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In Congo fra miseria e speranza: «portiamo il Vangelo a chi non lo conosce»

6 Feb

In occasione della visita apostolica di Papa Francesco nel grande e martoriato Paese africano, abbiamo contattato alcuni missionari lì presenti: storie di donne e uomini al servizio degli ultimi

Suor Delia Guadagnini: «Vicino a chi ha bisogno»

«La presenza e la consolazione, questo portiamo alle persone». Ci tiene molto suor Delia (nella foto, durante la visita a una famiglia a Keba) affinché sul nostro Settimanale passi questo messaggio, elementare quanto si vuole, ma cuore della sua missione in Congo, dov’è presente dal 1989. 

Lei è suor Delia Guadagnini delle Saveriane di Maria, dal 2014 fino al maggio scorso in missione a Uvira e ora nella parrocchia di Keba, Diocesi di Kongolo, provincia di Tanganyika, nella parte meridionale del Paese vicino al confine con l’Angola. Il trasferimento è stato una conseguenza anche della chiusura della comunità delle saveriane a Luvungi, 60 km da Uvira.

Qui vive in una casetta restaurata e offerta dal capo villaggio – «piccola ma molto accogliente» – assieme a due consorelle, Elisa e Dumiel. La loro, è la prima presenza di religiose in 50 anni di parrocchia a Keba: una zona di primo annuncio, quindi. «Incontriamo persone che iniziano ora a essere toccate dal Vangelo. Ma quando siamo arrivate ci hanno accolte con un calore straordinario».

«Le nostre attività sono molto semplici, stiamo in mezzo alla gente», ci racconta. «Ci siamo date un po’ di tempo per capire quali sono i bisogni delle persone, quindi visitiamo le famiglie, gli ammalati, chiunque ne abbia necessità. Cerchiamo poi di essere presenti nelle nostre comunità cristiane di base: sto cercando ad esempio di andare in quella più lontana, una comunità che si sta sfasciando, coi giovani che se ne sono andati». In generale, prosegue suor Delia, «siamo presenti nella pastorale giovanile e nell’insegnamento di religione e di altre materie nell’unica scuola secondaria qui a Keba». Ma il centro rimane la vicinanza a chi soffre: «ci sono situazioni di sofferenza e malattia mai viste altrove», con anche malati gravi, «senza grandi speranze di avere cure appropriate. La nostra presenza è per loro fonte di consolazione».

Stare in mezzo alla gente, vicino alle persone, quindi, «condividendo il loro quotidiano, entrando nelle loro case e interessandoci ai loro problemi: questo facciamo. Siamo qui con la nostra vita per mostrare, almeno un po’, l’amore di Dio, il suo farsi vicino».

Riguardo alla visita del Papa in Congo, suor Delia ci racconta di come qui si sia passati dallo «scoraggiamento collettivo» dell’anno scorso dopo l’annullamento del viaggio, alla «grande gioia per l’annuncio della nuova data, da parte di cristiani e non: il Santo Padre – infatti – è visto non solo come autorità religiosa ma anche morale, umana e sociale, che può aiutare il nostro Paese».

I suoi giorni di permanenza nel Paese, qui la gente li ha seguiti come poteva, coi mezzi che possiede. «Anche noi abbiamo cercato di far sentire qualche suo piccolo messaggio e cercheremo di tradurli in swahili. La sua voce è stata di un po’ profetismo eccezionale».

«Pregate per il Papa e per noi – conclude suor Delia -, perché la sua visita possa trovare solchi aperti a questo seme che possa crescere e svilupparsi, perché la nostra fede sia più forte, la nostra carità più incisiva e la nostra speranza possa portare frutti di pace e di comunione. Un abbraccio a tutta la Diocesi di Ferrara-Comacchio».

Padre Rino Benzoni: «Qui grande forza vitale»

È originario di San Lorenzo di Rovetta, nel bergamasco, padre Rino Benzoni (nella foto assieme ad alcuni ragazzi in attesa del Papa), ex superiore generale dei saveriani, ora missionario nella capitale Kinshasa. 

Gli chiediamo dove si trova la sua parrocchia di San Bernardo (che guida assieme ad altri due saveriani, un burundese e un congolese): «il nostro è un quartiere centrale, Ndanu – ci spiega -, ma è come se fosse periferico, in quanto ex zona paludosa nella quale poi si è costruito ma che si inonda ad ogni pioggia». In questa zona tanta gente vive in povertà, anche estrema, la scuola, ad esempio, è a pagamento («quella di Stato è disastrosa»), e così la sanità, «con anche tanti approfittatori e ciarlatani». Questa massa di poveri, padre Rino la definisce più volte «la fascia rigettata e schiacciata dal resto della società».

I saveriani fanno quello che possono per aiutare queste persone: oltre alla pastorale ordinaria, padre Rino, ad esempio, gestisce un complesso scolastico parrocchiale (dalle Elementari alle Superiori) con 1100 alunni. «Quando capiamo che c’è estremo bisogno, veniamo incontro alle famiglie per il pagamento della retta». E poi c’è un importante Centro di formazione per il futuro clero.

La comunità cattolica qui è «grande e sviluppata», e la scorsa settimana ha partecipato con calore agli incontri col Santo Padre, lo stesso padre Rino era presente sia all’incontro coi giovani, come accompagnatore, sia a quello coi religiosi. Due momenti di particolare commozione. «La sua visita temo che non porterà a chissà cosa: il cuore dei potenti è più duro di una bomba», dice padre Rino. «Se riuscisse, però, a rimotivare la nostra Chiesa, a reindirizzarla, a parlare al cuore dei cristiani, sarebbe già molto». Sarebbe «un segno di speranza, soprattutto perché finisca la guerra col Rwanda». 

«Il nostro popolo – prosegue p. Rino riprendendo le parole dell’Arcivescovo card. Fridolin Ambongo Besungu al Papa – è sofferente, schiacciato ma coraggioso. È un popolo che sa lottare, sa lodare e celebrare». L’ultima parte della nostra telefonata è, quindi, sull’anima di questo popolo indomito, e sulla nostra perduta: «In Italia, in Occidente la società sta morendo perché non ha più vita». In Congo, invece, «manca tutto ma c’è la vita, questa gente possiede una forza vitale fondamentale per andare avanti: lo vedo nel modo che hanno di riunirsi, di lottare, di celebrare, come detto dal nostro Vescovo. Il loro ideale è quello di trasmettere la vita, mentre il nostro è il benessere. Per questo abbiamo bisogno non di messaggi di pietà ma di speranza. E il Papa ancora una volta ci ha dato un grande messaggio di speranza».

Don Davide Marcheselli: «Curiamo corpo e anima»

Don Davide Marcheselli (nella foto, assieme a due responsabili di comunità cristiane) è un sacerdote della Diocesi di Bologna che collabora con i saveriani nella guida della parrocchia dello Spirito Santo a Kitutu. Siamo nel sud Kivu, Diocesi di Uvira, una terra maledetta. Una zona difficilmente raggiungibile. 

«Le strade – ci racconta al telefono via WhatsApp – in questo periodo sono devastate dalle piogge, quindi è ancora più difficile spostarsi». La sua parrocchia – che comprende 14 comunità – è sconfinata, «si estende su una lunghezza di 100 km e una larghezza di…non saprei dire». I confini, infatti, a un certo punto scompaiono, inghiottiti dall’immensa e cupa foresta. «Non sono pochi i cattolici ma percentualmente rispetto al totale della popolazione, è non più del 15-20% a partecipare regolarmente alla Messa». Le due Celebrazioni domenicali vedono, infatti, la presenza, in tutto, di un migliaio di persone. 

Oltre alla normale, pur difficile, pastorale, don Davide insieme ai saveriani gestisce anche il progetto di un Centro sanitario a favore, in particolare, di donne incinte e bambini. «Qui c’è tantissima malaria e febbre tifoide – ci spiega -, e tantissima malnutrizione. Inoltre, stiamo aprendo una piccola sala operatoria per parti cesarei e altri piccoli interventi». Il sistema sanitario statale è poco efficiente e molto oneroso. «Fuori dalla capitale – dice con chiarezza – lo Stato non esiste».

Gli domandiamo quindi come la comunità cristiana di Kitutu ha vissuto l’attesa per l’arrivo del Papa e stia vivendo la sua permanenza in Congo. «In maniera ordinaria, nulla di particolare perché è un evento estremamente lontano» – qui siamo a oltre 2mila km dalla capitale -, «e inoltre la nostra è una comunità rurale lontana dalla comunicazione, dov’è difficile avere informazioni. Se il Papa fosse venuto a Goma» – com’era previsto per luglio scorso, nella visita poi rimandata -, magari ci sarebbe stato più interesse nelle nostre zone». 

In ogni caso, secondo don Marcheselli quella del Santo Padre «è una visita molto importante perché pone a livello globale un’attenzione al Congo e alle sue grossissime problematiche, a partire dalla guerra qui nell’est del Paese». Una guerra che don Davide non esita a definire «non civile ma d’aggressione del Rwanda nei confronti del Congo». La speranza è che questo gesto del Papa «possa portare a cambiamenti, un vento di novità, di rinvigorimento almeno nella zona occidentale del Congo. Importanti, ad esempio, sono state le parole di Francesco contro l’impoverimento del nostro Paese a causa del neocolonialismo». 

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 10 febbraio 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

«Noi missionarie ai piedi del vulcano in eruzione»: testimonianze dal Congo

24 Mag

Luisa Flisi racconta a “La Voce” la notte di paura: «la lava si è fermata a 2 km da noi. Tante le scosse di terremoto»

Luisa Flisi e Antonina Lo Schiavo con la moglie del presidente Kabila

Due missionarie laiche, Luisa Flisi, 77 anni, originaria di Parma e Antonina Lo Schiavo, 83 anni, salernitana, vivono da oltre 30 anni in un’umile casa nel centro di Goma, capitale del Nord Kivu nell’est del Congo, a soli 20 km a sud dal vulcano Nyiragongo, uno dei più pericolosi del mondo, esploso la sera di sabato 22 maggio. «La lava – racconta Luisa a “La Voce” – si è fermata a soli 2 km da casa nostra». Distrutto il vicino villaggio di Bushara.Circa 7mila persone hanno raggiunto il Rwanda, mentre 17mila sono fuggite verso sud. In gran parte della città si è avuto un blackout elettrico. Nel 2002 un’eruzione simile ha ricoperto le piste e bloccato gli aerei dell’aeroporto di Goma, provocando 250 morti e lasciando altre 120mila persone senza un tetto. Un’altra eruzione avvenne nel 1977. Mentre siamo al telefono con Luisa, nel primo pomeriggio del giorno successivo, domenica 23, ci racconta in diretta di «diverse scosse di terremoto, alcune forti altre deboli», che proseguono quasi ininterrotte dalla mattina: «per le scosse tremano i deboli vetri della casa a un piano dove io e Antonina viviamo. Ci troviamo vicino alla vecchia Cattedrale (distrutta dall’eruzione nel 2002 e poi ricostruita, ndr), nel centro di Goma. Ieri notte abbiamo tentato anche noi di lasciare la città in macchina, ma siamo state bloccate. Volevamo raggiungere le Piccole Figlie del Sacro Cuore di Gesù, a sud della città. È anche vero – ricorda con amarezza – che ogni volta che io e Antonina lasciamo la nostra casa, qualcuno entra per rubare. Ad esempio, nel 2002 ci hanno saccheggiato tutto».

Le due donne sono aiutate, oltre che da una signora del luogo, da una sentinella diurna e da una notturna. «Solo una stradina divide la nostra casa dalla prigione. Ieri notte i detenuti hanno tentato di fuggire – prosegue Luisa -, abbiamo sentito ripetuti colpi sparati per dissuaderli, alcune pallottole sono arrivate sul nostro tetto di lamiera. Stamattina ho chiesto di poter entrare in carcere per il mio servizio di assistenza, ma mi è stato impedito». Dopo la laurea in Pedagogia e tre anni di insegnamento come maestra, Luisa Flisi nel 1972 ha lasciato Parma per operare all’interno dell’associazione “Fraternità missionaria” fondata a Goma dal padre saveriano Silvio Turazzi. Luisa si trova a Goma dal 1989, mentre Antonina dal 1986. Luisa svolge principalmente assistenza ai carcerati, e in passato è stata molto attiva con l’associazione GRAM nell’assistenza ai malati cronici (soprattutto di AIDS), anche bambini. Antonina guida, invece, una scuola di recupero per le ragazze che non hanno concluso il ciclo scolastico. In Italia non tornano da fine 2019 / inizio 2020. Luisa lo scorso febbraio ha partecipato alla cena con l’ambasciatore italiano Luca Attanasio – i due si conoscevano bene -, la sera prima che fosse ucciso insieme al carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e all’autista congolese Mustafa Milambo. A inizio marzo è stato ucciso anche il magistrato militare Mwilanya Asani William che indagava sull’agguato, avvenuto sulla stessa strada Rutshuru-Goma, a due passi da dove abitano Luisa e Antonina.

Un altro racconto da Goma

Il dottor Aimé Kazighi è uno specialista in ortopedia che lavora all’ospedale diocesano Charité Maternelle di Goma, dove l’Associazione “Amici di Kamituga” ha finanziato una decina d’anni fa la costruzione del reparto di neonatologia. Questa la sua testimonianza: «sabato sera sono rientrato tardi dall’ospedale e, nell’addormentarmi, ho sentito un fragore: era il Nyiragongo tornato in azione. Benché casa nostra si trovi nella Paroisse Saint Esprit, a 30 km, il bagliore rossastro illuminava la notte e la gente si è riversata in strada. La mattina dopo ci ha accolto un cielo plumbeo, con la cenere che si posava lentamente, mentre continuavno le scosse di terremoto. Siamo andati alla Messa di Pentecoste con un forte senso di angoscia. Nel pomeriggio abbiamo appreso che la colata di lava si era divisasi, dirigendosi verso sud, verso il lago, lambendo la città senza danni rilevanti. Abbiamo pensato che lo Spirito Santo fosse venuto in soccorso di Goma. La sera è cominciata una pioggia sporca e, poiché le scosse di terremoto continuavano, quasi nessuno è rimasto in casa. Il vulcano ha rallentato la sua azione. Le autorità sono poco presenti e mal organizzate e da una settimana vige lo stato di emergenza».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 maggio 2021

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“Luca desiderava solo fare del bene”: intervista a suor Delia, missionaria in Congo

1 Mar

Intervista a suor Delia Guadagnini dopo l’attentato in Congo in cui hanno perso la vita Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo: “era un amico sempre disponibile, ci sentivamo spesso”

di Andrea Musacci

«L’uccisione del nostro ambasciatore Luca, del suo carabiniere guardia del corpo Vittorio e dell’autista Mustapha, ci rattrista moltissimo. Luca era una persona amabile. Ci aveva appena incontrati a Bukavu sabato scorso. Si interessava di ciascuno di noi, ci è stato molto vicino durante e dopo l’alluvione qui a Uvira. Potevamo chiamarlo al telefono come si chiama uno di famiglia. Preghiamo per lui, per chi è morto con lui, per le loro famiglie, per i loro uccisori. Pregate per noi e il nostro popolo. Che possiamo tener duro in questi tempi difficili. Un forte abbraccio pieno di sofferenza, aspettando un’alba nuova».
Chi ci scrive è suor Delia Guadagnini delle Saveriane di Maria, dal 1989 in missione a Uvira come coordinatrice delle scuole della diocesi. Una città, quella di Uvira, vicina al luogo dove lunedì scorso è avvenuta la sparatoria nella quale hanno perso la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere della sua scorta Vittorio Iacovacci e il loro autista congolese Mustapha Milambo. I tre sono stati uccisi nel villaggio di Kibumba, nella regione del Nord Kivu, per la precisione lungo la strada che da Goma, capoluogo del Nord Kivu, sale verso Rutshuru, passando appunto vicino Kibumba e addentrandosi nel parco nazionale del Virunga.
Le abbiamo rivolto alcune domande sul suo rapporto di collaborazione e amicizia con Luca Attanasio.
Due giorni prima, infatti, il sabato, l’Ambasciatore era stato nella vicina località di Bukavu, per poi il giorno dopo recarsi a Goma dove ha cenato al ristorante italiano “Mediterraneo” con i suoi connazionali, soprattutto missionari saveriani e volontari.


Suor Delia, in che occasione aveva conosciuto Attanasio?
«Il nostro caro Ambasciatore l’ho conosciuto due anni fa quando dovevo rinnovare il mio Passaporto Italiano. Mi chiedevo se dovessi andare in Italia o recarmi a Kinshasa… Poco dopo, siamo state informate dal nostro Consolato a Kinshasa che l’Ambasciatore sarebbe venuto a Bukavu, non lontano da Uvira, e sarebbe stato accompagnato dalla signora Rita che lavorava all’Ambasciata, che si sarebbe resa disponibile a facilitare le pratiche a chi avesse avuto bisogno di rinnovare il passaporto senza andare a Kinshasa. La Provvidenza è arrivata!
In quella occasione abbiamo passato una serata insieme dai Missionari Saveriani a Bukavu dove ha alloggiato due giorni.
A dire il vero il mio primo incontro con lui è stato lì, in uno scantinato dei saveriani. Era in tuta da ginnastica e stava rovistando in un deposito di oggetti africani, statue, maschere, che gli stessi saveriani avevano accatastato lì, dopo aver scelto i pezzi migliori per il Museo che si trova all’entrata della loro casa. Lì ci siamo salutati per la prima volta, abbracciati come fratello e sorella. Subito mi ha fatto sentire a mio agio in quella stanza polverosa, chiedendo di me, delle mie sorelle, di quel che facciamo, delle difficoltà che incontriamo… Mi ha promesso che un giorno o l’altro sarebbe arrivato a Uvira. Lo aspettavamo questa volta ma mi aveva detto al telefono che la sua missione questa volta era piuttosto verso Goma. Non ha comunque rinunciato, anche a costi di una certa fatica, di fare “un salto” a Bukavu per incontrarci lo scorso fine settimana».

Suor Delia Guadagnini


Purtroppo l’ultimo della sua vita…Che persona era Attanasio? Come lo descriverebbe?
«Luca era una persona buona, attenta, amabile, aperta all’altro, desiderosa di fare del bene, di promuovere il bene. Amava il nostro Paese, la Repubblica Democratica del Congo. Penso che in ufficio all’Ambasciata, ci stesse poco. Uomo di relazione, capace di stare coi grandi e coi piccoli, sorridente, affettuoso, pieno di iniziative. Molto colto e altrettanto umile. Attento ai dettagli».


In che modo aiutava la vostra comunità?
«Quando nell’aprile dell’anno scorso, la furia delle acque si è abbattuta su Uvira, Luca mi ha telefonato più volte. Voleva accertarsi che stessimo bene, che avessimo trovato un luogo dove rifugiarci. Chiedeva dove era scappata la popolazione, chi ci stava dando una mano. La sua voce ci ha espresso vicinanza e affetto. Tutte le volte che mi chiamava al telefono, concludeva con queste parole: “Sr. Delia, non si faccia riguardo a chiamarmi, mi dica se avete bisogno di qualcosa, siamo qui per voi!”. Questo era il suo motto: “Siamo qui per voi!”».


Con quale frequenza lei lo incontrava o era in contatto con lui?
«Da quando era Ambasciatore qui in Congo, dal 2017, ci vedevamo una volta all’anno quando veniva a Bukavu per incontrare gli italiani presenti in questa regione, e tra essi, molti missionari. Spesso comunque ci sentivamo al telefono: era come averlo davanti, sorridente, affettuoso, sempre positivo».


Quando è stata l’ultima volta che l’ha incontrato?
«L’ultimo incontro risale all’anno scorso. Allegro, sprizzante, desideroso di conoscere la nostra realtà e di informarci sui vari progetti in cui era impegnato nella nostra Regione. Sempre molto accogliente, sobrio nel vestire e capace di tessere relazioni. Ci ha parlato di sua moglie, delle sue figlie e ci diceva che alla prossima sarebbe venuto anche con loro per far conoscere la nostra realtà. Era accompagnato da due carabinieri che, in un angolo del salone, mentre prendevamo una pizzetta, mi hanno fatto un bell’elogio del nostro Ambasciatore. Con lui stavano molto bene!».


Quando avrebbe dovuto rivederlo o risentirlo?
«Avrei dovuto salire a Bukavu per incontrarlo sabato ma visti i miei molteplici impegni di lavoro, ho rinunciato. Me ne pento…».


Stavate collaborando a qualche progetto in particolare?
«Niente di particolare poiché lui non aveva progetti specifici qui nella zona di Uvira, che peraltro desiderava tanto conoscere…».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 5 marzo 2021

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“Io e mia moglie due anni fa siamo fuggiti da Rutshuru”: parla Carlo Volpato, volontario in Congo

1 Mar
Carlo Volpato con la moglie Kavira Kannette

Il racconto a “La Voce” di Carlo Volpato, dal ’95 volontario nel villaggio vicino al luogo del triplice omicidio di Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo: “La strada della sparatoria è insicura da almeno 5 anni”, la sua denuncia

Carlo Volpato, 87 anni, dal 1995 (un anno dopo la pensione) è volontario in Congo per l’associazione “Mondo Giusto” di Lecco, che da oltre 50 anni è impegnata in diverse zone del Paese, tra cui il Nord Kivu. Tanti i progetti portati a termine, fra cui centri nutrizionali, centri sanitari di base (fondamentali in un Paese povero e dove la sanità non è gratuita), acquedotti, ponti, sale polivalenti e centrali idroelettriche.
Carlo attualmente è in Italia, nella sua Zelarino vicino Venezia, in attesa del vaccino anti-Covid-19. Una volta vaccinato, l’idea è di tornare a Goma con la moglie congolese Kavira Kannette (i due in foto), originaria proprio di Rutshuru, dove si sono conosciuti e poi sposati nel 2016.
«L’anno scorso ho conosciuto personalmente Luca Attanasio a una cena a Rutshuru», racconta a “La Voce” Volpato. «Essendo io il più anziano tra i volontari, ha voluto che gli raccontassi tutti i nostri progetti. Era molto interessato, abbiamo parlato tutta la sera.
Due anni fa io e mia moglie ci siamo trasferiti dal villaggio di Rutshuru, dove ho vissuto per quasi 25 anni, alla città di Goma perché non ci sentivamo più sicuri. Avevamo anche in cantiere la costruzione di una nuova sorgente, ma non siamo riusciti a portarla a termine. Per non parlare della manutenzione delle altre opere costruite negli anni, non ancora effettuata». In quella zona, infatti, imperversano bande armate organizzate, le quali, per la mancanza dello Stato (e con un esercito debole e mal pagato), in qualche modo lo sostituiscono anche nell’aiuto alla popolazione. O almeno così fanno credere. «È da almeno 5 anni che la strada dove lunedì scorso è avvenuta la sparatoria non è sicura», prosegue Volpato. «Negli anni l’ho percorsa tantissime volte – ogni settimana o quasi – per recarmi da Rutshuru a Goma per l’approvvigionamento del materiale necessario ai nostri lavori: non capisco, quindi, chi in questi giorni ha detto che quella strada solo ultimamente fosse diventata insicura. Mia moglie a Rutshuru ha diversi parenti, una casa, ma anche lei ha molta paura a tornarci, anche perché, avendo sposato un bianco, si sente ancor più in pericolo».
Prima di salutarci, Carlo ci racconta d’aver ricevuto nelle scorse settimane l’invito per la cena con l’ambasciatore Attanasio svoltasi la sera precedente alla sparatoria, nel ristorante italiano “Mediterraneo”. Così recitava: “Cari e gentili Connazionali,
questa domenica 21 febbraio l’Ambasciatore, accompagnato dal Dottor Alfredo Russo, Capo della Cancelleria Consolare, e dal Direttore del World Food Program (PAM) Dottor Rocco Leone, effettueranno una breve missione consolare in Goma. Siete tutti invitati a partecipare al cocktail di saluto (…) presso il Ristorante “Mediterraneo” questa domenica alle ore 18:00 (…). Speriamo di incontrarvi tutti a Goma!
Un caro saluto,
l’Ambasciatore ed il Capo della Cancelleria consolare”.
Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 5 marzo 2021

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