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Guido Angelo Facchini fascista? Violenza, paura ed eterni rancori

18 Ott

Il “papà del Palio ferrarese” fu nel Ventennio un protagonista della vita culturale. E come tanti cattolici aderì al fascismo non per ideologia ma per paura delle violenze del socialismo massimalista. È possibile contestualizzare senza fare revisionismo? Se ne parla nel libro “Ferrara Sorgente di Poesia” di Laura Facchini e Francesco Paparella

di Andrea Musacci 

Gli anni del secondo dopoguerra nel nostro Paese e soprattutto in Emilia, sono stati particolarmente difficili e complessi, con tratti spesso tragici. Sono gli anni nei quali l’Italia tenta di rialzare la testa dopo il cupo ventennio fascista e le atrocità della guerra. Ma sono anche gli anni fratricidi costellati da vendette e rancori a lungo sopiti. E forse non ancora del tutto superati.

Di questo, e non solo, si parla nel volume da poco edito dal titolo “Ferrara Sorgente di Poesia. Spunti biografici su Guido Angelo Facchini (foto grande) un intellettuale ferrarese fra le due guerre”, di Laura Facchini (nipote di Guido Angelo) e Francesco Paparella, con prefazione di Carlo Magri (membro del Consiglio Superiore del Palio nominato dalla famiglia Facchini). Di Facchini, che negli anni ’30 a Ferrara fece rinascere lo storico Palio, Paparella ha scritto tanto sulla “Voce”. L’ultimo articolo, nell’edizione del 20 settembre scorso, anticipa il racconto, contenuto nel libro, delle tre vite salvate da Facchini dopo l’8 settembre ’43: quelle del prof. Carlo Zaghi (storico e giornalista) e dei collaboratori del “Corriere Padano” Guido Aristarco (critico cinematografico) e Giuseppe Gorgerino (scrittore e sceneggiatore), finiti nelle grinfie della polizia  fascista. Episodi eroici come questo ci rendono assurdo oggi quel «silenzio “comprensibilmente rancoroso” »  che nel secondo dopoguerra cadde anche sul Palio, sui personaggi in vista in quegli anni», tra cui lo stesso Facchini.

IL BIENNIO ROSSO E LO SQUADRISMO 

La “scelta fascista” di Facchini fu, come per molti, non motivata da chissà quale culto della violenza o della supremazia razziale, o da idee particolarmente reazionarie. Scrive Paparella nel libro: durante il Ventennio «il suo animo romantico, la sua fede e il suo idealismo lo portarono rapidamente verso la sponda del fascismo ferrarese che tra la fine della prima guerra mondiale e l’inizio degli anni ’20 si erge, nella propaganda dell’epoca, a difensore dei valori dell’ordine e della Patria e a difesa da un socialismo spesso anticlericale e violento, pur usando metodi spesso ancora più violenti». Il socialismo massimalista avrà come reazione la nascita del cosiddetto “fascismo agrario”. «Due opposti estremismi», prosegue Paparella: «il socialismo alimentato da una devastante disoccupazione e da una situazione economica drammatica» e «il fascismo squadrista che riesce in poco tempo ad aggregare e avvicinare a sé un largo strato della popolazione ferrarese, con il palese appoggio e contributo economico dei proprietari terrieri, della nobiltà ferrarese, di buona parte della comunità ebraica e anche di largo settore del movimento cattolico. Quest’ultimo, contrariamente ad alcune esperienze in altre parti d’Italia, dove si aggregò attorno al Partito Popolare in aperta opposizione al movimento fascista, a Ferrara per la maggior parte si consolidò nel Centro Nazionale Cattolico, noto per posizioni collaborazioniste e di cui esponente di spicco fu il Conte Giovanni Grosoli». Lo stesso Vescovo Francesco Rossi e il giornale “La Domenica dell’Operaio”, fondato da Grosoli, denunciarono le violenze di questo socialismo radicale e i conseguenti pericoli anche per la libertà dei cattolici. Violenze denunciate in quegli anni anche da Alcide De Gasperi, dal liberale Pietro Niccolini, da socialisti riformisti e antifascisti come Gaetano Salvemini e Alda Costa. Dopo l’eccidio del Castello del 1920 (in cui oltre a tre fascisti morì anche il socialista Giovanni Mirella), «anche coloro che erano rimasti incerti o comunque neutrali passeranno ad appoggiare più o meno direttamente il movimento fascista se non altro per un anelito di ordine e protezione e un sempre maggior sostegno anche in ambienti cattolici». Lo stesso Facchini, quindi, vive in questo clima di paura. La morte del coetaneo e amico Edmo Squarzanti lo segnò nel profondo: il 25 febbraio 1921 Squarzanti «si trovava sul camion carico di fascisti di ritorno dalla partecipazione, a Lendinara, all’inaugurazione di un gagliardetto. Arrivati a Pincara, di fronte alle finestre del capolega di quel paese, furono fatti oggetto di colpi di rivoltella. Uno di questi colpì alla gola il giovane ferrarese che morì poco dopo. Da lì si scatenò uno scontro che portò alla morte dell’autore stesso». Da una lettera di Facchini alla “Gazzetta ferrarese” del 16 dicembre 1921, si può «desumere che pure lui fosse presente a quella trasferta a Lendinara e pertanto anche da questo potremmo immaginare la conferma o comunque il consolidarsi della sua scelta di adesione al fascismo come opposizione alla violenza del massimalismo socialista».

L’8 SETTEMBRE ’43 (E UN PRESENTE CHE SIA DIVERSO) 

Dopo l’8 settembre 1943, anche Ferrara fu occupata dal terribile governo repubblichino-nazista. Pochi mesi prima, la caduta del regime. «Il figlio Aldo ha un ricordo indelebile della notte del 25 luglio 1943», racconta Paparella. «Tornando a casa non vide suo papà. La nonna gli disse che era nell’interrato di villa Melchiori, nascosto per evitare di coinvolgere i familiari». I Facchini abitavano proprio di fianco Villa Melchiori. «Si era diffusa la notizia della caduta di Mussolini e del fascismo e anche Guido Angelo aveva ricevuto minacce di morte. Pertanto quando Aldo lo raggiunse nella villa Melchiori lo vide nel buio con la faccia tesa, seduto sui gradini con una pistola appoggiata a fianco». Insomma, anche chi come lui aveva salvato alcuni antifascisti, non si sentiva al sicuro. Troppo caldo era ancora il sangue di tanti che si erano ribellati alle angherie fasciste. E troppo era il carico di odio, il desiderio di rivalsa (giusta) contro 20 anni di tirannia. Ci sono voluti molti altri decenni per riscrivere la storia di Facchini senza sentirsi additare come “revisionisti” se non nostalgici. O almeno ci auguriamo che così sarà.

Vita di Guid’Anzul, tra impegno e poesia


Guid’Anzul (così lo chiamavano gli amici) nasce a Ferrara nel 1904 da Aldo ed Eugenia Paparella. Ancora adolescente, la casa editrice francescana di Assisi gli pubblica le sue liriche “Canti della Verna”. A 19 anni è già responsabile della pagina culturale della “Gazzetta ferrarese”, che nel ’28 confluirà nel “Corriere Padano” creato da Italo Balbo. Ha ruoli nel Gruppo Universitario Fascista, collabora con l’Unione dei Sindacati, nella Società Benvenuto Tisi, nel comitato esecutivo della Settimana ferrarese e nel “Comitato Ferrarese dell’Ottava d’oro”. A 23 anni sposa Renza Mariotti: i due avranno un figlio, Aldo (foto qui sopra). Nel ’30 diventa direttore dell’Unione Provinciale dei Professionisti ed Artisti, fino al 1933 quando si concentra sugli eventi ferraresi legati alle manifestazioni per il centenario dell’Ariosto e all’organizzazione del Palio. Fra gli altri impieghi, sarà Segretario e poi Presidente dell’Istituto di Cultura di Ferrara, consultore di Ferrarie Decus, Presidente dell’Istituto di Cultura italo-germanica di Ferrara, Direttore della rivista “Il Diamante”. Scrive anche “La storia di Ferrara illustrata nei fatti e nei luoghi”. In quegli anni viene avviato a lezioni private di tedesco presso il prof. Emanuel Merdinger, dal ’38 aiutato a non essere deportato – in quanto ebreo – da una rete di amicizie nella quale vi erano anche Facchini e mons. Bovelli. Nel dopoguerra Facchini va con la famiglia prima sul lago d’Iseo poi a Prato, dove morirà nel ‘77.


Il 21/10 presentazione del libro al Comunale


Lo scorso dicembre per volontà delle Contrade, del Comune di Ferrara e della famiglia Facchini, si è creata la Fondazione Palio “in memoria di Guido Angelo Facchini e Nino Franco Visentini”, unendo così i padri delle due epoche storiche del Palio ferrarese. Il 21 ottobre alle ore 21 (Sala Foà del Teatro Comunale Abbado) è in programma il secondo appuntamento del ciclo “Il Palio è Ferrara”, con la presentazione di “Ferrara Sorgente di Poesia” di Laura Facchini e Francesco Paparella. Si tratta del primo Quaderno della Fondazione Palio Città di Ferrara.Il volume ha la prefazione di Carlo Magri.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 ottobre 2024

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Palio, dopo 91 anni rivive un abito di S. Maria in Vado  

17 Mag
Caterina Guidi con l’abito di Iole Maffei

Il costume di seta viola con effetti dorati era appartenuto alla contessa Iole Maffei Gulinelli, che lo fece realizzare da Nives Casati. 40 anni fa lo acquisirono due collezionisti, che ora l’hanno donato alla Contrada 

di Andrea Musacci

Un piccolo gioiello di moda. Un abito di seta tanto desiderato, quindi indossato, ma che, per vicissitudini varie, è rimasto per 90 anni custodito, nascosto.

È la storia di un abito da donna di ispirazione rinascimentale appartenuto alla contessa ferrarese Iole Maffei Gulinelli. Lo fece disegnare appositamente da Nives Comas Casati – grande stilista protagonista della Ferrara degli anni ’30 del secolo scorso -, per sfoggiarlo nel 1933 in occasione delle celebrazioni del IV centenario della morte di Ludovico Ariosto, momento storico di rinascita del Palio estense. Circa 40 anni fa l’abito venne poi acquisito da una coppia di collezionisti della nostra città, Claudio Gualandi e Linda Mazzoni, che ora lo hanno donato alla Contrada di Santa Maria in Vado. Sì, perché i colori dell’abito richiamano proprio quelli del gruppo di Borgovado. Ma ripercorriamo questa affascinante storia.

LA RINASCITA: GUIDO FACCHINI E NIVES CASATI

Come detto, nel 1933 a Ferrara si svolgono le celebrazioni del IV centenario della morte di Ludovico Ariosto. Proprio in vista di questo evento epocale, a fine degli anni ‘20 a Guido Angelo Facchini viene affidato il compito di studiare la tradizione del Palio, per farla rivivere. Dopo intensi studi, Facchini riesce a dimostrare che il nostro Palio ha radici storiche antichissime, anzi è il più antico d’Italia: tracce di una vera e propria manifestazione popolare “in festo beati Georgi” (per la festa di San Giorgio) risalgono agli Statuti del 1279. Il “papà del Palio ferrarese” – così viene chiamato Facchini – traccia a tavolino i confini di Contrade e Borghi, individuandone i nomi, costruendo il Regolamento e disegnando di suo pugno le bandiere e i simboli del Palio che saranno quasi in toto ripresi da quello contemporaneo. Facchini poi individua in Nives Casati la stilista a cui affidare il compito di disegnare e realizzare le divise delle Contrade, che furono un vero vanto per la città. Nives Casati era figlia della triestina Itala Dudovich, sorella di Marcello, noto cartellonista che, non a caso, proprio in quegli anni, circa nel 1931, realizzò per il calzaturificio Zenith di Ferrara la celebre pubblicità dell’uomo che fuma adagiato nella scarpa.

GLI ABITI VENDUTI AL PORTOGALLO

Un vanto, quello degli abiti che, però, troppo presto, si trasforma in peso, vergogna di cui sbarazzarsi. Lo spiega bene Gian Paolo Bertelli nel suo libro “I Costumi Del Palio Di San Giorgio Di Ferrara (1933-1952)”: «nel 1935 il Comune prese in carico tutte le attrezzature ed i costumi che erano stati utilizzati per la manifestazione. Dopo il periodo bellico, nel 1946, qualcuno si accorse di questo materiale che era stato ammassato alla rinfusa nella chiesa della Consolazione in via Mortara» e «da subito l’amministrazione comunale si dimostrò propensa a disfarsene in quanto il Palio era considerato (…) una manifestazione scarsamente culturale ed educativa». Inoltre, «le autorità non potevano sopportare che a riscoprirlo fosse stato Italo Balbo e le altre autorità fasciste dell’epoca». Viene rifiutata una prima offerta fatta da una casa d’arte di Firenze, la Ceratelli, poi viene invece accettata una più sostanziosa proposta di acquisto – 2 milioni e mezzo di lire – da parte della Universalia, società cinematografica romana. Ma nella primavera del ’47 la Prefettura di Ferrara blocca la transazione. Ormai, però, prosegue Bertelli, «le decisioni a livello politico erano state prese e la vendita era ormai scontata, venne indetta una nuova gara e questa volta entrò in lizza anche il Comune di Lisbona in Portogallo che proprio nel 1947 festeggiava l’ottavo centenario della nascita della città e pertanto era interessata all’acquisto dei costumi e degli accessori per poter organizzare il corteo storico». Ci furono nuove «proteste di alcuni giornali locali poi si dovette arrendere anche la Prefettura ed il contratto venne stipulato, per due milioni e novecentomilalire. Il console portoghese – prosegue Bertelli – acquistò il materiale che era stato utilizzato per rappresentare il primo Palio di San Giorgio effettuato dopo l’esilio degli estensi. Il ricavato sembra sia stato devoluto (si spera interamente) alla scuola d’arte Dosso Dossi che nel ùprimo dopoguerra versava in condizioni precarie». 

Nel 1952 vengono rinvenuti alcuni oggetti, forse di proprietà dell’Ente del Turismo di Ferrara, nel Deposito disinfezione del Comune in via Mortara: alcune selle, gualdrappe, guanti, qualche costume ed alcuni labari. Fino alla fine degli anni ’60 vi fu una vera e propria rimozione storica sul Palio, dovuta al suo legame stretto col regime fascista. Di questa damnatio memoriae è stato vittima anche Guido Angelo Facchini, riabilitato lo scorso dicembre con la trasformazione dell’Ente Palio in Fondazione Palio Città di Ferrara E.T.S. dedicata proprio alla sua memoria e a quella di Nino Franco Visentini, Consigliere Comunale DC che fece nuovamente rinascere questa tradizione 60 anni fa.

Iole Maffei con l’abito

L’ABITO DI IOLE

Come accennato, Iole Maffei Gulinelli (morta nel luglio 2011), essendo di stirpe nobile, molto probabilmente fu in grado di farsi disegnare personalmente l’abito oggetto di questa nostra storia, riuscendo così a conservarlo. I luoghi dove ha vissuto, o comunque appartenuti alle famiglie di cui porta i cognomi, si trovano in via Savonarola, proprio a pochi passi dalla Basilica-Santuario di Santa Maria in Vado: Palazzo Giglioli-Maffei è all’incrocio con via Bassi (in via Savonarola, 29); di fronte si trova Palazzo Gulinelli. Un altro Palazzo Maffei (Palazzo Bonacossi-Maffei-Boldrini, dove c’è l’edicola con la Madonna dei Facchini) si trova lì vicino, in via Zemola/angolo via Paglia.

L’abito rinascimentale di Iole Maffei è di seta pura, viola con cangianti effetti color oro. All’interno è doppiato con un tessuto di lino, mentre all’esterno presenta nastri di velluto e ricami di passamaneria dorati e perle. La seta è pregiata ma l’abito, rispetto ad altri, non risulta eccessivamente appariscente. È di gusto neogotico, una personale interpretazione, pur non precisissima, degli abiti originali rinascimentali: forse in questo la Casati si era ispirata ad alcuni affreschi di Schifanoia.

Assieme all’abito c’è un copricapo a velo e due stivaletti originali, in panno viola foderato con pelle di capretto e tacco a rocchetto tipico della moda degli anni Trenta. Sotto lo stivaletto destro c’è il segno – un piccolo solco – lasciato dalla staffa. 

IN DANZA DOPO 90 ANNI

Nei primi anni Ottanta, Linda Mazzoni e Claudio Gualandi acquisiscono l’abito. I due erano già appassionati e collezionisti di abiti antichi, lei gestiva ancora il negozio Circus di artigianato artistico in via Mazzini (aperto dal 1979 al 1987). «Inizialmente – ci raccontano – credevamo fosse un abito di carnevale. Poi abbiamo visto che era di color viola e oro e abbiamo pensato potesse essere legato alla Contrada di Santa Maria in Vado». 

Nel 2019 due contradaioli di Santa Maria in Vado, Davide Nanni e Roberto Pavani, vengono ad ammirare l’abito, riconoscendo in esso un pezzo della loro storia: Nanni ne scrive sul periodico della Contrada, “L’Unicorno”, Pavani recupera alcune foto in bianco e nero di Iole Maffei a cavallo.

E un paio di mesi fa Gualandi e Mazzoni decidono di donare l’abito alla Contrada, che ha intenzione di conservarlo ed esporlo in una teca apposita.

La mattina dello scorso 14 aprile nell’Omaggio al Duca della Contrada di Santa Maria in Vado in piazza Castello l’abito è stato indossato, dopo 91 anni, da una dama, Caterina Guidi. La stessa, l’ha sfoggiato lo scorso 6 maggio, danzando con Mauro Biasiolo in Pinacoteca Nazionale durante un evento organizzato da Bal’danza, “Il labirinto di Isabella”, con danze a cura del gruppo “L’Unicorno”.

Una storia affascinante, questa, il cui lieto fine è stato reso possibile grazie alla passione per la tradizione e per la bellezza, e al forte senso di appartenenza dei suoi protagonisti.

Pubblicati sulla “Voce di Ferrara-Comacchio ” del 17 maggio 2024

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“Stileitalico” racconta San Giorgio attraverso l’arte contemporanea

13 Apr

Angiola TremontiFino a fine mese Ferrara diverrà il crocevia di un fecondo incontro tra arte, storia, religione e mito, grazie a un omaggio a San Giorgio, patrono non solo di Ferrara ma di molti comuni e paesi italiani e non solo. Ieri infatti ha inaugurato la Mostra Nazionale di Scultura Contemporanea con il tema “San Giorgio, il Drago e la Principessa. L’eterna lotta tra mito e fantasia”, organizzata dall’Associazione Culturale “Stileitalico”. Il titolo riprende la leggenda di questo cavaliere, morto nel 303 d.c., che in terra di Libia salvò la giovane figlia del re dalle fauci di un drago.

Una mostra nelle vie e nelle piazze principali del centro che si concluderà il 23 aprile, giorno in cui si celebra il Santo. La manifestazione è divisa in tre sezioni: una mostra di sculture di grandi dimensioni per le vie del centro (che coinvolge trentacinque artisti, tra cui alcuni stranieri); un simposio di intaglio e scultura del legno nel Giardino delle Duchesse retrostante il Palazzo Municipale; una mostra dei modelli (delle opere grandi, o di opere simili in piccolo formato) a Palazzo Turchi di Bagno, in c.so Ercole I d’Este, 32, inaugurata ieri alle 11 alla presenza del Rettore Pasquale Nappi e di una delegazione del Palio cittadino. Alle 16, invece, è stata presentata la mostra delle sculture di grande formato nella Sala dell’Arengo del Palazzo Municipale, che in una delle pareti ospita proprio un affresco raffigurante San Giorgio, il drago e la principessa. Erano presenti il Vice Sindaco e  Assessore alla Cultura del Comune di Ferrara Massimo Maisto, la Presidente della Provincia Marcella Zappaterra, oltre ad Alberto Squarcia e Vincenzo Biavati, organizzatori dell’evento. Erano inoltre presenti alcuni rappresentanti dei Rioni S. Paolo e S. Giorgio di Ferrara e alcuni Cavalieri dell’Accademia S. Giorgio di Abbiategrasso. “Un evento totalmente no-profit”, come ha ricordato Squarcia che – ha aggiunto Maisto – “è importante per valorizzare i luoghi più noti, oltre a far conoscere i percorsi alternativi” e meno conosciuti. I quarantacinque artisti protagonisti della rassegna sono stati, dunque, a turno presentati e omaggiati con un medaglione, insieme ai quattro comuni “sangiorgeschi” presenti per l’occasione.

A seguire, alle 17, ha avuto luogo un aperitivo nel Giardino delle Duchesse, retrostante la sede municipale, con una rappresentanza dei Cavalieri di San Giorgio e del Palio di Ferrara e la presentazione degli intagliatori e scultori partecipanti al simposio che si svolgerà nei prossimi giorni, da stamattina fino a mercoledì. Questi i loro nomi: Franco Daga, Laura Danzi/Pasquale Fameli, Mariella Martinelli, Paolo Volta/Riccardo Bottazzi, Aldo Pallaro e Andrea Gandini, unico ferrarese insieme a Volta e Bottazzi.

Inoltre, alle 17.30, con replica oggi alle 10.30, vi è stata una visita guidata alle sculture del centro e una alle sculture dalla Cattedrale di San Giorgio alla Basilica di San Giorgio fuori le mura. Venerdì 18 aprile alle 17.30 vi sarà la presentazione del libro “I Draghi d’Italia” del Sen. Andrea Augello alla banca Mediolanum in via Saraceno 16/24. Dal 23 (giorno di chiusura della mostra) al 28 aprile le sculture situate nel chiostro della Basilica rimarranno esposte in occasione della festa del patrono. Infine, a tutti le 170 località italiane che hanno S. Giorgio come patrono verrà proposto di diventate tappe di una mostra itinerante dei piccoli modelli.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 13 aprile 2014

(nella foto: opera di Angiola Tremonti)

 

“Come nasce un quadro”, asta per Telethon

10 Giu

2013-06-08 16.21.04

Sta volgendo al termine il lungo evento intitolato “Come nasce un quadro”, ideato da Franco Casoni in collaborazione con Telethon Ferrara. L’idea alla base del progetto è quella di realizzare dal vivo alcuni dipinti, in omaggio a Ferrara e al suo territorio, con la doppia difficolta’ delle poche ore a disposizione e del contatto col pubblico. La prima parte dell’evento si è svolta dal 19 aprile fino a venerdì sera al ristorante Las vegas di Voghenza, dove per otto serate la pittrice Jana Barisova ha omaggiato alcuni registi ferraresi (tra cui Antonioni) o alcuni film legati a Ferrara, come La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini. La seconda parte, invece, vede Barbara Ponti omaggiare con le sue opere le contrade del Palio cittadino, fino al 21 giugno al ristorante L’archetto di Ferrara. Sabato pomeriggio alle ore 16 presso la Sala Civica di Voghiera le opere prodotte sono state esposte al pubblico, alla presenza del sindaco di Voghiera Claudio Fioresi, del vicesindaco Ottorino Bacilieri, delle due artiste, del curatore Franco Casoni e di Claudio Benvenuti di Telethon Ferrara. Giovedi’ 27 giugno e lunedì 1 luglio avranno, invece, luogo le aste benefiche dei dipinti, visitabili fino al 25 giugno, il cui ricavato sarà donato al comitato Telethon di Ferrara.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 10 giugno 2013

“Come nasce un quadro” sbarca anche a Ferrara

30 Apr

Archetto

“Come nasce un quadro” è un progetto ideato da Franco Casoni, che si svolgerà da mercoledì 1 maggio fino al 11 giugno, dalle 19.30, al ristorante “L’archetto” di via Bologna a Ferrara. L’idea è incentrata sulla realizzazione, da parte dell’artista Barbara Ponti, di un dipinto dal vivo, in omaggio al Palio di Ferrara e alle sue nove contrade. Le opere prodotte saranno man mano esposte nel ristorante e vendute all’asta mercoledì 26 giugno, devolvendo l’intero ricavato a Telethon Ferrara, rappresentata da Claudio Benvenuti. L’evento, patrocinato dal Comune di Ferrara, dalla Provincia di Ferrara, dall’Ente Palio di Ferrara e dal Comitato Telethon di Ferrara, vedrà anche la proposta, durante le nove serate, di piatti tipici ferraresi e amalfitani da parte de “L’archetto” di Giuseppe Croce. Giambaldo Perugini ha spiegato come l’Ente Palio, di cui è presidente, “ha strutturalmente, nella sua struttura cromosomica, un carattere benefico/sociale, soprattutto nei confronti dei giovani”. Barbara Ponti, pittrice con esperienza quasi ventennale, ha spiegato come nel passato “sia stata ritrattista”, ma da alcuni anni abbia “abbracciato il simbolismo”. La scelta è ricaduta, dunque, su alcune figure della mitologia greca: l’unicorno – simbolo della contrada di Santa Maria in Vado – e Pegaso, simbolo dell’artista che, con la sua ispirazione, “sfida la materialità, si eleva sopra la quotidianità ed il conformismo”.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 30 aprile 2013