
Una riflessione di Angelo Andreotti, poeta e Dirigente Servizio Biblioteche e Archivi, in un incontro organizzato da ISCO e Istituto Gramsci
Si può parlare di un’essenza e di una specificità della poesia? Su questo lo scorso 4 marzo ha riflettuto Angelo Andreotti, dirigente del Servizio Biblioteche e Archivi del Comune di Ferrara, in un incontro trasmesso in streaming e organizzato dall’Istituto Gramsci e dall’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara all’interno del ciclo di appuntamenti “I colori della conoscenza”. L’incontro intitolato “Le parole del sentire” è stato introdotto da Daniela Cappagli.«Il libro in sé è silenzioso, solo aprendolo portiamo in vita la poesia che lo abita, facnedo rivivere ogni volta quelle lettere taciturne», è il pensiero di Andreotti. «La poesia attende nel nostro rumore». Rumore rappresentato da tutto l’insieme di «sentimenti ed emozioni» che viviamo. In un libro di poesia cos’abbiamo davanti a noi di preciso? «Con la poesia – ha proseguito – non avviene una vera e propria comunicazione, né possiamo definirla un oggetto. Si tratta, invece, di un corpo tendenzialmente “vivens”, vivente», nel senso che rappresenta «un tendere verso la vita e un farsi». E ospitandola interiormente, la poesia subisce a sua volta cambiamenti, e li subisce anche «nel corso della nostra vita, cambiando noi, cioè il soggetto: le stesse parole a distanza di tempo possono muovere emozioni diverse o possono smettere di muoverle». Perciò la poesia «è sempre un principiare», in essa «c’è sempre qualcosa di nuovo».Come disse anche il poeta Andrea Zanzotto, la poesia non è un oggetto, dunque, dove per oggetto si intende tutto ciò di diverso dal soggetto. La poesia, quindi, «non è qualcosa di diverso da me, vive anzi della mia soggettività, nella mia interiorità. Leggendo una poesia, in realtà non conosciamo la poesia stessa, ma il nostro mondo interiore, noi stessi: la nostra interiorità viene portata a galla e smossa».La poesia, di conseguenza, «ci chiede di essere vissuta, ci chiede la nostra vita. Per questo noi sentiamo la poesia, non tanto il tema specifico dei singoli versi che stiamo leggendo. «La poesia chiede partecipazione, condivisione. Il linguaggio poetico nasconde, e nascondendo rivela e chiede a noi un comprendere, un accogliere». Un nascondersi essenziale, ineliminabile che, dall’altra parte però si accompagna a una particolare forma di «esattezza, di precisione data dalle cadenze, dai ritrmi, dalle segrete corrispondenze». Caratteri, questi, essenziali per comprenderne il senso, «pur limitati, poveri, ma necessari affinché l’indicibile – ciò che la parola non può dire – possa almeno essere suggerito, evocato».
Andrea Musacci
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 12 marzo 2021