
Centenario di don Giussani: mons. Santoro (Delegato Memores Domini) e Prosperi (Presidente CL) in dialogo su nichilismo e pienezza di vita. A partire dalla domanda: “Perché esisto?”
Come rispondere alle domande fondamentali dell’uomo? E soprattutto come viverle, diventando testimoni della verità in un mondo che sempre più sembra smarrire i criteri essenziali per interpretare la realtà?
Quesiti sui quali Comunione e Liberazione ha riflettuto la sera del 9 febbraio in un incontro che ha visto confrontarsi tra loro mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto e dallo scorso settembre “delegato speciale” del Papa presso i Memores Domini, e Davide Prosperi, Presidente della Fraternità di CL.
A Ferrara l’incontro, aperto a tutti, è stato trasmesso in diretta dalla Sala Estense. Un appuntamento che ha visto la partecipazione di circa 150 persone, fra cui molti giovani.
I relatori, in particolare, hanno riflettuto sul testo, da poco edito, “Dare la vita per l’opera di un Altro”, che raccoglie gli ultimi interventi di don Luigi Giussani agli Esercizi della Fraternità, dal 1997 al 2004, e che costituisce il testo a partire dal quale si lavorerà durante le Scuole di comunità, per poi arrivare al prossimo appuntamento condiviso in programma il 23 marzo.
Riscoprire il cuore dell’annuncio cristiano è, da sempre, ciò che muove il movimento di Comunione e Liberazione. Ma riscoprire quella «passione per il fatto cristiano» in un mondo sempre più desacralizzato e nichilista può sembrare una fatica di Sisifo. Partendo dal sopracitato testo di don Giussani, mons. Santoro ha tentato innanzitutto di ripercorrere quel momento nella storia – nel XVIII secolo, quello cosiddetto dei lumi -, in cui il razionalismo ha preso il sopravvento, illudendo «l’uomo che con la propria ragione potesse considerarsi misura di tutte le cose». Da quel momento Dio è espulso dalla vita personale e collettiva, dalla storia. «L’uomo cede alla tentazione di pensare che si fa da solo», con la conseguenza, inevitabile, «che nulla abbia reale consistenza».
La risposta della Chiesa fu di «arroccarsi», per difendere, giustamente, la morale del popolo. Ma così finì per «dare per scontata l’evidenza del contenuto dogmatico, obliterando la forza originaria del cristianesimo», cadendo nel duplice errore del moralismo e dell’azione a tutti i costi «a scapito dell’annuncio della “lieta notizia”, della passione per il fatto cristiano».
“Per chi si vive?”: questa è la domanda fondamentale da cui partire per fondare ogni azione e ogni morale. Ripensare al mistero della propria esistenza, alla domanda: “Chi è Dio per l’uomo?”. Dio e l’io al centro, quindi, insieme: che «Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15, 28) e al tempo stesso «che l’io sia salvato come autocoscienza del cosmo e come colui che – unico nel creato – ha sete di Lui, desiderio di eternità». Riscoprendo, quindi, la domanda sul senso: «Perché esisto?».
Il razionalismo, nelle sue due forme prevalenti del nichilismo e del panteismo, ha portato, invece, l’uomo a scivolare nel nulla. La conseguenza, inevitabile, della perdita di un fondamento, è che «l’uomo cada in balia del potere» e della competizione per raggiungerlo. Tutto è nel potere dell’uomo, a sua disposizione: così, egli diventa schiavo del potere, dell’effimero, di ciò che non può soddisfare la sua sete di Assoluto. Il peccato è questa «estraneità» a sé e al suo fondamento ultimo, «il non riconoscere ciò che è come coerente con Dio, il non domandare di essere, non anelare a un compimento», a una pienezza.
Abbiamo bisogno, invece, come ha riflettuto Prosperi, di «testimoni del giudizio», di persone capaci di riempire di senso ogni aspetto della nostra esistenza, di «testimoniare la verità» sull’uomo e sul mondo. Di mostrare con la propria vita che «lo star bene non è l’assenza di problemi e l’affidarsi solo a ciò che ci fa comodo» ma appunto «il sentirsi in Dio, nell’Essere», e alla Sua luce illuminare il nostro cammino e ogni nostra esperienza, anche quotidiana.
Il «domandare l’Essere», come diceva don Giussani, è la domanda sulla verità, sul Mistero. Uno sforzo per nulla scontato, dato che la realtà nella sua dimensione più profonda non è immediatamente conoscibile, ma «velata, buia, è segno» che, appunto, rimanda ad altro. Quella nebbia si può, anche se non pienamente, diradare: serve, però, avere uno «sguardo colmo di stupore che ci permetta di vedere nella realtà l’Altro, Colui che l’ha creata nella sua Grazia».
Andrea Musacci
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 febbraio 2022
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(Immagine: da “Il Vangelo secondo Matteo” di P. P. Pasolini, 1964)
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