertà, pur nella mancanza e nell’autoinganno. Purché ci si liberi dalle proprie anchilosi e dalle proprie prigioni, e mai ci si dimentichi, ogni volta, di “riaprirsi” all’altro da noi.


Chiesa ed ex monastero di San Paolo
Era il gennaio del 2018 quando in una conferenza stampa il duo Tagliani-Modonesi, rispettivamente ex Sindaco e Assessore ai Lavori Pubblici, annunciarono, alla presenza anche dell’Arcivescovo, l’avvio dei cantieri riguardanti il complesso di San Paolo, la cui chiesa è inagibile dal 2006. Il terremoto del 2012 aveva portato anche al crollo di due pinnacoli in pietra oltre a sofferenze localizzate su architravi e timpani in corrispondenza degli ingressi e all’aggravamento della situazione statica con lesioni diffuse, sia sulle volte sia sugli apparecchi murari.
Proprio riguardo alla chiesa, a distanza di quasi tre anni, Natascia Frasson, Dirigente del Servizio Beni Monumentali del Comune di Ferrara (Stazione appaltante dei lavori), spiega a “la Voce”: «il progetto esecutivo è in Regione da marzo 2020 per l’approvazione. La Commissione congiunta si riunirà il 30 settembre per deliberare, speriamo in modo definitivo. Ipotizzo quindi – prosegue Frasson – di poter approvare il progetto entro il mese di ottobre e quindi pubblicare la gara per l’affidamento lavori entro la fine dell’anno». L’inizio dei lavori è di conseguenza ipotizzabile «per fine aprile / inizio maggio 2021, e la durata del cantiere è prevista di circa 550 giorni». A ottobre 2022, quindi, la comunità ferrarese potrà tornare dentro una delle chiese più amate della città.
A proposito, invece, dei chiostri e degli ambienti dell’ex Monastero, lo scorso novembre si sono conclusi i lavori sul primo chiostro, che ha per l’occasione ospitato la mostra fotografica “Sulla soglia. Visioni in chiaroscuro di Ferrara”, a cura della stessa Associazione “Riaperture”, della Fondazione Ferrara Arte, dell’artista Andrea Forlani e in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura. Lo scorso 22 giugno, invece, sono ripartiti i lavori – dopo la sospensione causa Covid-19 e la redazione di perizia di variante – sul secondo chiostro (il minore dei due) e sull’ex Refettorio, prima di risistemare il cortile dei carri. «I lavori – ci spiega Frasson – termineranno a novembre 2020. Il piano terra del secondo chiostro continuerà a ospitare le associazioni già presenti – Fotoclub e Contrada di San Paolo – mentre l’ex Refettorio diventerà Sala polivalente. Il piano primo continuerà a ospitare alcuni uffici comunali e la Sala della Musica. Il cortile dei carri di via Capo delle volte – conclude Frasson – in questa fase verrà completato solo con una distesa di ghiaia, demandando invece la riqualificazione complessiva dello spazio alle prossime annualità in base alle disponibilità finanziarie del Comune».


Caserma e Cavallerizza “Pozzuolo del Friuli” e Palazzo Zanardi
L’ex Caserma e la Cavallerizza “Pozzuolo del Friuli” tra via Cisterna del Follo e via Scandiana, sono, insieme a Palazzo Zanardi, di proprietà di Cassa e Depositi Prestiti (CDP), spa controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze e, in minor parte, da diverse fondazioni bancarie. Riguardo ai primi due edifici – protagonisti dell’edizione 2019 di “Riaperture” – CDP, da noi interpellata, ci spiega come «siamo ancora alle prime fasi della valorizzazione urbanistica, e non riusciamo ancora a parlare della loro futura trasformazione». Palazzo Zanardi, costruito nel XVI secolo e acquistato dal Comune di Ferrara nel 1972, si trova invece in via de’ Romei, ed era di proprietà proprio della famiglia ferrarese che dà il nome alla via. Edificio di 1639 metri quadri, fu la storica sede dell’Assessorato alla Cultura e nel 2015 il Comune di Ferrara lo vendette a CDP, che ci spiega: «l’asset è in vendita e si presta a essere trasformato in residenziale, ma non ci sono attività urbanistiche in essere, né ad oggi prevediamo di intraprenderle».


Factory Grisù
L’immobile dell’ex caserma dei Vigili del fuoco (dal ’30 al 2004), nell’agosto 2012 è stato concesso dalla Provincia di Ferrara in comodato d’uso gratuito all’Associazione no profit “Grisù” che l’ha gestito fino al febbraio 2016, dando avvio al recupero degli spazi e alla selezione delle prime imprese che si sono insediate al suo interno. Il Consorzio Factory Grisù si è costituito a Ferrara nel febbraio 2016 con lo scopo di partecipare alla gara indetta dal Comune di Ferrara per la nuova gestione della factory creativa, ed è oggi il gestore dell’immobile fino al 2023.


Chiesa di San Giuliano
Il piccolo edificio in piazza della Repubblica, a ridosso del Castello, venne edificata nel 1405 dal camerlengo Galeotto degli Avogadri (o Avogari). Nel 1796 cessò la sua attività sacra e rimase chiusa per diversi anni. Per evitarne la demolizione, Don Pietro dalla Fabbra, la acquistò e donò alla città. Dopo diversi anni di successioni ereditarie, tornò proprietà dell’Arcidiocesi. Dopo i tanti restauri negli ultimi due secoli, e inaccessibile dal terremoto del 2012, oggi San Giuliano è sottoposta a diversi restauri post-sisma in fase di conclusione.

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 02 ottobre 2020

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L’enigma delle parole in una mostra ispirata a Michelangelo Antonioni

22 Giu

Nella Factory Grisù di Ferrara è visitabile la mostra “…E allora ridi” di Elisa Leonini e Sara Dell’Onze. Le due artiste riflettono su memoria e incomunicabilità, in “dialogo” col regista ferrarese. È una delle primissime mostre inaugurate a Ferrara dopo il lockdown

Per comunicato stampa“Dato che non voglio sentirmi triste… a volte rido, senza motivo”. “Allora ridi!”. Da queste battute di un dialogo tra Cloe e Christopher nell’episodio “Il filo pericoloso delle cose” (parte del film collettivo “Eros”), prende spunto il titolo dell’esposizione di Elisa Leonini e Sara Dell’Onze “…E allora ridi”, inaugurata sabato 20 giugno nella Green Lobby di Factory Grisù a Ferrara. Quella in via Poledrelli è in assoluto una delle prime in città dopo la fine del lockdown. Un “primato” quasi dovuto dato che avrebbe dovuto inaugurare il 29 febbraio scorso, se il timore – fondato – dell’imminente chiusura degli spazi pubblici non avesse convinto artiste e organizzatori a rimandare. Si tratta di un’installazione site specific realizzata a quattro mani, in parte già presentata nell’autunno del 2012 al Torrione, sede del Jazz Club, per il centenario della nascita del regista ferrarese. Allora il progetto espositivo si intitolava “A volte rido lo spazio di una notte”, mentre la mostra di Grisù, che vede l’aggiunta di alcune opere inedite, sembra appunto una risposta al titolo precedente. E così, in parte, è. Infatti, le opere esposte – sia su carta sia stampe su legno o su tessuto, oltre a un video – riprendono fotogrammi e brani delle sceneggiature di quattro pellicole del Maestro: “La notte”, “Deserto Rosso”, “Il grido” e “Il filo pericoloso delle cose”. Se la tristezza nelle opere di Michelangelo Antonioni assume spesso la forma di una malinconia dolce, di uno struggimento sordo, di un passato che riecheggia nelle parole e sui volti dei personaggi, allora è volutamente coraggioso ed enigmatico il tentativo delle due artiste di riflettere sul tema dell’incomunicabilità – così caro ad Antonioni –, scomponendo e ricomponendo brani dei dialoghi, frammenti visivi, proponendo nuovi significati e invitando il visitatore a fare altrettanto. “È una mostra importante – ci spiega Leonini -, anche per dare un segnale di ripartenza alla città, a Grisù e all’arte stessa, così penalizzata da questa emergenza ”. La scelta della Factory Grisù, tra l’altro, dipende anche dal fatto che, fra le varie attività, ospita la Scuola d’Arte Cinematografica “Florestano Vancini”. “Per questo – prosegue Leonini – volevamo dare un valore aggiunto agli allievi della Scuola, proponendo loro una visione ampliata, e differente, sul mondo del cinema”. La mostra dovrebbe rimanere a Grisù fino alla fine dell’anno o perlomeno fino a settembre – ottobre, per organizzare eventuali visite guidate per le scuole.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 26 giugno 2020

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“Un carcere più attivo e aperto”

17 Dic
Il Report dell’Associazione “Antigone” e i dati aggiornati del Ministero sulla Casa Circondariale di Ferrara: al 30 novembre, sono 264 i detenuti. Il problema del lavoro che non c’è. Moltiplicate, però, le attività e in aumento gli studenti. Le parole della Garante dei diritti dei detenuti di Ferrara, Stefania Carnevale: “le loro lamentele riguardano salute, lavoro, affetti e reinserimento”
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Ben 364 detenuti, di cui 143 stranieri (circa il 40% del totale), per una capienza totale di 244 posti, con un tasso di affollamento del 145,5%.
Sono i dati della Casa Circondariale di Ferrara, provenienti dal Ministero della Giustizia e aggiornati al 30 novembre scorso. Rispetto al totale delle persone detenute nelle varie carceri della Regione, sono meno di un decimo, essendo il dato aggiornato arrivato a 3.856 detenuti in Emilia-Romagna. Di questi numeri, in relazione soprattutto alla “qualità” della detenzione, si è discusso il 10 dicembre nella Factory Grisù di Ferrara, per la presentazione del Primo Rapporto sulle condizioni di detenzione in Emilia Romagna realizzato dalla sede regionale dell’Associazione “Antigone”.
lI carcere “Arginone” di Ferrara
Da alcuni anni “Antigone” anche in Emilia Romagna garantisce che ciascun carcere sia visitato almeno una volta all’anno. Così è stato fatto anche per la Casa circondariale ferrarese “Costantino Satta” (aperta nel 1992), visitata lo scorso 25 giugno. Al momento della visita erano 355 i detenuti (350 a inizio 2019), di cui 143 stranieri (circa il 40%, Nigeria, Romania, Marocco, soprattutto). In totale, 7 sono in semilibertà, 24 collaboratori di giustizia, 6 in Alta Sicurezza, 7/8 in osservazione per radicalizzazione livello medio-basso. 185 sono, invece, gli agenti di Polizia penitenziaria presenti, su 212 agenti previsti.
“Si nota subito il cambio di direzione e salutiamo con soddisfazione l’espressa volontà di applicare l’isolamento solo come extrema ratio”, è scritto nella Scheda di Antigone (disponibile su antigone.it). “L’istituto si presenta, come sempre, pulito ed efficiente ma sconta l’eccessiva circuitazione”, che rende “difficile l’offerta trattamentale stante la necessità di tenere separati molti dei detenuti tra loro e nonostante gli sforzi della direzione e dell’equipe trattamentale e l’aumento di attività negli ultimi anni. Diverse le convenzioni per lavori di pubblica utilità e numerosi gli art. 21 sebbene l’offerta di lavoro per datori di lavoro esterni sia invero contenuta a sole due unità. Numerosi i corsi scolastici – è scritto ancora -, tra cui degni di nota l’istituto alberghiero e quello agrario così come la possibilità di iscriversi a corsi universitari. La palestra è pulita e dotata di attrezzi, ma non riesce a soddisfare le numerose richieste dei detenuti”.
“Molte le aree destinate a produzioni orticole – sono ancora parole della Scheda -, destinate prevalentemente all’autoconsumo da parte dei detenuti e/o rivendute al personale al fine di finanziare l’attività medesima”. In generale, “l’istituto si trova in buone condizioni dal punto di vista strutturale, anche a seguito dei lavori di restauro successivi al terremoto che ha colpito la zona nel 2012. Le sezioni visitate non presentavano evidenti problemi di manutenzione, ad eccezione delle docce che sono collocate in locale separato dalla cella ove apparivano evidenti segni di umidità e delle schermature alle finestre”. “L’Area sanitaria è pulita e la palestra efficiente e con attrezzature per vari esercizi, l’area pedagogica è pulita e luminosa, vi sono 6 aule per le lezioni scolastiche (con 50 detenuti coinvolti in corsi, ndr) e una biblioteca con sala lettura (con 800 volumi, usata anche come sala lettura e per presentazioni letterarie, e nella quale è attivo anche il servizio interbibliotecario, ndr). Nelle salette per la socialità vi sono dei lavelli e nelle salette della socialità delle lavatrici. I semiliberi hanno a disposizione un refettorio per consumare i pasti tutti insieme”. Ricordiamo, infatti, che il carcere ferrarese è diviso in diverse sezioni: Sezione dei detenuti comuni, AS2,  “Protetti”, “Collaboratori di giustizia” (Sez. C), Congiunti dei collaboratori di giustizia (Sez. Z), “Nuovi giunti” (della quale una parte è utilizzata anche come repartino di isolamento), oltre alle 5 e 6 per condannati definitivi con pene superiori ai 5 anni.
“L’istituto di Ferrara – prosegue il testo – si caratterizza per l’ampiezza degli spazi esterni: molte le aree verdi che, gestite prevalentemente da una cooperativa (Viale K), sono state destinate alla coltivazione di ortaggi e frutta (Progetto “Galeorto”). L’ampio campo sportivo è frequentato anche da 100 detenuti alla volta”. Fra gli “eventi critici”, “Antigone” segnala: “secondo quanto riferito dalla polizia penitenziaria, i detenuti di origine magrebina comunicano il dissenso attraverso la pratica dell’autolesionismo. Invero, secondo quanto ci viene riferito, spesso l’autolesionismo si sostanzia nella protesta per la mancata somministrazione di psicofarmaci per lo più destinati allo spaccio interno”. Proseguendo, “dal 2010 è attivo il Laboratorio RAEE, volto allo smontaggio e pretrattamento di RAAE R2 (lavatrici, lavastoviglie, forni, ecc.) nell’ambito del quale sono stati assunti due detenuti: uno dal 2012 a tempo indeterminato e l’altro a tempo determinato di 6 mesi a ciclo continuo e scelto a rotazione dalla Coop. “Il Germoglio” di Ferrara”. Inoltre, “nel 2018 è stato aperto il Laboratorio Ricicletta dedito alla riparazione dei telai e delle camere d’aria delle biciclette. Inoltre, “dal 2005 è stata attivata, per la sola distribuzione interna ed in collaborazione con l’Asp di Ferrara, la Rivista periodica “l’Astrolabio”, e, in convenzione con l’Amministrazione comunale di Ferrara, un laboratorio teatrale. Esiste anche la squadra di calcio “Garegol” composta da 50 detenuti di tutte le età e le etnie. Infine, riguardo alla “sorveglianza dinamica”, “mancano le apparecchiature idonee […]. Sono state fatte richieste al Dipartimento”.
Stefania Carnevale, Garante dei Diritti dei detenuti del Comune di Ferrara, nell’incontro del 10 dicembre a Grisù, riguardo al carcere ferrarese ha spiegato come di positivo vi sia “che negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative di socializzazione ed educazione per i detenuti, e la struttura si è aperta molto alla città”. Dall’altra parte, però, “è un carcere dove le persone detenute hanno poche possibilità di lavorare per esterni. Dai miei colloqui coi detenuti di Ferrara emergono principalmente quattro tipi di lamentele”; ha proseguito: “la prima riguarda la salute, soprattutto per le lunghe liste d’attesa e la difficoltà di prenotare visite specialistiche; la seconda, il lavoro, in quanto tutti vorrebbero lavorare, e alcuni lamentano anche la poca trasparenza sui criteri riguardanti eventuali assunzioni; terzo, gli affetti, lamentando principalmente la distanza dalle famiglie; infine, il reinserimento sociale a fine pena, con situazioni anche drammatiche, per la mancanza di una casa dove andare a vivere, di un lavoro, e magari con le proprie famiglie lontane o disgregate”.
“Puntare sulla qualità della detenzione”: il dibattito a Spazio Grisù lo scorso 10 dicembre organizzato da “Spazio della Ragione” e “Antigone”
_5671L’iniziativa del 10 dicembre a Grisù, promossa dalla “Società della Ragione” e da “Antigone”, moderata e presentata da Leonardo Fiorentini, ha visto il saluto di Marcello Marighelli, Garante regionale dei detenuti (ed ex Garante del Comune di Ferrara), che ha sottolineato come “ancora troppo spesso vi è distanza tra il modello di carcere espresso nella nostra Costituzione e nelle leggi, e quello delle realtà concreta”. Ha preso poi la parola Andrea Pugiotto, Ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università di Ferrara, che ha posto l’accento sull’importanza, come fa “Antigone”, “del monitoraggio, dell’osservazione, della denuncia, del fornire criteri di giudizio e della conseguente proposta di soluzioni ai problemi”. La detenzione, infatti, “è spesso considerata come qualcosa fuori dal mondo, dalla realtà, quindi anche dalle leggi, ma non è così. E fortunatamente a livello nazionale, europeo e mondiale negli anni è stato riconosciuta, ad esempio, l’importanza della prevenzione della tortura ai danni di persone detenute, con la possibilità quindi di poter svolgere visite – da parte di figure professionali riconosciute -, anche senza preavviso, nei luoghi di detenzione. “Tutto ciò è fondamentale non solo per la tutela della persona detenuta, ma anche per l’apparato di sicurezza – perché, se avvengono abusi, non si possa generalizzare nell’assegnare eventuali responsabilità – e per lo stesso Stato. Il carcere, dunque – ha concluso Pugiotto – è un problema che riguarda ogni cittadino, l’intera comunità”. Infine, hanno preso la parola Alvise Sbraccia, Coordinatore del comitato scientifico di Antigone, e Giulia Fabini, fra le curatrici del rapporto per “Antigone” Emilia Romagna. I due hanno riflettuto sul tema del sovraffollamento delle carceri, e in particolare sulla questione della qualità della detenzione, in particolare riguardo al lavoro, alle cure sanitarie e all’organizzazione degli spazi interni.
Andrea Musacci
Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 20 dicembre 2019

“Non siamo criminali, la nostra è un’obbedienza morale”

13 Mag

Cecilia Strada (Mediterranea) e Claudia Vago (Finanza Etica) lo scorso 6 maggio sono intervenute nello Spazio Grisù di Ferrara per parlare del progetto che continua a salvare vite umane nel Mar Mediterraneo

cecilia strada“Prima, quando salvavamo vite, eravamo chiamati ‘angeli’. Poi siamo diventati ‘criminali’, ‘scafisti’, ‘amici dei terroristi’ ”. Con questa punta d’amarezza Cecilia Strada ha concluso il proprio intervento a Ferrara. Il 6 maggio scorso, nel tardo pomeriggio, presso lo Spazio Grisù in via Poledrelli, 21, si è svolto un incontro pubblico organizzato dal Gad – Gruppo Anti Discriminazioni con lei, ex presidente di Emergency, a rappresentare la piattaforma “Mediterranea”, e Claudia Vago di Finanza Etica, la Fondazione di Banca Etica, per parlare proprio del progetto “Mediterranea Saving Humans”. L’incontro, moderato da Marco Zavagli, direttore di Estense.com, ha visto, a seguire, presso l’attigua Hangar Birrerie, una cena di finanziamento del progetto. La serata, con più di 100 persone presenti, ha permesso di raccogliere oltre 650 euro. Quella pronunciata da Cecilia Strada è stata l’ennesima, ma sempre necessaria, denuncia di ciò che avviene nel Mar Mediterraneo, utile a spiegare il perché esiste “Mediterranea”: “la criminalizzazione delle ong che compivano salvataggi – ha spiegato – ha portato al fatto che le loro navi non presidiassero più il mare. Risultato: gli arrivi dalla Libia continuano (non si sono fermati come qualcuno ha detto, ndr) e le persone muoiono in mare perché non c’è più nessuno che le soccorre. Gli sbarchi, certo, sono diminuiti. Ma il tragico motivo è proprio questo. 1 persona su 10 muore cercando di attraversare il mare, prima era 1 su 40”, ha poi spiegato. Negli stessi giorni su Twitter Charlie Yaxley, portavoce dell’Unhcr per l’Africa e il Mediterraneo, ha fornito cifre ancora più tragiche: “nel 2019, una persona ogni tre ha perso la vita nel tentativo di arrivare in Europa lungo la rotta dalla Libia”, ha scritto. “Mediterranea – sono ancora sue parole – nasce quindi per cercare di soccorrere queste persone e, quando non riesce, perlomeno di denunciarne la loro scomparsa, che non avviene per disastri naturali inevitabili. Sempre nuove realtà continuano ad aggiungersi alla nostra piattaforma”, sempre più collaboratori e testimoni di chi racconta gli orrori subiti in prima persona, da famigliari, amici, “persone, ad esempio, che ci hanno spiegato come 2, 3, o 4 volte hanno tentato di attraversare il mare per arrivare in Europa, ogni volta catturate, riportate in Libia e torturate”. “Siamo disobbedienti, perché pensiamo che disobbedire sia giusto quando si va contro leggi ingiuste, si tratta di disobbedienza alla criminalizzazione delle ONG, di chi scappa da guerre e violenze. Al tempo stesso è un’obbedienza alla Convenzione di Amburgo (sulla ricerca e il salvataggio marittimo siglata nel 1979, entrata in vigore nel 1985, ndr), ai Trattati internazionali, alla Costituzione italiana: la nostra è la nave dei super-obbedienti, di un’obbedienza morale”. Un pensiero Cecilia Strada l’ha dedicato anche a don Mattia Ferrari (da noi intervistato su “la Voce” del 10 maggio scorso), sacerdote modenese salito per alcuni giorni sulla nave “Mar Jonio” di “Mediterranea”: “con lui condivido l’idea che la Chiesa debba stare tra gli ultimi. Stiamo andando nella stessa direzione – atei, agnostici e cattolici, o persone di diversa ispirazione politica -, perciò facciamo un pezzo di strada assieme. A bordo, tra l’altro, c’è anche il figlio del Ministro Tria”.

claudia vago“La nostra Fondazione si occupa delle ricadute non economiche di operazioni economiche, quindi delle ricadute sociali, di uguaglianza, rispetto dei diritti umani, contro il razzismo e le diverse forme di esclusione, contro la produzione e vendita di armi, il gioco d’azzardo e molto altro”. Così ha iniziato invece il proprio intervento Claudia Vago. “La Banca legata alla nostra Fondazione ha finanziato con un fido di 465mila euro il progetto Mediterranea, tramite ‘Ya Basta’ di Bologna”. ’Mediterranea’ da tempo ha attivato un crowfunding (raccolta fondi) con un obiettivo di 700mila euro, praticamente raggiunto. “Ora, certo, servono altri finanziamenti per far andare avanti il progetto. Con Banca Etica stiamo discutendo per un altro fido. Forse Mediterranea in futuro si trasformerà in Fondazione o assumerà comunque un’altra forma”. Di sicuro, c’è sempre bisogno che Mediterranea venga supportata: lo scorso 10 maggio ha salvato 30 naufraghi, prima di arrivare a Lampedusa, dove il giorno dopo è stata sequestrata dalla Guardia di Finanza.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 17 maggio 2019

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“C’è bisogno di una rivoluzione culturale: muoviamoci, affinché vinca la vita”

6 Mag

Difendere i beni comuni come diritti fondamentali: l’intervento di padre Alex Zanotelli a Ferrara. Lo stretto legame tra neoliberismo, migrazioni e crisi ecologica

z8Una sala gremita – più di 150 persone – ha assistito a Ferrara la sera di giovedì 2 maggio all’intervento di padre Alex Zanotelli. Il missionario comboniano è stato invitato dall’associazione “Il Battito della città” in occasione dell’incontro “Beni comuni a Ferrara. Ripubblicizzare acqua e rifiuti”, svoltosi nella Sala Macchine della Factory Grisù di via Poledrelli 21. La serata, introdotta e moderata da Marcella Ravaglia, ha visto anche gli interventi di Paolo Carsetti (Forum italiano Movimenti per l’Acqua) e Natale Belosi (Rete regionale Rifiuti zero). Fin da subito i presenti hanno capito che non si sarebbe trattato dell’intervento dal “pulpito” di un “esperto” ma della testimonianza umile e concreta di chi lo “scandalo” della povertà e delle enormi disuguaglianze le vive, conoscendone cause, conseguenze e drammi. “Al rione Sanità di Napoli [dove abita dal 2002, ndr] sono in missione. Normalmente si pensa che un missionario va a convertire nel luogo della sua missione: io invece mi sento un convertito. I poveri mi hanno convertito sia a Korogocho in Kenya sia a Napoli”. “Viviamo in un sistema economico-finanziario – soprattutto finanziario – che non fa che aumentare le disuguaglianze”, è stato il suo affondo, poggiante su dati incontrovertibili. Dal Rapporto Oxfam 2019, intitolato “Bene pubblico o ricchezza privata?”, emerge infatti come l’1% più ricco del Pianeta detiene quasi la metà della ricchezza aggregata netta totale (il 47,2%, per la precisione), mentre 3,8 miliardi di persone, pari alla metà più povera degli abitanti del mondo, possono contare appena sullo 0,4%. Disuguaglianze enormi, accompagnate anche da profondi sprechi. “Le migrazioni – ha proseguito p. Zanotelli – sono il frutto amaro di questo sistema profondamente ingiusto, un sistema che rimane tale anche grazie all’enorme produzione di armi, soprattutto quelle atomiche. Nel 2017 – sono ancora sue parole -, è andato in acquisti di armamenti qualcosa come 1739 miliardi di dollari. Se li spendessimo per scuole, ospedali, cultura e molto altro, trasformeremmo il mondo in un paradiso terrestre”. Per far comprendere come le migrazioni siano una stretta conseguenza di questo sistema ingiusto e predatorio, p. Zanotelli ha spiegato come “una delle conseguenze più enormi della crisi climatica sarà di rendere ampie zone dell’Africa inabitabili a causa dell’aumento della temperatura, e questo provocherà migrazioni ben più consistenti nei prossimi decenni”. Viviamo dunque, ha proseguito, “in un sistema economico-finanziario fortemente militarizzato che pesa enormemente sull’ecosistema”. A proposito della questione ecologica, p. Zanotelli cita più volte la “Laudato si’ ”, “un testo straordinario”. “La prima vittima della crisi ecologica – sono ancora sue parole – sarà proprio l’acqua, che sarà sempre più scarsa e quindi sempre più essenziale. Per questo i potentati economici continuano a metterci le mani sopra, perché sanno che è davvero ‘l’oro blu’. Ma questa appropriazione è la negazione di un diritto umano fondamentale, quello dell’accesso a un bene primario per la sopravvivenza, perché solo chi avrà i soldi sufficienti potrà comprarla. Acqua e aria sono beni comuni fondamentali, senza i quali non possiamo vivere”, e non possono quindi essere oggetto di profitto e speculazione. “Ognuno di noi come cittadino, e come comunità – è stato il suo appello – può e deve fare qualcosa, denunciando tutto ciò, attivandosi”, e anche attraverso il consumo critico, “ad esempio nella scelta dell’abbigliamento, e della stessa banca, informandoci su come investe i soldi, oltre a limitare fortemente i consumi stessi”. “C’è bisogno di una rivoluzione culturale per uscire da questa situazione, dobbiamo muoverci. E’ questione di vita o di morte: diamoci da fare, perché vinca la vita”.

“Se non diciamo ‘no’ qui e ora, salta la nostra umanità”: in un libro il j’accuse di p. Zanotelli contro il razzismo

copertina libro zanotelli“Prima che gridino le pietre. Manifesto contro il nuovo razzismo” è il nome dell’ultimo libro di p. Alex Zanotelli, uscito sei mesi fa per “ChiareLettere” con la curatela di Valentina Furlanetto. Un libro che fra i tanti meriti ha, oltre quello della chiarezza espositiva, quello di smontare attraverso episodi e dati, storici e di cronaca, diversi luoghi comuni sulle migrazioni contemporanee, ampliando lo sguardo sulla storia di colonialismi e sopraffazione di cui è triste protagonista il mondo occidentale. Migranti di oggi: lo 0,4% della popolazione europea… “Era facile donare per l’Africa o fare donazioni a distanza quando l’Africa era lì, lontana”, scrive il missionario nel libro. “Era facile dire ‘italiani brava gente’, ma ora che questa gente viene a casa nostra ci rivela che siamo razzisti”. E’, però, “semplicemente ridicolo parlare di invasione”. Sono i dati a smentire certa propaganda: secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), i rifugiati nel mondo sono 65 milioni, l’86% dei quali è ospitato nei Paesi più poveri. Appena il 14% si trova nel ricco Occidente. In Europa gli abitanti sono più di 500 milioni e gli immigrati arrivati negli ultimi sei anni sono meno di due milioni (lo 0,4%). “Eppure ne abbiamo una paura terribile”, scrive p. Zanotelli. “L’Europa ha perso la coscienza, la memoria e l’umanità. Ci preoccupiamo di difendere i nostri valori ‘cristiani’ di fronte ad altre religioni, ma quei valori li stiamo tradendo da soli”. Poco dopo scrive: “Dio non è neutrale, Dio è schierato profondamente. Dio è il Dio degli oppressi, degli schiavi, dei poveri perché Dio non può tollerare sistemi che opprimono e schiavizzano. Nell’esperienza dell’Esodo Dio libera un gruppo di schiavi dal più potente impero di allora. Dio li libera perché diventino una comunità alternativa all’impero. Dio sogna per il suo popolo un’economia di uguaglianza”. Nel libro l’autore denuncia alcuni dei tanti casi di razzismo e violenza contro stranieri avvenuti negli ultimi mesi in Italia, la campagna diffamatoria contro le ONG che salvano i migranti nel Mediterraneo, i patti scellerati fatti con la Libia e con la Turchia. Ai quali si sono aggiunti i diversi casi di chi sull’accoglienza dei migranti nel nostro Paese ci ha lucrato – di cui parla nell’Appendice la Furlanetto -, gestendo i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) col solo fine di massimizzare i propri profitti. Un sistema di “accoglienza” disumanizzante per i migranti e che ha prodotto veri e propri ghetti, permettendo ad alcuni disonesti (tra cui mafiosi, si veda l’inchiesta “Mafia Capitale”) di lucrare. Ciò che invece ha funzionato è stato il sistema SPRAR, gestito non dalle Prefetture, ma dai Comuni, molto più incentrato sull’accoglienza e l’inclusione, un modello da difendere come qualsiasi progetto di accoglienza diffusa.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 10 maggio 2019

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“Vi racconto le atroci condizioni di lavoro di chi produce i vostri capi di abbigliamento”

15 Apr

Il 12 aprile a Ferrara è intervenuta la sindacalista del Bangladesh Kalpona Akter e, a seguire, lo scrittore Giuseppe Iorio, per svelare il sistema di sfruttamento perpretato dai grandi colossi della moda

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“Ogni volta che acquistate un capo di abbigliamento, cercate di chiedetevi: ’che impatto ha il mio acquisto sui lavoratori e sul sistema ecologico?’”. E’ stato questo il monito rivolto ai circa 70 presenti da Kalpona Akter, sindacalista alla guida del Bangladesh Centre for Worker Solidarity, organizzazione a difesa dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Una vita, la sua, spesa in questa missione fin dall’età di 14 anni. Ora ne ha 43 e gira il mondo per denunciare le pessime condizioni di lavoro nel suo Paese e in altre zone del mondo, e le forti responsabilità delle grandi multinazionali occidentali della moda. Il pomeriggio di venerdì 12 aprile è intervenuta a Ferrara (Consorzio Factory Grisù in via Poledrelli) per l’incontro “Il lato oscuro della moda”, organizzato da AltraQualità, cooperativa ferrarese di professionisti del commercio equo e solidale, in occasione del Fashion Revolution day, movimento nato per ricordare le vittime del disastro del Rana Plaza di Dacca (Bangladesh), dove morirono 1133 lavoratori a causa del crollo della fabbrica di abbigliamento, e per promuovere una moda etica e sostenibile. Un’alternativa concreta, ha cercato di spiegare David Cambioli di AltraQualità, a “un sistema economico insensato che, in nome del profitto, non tiene mai in conto i diritti dei lavoratori, negando la loro dignità e il futuro stesso”. “Ho iniziato a lavorare nell’industria tessile del mio Paese insieme a mio fratello, quando di anni ne avevo 12 e lui 10. Ora lotto per cambiare il mondo”. Così ha esordito Akter. “Il Bangladesh è il secondo esportatore al mondo di abbigliamento, dà lavoro a 4 milioni di persone, delle quali l’80% sono donne. Sono persone, però, che lavorano 11-12 ore al giorno per 84 dollari al mese”. Una miseria. “Persone che – ha proseguito – vivono e lavorano in condizioni pessime a livello igienico e di sicurezza, per non parlare degli abusi psicologici, fisici (anche sessuali) molto frequenti. Ma tutti accettavamo queste condizioni perché non conoscevamo i nostri diritti, e nessuno ce ne parlava”. Fino al giorno in cui Kalpona ha deciso che era ora di cercare di capire e di alzare la voce. “Ho iniziato a studiare la legislazione e ho scelto di iniziare a organizzare altre lavoratrici e altri lavoratori per reclamare i nostri diritti. Avevo 15 anni quando sono entrata nel sindacato, che però non era riconosciuto da Governo e imprenditori, e perciò sono stata licenziata. Ma ho continuato a lottare”. Uno delle più terribili stragi sul lavoro al mondo, perlomeno in epoca moderna, è quella sopracitata di Rana Plaza, avvenuta il 24 aprile 2013. “Dopo questo evento – ha proseguito Akter – si è arrivati all’approvazione di un Accordo sulla sicurezza delle fabbriche e delle costruzioni in Bangladesh”, non firmato però da alcuni colossi come Walmart. “Anche ora l’Accordo è in pericolo, perchè ostacolato da diverse industrie e con i grandi brand che minacciano di ritirare i propri investimenti nel Paese. Inoltre, diversi parlamentari del Bangladesh sono strettamente legati o fan parte dell’industria tessile. Ciò che non è proprio cambiato – sono ancora sue parole – è la libertà di organizzarsi in sindacati, perché chi vi aderisce, viene prima invitato a lasciare l’organizzazione, poi minacciato e infine licenziato. Ciò che vi chiedo – ha concluso – è di fare il più possibile pressione sui brand della moda affinché accettino condizioni dignitose per le lavoratrici e i lavoratori delle loro aziende in Bangladesh e nel resto del mondo. Chi per 30 anni ha lavorato dall’altra parte della barricata è Giuseppe Iorio, impegnato per grandi marchi – tra cui Moncler, Vuitton, Versace, Dolce & Gabbana – proprio nell’organizzazione delle fabbriche delocalizzate in Europa dell’Est e Africa, prima di decidere di denunciare questo iniquo sistema. Iorio ha presentato il suo libro “Made in Italy – Il lato oscuro della moda” (uscito circa un anno fa per Castelvecchi). “Spesso un capo di abbigliamento – ha spiegato – può riportare la dicitura ’made in Italy’, in realtà però non è stato realizzato in Italia ma in un paese dell’est Europa o del terzo mondo, dove la tassazione per le imprese sono molto più basse, e molto più deboli le tutele per le lavoratrici e i lavoratori, oltre a scarsi o inesistenti i vincoli a tutela dell’ambiente. Non esiste però ancora una legge che obblighi le imprese a indicare il luogo reale dove i prodotti vengono fabbricati”. Riguardo agli stessi salari, ad esempio in Romania o Bulgaria (Paesi dell’Unione Europea…) “sono in continuo ribasso da dieci anni”, a causa di questa competizione sfrenata per cui gli Stati, pur di attirare le grandi imprese convincendole a delocalizzare, abbassano appunto costo del lavoro, tasse e vincoli ambientali. Questo naturalmente non solo rende questi Paesi terre di conquista e di sfruttamento da parte dei grandi marchi, ma impoverisce gli stessi Paesi d’origine, come appunto l’Italia, che si vede portare via di continuo imprese, lasciando per strada migliaia di lavoratrici e di lavoratori.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 19 aprile 2019

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Accoglienza e inclusione: a Ferrara tanti progetti dal basso

18 Mar

Più di 200 i presenti la sera del 15 marzo nell’assemblea pubblica alla Factory Grisù, per dimostrare come la nostra sia una “città aperta”

pubblico“Ferrara città aperta? Contro ogni forma di razzismo, per l’accoglienza, il dialogo interculturale, l’inclusione sociale” è il nome scelto per l’incontro svoltosi la sera di venerdì 15 marzo nella sala macchine della Factory Grisù di via Poledrelli. L’appuntamento, organizzato dalle Assemblee Civiche “Il Battito della Città”, “La Città che Vogliamo” e “Addizione Civica”, ha visto alternarsi diversi relatori, ferraresi e non, ognuno in prima linea nel rendere le parole accoglienza, dialogo e inclusione, pratiche quotidiane per le quali impegnarsi in prima persona. Le testimonianze sono state intramezzate da alcune letture di Fabio Mangolini, che ha esposto il “Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica” di Alexander Langer, e dai brani della cantautrice Sakina Al Azami. Il primo a prendere la parola è stato Guido Barbujani, docente dell’Università di Ferrara, genetista e scrittore, che ha spiegato come da un punto di vista scientifico sia privo di senso parlare di razze, nonostante i tentativi da parte della scienza in epoca moderna di arrivare a una classificazione. “Tutte le differenze che esistono tra gli esseri umani fanno parte dell’1X1000, mentre il 99,9% ce lo abbiamo in comune”, ha commentato. Adam Atik, Presidente di “Cittadini del mondo”, ha poi riflettuto sull’“importanza di instaurare un rapporto con le persone straniere e con i migranti, e di non guardare solo i dati e le statistiche, quindi di un lavoro di cittadinanza attiva, mettendoci ognuno in prima persona per risolvere le situazioni di degrado”. E’ stato poi proiettato un video realizzato dall’associazione “Occhio ai media” sui casi di razzismo in Italia, sul cui aumento lo scorso luglio l’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha espresso “profonda preoccupazione”. Un esempio concreto di partecipazione solidale dal basso sono le Cucine Popolari di Bologna, nate nel 2014, dirette da Roberto Morgantini, recentemente insignito dal Presidente Mattarella del titolo di Commendatore della Repubblica. Attualmente sono tre, una quarta aprirà a breve ma l’obiettivo è di arrivare a sei, quanti sono i quartieri del capoluogo emiliano. “E’ più di una mensa, è una mensa-comunità” – ha spiegato Morgantini – che dà più di 200 pasti al giorno, “cercando di coinvolgere l’intera cittadinanza”, tra cui scuole e parrocchie. Il cibo è anche “strumento per creare inclusione e una fitta rete di relazioni e di scambi”. Altre iniziative presenti nelle Cucine sono una piccola libreria, il “caffè sospeso”, ma anche altri “sospesi” come può essere un giornale quotidiano o un biglietto per il teatro, perché la persona ha bisogno anche di socialità, cultura e informazione. “La parola chiave è apertura, intesa come accoglienza e contaminazione tra culture e identità”, ha proseguito: “non sottraiamo le persone a questa bellezza, altrimenti viene meno il senso stesso della vita”. Ha preso poi la parola Leaticia Ouedraogo, 21 anni, originaria del Burkina Faso, studentessa di lingue al Collegio internazionale di Ca’ Foscari, diventata famosa un anno fa per aver risposto con una lettera diventata virale a un anonimo che sulla parete di uno dei bagni dell’Ateneo aveva scritto: “Onore a Luca Traini. Uccidiamoli tutti sti negri”, accompagnato dalla svastica nazista e dalla croce celtica fascista. “Voglio parlarti, capire perché tu mi voglia uccidere – era un passaggio della lettera -, visto che sono negra. Sono impaurita, non perché io abbia paura di essere uccisa, ma mi spaventano le ragioni per cui verrei uccisa. Come puoi pensare di uccidere qualcuno solo per il colore della sua pelle?”. “Spesso mi sento ’l’altro’ di qualcuno – ha spiegato Leaticia a Grisù -, nelle nostre città troppo volte assediate da odio e paura: ma ognuno di noi purtroppo può essere ’l’altro’ di un’altra persona”. La seconda parte della serata è proseguita con le testimonianze di buone pratiche di accoglienza e inclusione nella nostra città: sono intervenuti Viera Slaven (Ufficio Immigrati Cgil di Ferrara), sull’importanza di raccontare di come vivono le badanti, Marco Orsini (coop. Cidas) sull’affiancamento familiare dei ragazzi stranieri, Domenico Bedin (Viale K), Malek Fatoum (“Occhio ai media”), Marzia Marchi (insegnante Cpia e tutrice volontaria MSNA) ed Elena Buccoliero (Responsabile ufficio Diritti dei Minori – Comune di Ferrara).

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” il 22 marzo 2019

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(foto Francesca Brancaleoni)

“Riaperture”, nuova associazione nella Factory Grisù

10 Giu

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(foto di Valerio Spisani)

Una nuova associazione culturale fondata da sette giovani fotografi ferraresi, più o meno professionisti, che intende far luce sugli ingranaggi nascosti della fotografia e dunque del vivere quotidiano. Si presenta così “Riaperture”, nuovo progetto artistico-culturale che verrà presentato oggi alle 19.30 nella sede della Factory Grisù in via Mario Poledrelli, 21.

“Vogliamo portare a Ferrara in spazi dimenticati – scrivono i fondatori – nuova energia vitale, attraverso percorsi cognitivi fatti di immagini, parole e azioni. Percorsi espositivi, attività formative e momenti di riflessioni emozionali che portino il visitatore a farsi domande, a scavare nelle proprie viscere”. I giovani ideatori di questo progetto sono Claudia Baldassarra, Maria Chiara Bonora, Giacomo Brini, Francesca Menghi, Valerio Spisani, Elisa Valandro e Fabio Zecchi. Oggi in occasione dell’inaugurazione vi sarà la mostra “3×7”, il dj set di Valerio Spisani, un mercatino di macchine fotografiche, un gioco fotografico. Ingresso 5 euro.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 10 giugno 2016

Dopo la Biennale di Venezia, il progetto “BR” sbarca a Ferrara

8 Nov

grisùL’arte unisce Spazio Grisù e la Biennale di Venezia. Dopo aver inaugurato durante quest’ultimo evento, il “Progetto BR” sbarca a Ferrara, in via Poledrelli, 21, dove inaugura oggi alle ore 17 e rimarrà in permanenza.

Il progetto nasce da un’idea di Silvia Donini e rientra tra le attività collaterali del Padiglione Italia, coordinate da Vincenzo Trione, alla 56ma edizione della Biennale di Venezia. “BR” inteso come “Barone Rampante” e come sogno sovversivo di vivere sugli alberi, ma attualizzato per i giovani di oggi.

L’artista ferrarese, in collaborazione con alcune imprese che operano nella “Factory creativa” di via Poledrelli ha infatti ideato delle panchine sospese sugli alberi, in cui è possibile ricaricare smartphone e tablet.

“Ho pensato – spiega la Donini – a sedute ecologiche e relazionali, alimentate da pannelli solari. La tecnologia, in questo caso, unisce i ragazzi, mentre digitano, anziché dividerli in isole di incomunicabilità”.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara l’8 novembre 2015