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Guerra contro l’Ucraina, mai tollerare le aggressioni

28 Feb
Un momento della manifestazione della comunità ucraina di Ferrara il 26 febbraio 2023

di Andrea Musacci

Sempre meglio partire dai fatti e dai numeri. Il 24 febbraio 2022 l’esercito russo invade la parte orientale dell’Ucraina e inizia a bombardare varie città del Paese, compresa la capitale Kiev. A un anno di distanza, l’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu ha conteggiato 8.006 civili morti e 13.287 feriti, di cui 487 bambini e 954 feriti. Ma i numeri sono sicuramente più alti. E a questi bisogna aggiungere i tanti soldati russi uccisi e feriti (200mila, si stima). Otto milioni sono invece gli ucraini che nel 2022 hanno lasciato il proprio Paese. E poi ci sono gli orrori di Bucha, Irpin, Mariupol, solo per citarne alcuni, le migliaia di manifestanti russi pacifici arrestati in Russia  e l’oltre mezzo milione di russi scappati dal proprio Paese: professionisti, ebrei (che temono torni l’antisemitismo), disertori. L’Ucraina è un Paese devastato, stuprato da un arrogante e feroce imperialismo, quello russo. 

«Un crimine contro l’umanità, un atto terroristico continuato» chiama la guerra contro l’Ucraina Vittorio Emanuele Parsi su “Il Foglio” del 24 febbraio scorso. Sì, perché uno è l’invasore (la Russia) e uno è l’invaso (l’Ucraina). Una sola è la terra martoriata, la casa da difendere, che ogni padre di famiglia difenderebbe. Da quando Putin è al potere, invece, il suo Paese non ha subìto nessuna invasione, nessuna guerra. Nessun bombardamento ha colpito il suo popolo. E così è anche ora: la Federazione russa non è minacciata né invasa né bombardata dall’Ucraina o da uno dei suoi alleati. Esiste un solo territorio invaso e bombardato da oltre 12 mesi: quello dell’Ucraina, paese libero e democratico, il cui popolo muore, soffre traumi indicibili, le cui donne e cui bambini per non essere ammazzati o stuprati sono costretti da mesi a fuggire raminghi per l’Europa, a portare nelle nostre città, come Ferrara, i loro occhi pieni di orrore, di angoscia per i mariti, per i padri lontani, per le loro anziani madri che non hanno nemmeno la forza nelle gambe, o nel cuore, per scappare dalla casa dove vivono da decenni. 

Questa è la sorte del popolo ucraino da quel 24 febbraio 2022. Una sorte non dettata dal caso, ma dalla violenza imperialista di Putin e del suo Governo, unici responsabili di ogni massacro, di ogni violenza, di ogni goccia di sangue, su una terra che cercava di vivere libera e in pace. Che non voleva e non vuole la guerra. Olga Onuch, storica e politologa ucraina, su “Il Foglio” dello scorso 23 febbraio ha scritto: «Il pacifismo è la posizione di chi esecra la guerra e le aggressioni militari. Non quello di chi le tollera o persino le premia, lasciando che gli aggressori ottengano quello che vogliono: non solo non sarebbe giusto, ma creerebbe il terreno per nuove e peggiori aggressioni. Una cosa intollerabile per un pacifista». Il finto pacifismo è anche un finto antimperialismo: in realtà è mero antiamericanismo, perché degli imperialismi d’altro tipo – russo, cinese o turco, ad esempio – non si interessa o anzi nega che siano tali.

Dall’altra parte ci sono quei popoli, come quello ucraino oggi, che ripudiano la guerra, che nei secoli sono riusciti a difendere i propri confini, la propria comunità, la propria libertà, senza avere il mito della guerra. Basti pensare a quei tanti partigiani antifascisti, anche cattolici, o agli eroi del Risorgimento. «L’eroica reazione» del popolo ucraino all’invasore russo «mi ha ricordato la nascita dello Stato italiano», ha detto lo scorso 21 febbraio Giorgia Meloni in visita a Kiev, da Zelensky: «è un po’ simile a quello che accade a voi oggi: che qualcuno riteneva che sarebbe stato facile piegare l’Ucraina, perché l’Ucraina non era una Nazione, ma con la capacità che avete avuto di battervi, di resistere», come l’Italia nel Risorgimento, «voi avete dimostrato di essere una straordinaria Nazione».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 3 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Oxana e Valery, coppia russo-ucraina a Ferrara: «ecco le menzogne di Putin»

28 Feb

«Con Putin siamo tornati all’ideologia imperialista sovietica. Non pensavamo potesse spingersi fino a questo punto». Sono una coppia speciale, Oxana Sivaeva e Valery Prytulin: lei, infatti, è russa, lui è ucraino. Vivono insieme a Ferrara da tre anni, dopo essersi conosciuti a Napoli e aver vissuto un periodo a Latina. Lui è autista per l’ACFT, lei in cerca di lavoro.

Anche la vita di Oxana dal 24 febbraio 2022 è cambiata: da lì, ha iniziato ad aiutare il popolo ucraino e la parrocchia dei cattolici ucraini di Ferrara.

Due pomeriggi alla settimana Oxana si reca nella parrocchia di via Cosmè Tura guidata da padre Vasyl (e prima anche al Centro Rivana) per aiutare a raccogliere e ordinare vestiti e farmaci da spedire coi furgoncini nel Paese in guerra. «Grande è stata l’accoglienza – ci spiega -, da parte di ucraini e italiani. E io e Valery aiutiamo anche direttamente l’Ucraina, spedendo ad esempio medicine e altro alla 128a Brigata d’assalto». «Conosco tanti ragazzi che combattono e purtroppo ho perso tanti amici in questa guerra», ci spiega Valery con la voce strozzata dalle lacrime. «Noi, per ora, purtroppo abbiamo bisogno di armi», prosegue. «E mi spiace che molti in Italia non capiscano che Putin non vuole fermarsi all’Ucraina ma punta alla Polonia, alla Moldavia, ai Paesi baltici. Anni fa – prosegue – nel mio lavoro da autista in un’occasione ho sentito professionisti russi qui in Italia parlare al telefono dei piani della Russia – segreti – di invadere Svezia e Polonia». Per Valery, quindi, «Kiev sta combattendo per tutta l’Europa, per il mondo intero, contro la minaccia russa. Se non lo fermiamo adesso, è inimmaginabile cosa potrà fare». 

Oxana e Valery ci raccontano anche della martellante propaganda del governo russo che dipinge l’Ucraina come un «covo di nazisti», l’esercito ucraino come «l’unico responsabile dei bombardamenti sulle stesse città ucraine, e responsabile degli stupri e delle morti dei bambini. Ho un’amica – ci racconta Oxana – che una volta al telefono mentre criticavo Putin, mise giù perché aveva paura di essere intercettata. Proprio come accadeva in URSS». E come nell’Unione Sovietica, l’ideologia dominante fa percepire la “Madre Russia” «come superiore a tutti i Paesi vicini, a tutta l’Europa: gli altri Paesi europei, secondo questa mentalità imperialistica, dovrebbero servire solo a rifornire l’economia russa:non dovrebbero essere indipendenti dalla Russia».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 3 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Misericordia e vita giusta nel Manzoni

28 Feb

Antonia Arslan e Davide Rondoni il 20 febbraio sono intervenuti a Ferrara su “I promessi sposi”

Cos’è che rende una vita davvero giusta? Su questo tema centrale per le donne e gli uomini di ogni tempo si è riflettuto lo scorso 20 febbraio interrogandosi su un capolavoro della letteratura di ogni tempo, “I promessi sposi”.

Nella sede dell’Università di Ferrara in via Adelardi si sono confrontati Antonia Arslan, scrittrice e saggista italiana di origine armena, e Davide Rondoni, poeta, scrittore e direttore artistico del Festival Della Fantasia. L’incontro “Che cosa c’è di allegro in questo maledetto paese?” – primo evento del Festival 2023 che si svolgerà l’11, 12 e 13 maggio in Castello e contributo in preparazione al concorso con lo stesso titolo – è stato organizzato da Accademia e Fondazione Enrico di Zanotti, in collaborazione con altre associazioni e istituzioni.

Arslan: «in un atto di amore, Manzoni si è inchinato agli umili»

Arslan nel suo intervento è partita innanzitutto dalla biografia di Alessandro Manzoni, «romantico non nichilista, personaggio complesso, nevrotico folle, con profonde ferite interiori». Un vero «genio», autore di «un romanzo che non fu per nulla, fin dall’inizio, un santino della nuova Italia, ma un grande romanzo d’avventura».

Nel libro, Manzoni «riesce ad accettare il mondo degli umili con unità personale, lui aristocratico, riesce a capire la realtà dei semplici e, ammirando la loro fede, a raccontarlo». Un mondo, quello degli umili, per nulla «mitizzato ma raccontato» da chi è stato capace di comprenderne il nucleo essenziale: «una semplice dirittura e onestà». Con «un continuo atto di volontà – ha proseguito la scrittrice -, Manzoni ha piegato sé stesso e si è inchinato, in un atto di amore, con ironia e chiarezza di linguaggio, a questo mondo» così diverso dal suo.

“I promessi sposi” sono «una pietra di inciampo, perché lì si frantuma un modo di scrivere precedente, pesante». Manzoni riesce, invece, a realizzare «un’avvolgente spirale di avventure, vissute da personaggi che ama, che descrive vivamente, con dialoghi della più alta qualità letteraria».

Rondoni: legame tra sapienza del popolo e Provvidenza

Manzoni nel romanzo «racconta una storia che non è consolatoria come tanti vogliono far credere», il popolo da lui narrato «è una questione tutt’altro che tranquilla e pacifica», ha spiegato invece Rondoni. 

Quel «sugo di tutta la storia» che Renzo e Lucia colgono nel finale, è «il loro tempo, è comprendere loro stessi. Non c’è bisogno di intellettuali, di un’élite per coglierlo, per avere questa sapienza: il “sugo della storia” è il senso di avere giustizia nella vita». Insomma, non evitare i guai, «dividendo la storia in fortunati e sfortunati», ma avere fede, «la fede del popolo, un’esperienza di un popolo più grande di sé». Popolo la cui vita «è determinata da cose non create dal popolo stesso, ma che lo generano». 

Da qui, il tema della Provvidenza, «parola descrittiva della Misericordia» – a sua volta «bomba che fa esplodere tutto, che non ha confini»: Provvidenza  che fa «leggere il valore dell’esistenza a un altro livello, cercando di capire cos’è che rende una vita giusta». Compito supremo per l’uomo, questo: significa comprendere «come la libertà dell’individuo entra nel tempo, come il singolo sta nel tempo con più libertà e profondità, senza dividere la storia in fortunati e sfortunati». È, infatti, il cuore stesso a «non poter accettare che la vita si divisa solo in fortuna e sfortuna».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 3 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Quel desiderio di verità nell’uomo: fede e ragione, quale rapporto?

28 Feb

Al via il Seminario “Il cuore non basta”: nel primo incontro, Anna Bianchi ha riflettuto sulla “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II

Sta nell’essenza della ragione di desiderare di spingersi sempre al di là, sempre oltre sé stessa. Ma questo non può non portare allo scontro/incontro col mistero dell’Essere, con qualcosa che la supera infinitamente. Lì entra in gioco la fede. Questa riflessione ha tanto diviso filosofi e pensatori nel corso dei secoli e rimane, anche nella società dell’ultrarazionalismo e del relativismo, un pungolo inevitabile.

E proprio al rapporto fede-ragione è dedicato il Seminario di tre incontri organizzato dalla Scuola di teologia per laici della nostra Arcidiocesi, dal titolo “Il cuore non basta. Filosofia e fede oggi: un legame da riscoprire”. Il coordinatore del Seminario, Maurizio Villani, ha introdotto il primo dei tre incontri svoltosi on line il 23 febbraio. Sul tema “Fides et ratio: una sfida per la filosofia? Considerazioni a margine dell’Enciclica di Giovanni Paolo II” è intervenuta Anna Bianchi, Docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

È il concetto di verità quello centrale per indagare, come viene fatto nell’enciclica, il rapporto tra ragione e fede: se è vero che «la fede è recepita dal soggetto non passivamente, ma attraverso appunto la ragione», dall’altra parte la Rivelazione «è la base del rapporto tra fede e ragione»: la ragione, quindi, «non è autosufficiente, ma arriva a verità fondamentali attraverso la Rivelazione». 

Da qui la critica nell’enciclica a una «filosofia separata» tipica dell’età moderna e contemporanea, che ha, cioè, abdicato a ricercare una dimensione soprannaturale. 

Bianchi ha poi spiegato come nel testo si riflette su come «la ragione può comprendere l’ordine razionale della realtà, il suo aspetto ontologico, andando oltre gli aspetti empirici, cercando quindi la verità: se la filosofia vuol essere un pensiero autentico, deve cercare la conoscenza di ciò che è vero sempre, della realtà in sé, deve trascendere il piano fattuale ed empirico per attingere ai principi primi e universali dell’essere». Questa «capacità metafisica» della filosofia, per san Giovanni Paolo II è una sorta di «filosofia perenne e destoricizzata, una filosofia implicita attraverso i secoli», ma ancora oggi molto dibattuta in ambito filosofico. 

La relazione di Bianchi si è poi concentrata sull’aspetto antropologico, quindi sul soggetto-persona nel quale fede e ragione si incontrano. Nell’enciclica l’uomo è definito «come colui che cerca la verità e come colui che vive di credenza»: da una parte, quindi, il «desiderio di verità appartiene alla natura dell’uomo, quindi non può essere del tutto inutile e vano», dall’altra parte, insito nell’uomo vi è anche il bisogno di «abbandonarsi fiduciosamente all’altro, se riconosciuto come testimone credibile». Ciò avviene, in maniera simile, nell’ambito della fede.

Ma l’unione di questi due desideri – della ricerca della verità e dell’abbandono – come spiegò ad esempio San Tommaso d’Aquino, «derivano da una comune origine, Dio». Solo nel supremo Creatore, quindi, possiamo ritrovare, ancora, la risposta a ogni anelito di trascendenza, sia nella forma della ragione, sia in quella della fede.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 3 marzo 2023

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