
A 10 anni dall’evento sismico che sconvolse la nostra terra, abbiamo intervistato don Stefano Zanella per fare il punto sulla ricostruzione, ricordare quei giorni e ripercorrere questi anni
Don Zanella, a 10 anni dal terremoto che colpì anche il nostro territorio diocesano, a che punto è la ricostruzione degli edifici di culto?
«Siamo oltre la metà. Siamo riusciti in questi anni ad appaltare e concludere 31 interventi per un costo complessivo di 12.153.580,61 euro e per questo mi sento in dovere di ringraziare i progettisti, i parroci che molte volte hanno contribuito con raccolte di fondi privati a rendere ancora più belle le nostre chiese. Non posso dimenticare mons. Marcellino Vincenzi per la chiesa di Bondeno o don Raffaele Benini che ha contribuito ai restauri delle superfici pittoriche della chiesa di Vigarano Pieve e la comunità parrocchiale di Santo Spirito per aver realizzato il nuovo impianto di illuminazione della chiesa. Oltre a questo, un ringraziamento va fatto a chi non ha mai smesso di credere nella ricostruzione. In questi 10 anni l’Ufficio che dirigo ha dovuto aggiornarsi circa il Codice degli Appalti che è stato modificato tre volte. Ha dovuto poi conformarsi all’avvicendarsi dei Soprintendenti per i Beni Culturali e al cambio di dirigenti all’allora Direzione Regionale (attualmente Segretariato Regionale Mibact): questi avvicendamenti mi hanno fatto incontrare valide professionalità a servizio del nostro territorio. Il ringraziamento più accorato però va all’Agenzia per la Ricostruzione della Regione Emilia-Romagna, che continua ad aiutare tutte le Diocesi nel lavoro di recupero post sisma».
Quali chiese riapriranno a breve o comunque nei prossimi mesi?
«Sono 11 i cantieri in corso e credo che tra le prime chiese che potremo tornare a rivedere, ci saranno quella di Denore e quella di Santa Bianca. Non posso non sottolineare le difficoltà del momento attuale per il reperimento delle materie prime e l’aumento spropositato dei prezzi che hanno rallentato alcuni cantieri, oltre però a situazioni in cui la burocrazia sta svolgendo egregiamente il suo compito».
C’è un “prima 20 12” e un “dopo 2012”. Nel “dopo”, come sono cambiate, grazie ai lavori, visivamente le chiese e le nostre parrocchie? E com’è cambiato il volto stesso delle nostre comunità, come senso di appartenenza, nel legame coi luoghi della propria fede, con la propria storia…
«Se mi avessero fatto questa domanda 10 anni fa, credo che ingenuamente avrei risposto che alcune realtà pastorali si sarebbero unite per trovare un senso di comunità al di là del campanile. Ahimè avrei sbagliato previsione, anche perché ogni nostra realtà pastorale è radicata nella tradizione di veder aperta la propria chiesa. Le percentuali della frequenza nelle nostre parrocchie è molto bassa, in riferimento alla percentuale dei battezzati, ma per fortuna la Chiesa ha ancora una forza che va al di là della frequenza. Sapere che la tua parrocchia è aperta e continua ad essere un luogo dove fermarti, accendere una candela o fare una visita per ritrovare pace e serenità nella frenesia della quotidianità, è ciò che rende necessario riaprire al più presto tutte le nostre chiese, anche quelle nei luoghi più isolati. Il dopo sisma, dal punto di vista architettonico, ha visto il recupero – e in alcuni casi la scoperta – di preesistenze cancellate da restauri operati nel tempo. Penso all’emozione quando sono stati riportati alla luce gli affreschi risalenti al primo impianto della chiesa di Baura oppure alle scoperte archeologiche a Denore. Ciò che però ha stupito tutti gli studiosi, è il ritrovamento dei capitelli policromi all’interno dei pilastri settecenteschi, perfettamente conservati, nella Cattedrale di Ferrara. Questo lavoro di ricostruzione favorirà la ricerca e la possibilità di riscrivere pezzi di storia della città».
Cattedrale: a che punto sono i lavori? Ci sono novità?
«Lo scorso 10 dicembre sono stati completati gli interventi di consolidamento degli 8 pilastri principali. Attualmente il lavoro si sta concentrando da una parte sull’indagine archeologica delle fondazioni appartenenti all’antica Basilica, dall’altra sul restauro di due pilastri, grazie al contributo significativo della Fondazione Magnoni-Trotti e Lascito Niccolini, che stanno sostenendo la spesa per una cifra pari a 160.000,00. I tempi per la riapertura delle Basilica al culto senza ponteggi, sono legati al reperimento dei fondi per il restauro di tutti i restanti pilastri anche se ci si augura di poter rientrare in Cattedrale entro la fine del 2022 anche solo per visite turistiche e per recuperare la devozione alla Madonna delle Grazie, nonostante il cantiere».
In tre parole, come descriverebbe in questi 10 anni l’impegno della Chiesa di Ferrara-Comacchio per la ricostruzione?
«Credo che le parole si possono ridurre ad una: grazie! La pazienza delle comunità parrocchiali, l’impegno dei parroci nel cercare di mantenere viva la partecipazione, la generosità nel mettersi in dialogo con l’Ufficio di Curia, aiutano a non soffermarmi solo sulla fatica del lavoro svolto e del lavoro che ci sarà ancora da fare…».
Cosa ricorda in particolare di quel 20 e 29 maggio 2012?
«La notte del 20 maggio vivevo in via Montebello 8, avevo 34 anni e lavoravo per l’allora Ufficio Beni Culturali come vice direttore. Ho avvertito le scosse come se la casa si stesse contorcendo su se stessa e la paura è stata tanta. All’alba quindi ho inforcato la bicicletta e mi sono messo a girare per la città. Sono andato subito a visitare i tre monasteri di clausura per chiedere personalmente se fossero avvenuti crolli e sincerarmi della situazione delle nostre sorelle claustrali. Alle 7.00 ero già in Cattedrale con l’Arcivescovo e ho proposto la chiusura della Basilica in attesa di verifiche sulla staticità dell’edificio. Sul sagrato, l’allora Arcivescovo mons. Paolo Rabitti ha ricevuto la telefonata del Prefetto, che stava coordinando i lavori con la Protezione Civile e i Vigili del Fuoco. Il Vescovo ha detto: “Le passo al telefono il responsabile per la ricostruzione dell’Arcidiocesi, così vi scambiate i contatti”. Credo che questa sia stata la nomina più rapida nella storia clericale ferrarese. Mi sono sentito investito di una enorme responsabilità. Non sempre sono riuscito a gestirla al meglio, ma ho trovato validi collaboratori come l’ing. Nicola Gambetti e l’ing. Beatrice Malucelli, che si sono messi a servizio dell’Ufficio per la ricostruzione. Durante la prima settimana sono andato a visitare tutte le chiese che secondo i racconti dei parroci avevano avuto danni tali da non dover chiudere. Ho scoperto che al di là della burocrazia, ciò che rende prezioso il lavoro nei momenti di emergenza sono le persone. Il funzionario della Soprintendenza locale si è reso da subito disponibile a compiere i sopralluoghi con me e così, insieme, abbiamo rilasciato tutti i nulla osta o il diniego all’apertura dell’edificio di culto.
Il 29 maggio, giorno della seconda grande scossa, mi trovavo in auto a Bologna, dove mi ero recato per la prima riunione di coordinamento delle Diocesi coinvolte nel sisma presso la Direzione Regionale dei Beni Culturali. Ero al telefono con un parroco quando improvvisamente l’auto ha iniziato a tremare e lui è scappato nella piazza del paese. Mi ci è voluta più di un’ora per riprendere l’autostrada e tornare a Ferrara e ricominciare daccapo i sopralluoghi nelle chiese, che avevamo dichiarato precedentemente agibili.
Tutto il resto è ormai diventato quotidianità di lavoro e di relazioni sacerdotali e con i progettisti».
Andrea Musacci
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 27 maggio 2022