Archivio | aprile, 2025

Papa Francesco e la Misericordia: quella porta sempre aperta

30 Apr

di Andrea Musacci

Il 21 aprile – Lunedì dell’Angelo – chi almeno per un istante non ha vissuto la tentazione della disperazione? Chi, immerso nella notizia più bella – quella della Resurrezione – non ha provato tristezza, smarrimento all’annuncio della morte del Santo Padre? Eppure, «anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me»1.

Lo stesso Papa Francesco ci ha insegnato che la morte «va affrontata e preparata come passaggio doloroso e ineludibile ma carico di senso: quello dell’estremo atto di amore verso le persone che si lasciano e verso Dio a cui si va incontro»2.

Da quando Jorge Mario Bergoglio ha esalato l’ultimo respiro, non sono mancate, da ogni dove, rincorse affannose ad intestarsi più o meno presunte affinità col magistero che questo Papa ha alacremente intessuto nei 12 anni di pontificato. “Pace”, “giustizia”, “povertà” sono solo alcune delle parole che hanno risuonato ovunque, dai grandi media ai piccoli chiacchericci nei bar o nelle chat. Ma in questi giorni troppo saturi di opinioni, lo Spirito ci ha suggerito un vocabolo che sostiene e vivifica tutti gli altri: misericordia. Non a caso, lo stesso Papa Francesco scriveva: «La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole»3. Parole scritte esattamente 10 anni fa, nella Bolla di indizione di un altro Giubileo, proprio quello Straordinario della Misericordia.

E appena eletto, Bergoglio scelse come suo motto “miserando atque eligendo”, tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile4, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: «Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me» («Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: “Seguimi”»). Omelia che quindi è omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di S. Matteo. E che ha un significato particolare nella vita e nell’itinerario spirituale del Papa; infatti, nella festa di San Matteo del 1953, il 17enne Jorge Bergoglio sperimentò la presenza amorosa di Dio nella sua vita: dopo una confessione, si sentì toccare il cuore e avvertì che il Signore lo chiamava alla vita religiosa.

Il suo secondo “motto” – «Non dimenticatevi di pregare per me» – sta in questo solco: quello dell’uomo che riconosce la propria miseria ed è quindi bisognoso – per non sprofondare nel proprio peccato – dell’Amore di Dio e del perdono del prossimo. Così dunque Papa Francesco ha immaginato la Chiesa, come ben sintetizzato dal card. Giovanni Battista Re nell’omelia delle esequie: «una Chiesa capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite».

Questo aspetto molto concreto, fisico della misericordia lo sprigiona un termine, rahamîm, usato nell’Antico Testamento 39 volte, col quale si designa «quasi sempre il grembo materno, le viscere generative, e si trapassa a un significato emozionale, destinato soprattutto a esaltare la misericordia tenera del Signore»5. 

Della vicinanza fisica con tutti, specialmente i più fragili, Papa Francesco ha fatto un tratto distintivo del suo stile, ricevendone indietro un calore personale, una supplica della sua presenza, fino all’ultimo e oltre, anche quando il suo povero corpo ormai spento riposava nella bara per l’esposizione; e persino dopo, durante i funerali, il suo popolo gli è stato vicino, lo ha seguito, cercato, accompagnato fino alla sepoltura. Proprio perché attraverso lui, lungo quella strada, quelle persone cercavano una sola cosa: Misericordia.

Ma il primo movimento è quello del Padre: «È sempre lui che viene a noi: Dio si fa nostro prossimo», scriveva un altro gesuita, De Certeau, commentando il racconto dei discepoli di Emmaus. «A queste pecore senza pastore, a questi malati senza medico, a questi uomini spogliati delle loro speranze ma ancora abitati dal suo ricordo e che lo cercano anche là dove sanno bene di non trovarlo; proprio in questo povero tesoro dei sogni perduti, Gesù si avvicina»6.

Papa Francesco, tanto con la sua dolcezza quanto con la sua parresia, ci ha dunque ricordato che la via della speranza è percorribile da chiunque (con ai piedi le proprie scarpe consunte, come le ultime che lui stesso ha voluto indossare), perché il Dio vivente ha avuto misericordia di me, di te, di ognuno. La porta del Regno è ancora una volta, per sempre, aperta.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 2 maggio 2025

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NOTE

1 Sal 22.

2 Papa Francesco, Misericordia et misera, 15.

3 Papa Francesco, Misericordiae vultus, 10.

4 Om. 21; CCL 122, 149-151.

5 https://www.famigliacristiana.it/blogpost/rahamim-viscere-di-misericordia.aspx .

6 Michel de Certeau, I pellegrini di Emmaus (Cittadella Editrice, 2009).

A testa alta per il lavoro

24 Apr

1° maggio. Nonostante il silenzio dei media principali, sono tante le lotte per la dignità dei lavoratori in Italia

Nonostante la retorica che avvolge una certa narrazione sul 1° maggio, sul lavoro che manca o è mal retribuito, sui media e nei dibattiti che raggiungono milioni di persone nel nostro Paese, è praticamente impossibile sentir parlare delle lotte che settimanalmente lavoratrici e lavoratori portano avanti – con grandi sacrifici – per un lavoro più dignitoso e un futuro migliore per l’intera comunità. Ecco alcune vertenze aperte o appena concluse.

«In questi giorni, e oggi (18 aprile, ndr) in particolare, in Stellantis negli stabilimenti di Mirafiori, Verrone, Pratola Serra, Termoli, Atessa, Cassino; in Iveco negli stabilimenti di Piacenza, Foggia, Torino, Brescia, Suzzara; in Cnh Industrial a Torino, le lavoratrici e i lavoratori stanno scioperando per chiedere un giusto salario». A dirlo sono Samuele Lodi (segretario nazionale Fiom Cgil) e Maurizio Oreggia (coordinatore nazionale automotive Fiom Cgil). «La trattativa per il rinnovo del biennio economico del Ccsl – spiegano i due dirigenti sindacali – non sta proseguendo e sta determinando una vera e propria emergenza salariale, a causa del carico degli ammortizzatori sociali che, soprattutto in Stellantis, stanno pesando strutturalmente ormai da anni».

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«Un’adesione media dell’85% con punte fino al 100% a Genova e Rimini”». A riferirlo unitariamente Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti sullo sciopero di tutti i driver della filiera dell’ultimo miglio di Amazon, svoltosi la scorsa settimana, sottolineando che «hanno sostanzialmente lavorato solo gli addetti con contratto precario».

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La scorsa settimana è stato proclamato lo stato di agitazione del personale di e-distribuzione, società del gruppo Enel, da parte di Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil. I sindacati hanno attivato la procedura di raffreddamento e conciliazione prevista dagli accordi sul diritto di sciopero nel settore elettrico. La situazione è precipitata dopo la comunicazione aziendale del 14 aprile, in cui si annuncia l’intenzione di procedere unilateralmente all’applicazione del nuovo orario da maggio, nonostante il parere negativo espresso da tutte le articolazioni sindacali sugli esiti della sperimentazione svolta in quattro Unità Territoriali pilota. Le segreterie nazionali di Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil attendono ora una convocazione nei tempi previsti dagli accordi. I sindacati denunciano anche la carenza strutturale di organico, i  carichi di lavoro eccessivi e il degrado delle sedi.

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A pochi mesi dalla sottoscrizione di accordi sindacali in materia di lavoro agile e integrativo aziendale, la direzione di Telemat, azienda che opera nei servizi all’impresa e agli enti pubblici, ha comunicato l’intenzione di licenziare 21 dipendenti su 30 nel sito di Bassano del Grappa (Vicenza). Nell’incontro del 14 aprile presso la Direzione lavoro della Regione Veneto, Slc Cgil e Cgil regionale hanno chiesto «il ritiro dei licenziamenti a favore di un percorso che, attraverso gli ammortizzatori sociali e la formazione, possa andare nella direzione di un’integrazione tra le due aziende, contenendo gli esuberi o al massimo riducendoli a esodi volontari».

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Una buona notizia dalla moda: è stato emanato il 7 aprile dal Ministero del Lavoro il decreto di concessione dei contratti di solidarietà per i dipendenti del gruppo Florence, società operante nel settore della moda, al servizio dei più importanti brand del lusso con produzioni del prét-a-porter, pelletterie e calzature. Con l’attivazione dell’ammortizzatore sociale si è riusciti a scongiurare i 224 esuberi che l’azienda aveva annunciato. I contratti di solidarietà, con valenza retroattiva al 17 marzo, si concluderanno il 16 marzo 2026. A essere interessati sono i lavoratori degli stabilimenti di Arezzo, Torino, Firenze, Perugia, Nardò (Lecce), San Miniato (Pisa), Quarrata (Prato), Sant’Egidio alla Vibrata (Teramo), Urbania (Pesaro), Calenzano, Castel Fiorentino e Montelupo Fiorentino (Firenze).

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Altra buona notizia dalla vertenza Beko: «Abbiamo firmato un buon accordo, che è stato approvato da oltre l’88% delle lavoratrici e dei lavoratori degli stabilimenti: questo il primo commento della segretaria nazionale Fiom Cgil Barbara Tibaldi all’intesa siglata il 14 aprile al Ministero delle Imprese. «È grazie alla lotta delle lavoratrici e dei lavoratori che, ancora una volta, siamo riusciti a raggiungere un accordo che garantisce il lavoro e un settore strategico come l’elettrodomestico», prosegue la dirigente sindacale: «Quest’accordo costituisce un precedente importante nelle modalità e nel merito». L’accordo riduce gli esuberi, dichiarati dalla multinazionale turca del gruppo Arçelik, da 1.935 a 937, più i 287 del sito di Siena (per un totale di 1.224). Le lavoratrici e i lavoratori di Siena potranno accedere agli ammortizzatori sociali conservativi e alle uscite incentivate volontarie, evitando così i licenziamenti. È stata scongiurata la chiusura della fabbrica di Comunanza (Ascoli Piceno), mentre il sito di Cassinetta (Varese) continuerà l’attuale produzione di frigoriferi che doveva essere ridimensionata.

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La Filt Cgil Milano ha proclama lo stato di agitazione e sciopero in tutti gli appalti che coinvolgono le aziende Brivio & Viganò Logistics, Cap Delivery e Deliverit, operanti nella logistica per Esselunga. Lo sciopero è stato dichiarato a partire dal 18 aprile fino alle ore 2 di domenica 20 aprile, con presidi in tutta la regione presso i siti di Settimo milanese (MI), Dione Cassio (MI), Varedo (MB) e Lallio (BG).

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Infine, Pasqua amara per le lavoratrici e i lavoratori Gurit : il 18 aprile lo stabilimento di Volpiano (Torino) ha chiuso. A fine gennaio la società svizzera aveva annunciato la chiusura dell’impianto, attivo nella produzione di componenti per turbine eoliche, e il licenziamento dei 56 dipendenti (cui si aggiungevano altri 20 addetti in somministrazione). Malgrado oltre due mesi di trattative, l’azienda è rimasta irremovibile. 

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 25 aprile 2025

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(Foto Yury Kim – pexels.com)

Morire per la patria terrena col cuore nella Patria celeste

16 Apr

Le ultime memorie di partigiani cattolici italiani uccisi dai nazifascisti: «alla fine rimane solo ciò che è santo e si implora Dio»

di Andrea Musacci

«Avevamo vent’anni e oltre il ponte

oltre il ponte ch’è in mano nemica

vedevam l’altra riva, la vita

tutto il bene del mondo oltre il ponte.

Tutto il male avevamo di fronte

tutto il bene avevamo nel cuore

a vent’anni la vita è oltre il ponte

oltre il fuoco comincia l’amore».

(“Oltre il ponte”, I. Calvino, S. Liberovici, 1959)

Dai dati dell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (www.straginazifasciste.it) risultano 5.862 gli eccidi nazifascisti commessi in Italia fra l’8 settembre ’43 e il 25 aprile ‘45, nei quali hanno perso la vita 24.384 persone (53% civili, 30% partigiani). Fra i tanti resistenti antifascisti giustiziati in questi 20 mesi, non pochi sono i cristiani (perlopiù cattolici e  alcuni valdesi della Valle del Pellice). Perlopiù inquadrati nelle Brigate “Fiamme Verdi”, i partigiani che alla Fede in Gesù Cristo univano quella in una patria terrena fondata sulla fraternità, la libertà e la giustizia portano con sé memorie di eroismi che a noi paiono davvero d’altri tempi. Il beato Teresio Olivelli, il beato e Giusto tra le Nazioni Odoardo Focherini, entrambi morti nel Campo di concentramento tedesco di Hersbruck, sono alcuni dei laici martiri più noti, oltre a tanti nomi di partigiani cattolici famosi come Giuseppe Dossetti, Tina Anselmi, Enrico Mattei, solo per citarne alcuni. 

Ma rileggendo le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (prima edizione: Einaudi, 1952) sono tanti i nomi di giovani cattolici che consapevolmente han dato la vita affinché il male radicale incarnato dal nazifascismo non dominasse l’avvenire della propria patria.

Qui ne citeremo – per mere ragioni di spazio – solo alcuni. Uomini (e una donna) che già pregustavano l’Eternità, l’incontro col Signore della vita e della morte. Loro, quasi tutti giovani contadini, operai, studenti, che anche quando scelsero come luogo di azione politica le brigate comuniste o socialiste, mai persero la fede in Cristo.

UNA GRANDE CERTEZZA

Meccanico 20enne torinese, Armando Amprino viene fucilato il 22 dicembre ’44; scrive poco prima di morire: «Vado alla morte tranquillo assistito dal Cappellano delle Carceri che, a momenti, deve portarmi la Comunione (…). Dietro il quadro della Madonna, nella mia stanza, troverete un po’ di denaro. Prendetelo e fate dire una Messa per me. La mia roba, datela ai poveri del paese». 

Mario Bettinzoli (Adriano Grossi, nome di battaglia, e così d’ora in poi per i nomi tra partentesi), perito industriale bresciano di 22 anni, lascia nella sua missiva: «spero mi perdonerete come il Signore mi ha perdonato qualche minuto fa per mezzo del suo Ministro. Domattina prima dell’esecuzione della condanna farò la Santa Comunione e poi…Ricordatemi ai Rev. Salesiani e ai giovani di A.C. affinché preghino per me».

32enne bibliotecario originario de L’Aquila, Giulio Biglieri viene invece fucilato a Torino il 5 aprile ’44. Due giorni prima, scrive all’amico Borasio: «Un amico mi ha convinto a prendere i sacramenti. Mi sono già confessato, tra poco mi comunicherò. Lo faccio non tanto perché sia giunta finalmente la fede che tu hai. No, purtroppo, ma dal profondo dell’anima il gesto di umiltà e di pace ha riguadagnato le sfere della coscienza. Ne sono lieto e muoio tranquillo: se Dio c’è, Esso non potrà scacciarmi lontano».

È stato invece fucilato il 3 marzo 1945 a Torino Alessandro Teagno (Luciano Lupi), perito agronomo di 23 anni, che al papà scrive: «Abbi fede anche tu in Dio. Io non l’ho avuta per lungo tempo. Ma ora ho la certezza che una Giustizia Suprema deve esistere!».

«UN LUOGO PIÙ BELLO, PIÙ GIUSTO E PIÙ SANTO»

Studente romano in ingegneria, Mario Batà ha 26 anni quando viene fucilato dai tedeschi a Macerata. Scrive poco prima ai genitori: «Pensate che non sono morto, ma sono vivo, vivo nel mondo della verità. (…). La mia anima sta per iniziare una nuova vita nella nuova era. Desidero che la mia stanza rimanga com’è…io verrò spesso».

«Quello che io sto per passare è niente in confronto di tutto ciò che a passato e sofferto Gesù Cristo per noi, e sono contento che in questo momento ce qui il sacerdote che mi assiste e mi consola»: così scrive alla madre Paolo Casanova, umile fornaio 21enne di Altamura, fucilato a Verona il 9 febbraio ‘45.

Un sacerdote, don Aldo Mei, 32 anni originario di Lucca, fucilato il 4 agosto ’44 nella sua città, scrive, invece, ai propri cari: «Dio non muore. Non muore l’Amore! (…). Raccomando a tutti la carità. Regina di tutte le virtù. Amate Dio in Gesù Cristo, amatevi come fratelli. Muoio vittima dell’odio che tiranneggia e rovina il mondo – muoio perché trionfi la carità cristiana». 

Il ragusano Antonio Brancati, studente 23enne, è una delle vittime dell’eccidio di Maiano Lavacchio (GR): «Dispiacente tanto se non ci rivedremo su questa terra», scrive ai genitori; «ma ci rivedremo lassù, in un luogo più bello, più giusto e più santo».

SOCIALCOMUNISTI E INSIEME CRISTIANI

È un’umile casalinga savonese di 25 anni, Franca Lanzone, la partigiana comunista che così scrive al marito Mario prima di essere uccisa il 1° novembre ‘44: «Dio solo farà ciò che la vita umana non sarà in grado di adempiere». E un altro giovane comunista, Pietro Binetti (Boris), meccanico 20enne genovese, fucilato il 1° febbraio ’45, scrive: «Ciò che ho fatto è dovuto al mio fermo carattere di seguire un’idea e per questo pago così la vita, come già pagarono in modo ancora più orrendo ed atroce migliaia di seguaci di Cristo la loro fede». 

Quinto Bevilacqua, operaio mosaicista di 27 anni nato a Marmorta (BO), scrive alla madre: «Tuo figlio è innocente dell’accusa che gli hanno fatto, perché accusato di terrorismo (…) ed invece non era che un semplice socialista che ha dato la sua vita per la causa degli operai tutti». Ma poi aggiunge rivolto a entrambi i genitori: «se dall’al di là è possibile venirvi a trovare non mancherò».

MISERICORDIA DI DIO E PERDONO DEGLI UOMINI

Aveva appena 23 anni, invece, Attilio Martinetto (foto), finanziere astigiano fucilato il 25 aprile 1945 (!) a Cuneo. Alla sua fidanzata Anna Maria (alla quale donò la vita facendosi arrestare al suo posto affinché lei fosse liberata) scrive, poche ora prima della morte: «Sai Anna Maria cosa rimane all’ultimo di tutto? Solo quello che è santo e puro della vita. (…). Anna Maria, sapessi mai cos’è la vita vista dalla soglia dell’eternità, quale miseria (…). La fede ci fa provare orrore, ma nell’istante stesso, ci dice che Dio è infinitamente grande. E allora si implora la sua misericordia».

E il vivere la misericordia di Dio può portare persino a perdonare i propri carnefici: il torinese Giovanni Mecca Ferroglia, elettricista di 18 anni, fucilato l’8 ottobre ’44 a Torino, scrive riprendendo alcune delle parole di Gesù sulla croce: «Quelli che mi hanno condannato li perdono perché non sanno quel che si fanno». 

Come Giancarlo Puecher Passavalli (20enne dottore in legge, milanese, fucilato il 21 dicembre ’43 a Erba): «Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia». E così scrive il 52enne possidente e studioso Gian Raniero Paulucci de Calboli Ginnasi, forlivese fucilato il 14 agosto ’44 nella sua terra: «Abbiate fede e sappiate perdonare, tutto e tutti».

Ecco il più grande lascito umano che questi uomini e queste donne ci han donato: far nascere un mondo nuovo all’insegna della comunione, della fede e della libertà, dove non vinca il rancore, la competizione, il disprezzo. Siamo stati capaci di esserne degni eredi?

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 aprile 2025

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Quella memoria che apre al futuro: padre Guido Bertagna a Ferrara

15 Apr
https://www.ntr24.tv/2018/10/17/la-figlia-di-aldo-moro-incontra-lex-brigatista-faranda-nel-segno-della-giustizia-riparativa/

Il gesuita ha portato avanti progetti di incontro tra ex terroristi e loro vittime o parenti delle stesse. Il caso più noto, quello della figlia di Aldo Moro, Agnese

“La riconciliazione: una speranza possibile” è stato il titolo scelto per la lezione della Scuola diocesana di teologia per laici “Laura Vincenzi” svoltasi a Casa Cini (e in diretta streaming) lo scorso 11 aprile. Relatore è stato padre Guido Bertagna S.J., teologo con esperienze di lavoro anche con persone detenute. P. Bertagna da diversi anni è impegnato sul fronte della cosiddetta “giustizia riparativa”, portando avanti, ad esempio, dal 2008 progetti di riconciliazione tra ex appartenenti alle Brigate Rosse e vittime o familiari di vittime delle stesse. Il caso più noto da lui seguito è quello dell’incontro (prima privato, poi pubblico) tra l’ex br Adriana Faranda (che fece parte della “colonna romana” che organizzò il sequestro di Aldo Moro)  e Agnese Moro, figlia di Aldo (le due, in foto – ntr24.tv). Da questa e dalle altre esperienze, dieci anni fa è uscito il volume “Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto”, a cura dello stesso p. Bertagna e di Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato. Padre Bertagna oltre a Casa Cini è intervenuto, la mattina del 12 aprile, in un incontro con studentesse e studenti del Liceo Ariosto di Ferrara. 

A Casa Cini ha preso le mosse da un passo di Deuteronomio (26, 1-11) per riflettere sulla nuova terra donata al popolo ebraico da Dio, insieme alle sue primizie: «vivere consapevoli di questi doni – ha spiegato p. Bertagna – significa ridonare a nostra volta i doni ricevuti». Doni che, quindi, «non vanno “stretti” tra le mani più del dovuto, non vanno trattenuti ma, appunto, donati, elargiti», nell’offerta al tempio e nella carità al prossimo. Solo così «ci si apre al futuro». Non a caso, quindi, la più importante immagine che Israele ha è quella di «un Dio che libera il suo popolo; popolo che grida perché oppresso, un grido che è preghiera, supplica perché c’è Qualcuno che lo ascolta». Questa memoria dell’oppressione, però, è «priva di rancore nei confronti degli oppressori»: ciò che più conta è la liberazione e di conseguenza «la memoria converge tutta nel gesto dell’offerta». Spesso, però – e ognuno di noi l’ha sperimentato almeno una volta nella propria vita – la memoria non apre al futuro ma «si avvita su sé stessa, si fa risentimento che diventa rancore e rabbia». Ciò avviene perché il dolore ha «un forte potere congelante», oltre che «identitario e conservativo». La memoria, dunque, rischia di «tenerci in ostaggio». Ma così, «la vita si indurisce, il sangue scorre poco, una persona che ha commesso una colpa rischia di rimanere per sempre “colpevole”, e chi ha subito un torto rischia di essere per sempre, e solo, “vittima”». Da qui, ne deriva anche una «nevrosi comparativa» (“nessuno soffre più di me”, “hai cominciato prima tu” ecc.). Al contrario, solo una «memoria riconciliata» può superare tutto ciò, «trovando per quel dolore un posto nella propria storia, pur non dimenticandolo».

Ripercorrendo anche le esperienze personali di tentativi di riconciliazione, p.Bertagna ha poi sottolineato l’importanza di «tornare sui luoghi del dolore per ridare vita alla memoria, togliendola così dal suo congelamento», rompendone l’incantesimo. Nel gruppo nato nel 2008 di incontro tra ex br e parenti di vittime delle stesse «abbiamo cercato di restituire la parola al dolore», senza vergogna, senza paura, «per dire a chi ha commesso il reato “tu non sei il male che hai fatto” e alla vittima o familiare della stessa, “tu non sei il male che hai subito”». Un percorso complesso, lungo e a rischio fallimento, perché significa «cambiare radicalmente la percezione di sé». Ma è un percorso che va tentato, a partire dai microconflitti che costellano il nostro quotidiano.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 aprile 2025

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Percorso giubilare in chiesa: l’iniziativa della Sacra Famiglia

12 Apr

Un Pellegrinaggio giubilare all’interno della chiesa: è questa l’iniziativa pensata dal Gruppo Liturgico della parrocchia della Sacra Famiglia di Ferrara per l’Anno Santo in corso. “Pellegrini di Speranza con il Cuore Immacolato di Maria”: così si intitola il breve itinerario spirituale proposto ai fedeli e ai visitatori della chiesa che da fine 2022 è anche Santuario Arcidiocesano del Cuore Immacolato di Maria (e parte dell’Associazione “Collegamento Nazionale Santuari”).

«La speranza non è attesa inerte di qualcosa che forse verrà in futuro, ma operosità nel presente per renderlo migliore», spiegano gli organizzatori. «La speranza siamo noi. Il nostro impegno. La nostra libertà. Le nostre scelte». Sei le tappe all’interno dell’edificio sacro, ognuna contrassegnata da un pannello esplicativo (due foto a sx): “Il Signore ti salva”, il Battistero; “Il Signore ti chiama”, l’immagine del Cuore Immacolato di Maria: «chiama te, ognuno di noi, secondo la propria vocazione», ci spiega il parroco don Marco Bezzi; “Il Signore è con te”, il Tabernacolo: «la salvezza e la chiamata non possono esistere senza una relazione col Signore, con l’Eucarestia»; “Il Signore ti parla”, l’Ambone: «la Parola come luce, cammino. Non è opera nostra, ma possiamo rispondere “sì” al suo invito»; “Il Signore ti guarisce”, il Confessionale: «non a caso, il sacramento del perdono o della riconciliazione è detto anche “sacramento della guarigione”»; “Il Signore ti ama”, il Crocifisso: «Lui non pensa a sé ma a te: ti ama fino a darti la Sua vita. La risposta dell’amore è la Croce: non è un mero incoraggiamento, ma un sacrificio concreto, un amore concreto»; e infine vi è la Porta: «Cristo è la Porta che tutto racchiude».

E a proposito dell’Anno Santo in corso, la grande croce sul piazzale della chiesa, restaurata l’anno scorso, ha ora anche il logo del Giubileo 2025 (foto a dx). Dal lato opposto, vi è quello dell’Anno Santo del 2000, anno in cui la croce fu fatta realizzare e installare grazie all’allora parroco don Antonio Guzzonato. «E su altri due lati – ci spiega don Bezzi – metteremo quelli dei Giubilei del 2033 e del 2050». Nel 2033 vi sarà, infatti, il Giubileo straordinario della Redenzione per il bimillenario della morte di Cristo. Fra le opere giubilari, il parroco ci anticipa che il prossimo anno verrà aperta la prima sezione “Nido” (0-3 anni) presso la Scuola d’infanzia “Casa dei Bambini”, da quasi 70 anni (nel 2026 l’importante anniversario) in via Recchi, dietro la chiesa. Attualmente l’edificio è progettato per contenere fino a 150 bambini (3-6 anni), e per il pranzo accoglie anche una 60ina di piccoli del doposcuola. Sezione “Nido” che sarà dedicata a Bianca Gasparetto, madre di don Marco, scomparsa lo scorso gennaio, «la mamma di tutti i parrocchiani, soprattutto dei più piccoli, come lo era stata anche a Cassana», ex parrocchia di don Marco. «Il “Nido” – prosegue il parroco – rappresenterà un servizio educativo molto importante per tutto il territorio».

Infine, il prossimo 13 aprile in parrocchia si svolgerà la Festa di primavera con i giovani e le famiglie nel campo sportivo. Previsto il pranzo comunitario e diverse attività pomeridiane, fra cui alle 15 la proiezione del film “Up” per il ciclo sul tema della speranza.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 aprile 2025

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«La misericordia ci libera e sconquassa»

11 Apr

Don Camillotti per la seconda catechesi dalle Clarisse sul Vangelo lucano: «Dio esce dai nostri schemi»

«Non esiste la misericordia teorica, pensata ma l’esperienza che ne fa una persona o comunità». Da questa semplice ma spesso dimenticata verità ha preso avvio la sera dello scorso 4 aprile don Roberto Camillotti, presbitero della Diocesi di Vittorio Veneto, intervenuto nel Monastero ferrarese del Corpus Domini per la seconda catechesi del ciclo di incontri “In due atti” dedicato al Vangelo e agli Atti di Luca.

Ricordiamo che l’iscrizione al ciclo di incontri è gratuita ma è necessario richiederla scrivendo un’email all’indirizzo indueatti@gmail.com . L’iniziativa è nata grazie alla sinergia tra Apostolato Biblico Diocesano, Monache Clarisse del Corpus Domini, Unità Pastorale Borgovado e Santuario del Prodigioso Sangue.

Il prossimo incontro è in programma l’11 aprile, sempre con inizio alle ore 20.45 e sempre nel Monastero del Corpus Domini, con relatore fra’ Nicola Verde, frate Cappuccino di Imola e missionario. 

«In Gesù la misericordia diventa particolarmente visibile», ha proseguito don Camillotti. Sei le tappe da lui proposte del cammino della misericordia nel Vangelo secondo Luca, attraverso alcuni Misteri. Si parte dalla «sorpresa che dà gioia», dall’importanza di «non perdere la capacità di stupirci. Dio non può star dentro i nostri calendari liturgici, dentro le nostre organizzazioni, non agisce dentro le nostre strutture. L’iniziativa del Signore va oltre le nostre previsioni: mi piace immaginare un cristianesimo che lascia più spazio alla fantasia del Signore, oltre le nostre tradizioni».

E Dio ci sorprende «facendoci notare come il suo agire coinvolge soprattutto i poveri», a partire da quei pastori allora considerati come categoria “poco raccomandabile”, fino al ladro, al malfattore sulla croce. La radice di questa sua misericordia sta «nel Suo cuore», al centro del Suo essere, come nel caso del buon samaritano, del padre del figliol prodigo, che col figlio «esagera, è eccedente, non razionale e forse nemmeno corretto a livello pedagogico».

Vi è poi la strada, luogo dove «Gesù rivela la volontà di Dio». Così è con Zaccheo e con i due discepoli di Emmaus: il primo, Gesù «lo guarda dal basso» (non dall’alto), agli altri due «si affianca», in ogni caso «si fa prossimo». Come il pastore che porta su di sé il peso della pecora smarrita, o della donna che cerca la moneta perduta, la misericordia, essendo molto concreta, «costa fatica, dolore, sacrificio». Ha un prezzo alto, fino a quello della Croce. Ma quest’idea di «un Dio assolutamente misericordioso fatica, da sempre, a stare dentro gli schemi di noi credenti», che a volte sembriamo il “Grande inquisitore” raccontato da Dostoevskij. La misericordia, al contrario, «libera, sconquassa i nostri schemi»: il bacio come «segno di pace e comunione» sarà quello che Gesù darà all’inquisitore dostoevskijano. «Ognuno di noi – ha concluso il relatore – provi a essere un piccolo, imperfetto discepolo che sta “vicino a Dio nella sua sofferenza”(Bonhoeffer, ndr), come Lui sta vicino a ognuno di noi nelle nostre tribolazioni».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 aprile 2025

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«Ai giovani si porta Cristo con la testimonianza autentica»

10 Apr

Giacomo Ferraresi e Matteo Stefani intervenuti in Duomo per l’ultima catechesi quaresimale

Autenticità, prossimità, ascolto: Dio si annuncia anche, e soprattutto, nei piccoli gesti del quotidiano. A ricordarcelo, sono stati due giovani, Giacomo Ferraresi e Matteo Stefani , intervenuti lo scorso 1° aprile nella Cattedrale di Ferrara per la quarta e ultima delle catechesi pensate dalla nostra Arcidiocesi per il periodo quaresimale e in relazione all’Anno Santo che stiamo vivendo. 

Lo scorso 25 marzo è intervenuto il nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, il 18 marzo l’operatrice della nostra Caritas Diocesana Maria Stampi e l’11 marzo Caterina Brina e Piera Murador della Comunità Papa Giovanni XXIII. 

Ricordiamo che l’8 aprile dalle ore 18.30 alle 20 in Cattedrale avrà luogo l’incontro vicariale penitenziale, mentre il giorno dopo, il 9, dalle 20.45 alle 22.30 vi sarà la seconda delle due serate (la prima è stata il 12 marzo) con Adorazione Eucaristica all’altare della Madonna delle Grazie e possibilità di confessarsi. Il 12, l’accoglienza dei fedeli è stata gestita da volontari della parrocchia cittadina dell’Immacolata, mentre quella del 9 aprile sarà gestita da parrocchiani di S. Agostino.

COME PORTARE LA SPERANZA AI GIOVANI?

Giacomo Ferraresi è capo scout del gruppo Ferrara 5 (UP Borgovado) e insegnante di sostegno: «uno scout, e in generale un cristiano – ha detto in Duomo -, non può non avere speranza. Oggi con i giovani la speranza si costruisce pian piano ritagliando spazi dove possano esprimersi. Bisogna cercare una chiave, un luogo nel quale si sentano bravi, forti, a loro agio». Centrale è la parola “scelta”, tipica dello scoutismo: «è questo il “dare spazio”. I ragazzi – ha proseguito Ferraresi – imparano tanto da quel che siamo, poco da quel che facciamo, nulla da quel che diciamo. Per me, con la ragazzina che accompagno a scuola, il primo obiettivo è stato il trovare un modo di parlarle, di comunicare con lei. Nell’altro, oltre alla persona dobbiamo vedere il Signore».

Matteo Stefani, invece, è atleta non vedente di livello nazionale nell’arrampicata sportiva (campione italiano nel 2016, mondiale nel 2017 e 2018), in cammino vocazionale con la Comunità Papa Giovanni XXIII (con cui è operatore di comunità terapeutica, per ex tossicodipendenti e giovani con forti problemi relazionali e sociali), e della parrocchia di Santo Spirito. «È importante – ha detto in Cattedrale – guardarsi dentro e riconoscere le nostre difficoltà e i nostri motivi di forza. Ho fatto l’educatore e il capo scout ma all’inizio non è stato facile, a causa della mia disabilità: sentivo però che queste mie scelte erano buone e accrescevano me e chi mi stava intorno. Spesso anch’io vivo momenti di difficoltà e di sconforto e c’è sempre la tentazione di lasciarsi andare, dell’autodistruzione. Ci vuole, quindi, una forte forza immaginativa per pensare il futuro», un futuro che sia diverso. 

«Le persone con cui lavoro – ha poi proseguito – si sentono riconosciute e quindi fanno una scelta costruttiva e non più distruttiva». Ciò che più conta, per Stefani, «è l’autenticità della relazione: nel mio lavoro sono “efficace” quando dono parti autentiche di me. E il portare una fragilità non mi aiuta ma è ciò che provo a fare che dona a queste persone una speranza». La testimonianza – ha poi proseguito il giovane – «si costruisce giorno per giorno e ora per ora: non sempre ci si riesce, ma si prova a fare scelte coerenti con ciò in cui crediamo. Senza diventare supereroi e senza narcisismo», ma nella «semplicità del quotidiano e nella radicalità della nostra fede. Nell’altro – ha poi concluso – troviamo il Signore se ci mettiamo in rapporto con Lui in maniera autentica».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 aprile 2025

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Una rete che accompagna: povertà e ruolo della Caritas

9 Apr


Premio Stampa 2025 alla Caritas di Ferrara-Comacchio. Il 5 aprile convegno su povertà e informazione e cerimonia: «povertà in aumento, serve un nuovo paradigma socio-culturale»

Sempre più giovani, lavoratori e italiani: è questo il drammatico identikit dei nuovi poveri nel nostro Paese. Il Convegno “Vecchie e nuove povertà: il ruolo dell’informazione” svoltosi la mattina del 5 aprile scorso a  Palazzo Naselli Crispi a Ferrara, è servito anche a fare il quadro delle nuove povertà. L’incontro è stato organizzato da Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna, Assostampa Ferrara e Aser. Dopo la presentazione di Paolo Maria Amadasi (Presidente Associazione Stampa Emilia-Romagna), vi è stata l’introduzione da parte di Antonella Vicenzi (Presidente Assostampa Ferrara) e poi le relazioni di mons. Gian Carlo Perego (Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Presidente della Fondazione Migrantes), mons. Massimo Manservigi (Vicario nostra Arcidiocesi), don Marco Pagniello (Direttore Caritas Italiana) e Matteo Nàccari (giornalista economico, segretario aggiunto Fnsi). Quest’ultimo ha denunciato le basse retribuzioni spesso date ai giornalisti, la precarietà crescente nel mondo dell’informazione e i forti rischi derivanti dall’Intelligenza Artificiale. L’incontro moderato da Alberto Lazzarini (Vicepresidente OdG Emilia-Romagna) si è concluso con la consegna del Premio Stampa 2025 di Assostampa Ferrara alla nostra Caritas Diocesana. Nella parte conclusiva sono quindi intervenuti il nostro Arcivescovo (Presidente Caritas Diocesana), Stefano Ravaioli (Assostampa Ferrara), il Prefetto Massimo Marchesiello, la consigliera regionale Marcella Zappaterra, l’Assessora Cristina Coletti, il Presidente della Provincia Daniele Garuti, il Presidente del Consorzio Bonifica Pianura di Ferrara Stefano Calderoni (“padrone di casa”) e Michele Luciani, operatore Caritas Diocesana: «questo Premio – ha detto Luciani – è soprattutto dei nostri volontari, che lo sentono molto loro ma senza alcuna vanità: perché si sentono parte della comunità Caritas». Il premio consiste in un olio a tela realizzato dalla studentessa del Liceo artistico “Dosso Dossi” Martina Taddia, che rappresenta il Castello Estense su una pagina di giornale. Per l’occasione, è stato anche un proiettato un breve video dedicato ai volontari della nostra Caritas Diocesana.

MONS. PEREGO: FORME POVERTÀ

Mons. Gian Carlo Perego nel proprio intervento ha analizzato il Rapporto Povertà 2024 di Caritas Italiana: 1 italiano su 10 è in povertà assoluta, pari a quasi 6 milioni di persone, oltre 2 milioni di famiglie e al nord la povertà è raddoppiata. Aumenta anche la povertà legata alla giovane età e tra gli stessi lavoratori. Sono, poi, 270mila le famiglie aiutate daiCentri di Ascolto Caritas nella nostra Penisola, con un aumento del 5,4% (che è del 10% nella nostra Caritas Diocesana). Inoltre, si rafforzano le povertà intermittenti e quelle croniche, chi è già povero lo diventa ancora di più e cresce la povertà educativa. Aumentano anche le persone povere con malattie mentali o depressione. Riflessioni a parte le ha poi dedicate al problema del reinserimento lavorativo e sociale degli ex detenuti e alla necessità di reinvestire in case popolari, e di ripensare a una forma di reddito minimo.  

MONS. MANSERVIGI: STORIA CARITAS E RICORDO DI DON PAOLO VALENTI

Nel suo intervento mons. Manservigi ha ripercorso brevemente la storia della nostra Caritas Diocesan e in particolare ricordato lo storico Direttore don Paolo Valenti. La Caritas  di Ferrara fu istituita dall’Arcivescovo Mosconi il 4 novembre 1973 (e due giorni dopo nacque quella di Comacchio) e dotata di un proprio statuto, nel quale venivano recepiti gli scopi proposti nella bozza di statuto per le Caritas diocesane stilata dalla CEI nel ’73. La Caritas Italiana venne invece costituita due anni prima, nel 1971. L’Arcivescovo Mosconi nomina come primo segretario della Caritas di Ferrara (allora la carica si chiamava così) mons. Francesco Ravagnani, allora parroco di S. Paolo a Ferrara, e dedica la prima domenica di quaresima alla Caritas diocesana, intitolandola la “giornata della carità”, con l’invito “Date e vi sarà dato”. Col ricavato annuale viene costituito il “fondo diocesano di solidarietà”. Nel ’94 in via Brasavola a Ferrara la Caritas guidata dal ’93 da don Paolo Valenti apre il Centro di Ascolto (intitolato al Beato Giovanni Tavelli), punto di riferimento fondamentale per la città: così, la Caritas inizia il trasferimento dalla Curia Arcivescovile alla zona di Borgovado. Spiegava don Valenti: «Vengono da noi ex carcerati per le prime necessità, extra comunitari, i senza fissa dimora, i nomadi e, più di quanto si possa immaginare, le famiglie povere della città segnalate dalle Conferenze S. Vincenzo e dalle parrocchie».E a proposito di ospitalità, lo stesso don Valenti parlava di Casa Betania. Ex sede dell’asilo “Grillenzoni”, terminata tale funzione, il Comune la cedette alla Caritas, allora diretta da don Silvio Padovani, «con lo scopo di raccogliere studenti universitari stranieri». Nell’ottobre ’94 la Caritas diocesana risponde a un’altra necessità: quella di una mensa per i poveri con, per iniziare, «una ventina di pasti confezionati nella cucina del Seminario». Gli anni ’90 vedono anche la nascita nel ‘95 di un «ambulatorio medico servito da una ventina di medici volontari», per gli extracomunitari. Inoltre, raccontava sempre don Valenti, «oltre a “Casa Betania”, in via Borgovado, 7, dove viene data ospitalità a 27 studenti stranieri, è stato appena terminato il Centro di Accoglienza a Comacchio, che avrà gli stessi servizi di Ferrara (…). Per settembre è in programma, e hanno già aderito una ventina di dentisti, l’apertura di un ambulatorio dentistico per indigenti (…). Va poi ricordato che la Caritas fornisce anche un servizio di consulenza legale gratuito, che può contare su una decina di avvocati presenti una volta alla settimana, – il venerdì pomeriggio, per due ore -, particolarmente esperti nei problemi che riguardano gli extracomunitari». Un’azione a 360 gradi, dunque. E siamo nel ’98. Un anno dopo, l’annuncio del progetto di trasformazione di Casa Betania in luogo di accoglienza per donne, ragazze-madri, famiglie di ospedalizzati residenti fuori Ferrara, anche in vista del Giubileo del 2000.

E i progetti continuano ancora oggi.

DON PAGNIELLO: «FIDUCIA E RELAZIONI DECISIVE»

Il progetto di microcredito “Mi fido di noi” di Caritas Italiana prevede la creazione di un fondo, alimentato grazie al contributo della CEI, della Caritas Italiana, delle Chiese locali e al sostegno di fondazioni, associazioni, imprese e cittadini. Nella nostra Diocesi verrà costituito un fondo con l’obiettivo di raccogliere 27mila euro. La nostra Caritas diocesana avrà a disposizione il doppio, 54mila euro (gli altri 27mila li metterà Caritas italiana). In Italia si stima di raccogliere 30 milioni di euro. Il fondo sarà depositato a Banca Etica e la nostra Caritas farà riferimento (come Nord Italia) alla Fondazione antiusura “San Bernardino” onlus di Milano. Il prestito sarà dai 1000 agli 8mila euro per ogni situazione che si presenta. L’ufficio/punto di ascolto dove le persone interessate potranno rivolgersi sarà negli ex locali parrocchiali del Centro San Giacomo in via Arginone 161 a Ferrara. «C’è bisogno di alleanze fra soggetti diversi per costruire il bene comune: e una di queste, è col mondo dell’informazione», ha detto don Pagniello di Caritas Italiana. Il progetto “Mi fido di noi” è un «progetto generativo, che mette al centro l’intera comunità, che accompagna la persona o la famiglia bisognosa anche dopo averla aiutato col prestito in denaro. La povertà in Italia – ha riflettuto – aumenta le disuguaglianze all’interno delle stesse città ed è sempre più multidimensionale e multifattoriale»: riguarda, cioè, non solo il cibo, ma l’abitazione, l’educazione, le utenze e la violenza interna alle famiglie. Caritas propone «un modello sociale e culturale alternativo», fondato – come detto – «sull’accoglienza, l’accompagnamento, la relazione, la fiducia, e molto meno sul consumo, sull’individualismo, andando alle radici delle povertà e trasformando la persona bisognosa in persona inclusa nella comunità e in essa attiva».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 aprile 2025

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Il volto santo di Cristo contro l’abisso della vita

5 Apr

L’artista Giorgio Celiberti dialoga con don Masssimo Manservigi: “Come il primo giorno” è il titolo del documentario-conversazione sull’eterna lotta tra luce e tenebre. Ne emerge un ritratto toccante del 95enne udinese

di Andrea Musacci

Provate a immaginare il primo giorno in cui un bambino inizia con le proprie mani a creare un abbozzo di opera d’arte: immaginatene lo stupore, magari ancora confuso nella potenza dell’emozione, e la primissima consapevolezza di poter “ascoltare” la realtà con gli occhi e darle nuova vita, farla emergere dal sempre incombente abisso del nulla.

Questo «spalancato dolore» – che solo la luce del Volto di Cristo può illuminare e redimere – è quello raccontato magistralmente da don Massimo Manservigi nel suo documentario “Come il primo giorno” dedicato all’artista udinese Giorgio Celiberti, proiettato per la prima volta la sera del 25 marzo scorso nel Cinema Santo Spirito di Ferrara. Si è trattato del primo dei tre incontri del ciclo “Ti ho ascoltato con gli occhi”, dedicato al cinema di don Manservigi. Il 25 marzo è stato proiettato anche un altro mediometraggio, “Nzermu. Accesa è la notte”, dedicato a padre Anselmo Perri sj. Due opere realizzate grazie alla fondamentale collaborazione di Giovanni Dalle Molle. 

«Due documentari uniti da un grande senso religioso che ci aiutano a respirare profondamente», ha commentato il nostro Arcivescovo mons. Perego a fine serata. Gli altri due incontri  (inizio ore 21, ingresso gratuito) sono in programma il 29 aprile con una versione inedita del film “L’unica via” dedicato a don Santo Perin, con scene dal backstage. La sera stessa il Cinema S. Spirito ospiterà due piccole mostre dedicate a don Perin, una delle quali inedita e realizzata dall’Ufficio Comunicazioni Sociali della nostra Arcidiocesi. Don Perin (Trissino – VI 3 settembre 1917 – Bando di Argenta, 29 aprile 1945), muore assieme al giovane Giuseppe Filippi per lo scoppio di una mina nel tentativo di recuperare il corpo di un soldato tedesco, per dargli una degna sepoltura. Infine, il 13 maggio, “Laboratorio di immagini. Come nasce un documentario tra narrazione e realtà”. 

IN GIRO PER IL MONDO. MA IL CUORE SI È FERMATO A TEREZÍN

Celiberti nasce a Udine nel 1929 e comincia giovanissimo a dipingere. Una passione, la sua per il disegno, che ha fin da quando era bambino e gli insegnanti notano questa sua “ossessione” e ne rendono partecipi i genitori. L’iscrizione, poi, al Liceo Artistico di Venezia, dove conoscerà quello che diventerà un suo amico e maestro: Emilio Vedova. A 19 anni partecipa alla Biennale di Venezia del 1948, la prima del dopoguerra. A inizio anni ‘50 si trasferisce a Parigi, dove entra in contatto con i maggiori rappresentanti della cultura figurativa d’oltralpe, e nel ‘56 vince la borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione che gli consente di soggiornare a Bruxelles. Dal 1957 al 1958 è a Londra e poi soggiorna negli USA, in Messico, a Cuba, in Venezuela. Al rientro in Italia si trasferisce a Roma, dove frequenta gli artisti di punta del panorama italiano. Verso la metà degli anni ’70, il ritorno a Udine. «Quando ho lasciato Roma – dice nel documentario -, il mio studio l’ho dato a Guttuso». Nel 1965, un episodio che gli cambia la vita: la visita al lager di Terezín, vicino Praga, dove migliaia di bambini ebrei, prima di essere trucidati dai nazisti hanno lasciato testimonianze della loro tragedia in graffiti, disegni, brevi frasi di diario e in un libretto di poesie: «quando sono tornato, ero un’altra persona», dice ancora a don Manservigi. «Terezín è stato uno dei maestri più grandi della mia vita. Lì ho capito cos’è il dolore».

Nel ‘75 realizza i Muri Antropomorfi e in questo periodo si dedica soprattutto alla scultura, anche se la sua attività creativa si caratterizza sempre più per un’originale simbiosi tra espressione plastica e pittorica. Poi, la scultura abbandonerà l’impostazione di grandiosità monumentale per intessere un colloquio privato con le tracce di un passato ancestrale. Celiberti ha partecipato alle più significative manifestazioni d’arte in Italia e all’estero e ha inanellato oltre un centinaio di mostre personali, molte delle quali in diverse capitali europee, oltre che a Tel Aviv e Gerusalemme. Nel 2000, Anno giubilare, realizza una croce di 3 metri nella chiesa di Fiumesino (Pordenone). Nel 2009 sue grandi mostre sono al Museo Ebraico di Venezia, a Roma, all’Abbazia di Rosazzo e a Monaco di Baviera.

VITA INTERIORE DI UN ARTISTA

«Ha 95 anni ma lavora come se ne avesse 35-40. E dimostra una forte sintonia con l’umano in forza della fede, caratteristica che condivide con padre Anselmo Perri». Così don Manservigi nell’illustrare la personalità di Celiberti. L’opera che gli ha dedicato, ci tiene a specificare che più che un documentario è una «conversazione: volevo che si raccontasse in forma di testamento, lasciando in eredità anche parole che non aveva detto a nessuno». Così è stato. Parole incorniciate dalla mitezza del volto e dalla volizione delle mani, dalla dolcezza dei sorrisi, dalle lacrime, magnifiche nella loro umanissima immediatezza.

Nel documentario, la voce di Celiberti si alterna con letture – da parte di Alberto Rossatti (voce storica di Rai Radio 3) – di alcuni brani tratti dal libro di Massimo Recalcati, “Il mistero delle cose. Nove ritratti di artisti” (Feltrinelli, 2016), in cui lo psicanalista dedica un capitolo proprio a Celiberti. «Gli anziani – ha aggiunto don Manservigi a S. Spirito – sono per noi uno stimolo per guardare al futuro con speranza: quest’Anno Santo ce lo ricorda con forza. E a Celiberti ho chiesto proprio di parlarmi della sua speranza».

«Disegno ancora molto volentieri – racconta l’artista nella “conversazione” -, di fianco al mio letto ho sempre della carta, perché anche di notte faccio qualche schizzo o appunto che poi durante la giornata porto avanti col colore». Una vera e propria febbre, la sua, ulteriormente alimentata dall’insonnia. «Sono molto vitale: dipingo, disegno, faccio sculture. Dalle 10 del mattino alle 6 di sera sono nel mio studio a creare: non ho tempo per annoiarmi. Ho ancora necessità di capire, di imparare. Sono fortunato». E in lui se c’è poco tempo per il sonno e nessuno per la noia, non ce n’è nemmeno per il risentimento: «non ho abbastanza tempo per amare, men che meno ne ho per provare rancore». Una sensibilità per il reale, la sua, che assume anche una piega inaspettata: «per me i gatti sono compagni di viaggio eccezionali», a cui non a caso ha dedicato innumerevoli sculture: nel documentario le prime lacrime sgorgano proprio nel ricordare il suo ultimo felino, morto avvelenato. 

Questa spontaneità che emerge dall’intero suo essere, non ammette ombre: in lui, forte è la «lotta incessante tra la luce e le tenebre», la sua insonnia – scrive Recalcati – è resistenza «alla tentazione dell’annullamento». Ma una farfalla appare in un suo dipinto, è possibile quindi estrarre luce dalle tenebre, recuperare la possibilità della redenzione dalla notte, dall’orrore. In lui, «è solo la poesia che resiste alla morte», «il frutto buono dell’insonnia, dell’alba che viene»1. «La sua pittura – scrive ancora Recalcati – è interamente aspirata dal senso del sacro, intrisa dell’anelito verso l’assoluto; è pittura pura del volto del santo». «Il Cristo è il tema più bello della mia vita», dice Celiberti. «Cristo lo sento sempre vicino quando lavoro». Questa è l’unica alternativa possibile «alla notte senza speranza del grido», all’«abisso senza fondo della vita». Dipingere è rifiutare «il buio senza speranza della notte», farsi luce, divenire strumento, vaso di argilla vivente che accoglie l’unica Luce.

NOTA

1 ilmanifesto.it/linsonnia-creativa

Immagini: Giorgio Celiberti; una sua opera su Cristo (immagini tratte dal documentario di don Massimo Manservigi, “Come il primo giorno”)

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 4 aprile 2025

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Speranza come gioia e guardare lontano

4 Apr


La lezione di don Dionisio Candido per la Scuola di teologia: lo sperare per l’Antico Testamento

La Scuola diocesana di teologia per laici ha visto lo scorso 27 marzo don Dionisio (Nisi) Candido, docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Metodio” di Siracusa, intervenire su “Annunciare la speranza attraverso l’Antico Testamento” (AT).

Il tema della speranza è molto presente in AT e sono diversi i temi che la declinano. La speranza è innanzitutto «legata alla fede, alla fiducia in Dio», quindi «alle dinamiche della vita».La speranza è poi legata «alle promesse di Dio»: quella dell’AT è una «spiritualità della parola. Dio si è sempre comportato nei confronti di Israele in modo da costruire un futuro di speranza». Proseguendo, la  speranza è legata al «ricominciare»: è una «promessa di rincominciare», quello di AT è «un Dio che riparte». È una «speranza di restaurazione» ed è la speranza «del ritorno a casa, che l’esilio non è definitivo, che nessuno può rischiare per sempre, che il debito, la pena non può essere eterna». L’AT, quindi, per don Candido «non aveva l’idea di un Dio punitivo, ma di un Dio paterno».

Inoltre, la speranza nell’AT è «messianica», quindi è «sinonimo di gioia». Gioia di sapere che «possiamo entrare in una comunione sempre più piena con Dio, in un’intimità con Lui che è sempre più segno di felicità». 

E come c’è una speranza di restaurazione, c’è «la speranza di una gioia dopo la sofferenza, perché Dio agisce anche attraversando la sofferenza, i dubbi, le difficoltà»: è una «speranza escatologica, che non ci fa accontentare del contingente, ma ci chiede di avere uno sguardo divino»,Ci chiede di «non limitare il nostro orizzonte, ma di avere orizzonti lunghi»: la speranza è «proiettata lontana», quella dell’AT «non è una speranza intramondana ma che guarda al di là della vita (si pensi ad esempio al libro della Sapienza)»: passando attraverso la misericordia di Dio, «si prospetta una vita futura perché Dio è misericordioso e quindi potrà ricompensare i suoi figli nell’eternità. Israele aveva già quindi – per don Candido – intuito che la speranza non può essere la speranza di cose terrene».

Anche nell’AT, quindi, la speranza «ha un fondamento teologico, non avrebbe senso se si fondasse solo sull’uomo». Una speranza, quindi, «sinonimo di gioia, di felicità, una gioia comunitaria, qualcosa che ci permette di andare oltre noi stessi: questo dovremmo trasmetterlo soprattutto ai giovani. Noi cristiani dovremmo essere in ogni momento portatori di speranza».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 4 aprile 2025

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