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Medico dei bimbi nel mondo: storia di Andrea Franchella 

15 Feb

Noto chirurgo pediatrico di Ferrara, dal 1995 gira i continenti per curare i bambini che nessuno vuole curare. Lo abbiamo incontrato di ritorno dall’Uganda e prima della partenza per la Guinea

di Andrea Musacci

Andrea Franchella riusciamo a incontrarlo nei pochi giorni di pausa a Ferrara, tra un periodo in Uganda, dov’è stato, e uno in Guinea Bissau, dove si è recato per dieci giorni fino al 19 febbraio.

Franchella, “medico missionario”, chirurgo pediatra in pensione da 5 anni, porta la sua “chirurgia solidale” (come lui la chiama) in giro per il mondo, in quei Paesi dove la sua specializzazione nemmeno esiste, o le strutture sono inadeguate oppure i servizi inaccessibili per i poveri.

Una grande passione

Ferrarese, parrocchiano di Santa Francesca Romana (ma cresciuto tra San Benedetto e Casa Cini), Franchella ha iniziato nel 1995 a portare la propria umanità e la propria professionalità in angoli del pianeta dove la miseria la fa da padrona. Le prime missioni sono state eseguite con finanziamenti e collaborazioni con la Fondazione per la Ricerca Pediatrica “Renzo Melotti”, Rotary International e WOPSEC (World Organisation of Pediatric Surgery for Emerging Countries).

«Fino al 2018 usavo le mie ferie di Natale o estive per andare all’estero in missione. Ora invece che sono in pensione, mediamente ci vado per 6 mesi non continuativi all’anno». Gli chiediamo come sono nate la sua passione per la medicina e il suo desiderio di portare la propria esperienza in realtà così drammatiche in giro per il mondo. «Mio padre era medico – racconta a “La Voce” – e mi ha trasmesso la passione». In particolare, l’ambito della chirurgia pediatrica è un ambito che ho sempre amato e che mi permette di aiutare molte persone. La mia professione mi ha sempre appassionato, non ho mai avuto dubbi al riguardo». A un certo punto, però, Franchella vive un momento di inquietudine: «ho iniziato a interrogarmi sul perché anche per i bambini l’avere cure adeguate deve dipendere da quale parte del mondo nascono». Siamo negli anni ’90, Franchella ha già raggiunto una buona maturità professionale. È dunque un forte spirito solidale a spingerlo a provare questo tipo di esperienza come medico nel terzo e quarto mondo. Ma questo non bastava: bisognava organizzarsi per avere strumentazioni, strutture adeguate, per formare il personale locale. È così che l’Unità Operativa di Chirurgia Pediatrica ha voluto concretizzare e rafforzare i progetti di aiuto sanitario creando, nel luglio 2003, una propria Associazione, “Chirurgo & Bambino Onlus” oggi ODV, diretta dallo stesso Franchella.

Esperienze di una vita

Nel 1995 iniziano le prime esperienze di Franchella all’estero, per la precisione ad Antigua in  Guatemala, dove si recherà fino al 2002 presso la onlus “Obras Sociales Hermano Pedro”. «Da colleghi – ci spiega – venni a sapere che l’WOPSEC voleva far partire un progetto in questa località dove esiste una missione francescana, in un ospedale dove c’era anche bisogno di un supporto chirurgico. Io, altri chirurghi e anestetisti partimmo, e creammo un Centro specializzato nella cura delle malformazioni facciali dei bambini. Nel progetto fu coinvolto anche il Comune di Ferrara che finanziò la degenza post operatoria». 

Dopo un anno in Ecuador nel 2002, Franchella si reca per 5 anni nella regione di Tharaka in Kenya, per un progetto rivolto soprattutto a bambini ustionati, un problema molto diffuso in quel Paese, che quando non porta alla morte, può lasciare comunque danni funzionali enormi. Tra il 2005 e 2006 sarà anche in Armenia e Georgia, dove collabora con “Operation Smile” per progetti legati a pazienti con cheiloschisi (il labbro leporino) e palatoschisi. «Nei Paesi poveri, queste sono operazioni che normalmente vengono eseguite tramite compenso economico», ci spiega. Dal 2007 al 2011, collaborerà con un’altra organizzazione, “Smile Train” in Bangladesh, Yemen, Etiopia, Costa d’Avorio, Benin ed Irak, mentre dal 2007 al 2009 con la ONG “Adid” in Mauritania, per un progetto per il trattamento dei bambini ustionati. «Qui come in tanti Paesi poveri – ci spiega -, i bambini vengono operati da chirurghi normali perché non esiste la chirurgia pediatrica. Un bambino, però, non può essere considerato un “piccolo adulto” ma un essere in sviluppo». Subire un’operazione senza accortezze fondamentali, «può portare a conseguenze sulla sua crescita». 

Arriviamo al 2010, quando ad Haiti inizia a collaborare con la Fondazione “Francesca Rava NPH Italia” per un progetto di formazione in chirurgia pediatrica all’Ospedale S. Damien di Haiti, diretto da padre Rick Frechette, sacerdote passionista e medico americano. Un luogo dove manca il rispetto per la vita umana: «durante una Messa in ospedale vidi portare una decina di “pacchi” davanti all’altare: ci misi un po’ a capire che erano corpi di bambini morti, fasciati, che da giorni attendevano le esequie». Nel 2011, poi sarà in Tanzania presso l’ospedale di Mbweni dove collaborerà con l’associazione “Ruvuma Onlus”, e per la costruzione di una struttura ambulatoriale di primo soccorso presso la scuola orfanotrofio ”Pietro Marcellino Corradini“ di Morogoro. 

Il presente in Africa

Attualmente Franchella è responsabile per la parte clinica del “Children’s Surgical Hospital” di Emergency a Entebbe in Uganda (nella foto, con un ragazzo operato). «È un progetto molto importante che mi ha visto coinvolto fin dall’inizio. Qui, rispetto alle mie precedenti esperienze, Emergency. ha costruito un ospedale d’eccellenza di chirurgia pediatrica, progettato da Renzo Piano e con 74 posti letto, 6 letti di terapia intensiva, 16 di terapia semi-intensiva. Un esempio di medicina d’eccellenza, dove coordino l’ambito chirurgico e formo anche il personale locale: attualmente, ad esempio, seguo tre ugandesi e un eritreo». In Uganda lo accompagna sempre la moglie Angela, insegnante di matematica in pensione, che ha dato vita a un progetto di scuola in ospedale come quello esistente a Ferrara.

Ma ora vi è anche un progetto futuro per la Clinica Pediatrica “Sao Josè en Bor” a Bissau in Guinea-Bissau. L’attuale Ministro della Salute del Paese africano, Dionisio Cumbà, professionalmente è cresciuto in Veneto: nel 1991, grazie alla borsa di studio di alcune parrocchie e alla guida del missionario padre Ermanno Battisti, ha iniziato a studiare Medicina a Padova, per poi, dopo la laurea, specializzarsi in Chirurgia pediatrica. Sposato con un’italiana, e con due figli, Cumbà per un anno ha anche lavorato con Franchella all’Ospedale di Ferrara, ma poi ha deciso, cosa rara per i medici, di tornare nel suo Paese e di mettere in piedi un servizio di chirurgia pediatrica, che non esisteva. «Per questo mi ha chiesto aiuto e sono stato lì già tre volte, facendo formazione e portando strumentazione». Venerdì 10 febbraio Franchella è partito per la Guinea-Bissau assieme al figlio Sebastiano, otorinolaringoiatra, in vista della creazione del servizio di otorinolaringoiatria, anch’esso mancante.

Le mani di Shamira

La nostra chiacchierata con Franchella scegliamo di concluderla attraverso una storia che sembra poter avere un lieto fine. È quella di Shamira, bimba ugandese di 8 anni, che ha avuto ustioni devastanti a entrambe le mani, ustioni che le impedivano di aprirle. «Ora sta meglio, l’ho operata, riesce anche a prendere due mie dita. «Dal punto di vista chirurgico era stata abbandonata», ci spiega. «E molti bimbi in questo e in altri Paesi poveri spesso sono abbandonati, prima o in seguito all’incidente per cui necessitano di cure. La povertà può gettare tante madri nella disperazione».

Il servizio che Andrea compie è dunque importante perché aiuta anche – per quel che può – a curare, oltre alle ferite del corpo, quelle non visibili dell’anima di tanti bambini.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 17 febbraio 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

I lager libici per migranti e l’Europa corresponsabile

8 Lug

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“L’inferno libico” è il nome scelto per l’ultimo incontro degli Emergency Days 2018, svoltisi nello Spazio Grisù di Ferrara (in via Poledrelli) questa settimana. Ieri pomeriggio, sabato 7 luglio, è stato presentato il libro “Non lasciamoli soli” (Chiarelettere, giugno 2018,  Francesco Viviano e Alessandra Ziniti). Uno degli autori, Francesco Viviano, inviato de “la Repubblica”,  è intervenuto nel dibattito, spiegando come “quando incontri persone che sono state in questi lager in Libia, conosci le loro sofferenze, ti si accappona la pelle. Le loro sono storie allucinanti, la maggior parte tristi, alcune a lieto fine. Poi – ha aggiunto – pensi all’ignavia, all’indifferenza, al massacro da parte di molti, dei nostri governanti, dell’attuale Governo e del precedente, fatta sulla pelle di queste persone, che non sono numeri e non sono carne da macello. Chi fa accordi con criminali come sono questi schiavisti libici, è anch’esso criminale”.

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Viviano ha poi citato la tragica storia, risalente a marzo scorso, del 22enne migrante morto in Sicilia, all’Ospedale Maggiore di Modica, dopo essere sbarcato anoressico, malnutrito, affetto da tubercolosi. E ha raccontato anche la storia del giovane costretto dai suoi aguzzini in Libia a fare il becchino del mare, raccogliendo in tre anni circa 3mila cadaveri, o pezzi di cadaveri, che ha dovuto ispezionare per trovarvi eventuali oggetti preziosi nascosti.

Prima di Giulio Cavalli, scrittore, attore e giornalista, è intervenuto – nel dibattito moderato dallo scrittore Martino Gozzi – Marco Bertotto, Responsabile Advocacy & Public Awareness di Medici Senza Frontiere.”Non è vero – ha spiegato – che la presenza in mare delle ONG sia una calamita per le navi con i migranti. Infatti, ora che le loro navi non sono più presenti nel Mediterraneo, le partenze dalla Libia non si sono ridotte. Dall’altra parte, com’è inevitabile, sono aumentati i morti in mare, visto appunto l’assenza delle ONG per i salvataggi. E’ chiaro che il soccorso in mare non è la soluzione – ha proseguito -, ma è necessaria per salvare vite umane. La soluzione sarebbe un piano di canali regolari per far arrivare le persone nel nostro Continente. L’attacco alle ONG, che va avanti da anni – ha poi concluso -, è molto grave perché le associazioni come la nostra si fondano sulla reputazione, e perché questi attacchi sono più in generale un attacco alla solidarietà”.

Andrea Musacci

 

Le varie forme della violenza maschile contro le donne

8 Lug

4Nella seconda giornata degli Emergency Days, svoltisi a Spazio Grisù a Ferrara, mercoledì 4 luglio si è svolto un incontro pubblico sul tema della violenza contro le donne, moderato da Diana de Marchi (presidente della Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del Comune di Milano).

Secondo Riccardo Fanciullacci (scrittore e segretario scientifico del Cega dell’Almo Colleggio Borromeo di Pavia), i rapporti tra i due sessi “non si regolano naturalmente, non vanno da sé, e quindi vanno regolati ‘culturalmente’ “. Se da una parte è vero che il movimento delle donne ha segnato “un punto di ritorno”, dall’altra non si può certo dire che la violenza degli uomini sulle donne appartenga al passato.

Celeste Costantino, ex deputata, ha spiegato come in Italia “lo stesso patriarcato, nonostante il movimento femminista, non è stato del tutto superato”, basti pensare, oltre alle violenze e ai femminicidi, “alle ancora forti disuguaglianze nel mondo del lavoro. Insomma, il patriarcato si è trasformato ma esiste ancora”. Anche per questo negli ultimi anni la Costantino ha scelto di compiere un viaggio, chiamato “Restiamo vive”, in una ventina di Centri antiviolenza in tutta la penisola.

Infine, è intervenuto Michele Poli (presidente e coordinatore del Centro di Ascolto uomini maltrattanti di Ferrara) che ha proseguito il ragionamento spiegando come questa violenza rappresenta “il tentativo da parte dell’uomo di ‘riprendere’ il controllo sulla donna”, in quanto la libertà conquistata da quest’ultima per molti maschi equivale a una perdita di potere sulle stesse.

“Nel nostro Centro – ha proseguito – cerchiamo di lavorare sulle cause di questo tipo di violenza. Da noi vengono mediamente un paio di uomini al mese, soprattutto persone che scelgono liberamente di provare un cammino di cambiamento, e che possono imparare non solo a non fare più violenza sulle donne ma loro stessi a vivere meglio, a essere più felici”.

Poli si è soffermato in particolare su due ambiti specifici della violenza maschile sulle donne, la prostituzione (“stupro su donne, perlopiù schiavizzate”) e la pornografia, “con la quale il ‘consumatore’ si abitua/si illude di poter controllare il corpo femminile, e a provare piacere solo attraverso questo controllo”.

Andrea Musacci

 

 

Gli anni terribili delle Stragi mafiose: Sandro Ruotolo a Ferrara

4 Lug

4.jpgIeri, 3 luglio, si è svolto il primo incontro della nona edizione degli Emergency Days a Ferrara. Presso la Factory Grisù in via Poledrelli, 21, ha avuto luogo l’iniziativa dal titolo “Lo Stato della trattativa”, un dibattito incentrato sulla lotta alla mafia con un focus sui terribili anni delle stragi di stampo mafioso negli anni ’90. E’ intervenuto il giornalista Sandro Ruotolo, il sovraintendente capo della polizia di Stato Francesco Mongiovì (che ha fatto parte tra l’altro della scorta del giudice Falcone) e l’avvocato, responsabile ufficio legale e componente dell’Ufficio di presidenza di Libera Vincenza Rando. L’incontro è stato moderato da Donato La Muscatella (avvocato e referente di Libera Ferrara).

“La realtà supera l’immaginazione”, ha spiegato Ruotolo. Nel periodo delle stragi dei primi anni ’90 “ipotizzare che responsabile non era solo Cosa Nostra ma anche pezzi dello Stato sembrava stupido, ma oggi,  dopo anni di indagini e processi, sappiamo che è così”. Per Ruotolo la difficile ricerca della verità su quegli attentati – per non parlare dei tanti che precedentemente hanno costellato la storia repubblicana del nostro Paese – “è un problema democratico dell’oggi, non del passato, in quanto alcuni dei responsabili sono ancora vivi”.

Allora, purtroppo – ha spiegato ancora Ruotolo – vi erano “due Stati nello Stato”: il primo, quello del 41bis per i mafiosi, della linea dura, del rifiuto di ogni dialogo, l’altro “che invece voleva dialogare con Cosa Nostra, lanciando ai mafiosi ‘segnali di distensione’ “.

Toccante anche la testimonianza di Mongiovì. “Quella di fare la scorta a personalità come Giovanni Falcone – ha spiegato – era una scelta di vita, la scelta di stare al fianco di un ‘morto che cammina’. Nonostante io non fossi già più nella sua scorta, l’attentato a Falcone – ha proseguito con amarezza – è stata una sconfitta, anche se la scorta non ha avuto responsabilità”.

“Più volte – ha infine raccontato Mongiovì – eravamo sicuri di essere seguiti e pedinati da esponenti della Mafia. A volte però non ci sentivamo noi stessi per nulla sicuri”, ad esempio quando “l’auto blindata usata per accompagnare Falcone doveva essere lasciata dal meccanico, ma l’auto sostitutiva non era invece blindata”.

Andrea Musacci

 

Le foto di Emergency raccontano i problemi di poveri e migranti

6 Apr

2014-04-04 20.02.51Sono oltre 120.000 le prestazioni sanitarie offerte da Emergency in Italia. La mostra fotografica che ha inaugurato venerdì al Cafè de la Paix in p.tta Corelli, 24 descrive bene questo impegno di tanti medici volontari nel nostro paese. La presentazione di Valeria Rustici di Emergency e l’intervento di Maurizio Biolcati Rinaldi, docente di UniFe, hanno illustrato la difficile situazione alla quale Emergency cerca di porre rimedio. Dopo aver portato aiuto nelle varie guerre in giro per il mondo (Iraq, Afghanistan, Sierra Leone, ad esempio), Emergency dal 2005 si occupa del diritto di cura per poveri e migranti anche in Italia. Tre grandi poliambulatori a Palermo, Polistena e Marghera e tanti altri (ad esempio in Puglia) raccontano di un aiuto ormai sempre più rivolto non solo a stranieri e migranti ma anche a cittadini italiani indigenti.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 06 aprile 2014

Mostra fotografica di Emergency al Café de la Paix

4 Apr

In Italia non a tutti è riconosciuto il diritto alla cura. Su questo tema sarà centrata la mostra fotografica, che inaugura oggi alle 19 alle Cafè de la Paix in p.tta Corelli, 24 a Ferrara, e organizzata dall’associazione Emergency. Medici, infermieri, mediatori culturali, pazienti sono i protagonisti delle fotografie per entrare nella vita dei Poliambulatori di Emergency in Italia in aiuto di carcerati, poveri, stranieri e migranti. Numerosi sono gli interventi di Emergency nell’ambito del sistema penitenziario (conclusi nel 2007) e dell’area dell’immigrazione e del disagio sociale. In Italia, Emergency ha offerto oltre 120.000 prestazioni. Ai presenti verrà servito un aperitivo vegetariano e vegan, ad offerta libera e preparato dal Café de la Paix. La mostra sarà visitabile fino alla fine di aprile.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 04 aprile 2014