In occasione della visita apostolica di Papa Francesco nel grande e martoriato Paese africano, abbiamo contattato alcuni missionari lì presenti: storie di donne e uomini al servizio degli ultimi
Suor Delia Guadagnini: «Vicino a chi ha bisogno»

«La presenza e la consolazione, questo portiamo alle persone». Ci tiene molto suor Delia (nella foto, durante la visita a una famiglia a Keba) affinché sul nostro Settimanale passi questo messaggio, elementare quanto si vuole, ma cuore della sua missione in Congo, dov’è presente dal 1989.
Lei è suor Delia Guadagnini delle Saveriane di Maria, dal 2014 fino al maggio scorso in missione a Uvira e ora nella parrocchia di Keba, Diocesi di Kongolo, provincia di Tanganyika, nella parte meridionale del Paese vicino al confine con l’Angola. Il trasferimento è stato una conseguenza anche della chiusura della comunità delle saveriane a Luvungi, 60 km da Uvira.
Qui vive in una casetta restaurata e offerta dal capo villaggio – «piccola ma molto accogliente» – assieme a due consorelle, Elisa e Dumiel. La loro, è la prima presenza di religiose in 50 anni di parrocchia a Keba: una zona di primo annuncio, quindi. «Incontriamo persone che iniziano ora a essere toccate dal Vangelo. Ma quando siamo arrivate ci hanno accolte con un calore straordinario».
«Le nostre attività sono molto semplici, stiamo in mezzo alla gente», ci racconta. «Ci siamo date un po’ di tempo per capire quali sono i bisogni delle persone, quindi visitiamo le famiglie, gli ammalati, chiunque ne abbia necessità. Cerchiamo poi di essere presenti nelle nostre comunità cristiane di base: sto cercando ad esempio di andare in quella più lontana, una comunità che si sta sfasciando, coi giovani che se ne sono andati». In generale, prosegue suor Delia, «siamo presenti nella pastorale giovanile e nell’insegnamento di religione e di altre materie nell’unica scuola secondaria qui a Keba». Ma il centro rimane la vicinanza a chi soffre: «ci sono situazioni di sofferenza e malattia mai viste altrove», con anche malati gravi, «senza grandi speranze di avere cure appropriate. La nostra presenza è per loro fonte di consolazione».
Stare in mezzo alla gente, vicino alle persone, quindi, «condividendo il loro quotidiano, entrando nelle loro case e interessandoci ai loro problemi: questo facciamo. Siamo qui con la nostra vita per mostrare, almeno un po’, l’amore di Dio, il suo farsi vicino».
Riguardo alla visita del Papa in Congo, suor Delia ci racconta di come qui si sia passati dallo «scoraggiamento collettivo» dell’anno scorso dopo l’annullamento del viaggio, alla «grande gioia per l’annuncio della nuova data, da parte di cristiani e non: il Santo Padre – infatti – è visto non solo come autorità religiosa ma anche morale, umana e sociale, che può aiutare il nostro Paese».
I suoi giorni di permanenza nel Paese, qui la gente li ha seguiti come poteva, coi mezzi che possiede. «Anche noi abbiamo cercato di far sentire qualche suo piccolo messaggio e cercheremo di tradurli in swahili. La sua voce è stata di un po’ profetismo eccezionale».
«Pregate per il Papa e per noi – conclude suor Delia -, perché la sua visita possa trovare solchi aperti a questo seme che possa crescere e svilupparsi, perché la nostra fede sia più forte, la nostra carità più incisiva e la nostra speranza possa portare frutti di pace e di comunione. Un abbraccio a tutta la Diocesi di Ferrara-Comacchio».
Padre Rino Benzoni: «Qui grande forza vitale»

È originario di San Lorenzo di Rovetta, nel bergamasco, padre Rino Benzoni (nella foto assieme ad alcuni ragazzi in attesa del Papa), ex superiore generale dei saveriani, ora missionario nella capitale Kinshasa.
Gli chiediamo dove si trova la sua parrocchia di San Bernardo (che guida assieme ad altri due saveriani, un burundese e un congolese): «il nostro è un quartiere centrale, Ndanu – ci spiega -, ma è come se fosse periferico, in quanto ex zona paludosa nella quale poi si è costruito ma che si inonda ad ogni pioggia». In questa zona tanta gente vive in povertà, anche estrema, la scuola, ad esempio, è a pagamento («quella di Stato è disastrosa»), e così la sanità, «con anche tanti approfittatori e ciarlatani». Questa massa di poveri, padre Rino la definisce più volte «la fascia rigettata e schiacciata dal resto della società».
I saveriani fanno quello che possono per aiutare queste persone: oltre alla pastorale ordinaria, padre Rino, ad esempio, gestisce un complesso scolastico parrocchiale (dalle Elementari alle Superiori) con 1100 alunni. «Quando capiamo che c’è estremo bisogno, veniamo incontro alle famiglie per il pagamento della retta». E poi c’è un importante Centro di formazione per il futuro clero.
La comunità cattolica qui è «grande e sviluppata», e la scorsa settimana ha partecipato con calore agli incontri col Santo Padre, lo stesso padre Rino era presente sia all’incontro coi giovani, come accompagnatore, sia a quello coi religiosi. Due momenti di particolare commozione. «La sua visita temo che non porterà a chissà cosa: il cuore dei potenti è più duro di una bomba», dice padre Rino. «Se riuscisse, però, a rimotivare la nostra Chiesa, a reindirizzarla, a parlare al cuore dei cristiani, sarebbe già molto». Sarebbe «un segno di speranza, soprattutto perché finisca la guerra col Rwanda».
«Il nostro popolo – prosegue p. Rino riprendendo le parole dell’Arcivescovo card. Fridolin Ambongo Besungu al Papa – è sofferente, schiacciato ma coraggioso. È un popolo che sa lottare, sa lodare e celebrare». L’ultima parte della nostra telefonata è, quindi, sull’anima di questo popolo indomito, e sulla nostra perduta: «In Italia, in Occidente la società sta morendo perché non ha più vita». In Congo, invece, «manca tutto ma c’è la vita, questa gente possiede una forza vitale fondamentale per andare avanti: lo vedo nel modo che hanno di riunirsi, di lottare, di celebrare, come detto dal nostro Vescovo. Il loro ideale è quello di trasmettere la vita, mentre il nostro è il benessere. Per questo abbiamo bisogno non di messaggi di pietà ma di speranza. E il Papa ancora una volta ci ha dato un grande messaggio di speranza».
Don Davide Marcheselli: «Curiamo corpo e anima»

Don Davide Marcheselli (nella foto, assieme a due responsabili di comunità cristiane) è un sacerdote della Diocesi di Bologna che collabora con i saveriani nella guida della parrocchia dello Spirito Santo a Kitutu. Siamo nel sud Kivu, Diocesi di Uvira, una terra maledetta. Una zona difficilmente raggiungibile.
«Le strade – ci racconta al telefono via WhatsApp – in questo periodo sono devastate dalle piogge, quindi è ancora più difficile spostarsi». La sua parrocchia – che comprende 14 comunità – è sconfinata, «si estende su una lunghezza di 100 km e una larghezza di…non saprei dire». I confini, infatti, a un certo punto scompaiono, inghiottiti dall’immensa e cupa foresta. «Non sono pochi i cattolici ma percentualmente rispetto al totale della popolazione, è non più del 15-20% a partecipare regolarmente alla Messa». Le due Celebrazioni domenicali vedono, infatti, la presenza, in tutto, di un migliaio di persone.
Oltre alla normale, pur difficile, pastorale, don Davide insieme ai saveriani gestisce anche il progetto di un Centro sanitario a favore, in particolare, di donne incinte e bambini. «Qui c’è tantissima malaria e febbre tifoide – ci spiega -, e tantissima malnutrizione. Inoltre, stiamo aprendo una piccola sala operatoria per parti cesarei e altri piccoli interventi». Il sistema sanitario statale è poco efficiente e molto oneroso. «Fuori dalla capitale – dice con chiarezza – lo Stato non esiste».
Gli domandiamo quindi come la comunità cristiana di Kitutu ha vissuto l’attesa per l’arrivo del Papa e stia vivendo la sua permanenza in Congo. «In maniera ordinaria, nulla di particolare perché è un evento estremamente lontano» – qui siamo a oltre 2mila km dalla capitale -, «e inoltre la nostra è una comunità rurale lontana dalla comunicazione, dov’è difficile avere informazioni. Se il Papa fosse venuto a Goma» – com’era previsto per luglio scorso, nella visita poi rimandata -, magari ci sarebbe stato più interesse nelle nostre zone».
In ogni caso, secondo don Marcheselli quella del Santo Padre «è una visita molto importante perché pone a livello globale un’attenzione al Congo e alle sue grossissime problematiche, a partire dalla guerra qui nell’est del Paese». Una guerra che don Davide non esita a definire «non civile ma d’aggressione del Rwanda nei confronti del Congo». La speranza è che questo gesto del Papa «possa portare a cambiamenti, un vento di novità, di rinvigorimento almeno nella zona occidentale del Congo. Importanti, ad esempio, sono state le parole di Francesco contro l’impoverimento del nostro Paese a causa del neocolonialismo».
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 10 febbraio 2023