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Diventa ciò che sei: individuazione e collettivo secondo Widmann 

26 Feb

Claudio Widmann, noto analista junghiano, ne ha parlato a Ferrara ospite di Confcooperative: «il diventare ciò che si è, è un processo molto complesso»

Il collettivo come aspetto ambivalente che a un tempo ci delinea e ci conforma. E la sofferta e complessa tensione tra questo e il principio di individuazione.

Su questo ha riflettuto con rara chiarezza espositiva Claudio Widmann, analista junghiano, che lo scorso 18 febbraio a Libraccio Ferrara ha presentato il suo ultimo libro libro “L’Individuazione. Principio, processo, fine”. L’incontro è stato organizzato da Confcooperative Ferrara e fa parte di un ciclo di appuntamenti sul rapporto individuo-collettività. Dopo la presentazione di Ruggero Villani, Direttore di Confcooperative e Presidente della Scuola di territorio, Chiara Bertolasi (vice presidente di Confcooperative e portavoce del Forum del Terzo settore ferrarese) ha introdotto e intervistato Widmann.

«Il principio di individuazione nasce con Duns Scoto», ha spiegato quest’ultimo, dalla distinzione fra la sostanza, substantia di carattere generale e la nostra substantia particolare, appunto il principio di individuazione. «Noi esseri umani siamo fondamentalmente collettivi», ha aggiunto: la collettività è un principio antico, ineliminabile. La substantia generale è dunque questa «immaterialità che sta sotto, che sta dietro le specificità». Ognuno di noi, quindi, «prima di essere individuato è collettivo». In senso nietzschiano, l’”altruismo” significa il perdere sé stessi negli altri, il conformarsi: è, dunque, il contrario del principio individuativo. «Nel momento in cui diventiamo individuali, depauperiamo il collettivo, espropriamo qualcosa al collettivo, lo riduciamo»; ma abbiamo il dovere morale di «risarcire il collettivo» (in quanto siamo anche il frutto di tutto ciò e di coloro che ci hanno preceduto), e questo risarcimento deve avvenire «portando ad esso quel di più che abbiamo, che ci contraddistingue».

«Oggi – ha proseguito Widmann -, la pressione della suggestione sociale è particolarmente forte; si pensi, ad esempio, agli influencer e agli opinion maker». Dall’altra parte, però, la «resistenza individuale è molto più forte rispetto al passato». Ognuno di noi, insomma, ha un’identità collettiva, ma la «vocazione individuativa, forza individuale» (o «sentimento di personalità») «non è mai stata così forte come nel presente». Rimane, però, il fatto che – riprendendo Jung – l’individuazione di per sé sia «un processo, un divenire, un tendere verso, integrando aspetti della personalità tra loro diversi e spesso contraddittori». Un cammino difficile e ad alto rischio di fallimento, ma necessario per diventare davvero donne e uomini. Per diventare ciò che siamo.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 febbraio 2025

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Don Minzoni, incontro col Vescovo a Libraccio

5 Dic

Far luce su uno dei delitti che hanno segnato il periodo dello squadrismo fascista nel nostro territorio. Lo scorso 1° dicembre la libreria Libraccio di Ferrara ha ospitato la presentazione del libro “Un delitto di regime. Vita e morte di Don Minzoni, prete del popolo”, di Girolamo De Michele, che per l’occasione ha dialogato col nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego e con Paolo Veronesi.

Una 40ina i presenti in un incontro introdotto proprio dal nostro Vescovo: quello vissuto da don Minzoni – ha detto – è «odio nei confronti della fede», verso quegli uomini e quelle donne per cui «la fede è strettamente legata alla vita». E don Minzoni ha fatto «della vita della gente la ragione della propria missione, soprattutto verso i più poveri». Don Minzoni – così lo ha definito il Vescovo – è un esempio di «prete sociale», assieme a figure come quelle di don Milani e don Mazzolari. Mons. Perego ha quindi sottolineato la formazione del prete ravennate nella Scuola sociale di Bergamo, il suo forte legame col magistero sociale della Chiesa e il suo grande interesse per l’ambito educativo, in particolare attraverso lo scoutismo. Da qui, «l’importanza della libertà educativa – oltre a quelle politiche e civili – ancora oggi, per poter guardare al futuro con occhi diversi».

Occhi che possono essere illuminati solo se la luce proviene anche dal passato. Ed è questo che ha tentato di fare De Michele nel suo libro e nel suo intervento a Libraccio, dove ha ripercorso la vita del sacerdote, sottolineando innanzitutto il suo  forte legame col popolo: quello del territorio argentano assegnatogli, che raggiungerà – viste le lunghe distanze – in bicicletta (fatto anomalo per un prete di quell’epoca); o quello mandato a combattere sul fronte nel primo conflitto mondiale, che seguirà arruolandosi, «pur non essendo un guerrafondaio». Ma la reazione al cosiddetto “biennio rosso” (per De Michele più correttamente da individuare tra il ’20 e il ’21), fu quello squadrismo fascista sostenuto in ogni modo dal mondo agrario anche ferrarese:a tal proposito, per De Michele «il “metodo Balbo” venne inaugurato proprio ad Argenta con l’omicidio Gaiba», consigliere comunale socialista, avvenuto  nel maggio ’21.

De Michele ha quindi accennato ad alcune vicende riportando, a tratti, anche particolari inediti: fra le curiosità, la presenza accertata di un deputato ferrarese, Vico Mantovani, nel gruppo di squadristi che hanno disturbato l’inaugurazione della sede scout argentana e il ruolo di Augusto Maran (capo fascista locale e mandante dell’omicidio di don Minzoni), nella cui casa ha accolto i due assassini del sacerdote subito dopo l’omicidio, e prima di farli nascondere a casa di un suo parente. 

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” dell’8 dicembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

L’omicidio di Stefano Cucchi, “ultimo fra gli ultimi”: le parole della sorella Ilaria

25 Nov

Il 23 novembre nella libreria “Libraccio” di Ferrara sono intervenuti la sorella Ilaria e l’avvocato Anselmo: “metodi mafiosi, ce la fanno pagare anche se abbiamo dimostrato che l’hanno ammazzato”. La storia in un libro

ilaria cucchi 2Una donna “qualsiasi, cortese, misurata” ma capace di una determinazione e di un coraggio fuori dalla norma, dettati dall’amore per il fratello e dal dolore per la sua perdita, nonché dalla rabbia che a causarla sia stato un abuso di potere da parte di forze dello Stato, le quali, in alcuni suoi componenti, hanno tentato in ogni modo di insabbiare tutto, aggiungendo a una sorella e a due anziani genitori, un surplus di dolore gratuito. Appena due settimane fa, la Corte d’Assise di Roma ha condannato a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale due carabinieri – Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro – imputati nel processo bis per la morte di Stefano Cucchi, il giovane romano trovato morto il 22 ottobre 2009 in una stanza del reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove era ricoverato da quattro giorni dopo essere stato arrestato. Francesco Tedesco, che ammise di aver assistito al pestaggio, è stato invece condannato a 2 anni e 6 mesi di carcere per quella di falso, in quanto accusato di aver manipolato il verbale di arresto. Insieme a lui, per la stessa ragione, è stato condannato a 3 anni e 8 mesi di carcere il maresciallo Roberto Mandolini – che nel 2009 era capo della stazione Appia -, interdetto anche a cinque anni dai pubblici uffici, come Di Bernardo e D’Alessandro, interdetti in perpetuo. Lo scorso 23 novembre il piano superiore della libreria Libraccio di piazza Trento e Trieste a Ferrara era stracolma per la presentazione del libro “Il coraggio e l’amore. Giustizia per Stefano: la nostra battaglia per arrivare alla verità” (Rizzoli) di Fabio Anselmo (avvocato della famiglia Cucchi, e, in passato, anche di quella di Federico Aldrovandi e Denis Bergamini) e Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, quella donna “cortese e misurata” che ha permesso – a caro prezzo – che fosse fatta giustizia per il fratello. “Ho paura, sono molto provata, e lo sono ancora di più i miei genitori”, ha dichiarato a Ferrara: “sono stati dieci anni disumani, devastanti, intollerabili. Non si può chiedere a una famiglia come la nostra di assumersi il ruolo che dovrebbe spettare allo Stato. Mio fratello – ha proseguito – è morto soprattutto di indifferenza e di ‘giustizia’: è stato lasciato morire, ultimo tra gli ultimi. La giustizia l’abbiamo ottenuta per Stefano e per noi ma anche per l’intera collettività e anche per tutti i Carabinieri per bene. Il messaggio quindi che, nonostante tutto, voglio lanciare, è di speranza”. Ancora più amaro l’intervento di Fabio Anselmo: “tanta è stata la rabbia e il senso di impotenza che abbiamo provato”, e “tante le offese ricevute e le menzogne diffuse contro di noi. Quello che è successo alla famiglia Cucchi assomiglia a una specie di ‘messaggio’ mafioso: se ti va male, e non riesci a ottenere giustizia, peggio per te; se ti va bene, ti roviniamo, te la facciamo pagare. E infatti ce la stanno facendo pagare, non veniamo ancora lasciati in pace. E’ come se dicessero a tutti: ‘statevene a casa, lasciate perdere, è meglio per voi’ ”.

cucchi2La serata era iniziata con l’annuncio, da parte del moderatore Marco Zavagli, dell’ennesima minaccia di morte, poche ore prima, rivolta su Facebook a Ilaria Cucchi. “Attorno al suo corpo sfigurato e denigrato, il potere e la fragilità dello stato di diritto hanno compiuto la loro danza macabra”, sono state invece le parole di Andrea Pugiotto, docente di Diritto costituzionale a UniFe. Se, citando anche Weber, base dello Stato moderno è che “l’autorità ha il monopolio della violenza in cambio dell’assicurazione ad ogni suo cittadino dell’incolumità fisica, questo principio fondamentale con l’omicidio Cucchi è venuto meno: la caserma dei Carabinieri, la cella, l’ospedale, il tribunale sono diventati luoghi di sospensione del diritto”, tipico del peggior incubo a tinte kafkiane. “La potenza dello Stato si è trasformata in una prepotenza che si è scagliata contro l’impotenza del cittadino Cucchi”. Infine, ha preso la parola un altro docente di UniFe, il giurista Francesco Morelli: “vittima è Stefano ma lo sono anche la legalità e il diritto nel nostro Paese”. Inoltre, ha spiegato, “la presunzione di innocenza vale per ognuno e quindi vale anche per lui: non è mai stato condannato per spaccio (naturalmente non si è riuscito, avendolo amazzat prima, a portare a termine il processo a suo carico, ndr), quindi si ’presume’ sia innocente anche sotto questo aspetto. Basta, dunque, chiamarlo ‘spacciatore’ ”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 29 novembre 2019

La Voce di Ferrara-Comacchio

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Luoghi e non-luoghi dove immaginare il futuro

18 Mar

Torna il festival fotografico “Riaperture”, che dischiude luoghi abbandonati di Ferrara. Per l’occasione verrà riaperta anche la Caserma di via Cisterna del Follo e la “Cavallerizza” di via Scandiana. Già visibile la mostra “sospesa” lungo via Mazzini, denuncia delle “new towns” aquilane

cocco2Cogliere le essenze del reale per dischiudere orizzonti. Abitare luoghi abbandonati, disvelandoli attraverso la fotografia, ridonando loro senso, nuova bellezza. E’ questa, fin dalla prima edizione, la filosofia che orienta gli ideatori del Riaperture Photofestival, diretto da Giacomo Brini, che torna quest’anno (dal 29 al 31 marzo e dal 5 al 7 aprile) scegliendo come filo rosso il tema del “Futuro”. Una delle novità è la “riapertura”, per l’occasione, della grande area, abbandonata dal 1997, comprendente su via Cisterna del Follo la Caserma “Pozzuolo del Friuli” e, su via Scandiana, la “Cavallerizza”, il grande capannone in stile Liberty un tempo deposito di veicoli, viveri, armi e munizioni della vicina Caserma. Di quest’ultima verrà utilizzato il piano terra per la biglietteria (l’altra sarà a Grisù), il cortile per ospitare una delle mostre, e il percorso che conduce alla stessa “Cavallerizza”. Un progetto, quello di “Riaperture”, che ogni anno aiuta a riflettere innanzitutto sulla questione della rigenerazione degli spazi urbani, di come potersene riappropriare per farli tornare luoghi vivi e creativi di socialità. Un festival, questo, che intende dunque scardinare portoni chiusi attraverso i chiavistelli dell’arte, e “paradossalmente” inaugurato con una mostra en plein air, “Displacement”, bi-personale con foto e testi rispettivamente di Giovanni Cocco e Caterina Serra, esposta lungo via Mazzini a Ferrara dal 16 marzo al 28 aprile, con il sostegno di Comune di Ferrara, Commercianti di via Mazzini, Coop Alleanza 3.0 e IBS+Libraccio, libreria che nel pomeriggio di sabato 16 ne ha ospitato la presentazione, moderata da Eugenio Ciccone e con l’intervento dello stesso Brini. La mostra – che costringe i passanti ad alzare lo sguardo (metaforicamente, il senso primo dell’arte), guardando con occhi nuovi una via ai più molto familiare – racconta attraverso corpi e luoghi il senso di spaesamento che da anni vivono i tanti abitanti de L’Aquila, costretti da una gigantesca operazione speculativa a vivere in una sorta di “non luogo”, quelle 19 “new town” costruite fuori dalla città storica. “Cittadini – ha spiegato Giovanni Cocco – che hanno perso la loro città, e quest’ultima, perdendoli, ha perso la propria anima”. Riguardo al progetto, nato nel 2013, “con gli aquilani fotografati abbiamo instaurato prima un rapporto personale, fatto di tanti pranzi e cene insieme, di dialoghi e confronti. Siamo stati a L’Aquila, in diversi momenti, tra il 2014 e il 2015”. “Abbiamo trovato una città buia, deserta, abbandonata” – ha spiegato invece Caterina Serra – e, parallelamente, fuori dalla stessa, “queste new town, spazi senza memoria, appartenenza, luoghi privi di segni del proprio vissuto, dove le persone possano riconoscersi ed esprimersi, dove le identità scompaiono a vantaggio di una crescente omologazione”. Citando il filosofo Mark Fisher e le sue riflessioni sulla depressione di massa tipica delle società neoliberiste, la scrittrice ha denunciato come questo progetto di sradicamento di migliaia di persone “spostate” in queste città fantasma – dove vi sono ben quattro nuovi centri commerciali, iniziati a costruire fin subito dopo il sisma – non a caso abbia portato a un aumento significativo del consumo di antidepressivi e di alcool. Oltre alla Caserma e a Via Mazzini, gli altri luoghi del festival saranno Factory Grisù (ex Caserma Vigili del Fuoco), Palazzo Prosperi Sacrati, Palazzo Massari, Salumaia dell’Hotel Duchessa Isabella e il Negozio di via Garibaldi 3. Questi invece i nomi dei fotografi protagonisti: oltre a Cocco, Gianni Berengo Gardin (che a Factory Grisù in via Poledrelli 21 porta “Venezia e le Grandi Navi”), Francesco Cito, Elinor Carucci, Simon Lehner, Claudia Gori, Mattia Balsamini, Fabio Sgroi, Eugenio Grosso, Tania Franco Klein, Ettore Moni, Claudio Majorana, Zoe Paterniani, Marika Puicher. Infine, diversi saranno anche gli workshop ai quali potersi iscrivere.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 22 marzo 2019

La Voce di Ferrara-Comacchio

(foto Giovanni Cocco)