Caterina Brina e Piera Murador (Apg23) gestiscono due Case Famiglia fuori Ferrara: ecco le loro toccanti storie
La carità prima si vive e sperimenta, poi si racconta; infine, si studia. È questa la convinzione che ha mosso la nostra Arcidiocesi nella scelta dei relatori per le catechesi nella Cattedrale di Ferrara sul tema “Giubileo e Carità”, iniziate l’11 marzo con due donne della Comunità Papa Giovanni XXIII sul tema “Alleanza delle generazioni per guardare al futuro” (Spes non confundit, 9 e 13). Questi gli altri appuntamenti: martedì 18 marzo la Caritas diocesana interverrà su “Carità, volti e storie: i testimoni” (Snc, 13); martedì 25 marzo mons. Gian Carlo Perego rifletterà su “Non possiamo distogliere lo sguardo dai poveri” (Snc 15); martedì 1° aprile la Pastorale Giovanile diocesana testimonierà su “Non possiamo deluderli” (Snc, 12). Inoltre, mercoledì 12 marzo ha avuto luogo la prima delle due serate in Duomo (la seconda sarà mercoledì 9 aprile dalle 20.45 alle 22.30), con Adorazione Eucaristica all’altare della Madonna delle Grazie e possibilità di confessarsi. Il 12, l’accoglienza dei fedeli è stata gestita da volontari della parrocchia cittadina dell’Immacolata, mentre quella del 9 aprile sarà gestita da parrocchiani di S. Agostino.
CASE FAMIGLIA, LUOGHI DI INCONTRO
Da tanti anni col marito Stefano gestisce una Casa Famiglia a Pescara vicino Francolino. È stata Caterina Brina la prima a raccontare in Cattedrale l’11 marzo la propria esperienza. «Accogliamo, come sempre, piccoli, ragazzi, adulti», ha detto. «Ora, fra gli altri, ospitiamo due ragazzi con disabilità importanti. Non è facile, ma l’essere genitore ti aiuta a cogliere ciò che gli altri non vedono: l’amore di una famiglia permette di vedere nell’altro quel bene e quella speranza dentro la persona, che nessun altro vede. Come adulti – ha proseguito Brina -, abbiamo la responsabilità di credere nelle nuove generazioni, vittime spesso di questo mondo frenetico. La speranza non si insegna ma si vive». La stessa che Caterina e suo marito han dato a una ragazza da loro accolta e aiutata convincendola così a non abortire.
Piera Murador invece gestisce la Casa Famiglia “Betlemme” a Malborghetto di Boara: col marito accoglie un ragazzo con disabilità cognitiva, una donna vittima di violenza, un giovane immigrato dal Bangladesh, un piccolo. E poi c’è la madre di Piera, 90 anni, «che riesce a insegnare anche con poche parole. L’ho accolta – ha spiegato Murador – anche per la riconoscenza nei suoi confronti, per come mi ha cresciuto ed educato, a maggior ragione da sola, essendo stata lasciata fin da subito da mio padre. Questa dell’accoglienza di mia madre è un’esperienza per me impegnativa ma che mi fa crescere tanto interiormente e che mi permette di rallentare, di decentrarmi, di uscire da me stessa. E che mi aiuta a sviluppare la virtù della pazienza (presente anche in lei), che porta a quella della speranza». Ma in mezzo alle fatiche vi sono «tanti momenti di grazia: come quando il ragazzo bengalese ogni giorno fa e porta a mia madre una spremuta; o mio figlio disabile che la aiuta a camminare col suo deambulatore». E questa accoglienza non può non avere una ricaduta sociale: «in una società funzionale e funzionante, è una quotidiana testimonianza di rifiuto della “cultura dello scarto”».
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 marzo 2025
Nel 2025 si festeggia il centenario dalla nascita di don Oreste Benzi, fondatore dell’Associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII”. A Ferrara l’incontro con le testimonianze di un sacerdote e di due coniugi suoi amici e collaboratori: «ha fatto entrare la luce nel buio della mia vita», «con lui mi sentivo di essere arrivato a casa»
di Andrea Musacci
Aprendo le proprie braccia, apriva vie. Irradiando luce, illuminava occhi e cuore delle persone che incontrava.Questo era don Oreste Benzi, sacerdote riminese fondatore dell’Associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII” (Apg23), di cui nel 2025 ricorre il centenario della nascita.
Anche la nostra Arcidiocesi ha inteso ricordarlo con una serata di testimonianze che rendesse l’idea di come la sua creatura sia ancora viva nelle tante persone che in Italia e non solo portano avanti la sua missione: far incontrare Cristo nella gioia, come realtà viva di liberazione per ognuno.
Lo scorso 12 febbraio è stato il salone del Complesso parrocchiale di san Giacomo Apostolo all’Arginone (Ferrara) a ospitare l’incontro sul tema “Don Oreste Benzi, innamorato di Dio e dell’uomo”. Relatori sono stati don Mario Zacchini e i coniugi Stefano Gasparini e Flora Amaduzzi, testimoni delle origini della Comunità Papa Giovanni XXII. La mattina dopo, in Seminario a Ferrara, incontro con gli stessi relatori ad hoc per il clero diocesano.
SOLO NEL DONO E IN GESÙ SI È FELICI
A San Giacomo, dopo l’introduzione da parte di don Michele Zecchin (Vicario Episcopale per la Carità Pastorale) e Piera Murador (Papa Giovanni XXIII di Ferrara – nella foto piccola con i tre relatori) ha preso la parola don Zacchini:«donBenzi – ha detto – sapeva aprire vie, dare spiegazioni profonde ai giovani. All’inizio degli anni ’90 sono partito in missione per la Tanzania dove, grazie anche a don Benzi, sono riuscito ad aprire una casa-famiglia per gli orfani, data l’alta mortalità fra i giovani genitori. Nel ’98, invece, in Italia è iniziata l’accoglienza nella mia parrocchia di donne obbligate a prostituirsi. Con don Benzi spesso andavamo a incontrarle per strada», ha proseguito ricordando uno dei tratti più noti del sacerdote riminese. «Era una persona molto affidabile», che credeva nel fondamento della Papa Giovanni XXIII:«conformare la propria vita a Gesù, povero, servo, sofferente, che espia le colpe del mondo», diceva lui stesso, «ma permettendoci di vivere ciò nella gioia e nella pace».
DonBenzi credeva che la vita «vada vissuta e donata a Gesù e agli altri: solo in questo modo si può essere davvero felici». Solo nel dono, nella preghiera e nell’Eucarestia. Niente di spettacolare, dunque, ma «l’adesione al Vangelo nella normalità e semplicità del quotidiano: questa è la concretezza del cristianesimo». Uno sguardo sulla realtà di chi non la subisce ma la stravolge: ad esempio, ha proseguito don Zacchini, «sapete che vi erano coppie di coniugi che nelle loro case-famiglia dell’Apg23 ospitavano bimbi con l’AIDS e li facevano vivere a fianco dei loro bambini naturali?
«SI LASCIAVA MANGIARE DAGLI ALTRI»
Stefano ha scelto di anticipare il proprio intervento con un video nel quale donBenzi racconta come in 2^ Elementare, dopo aver sentito da una sua insegnante parlare della figura del sacerdote, tornò a casa e disse alla madre: «mamma, io mi faccio prete!». DonBenzi che come un pioniere aveva «sempre nuove frontiere da scoprire», e come uno scienziato «non aveva mai perso la capacità di stupirsi». DonBenzi che «si lasciava mangiare dagli altri e a sua volta – ha poi aggiunto don Mario – sentiva sempre il bisogno di nutrirsi di Gesù Eucarestia». E che era sempre in ritardo «perché non diceva di “no” a nessuno e a volte dava appuntamento alle persone anche di notte, se magari doveva prendere un aereo molto presto…».
La sua intuizione della casa-famiglia (le prime, nate nel ’73) – ha proseguito Gasparini – nasceva dall’idea che «la famiglia per sua natura è qualcosa di composito, che vive nella complementarietà e nella quale, quindi, si crea una sinfonia». Aspetti spesso ignorati o rifiutati dal resto della società. Per don Benzi, il povero è «colui che non conta niente, che non ha nessuna importanza per il mondo, che è come se non esistesse, che non è stimato». Il ricco, invece, «è colui che detiene il potere ma è l’uomo più isolato del mondo, perché è da solo con le cose che ha».
Invece, diceva ancora don Benzi, «io sono veramente me stesso, nella mia vocazione, nella misura in cui sono comunità». E ancora: «non guardo al limite che ho ma a Colui che mi porta al di fuori di questo limite». «Con donBenzi – ha aggiunto Stefano – mi sentivo d’essere arrivato a casa».Qualcosa di inconcepibile per molti».
Don Benzi era infatti convinto che «i poveri gli dessero la libertà di vivere per Gesù: il suo amore per i piccoli era sconfinato». I piccoli sono coloro che «vivono ai margini della vita sociale» e il principio che lo muoveva era che «la carità è condivisione diretta. Le provocazioni che dava agli altri erano credibili perché lui stesso le viveva».
«Ho conosciuto don Oreste – ha detto invece la moglie Flora – circa 50 anni fa, quando avevo 21 anni ed ero in un periodo della mia vita di grande confusione a livello affettivo e lavorativo. Dentro di me percepivo un grande vuoto». Ma la sua vita cambia quando accetta l’invito del fratello a vivere per 1 mese in una casa-famiglia dell’Apg23 che accoglieva una decina di persone adulte disabili: «all’inizio ero a disagio, ma poi ho visto la grande allegria che dominava in quella casa, la condivisione, la grande gioia di vivere: lì ho incontrato Gesù. È come se Gesù per la prima volta nella mia vita fosse venuto a spalancare le finestre, a far entrare luce e aria fresca nel buio della mia vita». Lo stesso donBenzi «irradiava una luce, un calore che non avevo mai visto in nessuno: era sempre col sorriso, sempre con le braccia aperte pronto ad accogliere chiunque».
«Per noi dell’Apg23, quindi, la condivisione è un modo d’essere, è oltre il servizio, lo supera e diventa appartenenza: insomma, non vi è più uno che fa un servizio e l’altro che lo riceve ma ci apparteniamo l’un l’altro, è uno scambio reciproco». Una bella descrizione del senso di comunione profonda che contraddistingue il cristiano.
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Minori stranieri non accompagnati, il 1° marzo tavola rotonda e presentazione di un libro sul tema
“Esserci per accogliere.Ascoltare per custodire. L’accoglienza di minori migranti non accompagnati”: questo il titolo dell’importante incontro in programma il prossimo 1° marzo dalle ore 9 alle 12.30 nel Complesso parrocchiale di San Giacomo Apostolo all’Arginone a Ferrara.
Una tavola rotonda con testimoni, esperti e cittadini, moderata da un giornalista e con gli interventi di un giovane MSNA (minore straniero non accompagnato), che porterà la sua testimonianza personale, del nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, di Giovanni Fortugno (responsabile Casa dell’Annunziata di Reggio Calabria) e Luca Luccitelli. Fortugno e Luccitelli sono autori del libro, che per l’occasione sarà presentato, “Figli venuti dal mare” (Sempre Editore, 2024).
Di cosa parla il libro
Li classifichiamo con una sigla: MSNA, minori stranieri non accompagnati. Ma ognuno di loro ha un volto e una storia. Fuggono da luoghi dove è impossibile restare. Partono nonostante i pericoli, perché la speranza è più forte della paura. In questo libro sono raccolte le loro storie e quella di chi ha scelto di accoglierli come figli.
Abel è arrivato a 2 anni e mezzo con la nave Diciotti. La mamma è annegata durante la traversata ed è sepolta nel cimitero di Armo, assieme a quelli che non ce l’hanno fatta. Lui, come tanti altri bambini e ragazzi venuti dal mare, è stato accolto nella Casa dell’Annunziata, a Reggio Calabria, e dopo mesi di ricerche è stato ricongiunto con il papà. Altri partono da soli nonostante abbiano 9, 12, 15 anni.
Giovanni Fortugno ha aperto con moglie e figli naturali una casa-famiglia in cui accolgono minori, anche con disabilità: dal 2004 è responsabile della “Casa dell’Annunziata” per minori stranieri non accompagnati.
Luca Luccittelli, sposato, ha 4 figlie, di cui 1 in affido. Ha vissuto in Africa e in zone di conflitto. È giornalista e capo ufficio stampa della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 febbraio 2025
Cerimonia il 24 ottobre a Rimini. Inquietudine e fede nei suoi diari: «siamo nati per la noia o per l’amore?»
Il terrore del nulla, la consapevolezza, a un tempo, della miseria dell’essere mortali e dell’infinita bellezza di essere figli di Dio. Sandra Sabattini, vissuta a Rimini, una vita spesa con la Comunità Papa Giovanni XXIII nella vicinanza ai disabili gravi, ai tossicodipendenti, ai poveri, muore il 2 maggio 1984 a soli 22 anni in seguito a un’incidente stradale avvenuto pochi giorni prima. Il 2 ottobre 2019 Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del Decreto che riconosce «il miracolo, attribuito all’intercessione di Sandra Sabattini relativo alla guarigione da un tumore maligno di Stefano Vitali, ritenuta scientificamente inspiegabile». La beatificazione di Sandra, inizialmente fissata al 14 giugno 2020, a causa della pandemia è stata rimandata al 24 ottobre scorso nella Cattedrale di Rimini. I suoi resti mortali si sono decomposti nella tomba, ma il sarcofago destinato ad accoglierli è stato collocato nel 2009, come monumento, nella chiesa di San Girolamo a Rimini.
I suoi diari (ed. “Sempre”) sono un’incredibile testimonianza di un’anima inquieta alla ricerca di Dio. «Vedendo una persona non vedo quella persona, ma il Cristo. Voglio portare la salvezza, cioè Cristo», scrive a 14 anni. Ma non mancano dubbi e tormenti: «questa sera mi sento piena di niente», scrive ad esempio due anni dopo, oppure rivolta al Signore: «sono meschina e sinora nel dolore Ti ho sempre dimenticato. Puoi perdonarmi ancora una volta?». E ancora: «È più forte di me cercare il perché a tutte le cose, pormi in un continuo dubbio. Probabilmente non sarò mai una persona felice», è un pensiero affidato al diario a 17 anni. Ma poche righe dopo riflette su «tutte le volte che mi perdevo (credevo di essere sola) nella mia solitudine e non capivo che Tu eri con me».
La tensione è sempre sul cuore delle questioni, su quelle corde dell’umano che ne fanno l’essenza più drammatica, più autentica: «Tutti sono destinati a giacere, freddi, su un freddo marmo»; «a che serve vivere se poi si deve morire? (…) Ma la vita cos’è: un’attesa prolungata della morte? (…) Perché siamo nati? Per la noia di queste ore o per l’attesa del meglio? (…) Per la misteriosa forza che mi fa sentire che sopra di me c’è qualcuno che ha un disegno d’amore sulla mia vita e che io non posso far finta d’ignorare perché parte inalienabile di me?».
Inestirpabile in lei è quel bisogno di Assoluto: «sento che solo vivendo con Te, per Te e in Te la mia vita è gioia, è piena, è realizzata». Fino a quelle ultime, strazianti righe affidate al diario appena due giorni prima del tragico incidente: «Non è mia questa vita che sta evolvendosi ritmata da un regolare respiro che non è mio, allietata da una serena giornata che non è mia. Non c’è nulla a questo mondo che sia tuo. Sandra, renditene conto! È tutto un dono su cui il “Donatore” può intervenire quando e come vuole. Abbi cura del regalo fattoti, rendilo più bello e pieno per quando sarà l’ora».
Andrea Musacci
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 29 ottobre 2021
Ieri, domenica 07 febbraio, anche a Ferrara si è svolta la 38° Giornata per la Vita.
Tra le iniziative in programma nella nostra città, lo spettacolo “Il treno della vita”, svoltosi in Sala Estense la sera di venerdì, e il convegno di ieri pomeriggio, che ha visto tra i relatori Chiara Mantovani e Maria Chiara Lega (Servizio Accoglienza Vita, Ferrara), Michele Luciani (Caritas diocesana), Carlo Tellarini (Associazione “Noi per Loro”), Irene Ciambezi (Associazione “Papa Giovanni XXIII”), e Anna Mastellari (“L’ape e la spiga”).
Testimonianze reali di come la Chiesa renda ogni giorno concreta la Misericordia, tema del Giubileo Straordinario e cuore dell’insegnamento di Cristo.
Per l’occasione, è stata anche esposta la mostra “I Volti della Misericordia”.
Mi chiamo Andrea Musacci.
Da aprile 2014 sono Giornalista Pubblicista, iscritto all’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna.
Sono redattore e inviato del settimanale "la Voce di Ferrara-Comacchio" (con cui collaboro dal 2014: http://lavoce.e-dicola.net/it/news - www.lavocediferrara.it), e collaboro con Filo Magazine, Periscopio e Avvenire.
In passato ho collaborato con La Nuova Ferrara, Listone mag e Caritas Ferrara-Comacchio.
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"L'unica cosa che conta è l'inquietudine divina delle anime inappagate."
(Emmanuel Mounier)