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Addio a Gianni Deserri, amato scultore ferrarese

12 Set

Nel pomeriggio di giovedì 8 settembre è deceduto improvvisamente Gianni “John” Deserri, 74 anni, stimato scultore, pittore e docente ferrarese. Un infarto non gli ha lasciato scampo mentre si trovava in vacanza con la famiglia a Cupra Marittima nelle Marche. Ne da notizia il Club “Amici dell’Arte” – Galleria “Il Rivellino” di Ferrara, di cui Deserri era membro del Direttivo (da oltre 20 anni) e ne dirigeva il Laboratorio di Scultura dell’Accademia “San Nicolò”, del quale era docente dal 1987. Deserri lascia la moglie Luisa e il figlio Dario, scrittore residente a Berlino.

Gianni Deserri aveva frequentato a Bologna il Liceo Artistico Statale conseguendo il diploma di maturità artistica, proseguendo poi gli studi all’Accademia, nella sezione Scultura. All’età di 24 anni diventa prima assistente e poi professore del Liceo in cui è stato studente, trasferendosi successivamente all’Istituto Statale d’Arte per oltre trent’anni. Artista poliedrico, nella sua carriera oltre alla scultura si è cimentato anche nella pittura e nel disegno tecnico, fino all’illustrazione. Fra i premi ricevuti, il Premio “Vittorio Sandoni” (Bologna, 2003), il 6º Premio Nazionale “Il Percorso della Memoria” (Ferrara, 2010), il Premio d’arte contemporanea “Il Segno” (Galleria Zamenhof, Milano, 2012) e il Premio Lucio Fontana (Torino, 2012).

Andrea Musacci

Articolo pubblicato su “La Voce” del 16 settembre 2022

Solidi viandanti in cerca dell’Altrove

5 Gen

Fino al 6 marzo al PAC di Ferrara è possibile ammirare la mostra di Sergio Zanni “Volumi narranti”

di Andrea Musacci


«Quale mondo giaccia al di là di questo mare non so, ma ogni mare ha un’altra riva, e arriverò» (Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 16 febbraio 1936)


Epica Etica Etnica Pathos: viene in mente il titolo di un album dei CCCP ammirando le opere di Sergio Zanni. Sì, perché nelle sue magnifiche creazioni ci sono le quattro categorie fondamentali di un’arte che non si sfalda in astrusi concettualismi ma rimane “pesante”, “novecentesca” e per questo autentica, capace di colpire gli occhi e la mente di chi la guarda senza inutili astuzie.

Si intitola “Volumi narranti” la mostra inaugurata il 18 dicembre scorso al PAC – Padiglione di Arte Contemporanea di Ferrara e visitabile fino al 6 marzo dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 18. Zanni, classe ’42, si forma all’Accademia di Belle Arti di Bologna, e dagli anni Sessanta sceglie di passare, anche se non in maniera esclusiva, dalla pittura alla scultura. Nel ’73 si tiene la sua prima personale al Centro Attività Visive del Palazzo dei Diamanti. Dal ’67 al ’95 ha insegnato all’Istituto d’arte “Dosso Dossi” di Ferrara e nel 2011 ha partecipato alla 54° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.


Timore dell’assoluto

Della ponderosità delle sue creazioni, dicevamo. Il peso del corpo, in una società come la nostra, dematerializzata e quindi transumana (termine usato dallo stesso Zanni), è una forma di difesa e di speranza. È una pesantezza, quella delle sue sculture, che richiama l’assoluto, il maestoso, l’incommensurabile. Ammirandole, si viene come catturati dal loro misterioso stare. Timore e tremore, un eterno senza mutamento, una verticalità vertiginosa. I particolari dove risiede l’espressività – il volto, le mani – sono ridotti, miniaturizzati rispetto al busto e alle gambe. Come una coltre oscura i cappotti avvolgono la massa del corpo. Le figure, dunque, stagliandosi come enigmi perturbanti, sembrano oltrepassare l’umano strettamente inteso, senza assurgere, però, del tutto al divino che pur richiamano. 


Basi solide e forti

Da questo senso di deferenza che le figure trasmettono, ne viene, però, un primo riflesso positivo. Gli uomini che paiono piantati nel terreno, ben saldi e identificabili, hanno una storia, possiedono corpi levigati dalla vita e dalle esperienze. Come zia Jole e zio Gabriele, famigliari di cui Zanni racconta nel catalogo della mostra, che in lui richiamano il dolore e la bellezza dell’infanzia, figure forti e cariche di passato, il cui ricordo ridona anima e sangue, pone un legame forte con la terra, con la tradizione. Un equilibrio, quello antico da lui stesso narrato, oltre che rappresentato nelle sue creazioni, fermo ma non passivo.


Fragilità e Desiderio

Sono corpi ingombranti, infatti, ma anche “deformi”, sproporzionati, volutamente imperfetti. Ciò li rende tutt’altro che simili a sfingi, gelidi oracoli, ma corpi desideranti. Sono pesanti ma paiono leggerissimi, quasi volatili, sostenuti da un vento, da uno spirito ignoto. Come in sogno, vivono le contraddizioni tra le proporzioni e nelle forme, nei simboli oscuri, negli occhi commoventi perché tanto irreali da sembrare troppo reali. Questi giganti malinconici e meditabondi, sempre ambigui nel loro oscillare tra terrore e dolcezza, sembrano a un tempo serafici e sconsolati, riflessivi e placidi. In sé serbano chissà quali ricordi e chissà quale avvenire possibile. Ma nel nulla che sembra circondarli, c’è un punto, di là dall’orizzonte, invisibile e forse inaccessibile, che cercano, e che rende i loro occhi pieni di uno struggente Altrove.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 gennaio 2022

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Una folla per salutare Silvana: «sarai sempre una di noi»

8 Dic
Il saluto del marito Pino

Masi Torello, chiesa gremita e tredici fra sacerdoti e diaconi per l’addio alla scultrice Grilanda. La promessa del Sindaco: «Le opere che ci ha lasciato verranno onorate»

Un’intera comunità, quella masese, e una grande famiglia, quella dell’Arcidiocesi, ieri pomeriggio hanno dato l’estremo saluto a una figlia affezionata. La chiesa di Masi Torello era gremita per i funerali di Alberta Silvana Grilanda, scultrice e artista poliedrica, membro del coro parrocchiale “Ruah”, per tanti anni impegnata nelle più disparate iniziative artistiche, culturali e religiose in paese e a Ferrara, deceduta all’improvviso lo scorso giovedì a 68 anni.

Alberta Silvana Grilanda

«Silvana non è morta di vecchiaia ma per le sofferenze interiori», lei donna sensibile «sempre vicina ai dolori e alle povertà delle persone», ha riflettuto nell’omelia il parroco e amico don Giuseppe Crepaldi che ha celebrato insieme ad altri 12 fra diaconi e sacerdoti, tra cui il Vicario generale mons. Massimo Manservigi. «Era impegnata nella famiglia e aveva una grande fede, il suo volto era sempre gioioso, mi era stata molto vicina anche quando ero stato operato di cataratta». Con commozione don Crepaldi alla fine della cerimonia ha confidato: «mia è la gioia e insieme il pianto: pianto per un dispiacere così grande, gioia nel vedere così tanta solidarietà. Grazie, sarai sempre una di noi».

«Oggi sono qui soprattutto come “Riccardo”: così Silvana mi ha sempre chiamato, fin dai primi giorni da Sindaco nel 2014», ha ricordato il primo cittadino Riccardo Bizzarri. «Era intelligente, colta, intuitiva». E affidabile: «ogni volta che le veniva assegnato un incarico, ero sicuro che ne sarebbe uscito un capolavoro. Faccio una promessa – ha proseguito -: «le opere che ci ha lasciato verranno onorate, saranno la testimonianza della sua persona e un omaggio a lei. La sua morte lascia un grande vuoto in me e nella nostra comunità».

Un vuoto riempito almeno in parte dall’enorme affetto per Grilanda, per il marito Pino e il figlio Michele. Una forte riconoscenza espressa, ad esempio, nelle parole pronunciate da Renato Veronesi del Gruppo Scrittori Ferraresi, nella presenza dell’AVIS col presidente comunale di Ferrara Sergio Mazzini e di una rappresentanza della sezione locale, dell’Azione Cattolica e del gruppo diocesano dei “Genitori in cammino”, a cui Grilanda e il marito si sono uniti dopo la morte prematura del figlio Antonio nel 2004.

«Ci hai lasciato così, Silvana – è stato l’ultimo saluto del marito -, con un dolore talmente grande da essere oltre ogni immaginazione. Ma la fede ci sostiene».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Nuova Ferrara” l’8 dicembre 2021

Il saluto del Sindaco

Alberta Silvana Grilanda, una vita per l’arte e la Chiesa

6 Dic

È morta improvvisamente lo scorso 2 dicembre a 68 anni. Scultrice di Masi Torello impegnata anche nella pittura e nell’incisione, lascia il marito e un figlio. L’impegno nell’Azione Cattolica e l’appartenenza ai “Genitori in cammino”

di Andrea Musacci

Lo sgomento che diventa commozione, il dolore che, pur rimanendo, assume i tratti della gratitudine profonda e della preghiera nell’affidamento al Signore.

Ha lasciato un oceano di affetto e riconoscenza Alberta Silvana Grilanda, deceduta improvvisamente la mattina del 2 dicembre scorso a 68 anni. I funerali sono stati celebrati nel pomeriggio del 7 dicembre nella chiesa di Masi Torello, paese dove risiedeva. Scultrice impegnata anche nella pittura e nell’incisione, lascia il marito Pino Cosentino – fotografo del nostro Settimanale – e il figlio Michele, il secondo dei due avuti dalla coppia: nel 2004, infatti, morì giovane il loro Antonio, mai dimenticato, dramma che li fece avvicinare al gruppo diocesano dei “Genitori in cammino” allora guidato da mons. Mario Dalla Costa. Un’appartenenza, quest’ultima, decisiva per Silvana e Pino, ma non esclusiva all’interno della Chiesa: lei, infatti, era attiva nell’Azione Cattolica e nel Coro Ruah della parrocchia di Masi Torello, partecipava ad alcune attività del Circolo Laudato si’, si impegnava per il “Progetto diga – Emergenza Zimbawe”. Silvana amava la sua Chiesa, di cui si sentiva parte integrante e attiva, tanto da donare negli anni anche alcune sue opere: l’ultima, lo scorso maggio, la Via Crucis realizzata per la nuova chiesa di Ponte Rodoni, parrocchia guidata da mons. Dalla Costa. Ma come non ricordare, ad esempio, anche la “Madre della Sofferenza”, terracotta policroma donata a Papa Francesco; la “Via Crucis” in terracotta alla parrocchia di S. Caterina Vegri a Ferrara, “Gesù e la Madre coronati da spine” donata al Santo Padre Benedetto XVI. O il “S. Francesco”, scultura di terracotta presente nel Seminario Arcivescovile di Ferrara; “Il Signore della Vita”, paliotto di terracotta nella chiesa di Cassana; e il “S. Leonardo Abate”, altorilievo di terracotta nella chiesa di Masi Torello.

Tutte opere che Grilanda realizzava nel suo studio situato dove un tempo sorgeva l’officina del padre fabbro ferraio (foto). Opere che continuava a creare grazie a una vena artistica mai sopita: oltre a essere spesso invitata al MAF di S. Bartolomeo in Bosco, nella Galleria del Carbone di Ferrara fino al 12 dicembre una sua incisione, “La forza della terra”, è esposta nella collettiva dal titolo “L’albero della conoscenza”. Sempre col Carbone, lo scorso luglio e agosto ha partecipato a una collettiva di artisti ferraresi nella “Kreis Gallerie” di Norimberga. E col Carbone «diversi erano i progetti per il futuro», ci spiega Lucia Boni. Collaborava anche col Club Amici dell’Arte. Socia del Gruppo Scrittori Ferraresi, Grilanda lo scorso giugno è stata protagonista, con la sua opera “La Tenda”, della copertina dell’Ippogrifo. Tra le sue ultime opere ricordiamo anche l’acquerello “Villa Estense di Medelana” per la copertina del libro “La ‘mia’ Delizia” di Gabriele Barboni, da poco uscito. Innumerevoli le mostre, i riconoscimenti e le pubblicazioni in tanti anni di attività.

Tempo fa, come testimonianza della loro esperienza coi “Genitori in cammino”, Silvana e il marito Pino scrissero in un passaggio: «Gesù ci dona la capacità di andare avanti e l’angoscia, la solitudine, lo sconforto e le nostre fragilità vengono da Lui accolte, sostenute e trasformate in un cammino verso Dio». È l’augurio che rivolgiamo ai suoi cari.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 10 dicembre 2021

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Il gioco e la visione. Quando tutto sembra ciò che non è: il libro con le sculture di Farina

3 Mag
foto di Simone Sabbioni

“C’è una fiaba in ogni cosa” è il nome del volume appena uscito (curato da Emiliano Rinaldi e Roberto Roda) con gli scatti di sei fotografi in cui protagoniste sono le sculture di Elisabetta Farina

Oggetti e alimenti quotidiani perdono la propria “utilità” e divengono opere d’arte, dando vita a intrecci e sovrapposizioni fra forme artistiche diverse.Si intitola “C’è una fiaba in ogni cosa. Le allegre sculture di Elisabetta Farina” il volume da poco uscito per Editoriale Sometti e curato da Emiliano Rinaldi, fotografo, grafico e curatore, e Roberto Roda, fino al 2018 attivo nel Centro Etnografico ferrarese. Il libro raccoglie i risultati di un workshop fotografico promosso dal Fotoclub Ferrara in sinergia con l’Osservatorio Nazionale sulla fotografia e svoltosi tra il 2018 e il 2019. Protagoniste degli scatti sono le creazioni dell’artista Elisabetta Farina – ferrarese ma residente a Doha, in Qatar –, a metà tra scultura e design, diventate il soggetto di brevi sequenze fotografiche concettuali tra gioco, fiaba e sogno. Il gruppo di fotografi del Fotoclub è composto da Maurizio Bottazzi, Enrico Chiti, Francesco Marconi, Simone Sabbioni, Luca Zampini e Nedo Zanolini. La mostra, tra fine 2019 e inizio 2020 è stata esposta prima al Centro Culturale “Mercato” di Argenta, poi nella libreria-galleria “La Pazienza” gestita da Valentina Lapierre in via de’ Romei a Ferrara. E ora questa pubblicazione, che chiude un percorso di didattica fotografica iniziato nel 2012 con “Ai margini della realtà” dedicato a Blow Up di Antonioni, e proseguito prima nel 2014 con “Giallo, noir e perturbante” (con richiami kubrickiani), poi nel 2016 con “Incatenare Angelica. Chi la salverà?” per i 500 anni dell’Orlando Furioso.Tre sono le parti in cui si divide il progetto artistico. La prima, ambientata nel ristorante “381 Storie da gustare” in piazzetta Corelli a Ferrara, vede pin-up “della porta accanto” giocare con alcune opere della Farina, giganteschi dolci di tessuto, morbidi e opulenti. L’inganno è palese, anzi incentivato: l’ordinarietà del cibo è stravolta, svelando l’intento del “gioco”: nella loro materia, nelle loro dimensioni, le cose appaiono ciò che non sono, rimandando a un puro divertissement estetico. Sono opere d’arte, dunque “inutili”, inutilizzabili, non consumabili. Sono protagoniste di un rito diverso da quello della sacralità culinaria, ma che anzi nella loro leggera irriverenza richiamano l’infanzia. La malizia la aggiungono le modelle, ammalianti ma genuine nella loro stucchevolezza. Il gigantismo dolciario, nella sua surrealtà, sembra un omaggio (o uno sberleffo?) all’inutile, al chiassoso, all’abbagliante universo del consumismo. Con la differenza che nel consumo tutto ha un prezzo, non c’è la gratuità del gioco artistico nella sua purezza, l’abbaglio non confonde per mostrare l’essenza delle cose, ma è vero accecamento.E a proposito di luci e bagliori, nello show room sulle colline di Rimini allestito dall’azienda RiminiRock, specializzata nella produzione di “rocce artificiali” (ad esempio per scenografie di stabilimenti termali), sono ambientate alcune delle fotografie della seconda parte. Le lampade artistiche della Farina prendono il posto, con le loro forme rigidamente definite, dei “cuscini” alimentari di prima. Le luci ora si fanno più soffuse, l’oscuro pervade e avvolge le figure, l’imprevedibile prende il posto dello sfacciato. La stessa allure si fa evanescente, la lampada assopisce, cattura brani dell’anima per una ritualità differente, meno patinata e più esoterica, dove l’eros è più carnale e arcaico.“Gli abitanti dell’Isola di Plastica raccontano la loro storia” è, infine, il nome della terza parte del progetto, anch’esso ambientato fra le finte rocce di RiminiRock. Di nuovo le lampade sono protagoniste di una visionaria fiaba ambientata – con ironia –  nelle oceaniche “Isole di Plastica”, un mondo dove qualsiasi cosa è composta da questo materiale. Degna conclusione, insomma, di un progetto artistico dove l’artificialità la fa da padrone, ora con ironia ora con lieve sensualità: in ogni immagine, tutto è falsificato, ingannevole. Nulla è ciò che sembra. O forse, nulla è ciò che ci si aspetta che sia, e questa non prevedibilità, questa non funzionalità, forse, in fondo, è proprio ciò che permette tanto il gioco quanto il rito, tanto il sogno quanto la visione.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 maggio 2021

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“Era accogliente e sempre pieno di interrogazioni”: un ricordo di don Franco Patruno

21 Ott

“L’arte per lui era tutt’uno con la vita e col sacerdozio”: il 18 ottobre a Casa Cini Angelo Andreotti ha ricordato don Franco Patruno. Venerdì 25 ottobre, stesso luogo, finissage della Biennale a lui dedicata

OLYMPUS DIGITAL CAMERAOspitale e attento, compassionevole e sempre teso verso l’altro, soprattutto i giovani. Questo è il don Patruno emerso dalle parole di Angelo Andreotti, Direttore del Servizio Biblioteche e Archivi del Comune di Ferrara, e suo ex amico e collaboratore. L’occasione di questa testimonianza pubblica è stato l’incontro svoltosi nel tardo pomeriggio di venerdì 19 ottobre nel Salone di Casa Cini, in occasione dell’esposizione nella sede di via Boccacanale a Ferrara, della III edizione della Biennale d’arte intitolata proprio al sacerdote ferrarese. Ricordiamo che venerdì 25 ottobre avrà luogo il finissage della mostra con opere di otto giovani artisti, evento nel quale verrà presentato anche il catalogo. “Il periodo in cui lo conobbi e passai più tempo con lui fu fra il 1980 e il 1990, tra i miei 20 e 30 anni”, ha raccontato Andreotti. “Allora studiavo filosofia all’Università e scrivevo poesie, ma non sapevo a chi farle leggere. Mi fecero conoscere don Franco e iniziai ad andare in Seminario a trovarlo tutti i sabato, per parlare e discutere di vari argomenti. All’università non avevo trovato un professore che potesse essere per me, giovane, un punto di riferimento”. Gli incontri con don Patruno, al contrario, “mi aprivano mondi dei quali non conoscevo l’esistenza. Oltre ai temi, era molto importante il modo col quale parlavamo: una forma sempre dialogica e serena”. Nella seconda metà degli anni ’80 Andreotti ebbe anche modo di collaborare assiduamente con lui nell’organizzazione delle tante mostre proprio a Casa Cini. Una poesia di Giorgio Caproni è stata poi citata dal relatore, emblematica del suo rapporto col sacerdote, artista e critico d’arte: “Tutti riceviamo un dono. / Poi, non ricordiamo più / né da chi né che sia. / Soltanto ne conserviamo / – pungente e senza condono – / la spina della nostalgia”. “Di lui – sono ancora parole di Andreotti -, la prima cosa che mi colpì fu la sua accoglienza, il suo sorriso sbilenco, la voce spesso a un tono alto, il suo incedere stesso che era un farsi prossimo. Alla sua gioia trascinante era difficile resistere. Non aveva mai porte chiuse, era una persona davvero ospitale, da lui mi sentivo avvolto e protetto. Amava molto interrogare, provocare, stimolare l’altro – ha proseguito il relatore -, ma sempre con l’attenzione verso chi aveva davanti, che significa ascolto e sguardo, e che è nemica dell’indifferenza e dell’arroganza, ma anzi è un tendere verso, uno sporgersi fuori da se stessi ma al tempo stesso nel profondo di sé”. Inoltre, don Patruno era “sempre generoso e aveva il dono della compassione, che si fondava sulla percezione dell’altro come prossimo a sé, senza compiacimento alcuno”. Numerosi, alla fine dell’incontro, sono stati gli interventi dal pubblico – era presente una quarantina di persone – da parte di chi ha avuto modo di conoscerlo, da allievo e/o da amico: “don Franco – è un po’ quello che è emerso – aveva il grande dono di vedere l’anima delle persone che incontrava, ed era convinto che non esistessero ‘noi’ e gli ‘altri’ ma solo ‘noi’ tutti insieme”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 25 ottobre 2019

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La viva tensione in quei corpi che paiono nulla

3 Giu

Si intitola “La materia in sottrazione” l’importante personale dell’artista bolognese Adriano Avanzolini, esposta nella Galleria del Carbone di Ferrara fino al prossimo 9 giugno

dsc00014Il combattimento interiore della persona, ridotta a cosa fra le cose, eppur viva nella connaturata vocazione alla ricerca e a un approdo di senso. E’ denso di significati di smisurata profondità, il quarantennale percorso artistico di Adriano Avanzolini, artista bolognese classe ’45 la cui ultima personale, dal titolo “La materia in sottrazione”, una sorta di mini antologica, è ospitata fino al prossimo 9 giugno negli spazi della Galleria del Carbone di Ferrara. Nell’esposizione – a cura di Sandro Malossini e con presentazione in catalogo di Pasquale Fameli – sono presenti un ciclo di sculture in terracotta e lavori su carta e tela ad acrilico di grande dimensione. “E’ una pittura – spiega lo stesso artista nel testo in catalogo – dove il nero domina spesso, a spatolate larghe, come una ricerca di chiarezza che corrisponde al desiderio di sintesi e misura. Sperimento le infinite possibilità degli in-croci, dell’unione di espressioni artistiche vicine che accentuano la trasparenza in una meditazione espressiva silenziosa, sulla soglia che divide l’inizio dalla fine, dove tutto, insieme, esalta il discorso artistico”. In molte opere – soprattutto degli anni ’70, e alcune più recenti – spiega ancora Avanzolini, “rendo manifesto il luogo dove l’uomo esprime se stesso, mentre aspira ad una realtà superiore o si annichilisce. Passioni umane, torbidi mescolii, si fondono con elementi domestici inconsapevoli a fare un tutt’uno di simbolo e immagine concreta, teatrale”. Una quotidianità, come la definisce il critico Fameli, “squallida e insignificante”. Con il “Teatro del quotidiano” (1974), prosegue Fameli, “l’artista inscena e orchestra infatti i gesti di un’umanità oggettualizzata, ridotta a simulacro di se stessa, logorata dall’incrocio tra conflitti privati e collettivi. […] La collocazione di figure anonime e malinconiche in ambientazioni scarne, fatte di vecchie sedie in legno, poltroncine sdrucite, brande e tavolacci, assume nella ricerca di Avanzolini una più spiccata valenza metafisica”. I corpi fortemente sessuati, le pose e i gesti scabrosi riempiono la “scena”. Questa sorta di “cupio dissolvi” che sembra pervadere i residui di volontà di questi corpi relittuali agisce dentro una tensione che pare irrisolvibile, così da acquistare pienezza anche se mutilati, sensualità nella propria immobilità, soggettività nella paralisi. Sono attori, seppur di un palcoscenico assurdamente muto. Proprio questi “scarti” di vita, dove sembrano indicare una nullificazione, richiamano invece scintille di passioni forse non del tutto sopite, scampoli di tensioni soffocate, fossilizzate e scomposte, eppure magmaticamente vive. Come scrive lo stesso Avanzolini, “forme di vuota apparenza sono utili a prefigurare uno stato d’animo che, compenetrato nelle tenebre terrene, conduce chi guarda verso più alte aspirazioni. Lo spettatore è parte dell’opera, superandola, e tale pensiero non contribuisce a rendere più vivibile la vita”. Negli anni ’80 questa de-composizione raggiungerà una radicalità quasi estrema, la quale, pur non arrivando all’informalità, minimalizzerà comunque forme e linee, fino a svuotarle, per riempirle di nuova luce ed energia. Queste forme povere ed esangui riacquisteranno anima in alcune opere degli anni ’90 e 2000, dove simboli religiosi – anche cristiani, come la croce o il vincastro – e mitici o arcaici, faranno la loro comparsa. “Le croci – scrive ancora l’artista -, dove i vuoti prevalgono, definiscono lo spazio della scultura, la mia scultura, alla fine del millennio. Ho spogliato l’involucro carnale, accontentandomi della semplice trama che non arma il cemento, ma lo spazio. […] E’ stata emendata la scultura da ogni sensualità, ridotta all’osso. Ciò che avvicina è la vocazione al senso”. La mostra, che ha il patrocinio del Comune di Ferrara, sarà visitabile fino al 9 giugno con i seguenti orari: dal mercoledì al venerdì dalle ore 17 alle ore 20; sabato e festivi dalle ore 11 alle 12.30 e dalle 17 alle 20; lunedì e martedì chiuso.

 

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 giugno 2019

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San Sebastiano: 1000 volti grazie all’arte

14 Gen

Mostra a Cloister fino al 31 gennaio

[Qui la pagina con l’articolo]

davSan Sebastiano è una figura che ancora oggi continua a ispirare tantissimi artisti. Lo sa bene il critico e curatore Lucio Scardino, che da diversi anni colleziona opere di artisti ferraresi e non dedicate al “santo con le frecce”. 34 (33 iniziali + 1 aggiunta in corsa) di queste opere sono in mostra a Ferrara fino al 31 gennaio nella sede di Cloister (doppia entrata, da corso Porta Reno, 45 o da via Gobetti), per la 33esima esposizione organizzata dall’attiva galleria guidata da Alessandro Davi. Non a caso, il 20 gennaio ricorre la solennità di San Sebastiano (256-288), militare romano e martire sotto Diocleziano. Giovane dal corpo virile e atletico, simbolo di bellezza e di sacrificio, il santo ha lo sguardo che punta dritto negli occhi di chi lo guarda, come nella tela di Nannini (recentemente esposta anche a Fabula Fine Art), o è il busto in bianco e nero con venatura rossa di Lenzini, oppure la scultura della Grilanda con due sole frecce conficcate nelle carni. In Orsatti, invece, di San Sebastiano vi è una maestosa testa di profilo con l’elmo, senza dardi a dilaniarlo. Quella delle frecce mancanti, o non “visibili”, ricorre in altre opere, come nel dipinto di Filippini (col santo disteso e privo dei segni delle ferite) o in quello della Benini, col giovane disteso e di schiena, in piedi (Coluzzi) o seduto (Tassini), ad accentuare l’intento metaforico della sofferenza dell’uomo, dell’artista, trascendente il dolore fisico. In Artosi, al contrario, le frecce vi sono eccome, e ne colpiscono il viso, mentre Gualandi, che nel suo stile tipico inserisce il soggetto nel contesto storico-urbano ferrarese, rappresenta, nel disegno stesso, una mostra dedicata al santo. Farolfi (foto) sceglie, invece, di rappresentare, con estremo realismo, una ferita netta sul costato del santo, un piccolo squarcio che ricorda quella del Cristo “invasa” dal dito scettico di san Tommaso nella tela del Caravaggio. Infine, in Ribertelli, il santo, nell’elasticità agonistica di un atleta, le frecce sembra schivarle, quasi ponendole sotto il suo controllo. La mostra è visitabile da lunedì a sabato dalle ore 9 alle 19.30. Questi i nomi di tutti gli artisti in mostra: Enrico Artosi, Giorgio Balboni, Gianni Bellini, Rosamaria Benini, Carlo Bertocci, Flavio Biagi, Gianni Cestari, Franco Coluzzi, Matteo Faben, Matteo Farolfi, Alfredo Filippini, Renzo Gentili, Luca Ghetti, Gianfranco Goberti, Laura Govoni, Alberta Grilanda, Claudio Gualandi, Pietro Lenzini, Terry May, Pietro Moretti, Duilio Nalin, Matteo Nannini, Santo Nicoletti, Impero Nigiani, Paolo Orsatti, Stefano Rubertelli, Andrea Samaritani, Marco Spaggiari, Emanuele Tasca, Andrea Tassini, Antonio Torresi, Giuliano Trombini, Giglio Zarattini, Luca Zarattini.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” il 18 gennaio 2019

A Cloister collettiva dedicata a San Sebastiano

7 Gen

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San Sebastiano del ferrarese Carlo Bononi

Nuovo progetto espositivo nella Galleria Cloister di corso Porta Reno, 45 a Ferrara. Martedì 8 gennaio alle ore 18.30 inaugura una grande collettiva dedicata alla figura di San Sebastiano.
Il “santo con le frecce”, martire e militare romano, viene tradizionalmente festeggiato il 20 gennaio.
Invocato inizialmente contro il flagello della peste (le ferite provocate dalle frecce erano viste quasi fossero i bubboni del contagio), nell’ultimo secolo le ferite hanno assunto via via significati simbolici differenti, rappresentanti l’incomprensione, la derisione o l’indifferenza nei confronti dell’artista.
33 (numero emblematico), di quattro generazioni e dagli stilemi e dalle tecniche diverse, sono quelli che “dialogheranno” dalle pareti di Cloister fino al prossimo 31 gennaio, con possibilità di visitare la mostra da lunedì a sabato dalle 9,00 alle 19,30.
Questi i protagonisti: Enrico Artosi, Giorgio Balboni, Gianni Bellini, Rosamaria Benini, Carlo Bertocci, Flavio Biagi, Gianni Cestari, Franco Coluzzi, Matteo Faben, Matteo Farolfi, Alfredo Filippini, Renzo Gentili, Luca Ghetti, Gianfranco Goberti, Laura Govoni, Alberta Grilanda, Claudio Gualandi, Pietro Lenzini, Terry May, Pietro Moretti, Duilio Nalin, Matteo Nannini, Santo Nicoletti, Impero Nigiani, Paolo Orsatti, Stefano Rubertelli, Marco Spaggiari, Emanuele Tasca, Andrea Tassini, Antonio Torresi, Giuliano Trombini, Giglio Zarattini, Luca Zarattini.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 07 gennaio 2019

“Compianto laico”: la nuova mostra alla Galleria del Carbone

15 Dic

3“Compianto laico”: questo il titolo della nuova proposta espositiva della Galleria del Carbone di Ferrara. La personale dello scultore Denis Raccanelli inaugura oggi, sabato 15, alle ore 18, nella sede di vicolo del Carbone, 18/a, con presentazione di Lucia Boni. L’artista torna, a distanza di un anno, nel nostro territorio: nel novembre 2017 ha, infatti, inaugurato la sua personale “Lo Specchio d’Argilla” nella Pinacoteca Civica di Bondeno.
Il titolo della mostra al Carbone richiama inevitabilmente un immaginario religioso, cristico, e, in ambito artistico, diverse opere quali il gruppo in terracotta di Niccolò dell’Arca nella chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna e il Compianto sul Cristo morto di Guido Mazzoni nella Chiesa di Sant’Anna dei Lombardi a Napoli. Anche il nostro territorio ospita alcune opere di questo tipo: nella Pinacoteca Civica di Cento un legno del XV secolo, di artista ignoto, mentre a Ferrara il gruppo in terracotta del Mazzoni (1485) nella chiesa del Gesù di via Borgoleoni, e, nel Monastero di S. Antonio in Polesine, una terracotta di autore ignoto. L’intento del Raccanelli è forse simile, ma diverso l’approccio: non sceglie richiami e simboli sacri, ma “laicamente” affronta – come scrive la Boni nella presentazione – “il senso della compassione, il senso del ‘patire’ insieme, per capire l’altro. Si viene subitaneamente coinvolti da una condizione Umana”. E ancora, “i personaggi di questo teatro non hanno facce deformate, occhi spalancati, mani che coprono gli occhi, ma drappi o abiti consunti che dialogano con le figure e occupano la scena, quasi fossero individui altri.
Esistenze fatte di umori, atmosfere, tensioni tutte interiori. Un mondo che esige cordoglio, dolore collettivo. Un possibile riscatto? Il nostro ascolto”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Nuova Ferrara” il 15 dicembre 2018