
di Andrea Musacci
Il 21 aprile – Lunedì dell’Angelo – chi almeno per un istante non ha vissuto la tentazione della disperazione? Chi, immerso nella notizia più bella – quella della Resurrezione – non ha provato tristezza, smarrimento all’annuncio della morte del Santo Padre? Eppure, «anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me»1.
Lo stesso Papa Francesco ci ha insegnato che la morte «va affrontata e preparata come passaggio doloroso e ineludibile ma carico di senso: quello dell’estremo atto di amore verso le persone che si lasciano e verso Dio a cui si va incontro»2.
Da quando Jorge Mario Bergoglio ha esalato l’ultimo respiro, non sono mancate, da ogni dove, rincorse affannose ad intestarsi più o meno presunte affinità col magistero che questo Papa ha alacremente intessuto nei 12 anni di pontificato. “Pace”, “giustizia”, “povertà” sono solo alcune delle parole che hanno risuonato ovunque, dai grandi media ai piccoli chiacchericci nei bar o nelle chat. Ma in questi giorni troppo saturi di opinioni, lo Spirito ci ha suggerito un vocabolo che sostiene e vivifica tutti gli altri: misericordia. Non a caso, lo stesso Papa Francesco scriveva: «La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole»3. Parole scritte esattamente 10 anni fa, nella Bolla di indizione di un altro Giubileo, proprio quello Straordinario della Misericordia.
E appena eletto, Bergoglio scelse come suo motto “miserando atque eligendo”, tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile4, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: «Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me» («Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: “Seguimi”»). Omelia che quindi è omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di S. Matteo. E che ha un significato particolare nella vita e nell’itinerario spirituale del Papa; infatti, nella festa di San Matteo del 1953, il 17enne Jorge Bergoglio sperimentò la presenza amorosa di Dio nella sua vita: dopo una confessione, si sentì toccare il cuore e avvertì che il Signore lo chiamava alla vita religiosa.
Il suo secondo “motto” – «Non dimenticatevi di pregare per me» – sta in questo solco: quello dell’uomo che riconosce la propria miseria ed è quindi bisognoso – per non sprofondare nel proprio peccato – dell’Amore di Dio e del perdono del prossimo. Così dunque Papa Francesco ha immaginato la Chiesa, come ben sintetizzato dal card. Giovanni Battista Re nell’omelia delle esequie: «una Chiesa capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite».
Questo aspetto molto concreto, fisico della misericordia lo sprigiona un termine, rahamîm, usato nell’Antico Testamento 39 volte, col quale si designa «quasi sempre il grembo materno, le viscere generative, e si trapassa a un significato emozionale, destinato soprattutto a esaltare la misericordia tenera del Signore»5.
Della vicinanza fisica con tutti, specialmente i più fragili, Papa Francesco ha fatto un tratto distintivo del suo stile, ricevendone indietro un calore personale, una supplica della sua presenza, fino all’ultimo e oltre, anche quando il suo povero corpo ormai spento riposava nella bara per l’esposizione; e persino dopo, durante i funerali, il suo popolo gli è stato vicino, lo ha seguito, cercato, accompagnato fino alla sepoltura. Proprio perché attraverso lui, lungo quella strada, quelle persone cercavano una sola cosa: Misericordia.
Ma il primo movimento è quello del Padre: «È sempre lui che viene a noi: Dio si fa nostro prossimo», scriveva un altro gesuita, De Certeau, commentando il racconto dei discepoli di Emmaus. «A queste pecore senza pastore, a questi malati senza medico, a questi uomini spogliati delle loro speranze ma ancora abitati dal suo ricordo e che lo cercano anche là dove sanno bene di non trovarlo; proprio in questo povero tesoro dei sogni perduti, Gesù si avvicina»6.
Papa Francesco, tanto con la sua dolcezza quanto con la sua parresia, ci ha dunque ricordato che la via della speranza è percorribile da chiunque (con ai piedi le proprie scarpe consunte, come le ultime che lui stesso ha voluto indossare), perché il Dio vivente ha avuto misericordia di me, di te, di ognuno. La porta del Regno è ancora una volta, per sempre, aperta.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 2 maggio 2025
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NOTE
1 Sal 22.
2 Papa Francesco, Misericordia et misera, 15.
3 Papa Francesco, Misericordiae vultus, 10.
4 Om. 21; CCL 122, 149-151.
5 https://www.famigliacristiana.it/blogpost/rahamim-viscere-di-misericordia.aspx .
6 Michel de Certeau, I pellegrini di Emmaus (Cittadella Editrice, 2009).











