Martedì parte “Asian Extreme” con il film vincitore dell’ultimo Festival di Venezia. L’organizzatore Massimo Alì Mohammad: un movimento in ascesa, e non si tratta soltanto di opere d’essai
«Il cinema orientale è “invisibile” ma in realtà in grande fermento: proporremo maestri come Diaz e Kiarostami per farlo conoscere meglio». Dopo la rassegna di un anno fa, “Japan Extreme”, dedicata al cinema giapponese, a partire da martedì 7 febbraio nella video-biblioteca Vigor di via Previati, l’Associazione Feedback propone “Asian Extreme”, una nuova serie di nove incontri dedicati all’intero cinema orientale, dalle Filippine alla Corea del Sud, dall’Iran a Taiwan.
“La fase invernale ci riporta, come di consueto, in Oriente”, spiegano gli organizzatori. “In Asian Extreme percorreremo in nove incontri un percorso di approfondimento unico per i cinefili più appassionati. Perché Asian? Perché parleremo di cinema asiatico: Filippine, Taiwan, Sud Corea, ma senza restringere l’ambito al solo estremo oriente, tratteremo anche diversi autori iraniani, incluso un omaggio al maestro Abbas Kiarostami.
Partiremo con uno degli autori più discussi nei festival internazionali, il filippino Lav Diaz, vincitore dell’ultimo festival di Venezia e considerato uno dei massimi maestri del cinema contemporaneo, ma ancora tristemente invisibile in Italia. Perché Extreme? Perché parleremo di cinema estremo: censura politica, tematiche controverse e rottura degli stilemi cinematografici; registi che sfiorano i limiti e che abbiamo il piacere di portare alla visibilità”.
Abbiamo intervistato Massimo Alì Mohammad, organizzatore della rassegna per l’Associazione Feedback.
Dopo il Giappone, quest’anno avete deciso di parlare di tutto il cinema orientale. Perché?
Ogni anno tentiamo di presentare cinematografie “invisibili”. Ho molto a cuore il cinema orientale, erroneamente considerato come “lontano da noi”. In realtà una delle sue tematiche ricorrenti è proprio il rapporto con l’Occidente e la ricezione della sua cultura, quindi indirettamente è anche un modo di conoscere meglio noi stessi.
Qual è lo stato della cinematografia orientale?
È da diverso tempo in fermento. Grazie a direttori di festival come Marco Muller, autori come Kim Ki-Duk sono arrivati nel vecchio continente. In particolare, possiamo considerare la cinematografia filippina come quella più in ascesa.
Nel nostro Paese questo cinema ha ancora un pubblico di nicchia, nonostante il festival Asiatica di Roma e il Far East Film Festival di Udine…
Purtroppo ancora sì. Bisogna, innanzitutto, sfatare alcuni pregiudizi e ricordare che il cinema orientale non è solo opere d’essai, ma anche grande cinema popolare di intrattenimento.
Voi iniziate con Lav Diaz, vincitore dell’ultimo Festival di Venezia ma ancora poco noto in Italia.
Il suo riconoscimento a Venezia ha generato una serie di polemiche davvero imbarazzanti, ma in realtà si tratta di un autore unico. La serata sarà a cura di Giampiero Raganelli, critico della rivista Quinlan.it e co-autore di un recente saggio sul regista.
Ci sarà anche un omaggio ad Abbas Kiarostami, morto lo scorso luglio. Un atto “dovuto”?
Sì, l’omaggio al maestro è doveroso, di lui si vedrà il capolavoro “Dov’è la casa del mio amico?”. Imperdibile anche l’intervento di Mara Petrosino, studiosa di cinema iraniano, che approfondirà il difficile rapporto tra cinema e società iraniana.
Quali sono, nel dettaglio, i temi “estremi” affrontati dalla rassegna?
L’uso del termine “estremo” è provocatorio, in parte l’intento è anche quello di smuovere l’interesse sopito del pubblico, sia verso i contenuti sia verso lo stile, spesso in antitesi rispetto alle scelte del cinema di più larga distribuzione. Ogni regista che toccheremo lo sarà a suo modo, a voi scoprirlo.
Andrea Musacci
Pubblicato su la Nuova Ferrara il 04 febbraio 2017