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Prendersi cura delle vittime del conflitto

13 Apr
Elena Mazzola

Le testimonianze di Elena Mazzola, scappata da Kharkiv insieme alle ragazze disabili e agli orfani che accoglie nella sua cooperativa, e quella di Marco Peronio e del suo viaggio in Ucraina per portare medicinali

Solo un «amore sproporzionato» può far fronte all’orrore e alla ferocia che le cronache dall’Ucraina ci riportano ogni giorno. Un amore fatto di accoglienza, attenzione e cura a ogni persona, ai suoi sogni e desideri. Amicizie che nascono o si rafforzano pur nel dramma della guerra.
Questo il messaggio emerso dalle testimonianze di due persone diversamente coinvolte nel dramma di un popolo, quello ucraino (e, in parte, di quello russo, con tanti soldati morti), intervenute a Voghiera lo scorso 6 aprile durante una cena di beneficienza pro-AVSI dal titolo “Uno sguardo più forte della guerra”. Un evento promosso e organizzato dalla Pro Loco di Voghiera in collaborazione con il Centro Culturale Umana Avventura a sostegno della popolazione ucraina.

«Affermiamo la vita contro la guerra»
La prima testimonianza (In video collegamento) è stata quella di Elena Mazzola, presidente della cooperativa Emmaus con sede a Kharkiv, dove, grazie a vari progetti, giovani con disabilità o in uscita dall’orfanotrofio e dal collegio vengono accompagnati alla ricerca di una propria vocazione. Si tratta di ragazze e ragazzi tra i 18 e i 35 anni (foto in prima pagina), adolescenti che studiano in istituti speciali, bambini provenienti da famiglie di sfollati a causa del conflitto e i loro genitori. La prima “casa di transizione” per queste persone aperta a Kharkiv nel 2013 si chiama “La casa volante”, dove vivono sei ragazze con disabilità fisica uscite dall’orfanotrofio. Elena Mazzola, originaria di Desio (Monza-Brianza), che nella città ucraina dirige anche il Centro di Cultura Europea “Dante”, è traduttrice e docente universitaria e prima di trasferirsi in Ucraina ha vissuto per 15 anni, dal 2002 al 2017, a Mosca.
«I ragazzi con cui vivo quest’avventura della “Casa volante” – racconta – hanno storie molto drammatiche, sono stati abbandonati alla nascita dai genitori, per situazioni disagiate o perché nati con disabilità. Sono, quindi, ragazzi molto vulnerabili, cresciuti negli orfanotrofi, dai quali, appena escono, li proponiamo una vita il più normale possibile. Nelle nostre case – ha proseguito – imparano tanto, e soprattutto, per la prima volta si sentono amati. L’aspetto più tragico del loro passato, infatti, è che si sono sentiti dire di essere inutili, di non servire a nessuno, che non sarebbero riusciti a fare nulla nella vita».
Venendo al racconto degli ultimi mesi, Mazzola ha spiegato come lo scorso gennaio, quando incombeva la minaccia della guerra, «alcuni nostri ragazzi che ospitiamo sono andati in Italia da famiglie che già conoscevano perché da loro trascorrevano le vacanze. Altre, invece, i più fragili, con disabilità fisica o mentale, sono state con me a Leopoli, dove ci siamo trasferiti a metà febbraio. Ma una volta scoppiato il conflitto siamo venuti tutti in Italia». Una situazione di eccessivo pericolo, confermato dal successivo aggravarsi della situazione anche nella città al confine ungherese. «Siamo stati 50 ore al confine con i ragazzi». Poi, l’arrivo in Italia, a Novazza in Val Seriana, nel bergamasco, ospiti di amici. Una ventina tra ragazze disabili e dipendenti della cooperativa.
«Per me è un momento difficilissimo – racconta Mazzola -, forse in Italia non so quanto sia possibile immedesimarsi nel livello di dramma umano che si vive in Ucraina. Ho il cuore dissestato, sto vivendo in prima persona una violenza inimmaginabile: non so se la mia casa e i nove appartamenti per l’accoglienza della nostra cooperativa, in che stato sono. Non riusciamo ad avere notizie certe. Tutto quel che hai costruito, la certezza di qualcosa, rappresentato dalla casa, non c’è più. E i racconti che ci arrivano da Kharkiv dicono della ferocia e crudeltà disumana di questa guerra».
Ma Mazzola non riesce a fermarsi all’angoscia e all’amarezza per la situazione in Ucraina. Ha il desiderio di raccontare il bello che le persone fanno vivere, anche e soprattutto dentro drammi così.
«Qui in Val Seriana è tanto l’amore che stiamo ricevendo. Ad esempio, una parrucchiera si è presa un giorno dal lavoro per venire a tagliare e tingere i capelli alle nostre ragazze. O un’altra signora si preoccupa di regalare vestiti alle nostre donne». E le ragazze seguono le lezioni, imparano l’italiano, in una bottega imparano piccoli lavoretti col feltro o disegnano uova artistiche. Insomma, «un amore così sproporzionato, così personale sembra essere ora l’unica cosa in grado di opporsi alla guerra». Una guerra di per sé «fuori da ogni misura, per cui noi siamo chiamati ad amare in modo davvero sproporzionato, ad affermare la vita, la bellezza, l’amore».

Marco Peronio

«Un’amicizia reale, senza bisogno di Amazon…»
Alla cena a Voghiera ha partecipato anche Marco Peronio, Direttore del Consorzio di cooperative sociali “Il Mosaico” attivo tra Udine e Gorizia. Insieme alla moglie Cosetta, farmacista, ha aperto le porte della loro casa a Udine per aiutare Yuliya Mkheidze, ragazza ucraina di Mestre. La giovane, in collaborazione con il medico di Venezia Michele Alzetta, dirigente di pronto soccorso, ha indetto una raccolta umanitaria per l’Ucraina, dopo la richiesta di aiuto da parte della dott.ssa Rinna Konar di un piccolo ospedale a Uzhhoron, nella Transcarpazia. Dai medici della World Federation of Ukrainian medical Association sono stati chiesti lacci emostatici, analgesici non narcotici, medicazioni, sacchi per il contenimento di sangue raccolto, insulina e tutto quel che può essere utile per ferite e politrauma.
Già dal giorno successivo all’appello lanciato da Peronio, decine di persone in fila attendevano davanti a casa sua coi farmaci da donare. «Ho riempito il garage, e invece di un furgone, siamo partiti per l’Ucraina con cinque furgoni pieni di 7mila kg di aiuti tra farmaci, medicinali e alimentari per bambini».
«Nelle tante persone che ci hanno aiutato ho percepito un forte desiderio di vincere quel senso di indifferenza, quel “non mi interessa”, un desiderio di esserci e di conoscerci». L’appuntamento era a Záhony, in Ungheria, al confine con l’Ucraina, i primi di marzo. Alle 3emezza di notte l’arrivo a casa della dott.ssa Konar, «dove siamo stati accolti da una cena strepitosa. E la mattina dopo ci ha fatto visitare la città e la Cattedrale». Insomma, non un pur importante ma anonimo gesto di solidarietà, «non qualcosa fatto con Amazon, ma amici in carne e ossa che si incontrano e si accolgono reciprocamente. Ci hanno anche affidato tre profughe loro amiche da portare in salvo in Italia».
Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 aprile 2022

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Morire da medico sotto le bombe: la storia di Andrea dall’Ucraina

6 Apr

Era chirurgo nell’est del Paese, nell’ospedale militare di Ochtyrka distrutto dai russi lo scorso 26 febbraio. La madre Anna, che da 15 anni vive nel ferrarese, ci racconta la sua storia

Andrea, medico ucciso a Ochtyrka

di Andrea Musacci

Morire mentre si tenta di strappare alla morte un soldato ferito. Morire in un ospedale, sotto le bombe russe. È la storia di Andrea, 45 anni, medico chirurgo nell’ospedale militare a Ochtyrka, nell’oblast’ di Sumy, a 60 km dal confine russo e a 100 da Kharkiv. Andrea ha lasciato la moglie Lidia, medico anche lei, e il loro figlio Antony, di 13 anni, che vivono a Husiatyn, nella zona ovest dell’Ucraina, oblast’ di Ternopil.

E ha lasciato anche la madre Anna, 71 anni, che da 15 anni vive nel ferrarese. La incontriamo nei locali della parrocchia di Santa Maria dei Servi, casa della comunità ucraina a Ferrara guidata da padre Vasyl Verbitskyy. Il volto è triste e gentile, pieno di orgoglio e di dolore per quel figlio che non vedrà più.

In Italia per aiutare la famiglia

Anna lavora come badante nell’assistenza di una signora di 98 anni, Anita Toselli, in via Comacchio a Ferrara, casa dove abita. In questi anni ha lavorato in altre quattro famiglie tra Formignana e la città. A Husiatyn, invece, era ragioniera. Nel 2007 ha scelto di venire qui in Italia per aiutare i suoi figli: «non riuscivano a trovare una casa, un lavoro, erano in crisi», ci spiega. È venuta a Ferrara perché consigliata da un amico del figlio, amico che viveva e ancora vive qui in città.

Anna 9 anni fa ha perso anche il marito, «il 23 febbraio», ricorda. «Dopo aver lavorato come autista di autobus, mi aveva raggiunto in Italia per due anni, nei quali era stato impegnato come bracciante in campagna, per poi tornare in Ucraina».

Andrea medico fino alla morte

«Andrea amava aiutare gli altri, era una persona umile, per nulla orgogliosa, aiutava anche i colleghi medici», ci racconta Anna. «L’ultima volta che l’ho visto è stato la scorsa estate: da giugno ad agosto sono stata da lui in Ucraina».

Fin da bambino Andrea sognava di lavorare come medico in una struttura militare, «”dove c’è più bisogno, dove c’è più necessità”, mi diceva sempre». Dopo la laurea in Medicina, viene assunto per un periodo in un ospedale civile a Husiatyn. 

Poi nel 2014, dopo l’occupazione russa della Crimea, chiede di prestare servizio in un ospedale militare, dove lavorerà due anni. Dal 2015 fino a pochi mesi fa ha lavorato in un ambulatorio vicino Ternopil, e poi, dal dicembre scorso, nell’ospedale militare a Ochtyrka.

«Lo scorso 25 febbraio ho parlato con lui al telefono, mi ha detto: “stai tranquilla”». Alle ore 12 del giorno dopo, il 26, un sabato, Andrea stava operando un soldato ferito quando l’esercito russo ha bombardato l’ospedale: nessuno si è salvato. «La mattina del 26 ho provato a chiamarlo e non mi ha risposto, perché stava lavorando», racconta Anna. «Poi ho riprovato nel pomeriggio, e ancora non mi rispondeva. Lunedì, due giorni dopo, alle ore 15 mia figlia mi chiama e mi dice che Andrea è morto». Ci hanno messo diversi giorni per recuperare tutti i corpi. «Martedì, il giorno dopo aver ricevuto la notizia, sono venuta qui da padre Vasyl per chiedergli aiuto». Il sacerdote ha celebrato una S. Messa per Andrea e diverse sono le preghiere per lui in queste settimane. «Grazie a lui e alla vicinanza di tante persone, un po’ mi era passata la tristezza», prosegue Anna. «Ma mio figlio mi dava tanta forza per vivere, per andare avanti». 

Le vittime sono state tutte sepolte nel campo dell’ospedale, troppa la paura di portare i corpi lontano. Ma il cognato della moglie di Andrea insieme a un amico, rischiando di essere attaccati dai russi, con un furgoncino sono comunque andati a recuperare il corpo di Andrea e lo hanno portato a Husiatyn per i funerali – svoltisi dieci giorni dopo la morte – ai quali hanno partecipato tante persone. Le esequie sono state documentate anche dalla tv locale INTB. Tutti i funerali degli eroi caduti in guerra in Ucraina, e così anche quello di Andrea, sono preceduti da un corteo lungo le vie della città, durante il quale la gente ai bordi delle strade si ferma e si inginocchia in segno di omaggio. Anna è riuscita ad andare al funerale del figlio grazie a uno dei pullman che periodicamente, anche prima dello scoppio del conflitto, vanno dall’Ucraina all’Italia e viceversa, dall’inizio della guerra portando persone in Italia e beni alimentari alla Caritas di Ternopil.

Anna è rimasta in Ucraina dieci giorni, rivedendo anche l’altra sua figlia, sposata con due figli e insegnante di scuola, e ora, come tanti, impegnata come volontaria per aiutare i profughi che arrivano dal Donbass. «Ho invitato lei e la sua famiglia, così come mia nuora e mio nipote a venire qui a Ferrara, ma non hanno voluto perché vogliono rimanere lì per aiutare e difendere il loro Paese».

Anna ci tiene a ringraziare padre Vasyl, la comunità ucraina e le tante persone che le sono state vicino: Pierluigi Trevisani, la moglie Agnese e il fratello Davide; Claudio Travagli e la moglie Anna. E soprattutto Vanes Magnanini e la moglie Anna della famiglia di Anita, l’anziana che accudisce, oltre ai medici e agli infermieri di Cona e di San Rocco.

Una rete di amicizia che non potrà lenire l’enorme dolore  di una madre che perde un figlio in guerra, ma che perlomeno la fa sentire meno sola nell’affrontare un dramma senza senso.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” dell’8 aprile 2022

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«Attendiamo la pace sotto le bombe»

30 Mar
Don Moreno insieme ad alcuni profughi accolti

Don Moreno Cattelan ci aggiorna da Leopoli: «siamo tra la paura crescente e piccoli segni di normalità». Il 26 tre bombe russe sopra la città

A un mese dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, ricontattiamo via WhatsApp don Moreno Cattelan, uno dei sacerdoti che vivono nella Casa della Comunità – Monastero di Leopoli (L’viv), nell’ovest del Paese, Monastero che ha un reparto di accoglienza per disabili chiamato Cafarnao e un ostello per giovani intitolato ai ss. Apostoli Giacomo e Giovanni. 

Sabato 26, appena 48 ore dopo la nostra telefonata, Leopoli è colpita da tre bombe russe.Questo il racconto di don Moreno: «Verso le 15,45 abbiamo ricevuto la visita da parte dell’ambasciatore italiano in Ucraina, Pier Francesco Zazo assieme  al  capo della cancelleria Sergio Federico Nicolaci. Sono venuti personalmente a ringraziare per il lavoro che svolgiamo in particolare per la collaborazione che  possiamo garantire nell’aiutare quanti si rivolgono all’Ambasciata  per raggiungere l’Italia. Mentre ci salutiamo scatta l’allarme bombardamenti. Non ci facciamo caso. Passano pochi minuti e sentiamo tre colpi secchi a ripetizione. Hai solo il tempo di mettere in salvo i bambini nel nostro sottoscala. Corri tu, come oltre la strada,  quanti cercano un riparo nei rifugi dei palazzi.  Sale il panico e la paura: “Ci bombardano! Ci bombardano!”.  È il grido dei bambini. Usciamo e notiamo una nube nera non lontano da noi. Il chierico Mykhailo con l’amico Arsen erano vicini alla fermata del tram e hanno visto i missili in cielo cadere sul bersaglio prestabilito. Un vecchio deposito di nafta. Alle 18 una seconda esplosione dalla parte opposta.  Dopo quattro ore l’allarme rientra.  Giusto il tempo di cenare e ci risiamo. Nuovo allarme. Ci troviamo tutti a Casa Cafarnao».  «Sembra passato un anno, non un mese, dallo scoppio della guerra», ci aveva confidato don Moreno. 

Lui e i confratelli nelle scorse settimane sono stati impegnati nell’organizzare viaggi per i profughi da Leopoli al confine con l’Ungheria e da lì per l’Italia o altri Paesi europei. «Sabato scorso è partito l’ultimo pullman, soprattutto di nostri parrocchiani. In molti fuggono perché hanno sempre più paura delle bombe. Ma il flusso di profughi è diminuito, prima facevamo 2-3 viaggi a settimana, ora meno». Il 21 marzo gli orionini di don Moreno avevano cercato di contattare una casa famiglia vicino Mariupol, a Melitopol, che ospita sei bambini orfani, proponendo loro accoglienza a Leopoli, ma il responsabile – che vive nel bunker con i bambini – si è rifiutato per il timore di attacchi durante il viaggio.

All’inizio di questa settimana dovrebbe partire da Leopoli un nuovo pullman con oltre 40 persone in direzione Italia. Ma ora l’incertezza e la paura aumentano. Inoltre, prosegue don Moreno, «da una settimana ospitiamo anche tre volontari italiani dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, provenienti da Rimini e Torino, venuti a Leopoli per assistere insieme ad altre associazioni (tra cui la locale BUR, che significa “Insieme costruiamo l’Ucraina”) i profughi alla stazione dei treni e a farli uscire dal Paese per raggiungere l’Italia in auto».

La solidarietà arriva anche dalla Romania e in particolare da alcuni confratelli orionini di Oradea – don Valeriano Giacomelli e don Gabriel Ciubotaru assieme ad una volontaria, Benedetta – la cui scuola, il Liceo don Orione, ha raccolto 4 tonnellate tra generi alimentari, medicine e materiale per l’igiene personale.

Uno dei missili esplosi non lontano dal Monastero di don Moreno

La vita, quindi, a Leopoli, e nel Monastero stesso, prima delle bombe cercava di riprendere, quanto più possibile, con sembianze di normalità: «abbiamo riaperto l’oratorio – ci spiega don Moreno -, i bambini vengono a giocare a ping pong, a calcetto, sono ripresi gli allenamenti della squadra di calcio dei ragazzi di 11-13 anni». E poi proseguono i lavori, iniziati nel 2018, per la nuova grande chiesa, ora sostituita da una provvisoria. A non essersi mai fermate sono le liturgie: «sempre più persone vi partecipano, per un conforto, per ritrovarsi, per non stare sempre davanti alla tv a sentire notizie di guerra. Al mattino facciamo la veglia di preghiera per i defunti e durante la Quaresima, la Messa la celebriamo solo il sabato e la domenica, oltre alla Via Crucis il venerdì». 

Ma la scuola, come il catechismo, è sospesa, e anche i beni alimentari iniziano a scarseggiare. «Nonostante ci riforniamo alla Metro, l’acqua è razionata, il grano saraceno scarseggia e così, ad esempio, anche i sacchi per la spazzatura». Insomma, nonostante tutto, prosegue, «se riesci a cacciare dalla testa che siamo in guerra, per alcuni aspetti sembra di essere tornati ad alcuni mesi fa», ci diceva il 24, due giorni prima delle bombe. 

«Quanto resta della notte?», è scritto in Isaia 21. Gli rivolgiamo la domanda a lui: «È una notte un po’ lunga, ci affidiamo a Dio. Quello che doveva essere una guerra-lampo si è trasformata in un lungo temporale, anzi in un terremoto. Aspettiamo il giorno in cui questo terremoto si fermerà e allora ci guarderemo attorno e inizieremo a ricostruire, non solo gli edifici, ma soprattutto i cuori e le vite delle persone». 

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 1° aprile 2022

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Donne e bimbi in fuga. Ma Igor è militare in Ucraina

24 Mar
Olga e la sua famiglia uniti in Ucraina prima dell’inizio della guerra

Famiglie divise dalla guerra. La storia di Olga, di Tatiana e dei loro figli. Da una vita serena alle porte di Kiev, al rifugio nei sotterranei. E ora l’accoglienza a Porotto. «Un’odissea per scappare dalle bombe russe. Chissà cosa troveremo al nostro ritorno»

Dal 12 marzo a Porotto vivono due famiglie scappate da Kiev, dove hanno lasciato familiari, parenti, amici. Ogni affetto e ogni luogo della loro vita.

Olga è scappata da Boryspil’, a 30 km dalla capitale, insieme ai figli, Daria di 17 anni e Ivan di 11. A Ferrara hanno raggiunto la madre Ludmila – che vive nella nostra città dal 2000 e lavora nella cucina del ristorante “Le nuvole” – e la sorella Caterina, dal 2004 a Ferrara, impiegata come cameriera all’Hostaria Savonarola.

Le due donne vivono insieme e non avendo spazio nel loro bilocale per ospitare Olga coi figli, han dovuto trovare un’altra soluzione: grazie all’Associazione Nadiya di piazza Saint Etienne, ora sono al sicuro in un appartamento nella frazione fuori città. Ma Olga non è scappata solo coi figli ma anche con l’amica Tatiana e i suoi due figli, Vitaliy di 17 anni e Lilia di 13, che vivono nella stessa località, dove si trova anche l’aeroporto internazionale di Kiev- Boryspil’.

Il marito di Tatiana è morto lo scorso luglio, mentre quello di Olga, Igor, è un militare impegnato nel Servizio di Coordinamento e Controllo dell’Aeronautica ucraina. «Ci sentiamo con lui ogni giorno, più volte al giorno – mi racconta Caterina -, e questo allevia molto la preoccupazione».

Dal 24 febbraio Olga, Tatiana e i loro rispettivi figli non si sono più separati. Da quel maledetto giorno in cui iniziarono i bombardamenti russi, hanno vissuto nel seminterrato di una signora loro vicina di casa: «di giorno mia sorella e Tatiana andavano a lavorare» – Olga è commercialista in una rete di poliambulatori -, e alle 17 rientravano» nel rifugio, dove quindi vivevano in sette.

Il viaggio per arrivare nella nostra città

«Abbiamo dovuto mettere tutta la nostra vita in un bagaglio a mano e partire, senza sapere se al ritorno ritroveremo la nostra casa e i nostri affetti». Così Olga e Tatiana cercano di spiegare la consistenza del dramma che stanno vivendo.

È Caterina a raccontarci la loro odissea da Kiev a Ferrara: «sono partiti la mattina del 9 marzo e sono arrivati a Ferrara alle 22 del 12. Da Kiev avrebbero dovuto arrivare col pullman a Trieste, ma loro e altre persone sono state prima scaricate alla frontiera con la Polonia, che quindi hanno attraversato a piedi, poi alcuni volontari le hanno portate a Varsavia e successivamente a Lubiana». Hanno trovato, nel frattempo, altre difficoltà nel trovare pullman disponibili e con gli ostelli dove poter alloggiare, dormendo anche in stazione. «Dopo tante telefonate abbiamo trovato un autobus privato diretto a Napoli, con 90 posti, a pagamento, che quindi le ha lasciate all’Autogrill Po Ovest».

Un approdo in un posto sicuro, anche se la sofferenza e l’angoscia rimangono. «Daria, mia nipote, il giorno dopo l’arrivo a Ferrara ha avuto un crollo psicologico, piangeva ed era molto triste. Almeno, però, riesce a rimanere in contatto anche con le compagne di scuola. Ora lui e il fratello sono un po’ più sereni».

A breve dovrebbero iniziare ad andare a scuola, e per ora hanno potuto seguire alcune lezioni registrate su Zoom.

Piccoli passi per riabituarsi a una vita normale, se così si può dire, in attesa che dall’Ucraina possano arrivare notizie migliori.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 25 marzo 2022

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A Ferrara per tornare a respirare, a Kiev per resistere e sperare

24 Mar
Galina, Vyacheslav e i figli

Famiglie divise dalla guerra. A Ferrara, nella sede dell’Associazione Nadiya abbiamo  parlato con Galina, scappata con i figli di 6 e 7 anni. A Kiev ha lasciato il marito Vyacheslav, in attesa di essere chiamato a combattere. Lo abbiamo contattato per farci raccontare il dramma in corso

di Andrea Musacci

Galina e i figli in salvo a Ferrara

Kiev così lontana, Kiev mai stata così vicina. Vicina nel cuore, nelle viscere di una donna, di una moglie, di una madre. Vicina nello strazio che vive il cuore di Galina, una delle donne che fino a un mese fa vivevano una vita normale, in una grande capitale europea. E che ora sono qui a Ferrara, a oltre 2mila km di distanza, con i due figli piccoli, sperduti, spaventati pur non del tutto consapevoli di ciò che sta accadendo. Consapevolezza che invece ha lei, nei suoi occhi che presto si bruciano di lacrime. 

Conosciamo Galina il 17 marzo. Siamo in piazza Saint Etienne a Ferrara, di fianco alla chiesa di Santo Stefano. È da poco terminato uno dei corsi di italiano che l’Associazione Nadiya sta organizzando per i profughi provenienti dall’Ucraina. Roberto Marchetti alla fine della lezione domanda chi vuole lasciare una testimonianza per il nostro giornale. Tante le persone che si defilano, le teste che si abbassano, per pudore, tristezza. Galina invece dice: «io voglio raccontare cosa succede».

Arrivata lo scorso 6 marzo a Ferrara insieme ai figli Nazar di 7 anni e Tania di 6, nella Kiev sotto le bombe ha lasciato il marito Vyacheslav e una sorella. Col marito, ci spiega, si sentono quotidianamente tramite Viber o Skype, lui le invia anche immagini della città martoriata. In lei si capisce che combattono il bisogno di sapere e il dolore di conoscere quel che accade. Galina a deciso di venire a Ferrara perché qui sua madre lavora da oltre 10 anni. Lei e i bambini sono stati accolti dalla famiglia dove la madre lavora come badante.

«Alle 4.15 del mattino del 24 febbraio – ci racconta – la Russia ha iniziato a bombardare Kiev. Non ce l’aspettavamo. Abbiamo visto passare i razzi sopra le nostre case. Noi viviamo al 18° piano di un edificio di 22 piani, nel quartiere Darnyts’kyi», zona est di Kiev.

Il 3 marzo lei e i bambini hanno lasciato la città, pagando un privato perché li portasse fino a Ternopil. Un viaggio durato 19 ore. 

«Siamo stati un giorno in un parcheggio sotterraneo insieme a tante altre persone.  I genitori come me uscivano ogni tanto per comprare da mangiare. Poi per alcune ore siamo stati ospitati in un alloggio, prima che alcuni volontari ci portassero al confine con la Polonia. Ci tengo tanto a ringraziare le persone che ci hanno aiutato e quelle che ci hanno accolte». 

«Mio marito è rimasto a Kiev a fare la resistenza», prosegue Galina. «Mi racconta che lì la gente ha paura, si nasconde nei sotterranei, è terrorizzata dalle bombe e dai residui degli ordigni che cadono. Ma iniziano ad aver paura di andare anche nei sotterranei perché temono che le case possano crollare». 

«Non vorrei – conclude – che Kiev finisse come Mariupol o Kharkiv. Le persone nella mia città sono molto depresse dopo settimane di bombardamenti, pensano di morire, gli sembra di non avere vie d’uscita».

Vyacheslav aspetta di arruolarsi a Kiev

Prima mi invia le foto da Kiev dei palazzi dilaniati dalla furia russa. Poi mi inizia a scrivere su WhatsApp, Vyacheslav, marito di Galina, tre settimane fa ha dovuto farla partire con i bambini per un Paese lontano, il nostro. 

Le sue parole decide di anticiparle con le foto e i video della devastazione nel distretto di Podolsky e in quello di Lukyanovka, e dell’orrore dei corpi dilaniati a Mariupol.

«Sto aspettando di essere convocato per arruolarmi nell’esercito – ci spiega –, sono pronto per combattere». «Qui a Kiev in molti sono pronti ad arruolarsi ma attualmente non ci sono abbastanza armi per tutti. In ogni caso se i russi invadono la città, dobbiamo tutti combattere. Anch’io». 

Vyacheslav mi spiega che si è laureato al Dipartimento militare, ed è impiegato come contabile, anche se naturalmente ora la sua azienda è chiusa. Ora che la sua famiglia è dovuta scappare, vive con la madre di 82 anni nel suo appartamento nel Distretto di Nyvok a Kiev. «È anziana, non è riuscita a lasciare la città e in ogni caso non avrebbe voluto abbandonare la sua casa».

«Qui spesso i russi bombardano la città dalle 3 alle 8 del mattino, ogni giorno c’è il coprifuoco. L’azione della nostra difesa aerea è molto dura, Irpin e Gostomel sono vicine», rispettivamente a 50 e 70 km dalla capitale. «Il nostro Paese ha bisogno di una difesa aerea più imponente e di altri aerei perché la gente sta molto soffrendo sotto le bombe. Mariupol e Kharkiv sono state praticamente distrutte».

«Le nostre giornate le trascorriamo in casa, esco solo per comprare l’acqua e altri beni essenziali. All’inizio – prosegue – spesso ci rifugiavamo nel seminterrato della nostra casa, ma ora quando le sirene suonano non scappiamo nemmeno più, rimaniamo in casa. Tante persone, però, sono scappate nella metropolitana e ora vivono lì».

Vyacheslav poi mi racconta di suo figlio di 15 anni, avuto dal suo primo matrimonio. Lui vive con la madre e la nonna a Kherson, città occupata dai russi. «Mio figlio mi racconta che l’esercito russo bombarda i rifugi antiaerei dove le persone si rifugiano, quando l’esercito ucraino ha attaccato le loro truppe».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 25 marzo 2022

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Nadiya a Ferrara, assistenza a tutto tondo

17 Mar
Corso di italiano nella sede dell’Associazione Nadiya (14 marzo 2022)

Crisi Ucraina: accoglienza di nuclei famigliari, corsi di italiano, aiuto per ogni tipo di pratica e assistenza psicologica

Non un grande momento per festeggiare i primi 20 anni di vita. L’Associazione Nadiya di Ferrara è da settimane in prima linea nell’assistenza e nell’accoglienza delle donne ucraine. In totale, in questi anni Nadiya ha assistito 2974 persone, di cui ben 1959 ucraine.

Lo scorso 12 marzo, come ci spiega Roberto Marchetti, fondatore dell’Associazione, «abbiamo accolto sei persone da Kiev, due donne entrambe con due figli. Le ospitiamo a Porotto in un appartamento che abbiamo preso in affitto». Per ora sono 700 i profughi ucraini arrivati a Ferrara.

In termini di accoglienza di donne straniere in condizioni di difficoltà lavorative o con problemi di salute, Nadiya vanta una certa esperienza: in via Frescobaldi, 54 gestisce una Casa di accoglienza composta da 6 monolocali avuti in affitto dal Comune dove attualmente ospita 6 profughe nigeriane, alcune badanti malate o in difficoltà e due persone fuori convenzione. 

«Questa casa di accoglienza – ci spiega Marchetti – non è solo d’aiuto per le donne ospitate ma anche per le famiglie dove queste hanno svolto badantato e che non possono più tenerle con sé. Siamo anche in contatto con i reparti di ematologia e oncologia di Cona, che ci avvisano quando una donna gravemente malata non ha più speranze di sopravvivere. A quel punto, anche se non è per nulla facile, la avvisiamo chiedendole se vuole rimanere ospite della nostra struttura o preferisce tornare nel suo Paese d’origine». 

Alcune donne vengono accolte in questa Casa perché non possono permettersi neanche un appartamento in affitto. Per avere la pensione ci vogliono almeno 20 anni di badantato, e spesso alcune badanti svolgono appena 4 ore al giorno di servizio, insufficienti per avere una pensione dignitosa. Spesso capita anche che in Ucraina non abbiano versato i contributi.

Tornando ai profughi giunti in questa settimana a Ferrara dall’Ucraina, l’Associazione li aiuta anche per l’iscrizione a scuola dei bambini e dei ragazzi, con un corso di italiano (foto del 14 marzo) tenuto da Marchetti con un’interprete bilingue loro ospite, oltre che per le pratiche legate alle vaccinazioni o di altro tipo. Inoltre, Nadiya promuove una serie di incontri di gruppo liberi e gratuiti gestiti da uno psicologo-psicoterapeuta, con l’obiettivo di aiutare gli ucraini in questo drammatico momento che vede tanti loro familiari sotto le bombe. Finora sono stati due gli incontri, il 4 e l’11 marzo. Si sta valutando se proseguire in questa modalità oppure organizzarne anche per i profughi arrivati in città.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 marzo 2022

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Ivan a Cernivci guida la macchina della solidarietà

17 Mar
Donne a Leopoli cuciono reti per coprire i mezzi militari

A “La Voce” spiega: «le difficoltà aumentano giorno dopo giorno». I contatti quotidiani con l’Italia (anche con IBO)

Ivan Sandulovich fa parte dell’Associazione Italia-Ucraina di Bologna, città dove ha vissuto 15 anni. Di solito ogni anno almeno per 6 mesi si reca in Ucraina per coordinare progetti di cooperazione internazionale, ad esempio per bimbi disabili. Ora, però, il periodo nel suo Paese d’origine si prolungherà.

Ivan si trova a Cernivci, a un’ora di macchina da Siret in Romania. Insieme ad altri 30 volontari dell’Associzione e agli operatori e ai volontari del Comune di Cernivci, organizza nel Centro regionale (gli altri due nell’ovest del Paese sono a Leopoli e Uzhorod) la raccolta e lo smistamento dei beni di prima necessità per i profughi, l’aiuto agli stessi durante il loro viaggio verso il confine rumeno, oltre a mantenere i contatti con enti, istituzioni e associazioni in Italia. Fra questi vi è IBO, che a Ferrara sta organizzando una raccolta di beni di prima necessità da inviare in Ucraina grazie anche ad Amos Basile e Agnese Di Giusto, i due volontari che sono dovuti rientrare da Kitsman a causa della guerra (ne abbiamo parlato nel numero scorso), dov’erano impegnati nel Centro Campanellino “Dzvinochok” per minori disabili.

Sono decine di migliaia – circa 60mila – le persone giunte a Cernivci da altre zone del Paese in guerra. «Molte – ci racconta Ivan – arrivano con solo uno zainetto, non hanno nulla. Spesso sono donne coi loro bambini. Vengono accolte in strutture di accoglienza, arrivano stremate, non mangiano da giorni». Ma uno dei compiti di Ivan è anche quello di fare in modo che gli aiuti dall’estero arrivino il prima possibile dove sono destinati. «Controllo cosa arriva, la destinazione e organizzo il trasporto, rendicontando tutto». 

I volontari della sua Associazione assistono anche i profughi durante il loro viaggio verso il confine, muovendosi ad esempio con mezzi agili nel traffico in mezzo alle lunghe file di macchine. «Capita spesso di dover assistere madri con bambini piccoli», ci spiega Ivan. In generale, la situazione in città non è facile. «Scarseggiano i carburanti, lunghe sono le file di auto davanti ai benzinai, che li esauriscono in poche ore. Gli alimentari si trovano, pur con prezzi maggiorati, molti farmaci bisogna prenotarli ma non si sa quando verranno recapitati». La speranza è che le bombe non arrivino anche qui. «La gente non può più lavorare, temo ci saranno tanti casi di crolli psicologici».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 marzo 2022

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Nel cuore dell’esodo: la situazione a Leopoli

17 Mar

Don Moreno Cattelan: «accoglienza e profughi al confine, ma intanto le bombe si avvicinano»

Don Moreno con una famiglia di profughi accolta

Quando riusciamo a metterci in contatto con lui via WhatsApp (l’11 marzo) la voce è sempre calma. Calma nonostante tutto. Da alcuni giorni erano sempre più chiare le intenzioni degli invasori russi: bombardare sempre più nell’ovest dell’Ucraina, verso la regione di Zhytomyr. E poche ore prima di parlare con don Moreno Cattelan, verso le 5.30 del mattino le forze di Mosca hanno lanciato un attacco con missili a lungo raggio ad alta precisione contro due aeroporti militari nelle città di Lutsk e Ivano-Frankivsk, distruggendoli, provocando morti e feriti. Lutsk si trova a 150 km a nord da Leopoli, dove don Moreno vive da alcune settimane con i suoi confratelli della comunità di “Don Orione”, mentre Ivano-Frankivsk è ancora più vicina, a 130 km verso sud. «Sono scattate le sirene, era ancora notte», ci racconta don Moreno. «Noi possiamo dirci ancora tranquilli, ma la paura e la tensione crescono». 

Inoltre, la notte tra il 12 e il 13 marzo i russi hanno colpito l’International Center for Peacekeeping and Security, di Yavoriv, a 30 km a nord ovest di Leopoli e a 25 km dal confine con la Polonia.

Continua l’afflusso di migliaia e migliaia di profughi da Kiev e dall’est del Paese verso Leopoli, per sfuggire alle bombe, ai combattimenti e alla miseria, per poi o rimanere lì oppure passare il confine ungherese, polacco o moldavo. «Ci sono 2 km di fila per entrare in stazione», per controllare ogni persona. Molti arrivano dalle campagne, da piccole località, gente semplice, che non si è mai spostata dal proprio paese, come la donna, ci racconta don Moreno, «che aveva con sé ancora il passaporto dell’URSS». Il flusso alle frontiere in questi giorni, però, diminuisce, chi voleva fuggire l’ha fatto la scorsa settimana.

«Nella nostra comunità “Don Orione” in questi giorni accogliamo 35 persone, siamo pieni e quindi le indirizziamo ad altri centri in città. Qui a Leopoli siamo ancora autonomi nell’approvvigionamento dei beni essenziali. Se a volte ci manca qualcosa per i nostri ospiti, chiediamo al centro di accoglienza allestito nella scuola qui vicina, e quando possono ci donano patate, polpette o altro». 

E poi il missionario padovano insieme ai confratelli don Egidio Montanari e Mykhailo Kostivdon continua a organizzare i viaggi per portare i profughi al confine ungherese. «Ad oggi abbiamo fatto 6 pullman, per un totale di circa 200 persone, e con un altro partiamo fra mezz’ora». Molti arrivano da Kiev (impiegando 3 giorni per fare 550 km), da Poltav, da Kharkiv. Su quest’ultimo pullman ci saranno bambini, disabili, malati, alcuni di loro si fermeranno all’ospedale “Burlo Garofalo” di Trieste. Altri arriveranno a Mestre per poi raggiungere altri profughi ucraini nelle comunità orioniane di Tortona e Fano, oppure a Milano, altri ancora andranno a Genova. «Abbiamo accompagnato al confine anche 7 famiglie italiane, indicateci dalla nostra Ambasciata», che a Leopoli si è trasferita, da Kiev, il 1° di marzo.

La guerra aiuta, per forza, anche a crescere in fretta, a volte troppo. È il caso, ad esempio, di due ragazzine ucraine di 16 anni che hanno raggiunto, da sole, le nonne in Italia, una a Trento l’altra a Novara.

Infine, a don Moreno, prima che raggiunga il pullman per un nuovo viaggio della sperranza verso l’Ungheria, gli chiediamo come stanno i ragazzi disabili che dal loro centro a Leopoli sono stati trasferiti due settimane fa nelle comunità di Fano e Tortona: «stanno bene, cercano di integrarli e di tenerli impegnati, gli fanno fare piccoli lavoretti, come realizzare collane con perline. Quand’erano qui a Leopoli facevano anche un laboratorio per realizzare icone». 

A Tortona, poi, è stato realizzato un piccolo reparto dove gli ospiti ucraini dispongono di una piccola cucina, in modo da essere autonomi, e tra loro solidali.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 marzo 2022

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A Drohobych aumenta la tensione e insieme la fede e il coraggio

17 Mar
Famiglia aiutata da padre Roman

Padre Roman Fedko, sacerdote cattolico di rito bizantino, ci aggiorna sulla situazione nell’ovest del Paese. Ogni giorno aumentano i profughi e i poveri ma la solidarietà regge

La paura, giorno dopo giorno, cresce anche nell’ovest dell’Ucraina. E di pari passo aumenta la solidarietà e la preghiera. Abbiamo ricontattato Padre Roman Fedko, sacerdote cattolico di rito bizantino che con la famiglia (la moglie e i tre figli) vive a Rychtyci, a pochi km da Drohobych, vicino al confine con la Slovacchia e la Polonia.

«Noi stiamo bene – ci dice l’11 marzo -, i generi di prima necessità si trovano ancora, ma ieri notte hanno bombardato i due aeroporti militari nelle città di Lutsk e Ivano-Frankivsk», quest’ultima a 120 km da Leopoli, la distanza che divide Ferrara da Reggio Emilia.

«Da qualche giorno qui gira una brutta voce», prosegue: «la Russia accusa l’Ucraina di voler usare armi chimiche. Non solo è una fake news usata dai russi ma di solito quando loro accusano gli altri di qualcosa significa che cercano un pretesto per compiere loro stessi quell’azione. È successo così in Siria, ad esempio. Temiamo, quindi, che prima o poi siano loro a usare armi chimiche contro il nostro popolo. E poi c’è il terrore che possa accadere qualcosa dalla centrale di Chernobyl», ora in mano agli uomini di Putin. 

Nonostante ciò, la zona non ha ancora conosciuto combattimenti o bombardamenti. «Abbiamo un po’ più di paura ma col tempo la gente si sta abituando anche a questa situazione straordinaria. In zona ci sono tanti profughi, scuole e altre strutture pubbliche vengono usate per dare alloggio a chi scappa da Kiev e da altre città. Molti decidono di non proseguire verso il confine polacco o ucraino perché si ritengono già fortunati di essere arrivati sani e salvi qui».  

Quasi quotidiana è l’opera di assistenza da parte di Padre Roman di poveri, anziani e profughi. «Oggi sono andato a Drohobych in una scuola allestita come centro di accoglienza che ospita oltre 200 profughi e ho portato riso e altri alimenti». Ieri, invece, «qui a Rychtyci sono tornato a trovare alcune famiglie povere con bambini, tra cui alcune di rom – di cui mi occupo da oltre 10 anni -, che naturalmente con la guerra hanno peggiorato la loro situazione. Poi, regolarmente faccio visita, sempre qui nel mio paese, a un hospice, un centro palliativo che ospita più di 20 anziani allettati». 

Continua anche la difesa territoriale, con tutti gli uomini dai 18 ai 75 anni d’età che si sono arruolati. Ogni giorno si vive col pensiero che la guerra possa iniziare, del tutto, anche qui. Anche le strategie di difesa come le barriere anti carro armato rispetto ai primi giorni vengono organizzate meglio e in maniera più efficace, con la supervisione dei militari. Prosegue anche la realizzazione di teli neri, spesso fatti con poveri stracci, per metterli sugli edifici e altri punti importanti in modo che i caccia russi non riescano a vedere bene dove eventualmente bombardare.

Poi, però, c’è il problema dei russi che «girano da civili, anche da prima della guerra, spacciandosi per ucraini e cercando di raccogliere informazioni importanti. Oppure «sappiamo di persone pagate dalla Russia per compiere attentati alle centrali elettriche o del gas».  

Infine, proseguono le veglie di preghiera: «aumenta sempre di più il flusso di persone che viene per pregare, il doppio rispetto a prima. E continuo il Rosario sul mio profilo Facebook, al quale si collegano circa 200 persone la mattina e 400 la sera. Per molte persone – conclude Padre Roman – venire in chiesa significa trovare un po’ di pace, riacquistare un po’ di tranquillità. Ogni giorno, poi, confesso circa 70 persone e tante altre mi chiamano per chiedermi aiuto, dei consigli, per parlare e sfogarsi, per chiedere come poter essere utili».  
Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 marzo 2022

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«Accompagniamo famiglie e disabili al confine»: il racconto di don Cattelan da Leopoli

9 Mar
Profughi in partenza dalla Comunità “Don Orione” di Leopoli

Don Moreno Cattelan racconta a “La Voce” l’impegno nell’aiutare le persone a raggiungere la frontiera ungherese per poi arrivare in Italia. La loro comunità è diventata centro di accoglienza dei tanti profughi

Sono veri e propri viaggi della speranza quelli che migliaia di ucraini da giorni stanno compiendo per sfuggire alla furia distruttiva dell’invasore russo. Viaggi che non sarebbero possibili senza il forte spirito solidale della popolazione e, nello specifico, senza l’aiuto dei tanti sacerdoti e delle tante opere cristiane radicate sul territorio. 

Fra i più attivi in questo senso c’è don Moreno Cattelan, missionario padovano della congregazione di Don Orione, la “Piccola Opera della Divina Provvidenza”, opera presente dal 2000 nella periferia di Leopoli, impegnata nell’animazione giovanile e nell’accoglienza di giovani disabili. Lo abbiamo contattato telefonicamente per farci raccontare la situazione. «La notte tra il 25 e il 26 febbraio da Kiev mi sono trasferito a Leopoli insieme a don Egidio Montanari», presente in Ucraina dal 2000. Un viaggio durato 18 ore. «Qui, abbiamo raggiunto il chierico Mykhailo Kostiv, mentre don Fabio Cerasa», altro sacerdote orioniano, «è andato a Tortona per dare una mano all’accoglienza dei profughi e per tenere i contatti tra noi e le comunità in Italia. A Kiev io e don Egidio in questi due anni abbiamo cercato di iniziare la nostra missione, ma prima il covid e poi la guerra non ci hanno aiutato». In ogni caso, «qualche progetto nel nostro quartiere l’avevamo iniziato, soprattutto coi bambini».

Don Moreno Cattelan

A Leopoli il centro di accoglienza nel Monastero dispone di 30 posti letto e di un grande refettorio. In queste settimane è un flusso continuo di persone provenienti da ogni zona dell’Ucraina: alcuni si fermano, altri invece proseguono verso il confine con l’Ungheria per raggiungere l’Europa. 

E in questi viaggi verso il confine – finora un centinaio di persone hanno accompagnato da Leopoli -, in direzione dell’Italia e di altri Paesi europei, i due sacerdoti italiani sono attivi in prima linea. Solo nella giornata del 3 marzo, quando riusciamo a parlare per la prima volta con don Moreno, hanno portato al di là del confine 42 persone, di cui oltre la metà bambini. Ad attenderli, un pullman diretto in Italia: metà di loro, i ragazzi disabili ospitati nella comunità di Leopoli, sono stati accolti dal Centro “Mater Dei” di Tortona dell’Opera “Don Orione”, una decina in una struttura orioniana di Fano e altri a Torino. Altri ancora, invece, arrivati a Mestre, si sono fermati in zona da alcuni parenti. Domenica 6 hanno accompagnato al confine ungherese dieci bambini con le madri. 

Ma il viaggio da Leopoli all’Ungheria, normalmente di circa 7 ore, non è facile: «già per noi – ci racconta don Moreno – è stata un’odissea fuggire da Kiev», un lungo viaggio «su strade spesso bombardate». E ora questi viaggi quotidiani per portare i profughi al confine, spostamenti nei quali, «oltre alla difficoltà di trovare pullman disponibili, si aggiunge il fatto che molti sono sprovvisti di passaporto. «È gente umile, non abituata a viaggiare. Per fortuna, per loro scatta automaticamente la protezione umanitaria». Tra le persone che hanno accompagnato, anche una bimba di un anno e un mese provvista del solo certificato di nascita. E a proposito dei bambini, don Moreno sottolinea come da poche settimane avevano ripreso ad andare a scuola. «Quando li ho lasciati al confine diretti verso l’Italia, ci siamo promessi di rivederci fra una settimana. Ma sarà molto dura. In Italia vengono accolti e integrati bene», per ricostruirsi una normalità, ma per loro, soprattutto per loro, è stato uno sradicamento non da poco, feroce e improvviso. Ma le dogane sono intasate e quindi don Moreno ci spiega che stanno cercando altri punti di confine dove portare i profughi.

Non tutti però raggiungono la comunità orioniana di Leopoli per starci solo qualche giorno prima del viaggio verso il confine. Alcuni decidono di rimanervi, come le tre famiglie, tutte con bambini, fra cui un neonato nato i primi di febbraio, o alcune anziane, provenienti da Kiev e da Kharkiv, una delle città più martoriate dalla furia distruttiva russa. «Stasera – ci spiega don Moreno venerdì 4 – un’altra madre coi figli partirà da qui verso l’Ungheria, mentre il padre tornerà a Kiev per combattere con l’esercito di difesa cittadino. Alcune persone che arrivano qui da noi a Leopoli tremano dalla tensione, e dopo tre giorni senza aver mangiato. Qui si autogestiscono e si aiutano reciprocamente con la cucina e la lavanderia. C’è un forte senso di familiarità». 

Ma anche mentre scriviamo, tante sono le persone che continuano a raggiungere Leopoli, ormai centro di raccolta e smistamento delle migliaia di sfollati che lasciano le città di un Paese che il governo di Putin sta cercando di schiacciare e sottomettere.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 marzo 2022

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