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Benedetto XVI, sempre con lo sguardo fisso su Gesù Cristo

9 Gen

È l’Amore a poter salvare dall’abisso della morte. È solo un Dio che ha sofferto per noi, a poter dare una risposta alle nostre angosce più profonde: l’insegnamento di Papa Benedetto XVI

di Andrea Musacci

«Lo pregherò di essere indulgente con la mia miseria». Era il 2016 quando Papa Benedetto XVI rispose così a una domanda su cosa avrebbe detto all’Onnipotente una volta terminati i propri giorni terreni. Erano passati tre anni dalla rinuncia al ministero petrino, annuncio imprevisto che sconvolse il mondo. La profonda umiltà mostrata davanti alla Chiesa, al Popolo di Dio, al mondo intero, mai era venuta meno. 

Parole, queste citate, presenti nello stupendo libro-intervista “Ultime conversazioni”, e che ci sono tornate alla mente dopo aver ricevuto la notizia del suo ritorno alla Casa del Padre. Parole in un certo senso riecheggiate anche nel finale dell’omelia esequiale pronunciata da Papa Francesco lo scorso 5 gennaio: «Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell’udire definitivamente e per sempre la Sua voce!». Come a pregare, lui stesso, il Padre di quell’indulgenza suprema che Benedetto XVI ha sempre implorato.

TESTIMONIANZA DI UN UOMO

La Parola del Vangelo «non si può rinunciare a diffonderla, non può diventare insignificante» 

(“Ultime conversazioni”)

Si è già detto molto di Papa Ratzinger, anche se forse mai si riuscirà a dire davvero tutto di una figura così discreta e grandiosa. Altro, invece, si è voluto, da più parti, tacere in queste ultime due settimane: che la Verità e il suo annuncio scatenano anche il male. Così è accaduto, per fare due esempi, con la furia di buona parte del mondo islamico che seguì alla sua lectio magistralis nel 2006 a Ratisbona; e la censura, che subì un anno dopo, quando un manipolo di docenti, intellettuali e studenti gli impedì, invitato, di intervenire all’inaugurazione dell’anno accademico alla “Sapienza” di Roma.

Anche con la testimonianza, dunque, ha servito la sua Chiesa, sempre con uno stile ammirabile, pur nella fermezza delle idee. “Al cuore della fede” è il titolo di uno dei suoi libri ed è stata la sua missione di una vita, quella di un Papa, di un teologo, di un uomo. Il tornare sempre a Lui.

LA FEDE E LE SUE INQUIETUDINI

«L’amore richiama e chiede eternità»

Al centro non del suo pensiero, ma della sua vita intera, c’è sempre stato l’incontro personale con Cristo. «Nella liturgia, nella preghiera e nelle meditazioni per l’omelia domenicale lo vedo proprio davanti a me», confessò nell’intervista sopracitata. «È sempre grande e misterioso, ovvio. Molte parole del Vangelo le trovo ora, per la loro grandezza e gravità, più difficili che in passato». Emerge, quindi, anche nel suo racconto personale, il sentirsi inadeguati davanti alla Sua maestosità: «si percepisce quanto si è lontani dalla grandezza del mistero», anche se, proseguiva, «non è che io abbia la sensazione che Lui sia lontano. Posso sempre parlargli nel mio intimo. Ma sono comunque una piccola, misera creatura che non sempre riesce ad arrivare fino a Lui».

L’avvicinarsi della morte donava alla sua fede e alle sue inquietudini una densità ancora maggiore: «alcune parole che esprimono l’ira, la riprovazione, la minaccia del giudizio diventano più inquietanti, impressionanti e grandi di prima». E ancora: «pur con tutta la fiducia che ho nel fatto che il buon Dio non può abbandonarmi, più si avvicina il momento di vedere il suo volto, tanto più forte è la percezione di quante cose sbagliate si sono compiute. Perciò uno si sente oppresso dal peso della colpa, sebbene naturalmente la fiducia di fondo non venga mai meno».

Sulla morte rifletté anche nell’Udienza generale del 2 novembre 2011: «(…) abbiamo timore davanti alla morte perché abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conosciamo, che ci è ignoto. E allora c’è in noi un senso di rifiuto perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento».

UN DIO CHE SOFFRE, UN DIO CHE AMA

«Vivi di noi: / Sei / la verità che non ragiona: / un Dio che pena / nel cuore dell’uomo» 

(David M. Turoldo, “Vivi di noi”)

Cosa può, quindi, salvare, tutto ciò che ognuno di noi è stato, ha vissuto, di cui ha goduto e di cui ha sperato? Non “cosa” ma Chi. «Non è la scienza che redime l’uomo», scrive in “Spe salvi” 26. «L’uomo viene redento mediante l’amore». Ma nemmeno quello umano basta, «l’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato».

È l’Amore, unico, a poter salvare dall’abisso della sofferenza e della morte. È solo un Dio che si è fatto carne e che ha sofferto con noi, per ognuno di noi, che può dare una risposta alle nostre angosce più profonde. «Dio è un sofferente – scrive Papa Ratzinger in “Guardare al Crocifisso” -, poiché è un innamorato: la tematica del Dio che soffre deriva dalla tematica del Dio che ama e rimanda immediatamente ad essa. Il vero e proprio superamento del concetto antico di Dio da parte di quello cristiano sta nella conoscenza che Dio è amore». Dalla Passione di Gesù in modo pieno, quindi, «si diffonde in ogni sofferenza la con-solatio, la consolazione dell’amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza» (“Spe salvi” 39).

L’UNICA LIBERAZIONE

«Benché noi non siamo in grado di erompere dall’angustia della nostra coscienza, Dio può però irrompere in questa coscienza rivelando sé stesso» 

(“Introduzione al cristianesimo”)

«Credere significa sempre: uscire con Gesù Cristo, non temere il caos, poiché egli è il più forte. Egli è uscito e noi lo seguiamo». È questo l’irrompere di Dio nella nostra vita. Un moto dall’esterno all’interno – semplificando – che in realtà richiama il moto contrario. Ratzinger ne parla in tre commoventi meditazioni raccolte nel libro “Guardare al Crocifisso”, edito da Jaca Book.

«La vera alienazione, la non libertà e la prigionia dell’uomo – scrive – sta nella sua assenza di verità. Se egli non conosce la verità, se non sa chi egli è, per che cosa esiste, che cosa è la realtà di questo mondo, allora brancola solo nel buio, allora è un prigioniero e non un uomo libero nell’essere». Senza totalità, senza fine in ogni nostra parola, azione, aspirazione, non possiamo dirci davvero liberi. Ma questa libertà è possibile nella Chiesa, corpo di Cristo, il cui muro «è consolidato dal sangue del vero agnello, Gesù Cristo»: «La vera azione liberatrice della Chiesa consiste nel conservare la verità nel mondo»; perché «chi salta la questione della verità e la ritiene insignificante amputa l’uomo». Al tempo stesso la Chiesa, pur essendo luogo che ci protegge dalle forze del male, «non è un fortino o una fortezza chiusa», ma «una città aperta». E non può essere altrimenti.

Con la Pasqua, infatti, Dio «ci precede (…) e regge la fiaccola all’interno di un’estensione inesplorata per farci coraggio, per seguirlo». L’uomo è integralmente sé stesso «quando è divenuto perfetta apertura verso Dio», riflette, invece, in “Introduzione al cristianesimo”: «L’uomo perviene a sé stesso uscendo da sé stesso», «presso il totalmente Altro che è Dio».

Ma fino alla nostra morte terrena, ciò, per noi, «rimane una sortita nell’ignoto» (d’ora in poi di nuovo citiamo da “Guardare al Crocifisso”). «Guardiamo stupiti i segni della morte a cui in precedenza non avevamo mai prestato attenzione e sorge il sospetto che l’intera vita propriamente sia solo una variazione della morte; che noi siamo ingannati e che la vita propriamente non è un dono, ma una pretesa». Chi, però, «ha visto l’agnello – Cristo in croce – sa: Dio ha provveduto». In questo agnello «intravvediamo lontana, nei cieli, un’apertura; vediamo la mitezza di Dio, che non è né indifferenza né debolezza, ma suprema forza».

La gioia che ne consegue, è riflesso debole – eppur vero – di quella con l’incontro con l’Onnipotente, davanti al quale ognuno si presenterà nudo nella propria miseria, come nelle parole di Papa Benedetto XVI citate all’inizio. Il Giudizio – per usare parole di Guardini in “Le cose ultime” -, «significa che nella luce santa di Dio l’uomo ha una visione completa di sé stesso (…). Tutto ciò che di solito rende insensibili – orgoglio, vanità, distrazione, indifferenza – è assente. L’animo è aperto, sensibile, raccolto. E l’uomo vuole. Sta dalla parte della verità contro sé stesso. (…) Il cuore si mette a disposizione del pentimento e si consegna così alla potenza santificante dello spirito creatore».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 13 gennaio 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Comunità e dialogo tra fedi: Carron e Bertinotti insieme a Forlì

29 Set

indexIeri sera, 28 settembre, in occasione della presentazione del libro di Julián Carrón (Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione), “La bellezza disarmata” (Ed. Rizzoli, 2015), l’autore ha dialogato insieme a Fausto Bertinotti, ex Presidente della Camera dei Deputati ed ex Segretario del Partito della Rifondazione Comunista. Sede dell’incontro, moderato dal giornalista Gianni Riotta, il Teatro Diego Fabbri di Forlì, stracolmo (altre 250 persone, rimaste fuori dal teatro, hanno seguito l’incontro in streaming in una sala vicina al teatro).

Una serata densa di emozioni, di riflessioni anche sofferte, soprattutto da colui che ha rappresentato il movimento neo-comunista italiano dopo la fine della Prima Repubblica. Bertinotti ha esordito subito con spirito di apertura, spiegando come «nel libro di Carron vi sia un’idea drammatica del mondo in cui viviamo: non è, insomma, una lettura tranquillizzante, Carron fa un’operazione di verità su un mondo come quello attuale che è sull’orlo di un abisso. Un mondo che sembra avvolto nel nichilismo, dove domina una devastazione economica, sociale, ma soprattutto umana, che porta alla disperazione».

La lettura di Bertinotti però non perde mai di vista la speranza di un futuro migliore, come nella migliore tradizione della sua fede politica. «Si possono però anche leggere le tracce di un possibile percorso di redenzione, o di rinascita», ha spiegato. E’ palese la “perdita dell’evidenza” di cui parla Carron nel libro: «evidenza in Dio o nel socialismo, in un altro mondo, in un mondo liberato dai grandi mali dell’umanità. Ma Carron trova le tracce di ciò nella riorganizzazione di comunità, dove viva la reazione di solidarietà, dove domini la rivalutazione dell’umano». Queste sono tracce reali, concrete, non vaneggiamenti: «dalla fine dell’800 si è rincominciato non dallo Stato, ma dalla ricostruzione delle comunità (leghe, sindacati ecc.), per riaprire spazi di liberazione».

Carron ha risposto alle sollecitazioni dell’interlocutore invitando a «cercare di capire, senza farci prendere dalla paura. Il cambiamento è epocale, ma l’importante è mantenere l’evidenza dei valori, tentativo che oggi è fallito».

Di nuovo Bertinotti ha spiegato come dal dramma immenso della Shoah, «nel secondo dopoguerra rinasca una speranza, un’utopia concreta, vale a dire le moderne Costituzioni nazionali, frutto della simbiosi dei pensieri cattolici e socialista: l’eguaglianza e la persona sono al centro di queste costituzioni, non più il cittadino, e una libertà astratta». La politica, insomma, si fa popolo nelle associazioni cattoliche, nel movimento operaio. Oggi, invece, lo scollamento tra politica (èlite) e popolo accade «perché la prima ha abbandonato il secondo. Oggi il nuovo principe è il mercato, tutto è ridotto a economia, a merce, domina la cultura dello scarto. Questo neo-capitalismo è il prodotto di un rovesciamento del conflitto di classe, però oggi c’è il conflitto dei ricchi contro i poveri, non viceversa». Quale può essere la via di uscita da questo dominio del mercato? «Il neo-capitalismo, infatti, vuole farsi religione, cancellare tutte le fedi».

Sottolineando la continuità tra il papato di Benedetto XVI e quello di Papa Francesco, Carron ha proseguito quindi il ragionamento ponendo più direttamente al centro il tema dell’avvenimento cristiano come salvezza anche per l’oggi: questo, infatti, «non è un elenco di verità, di precetti, ma una Persona, il cristianesimo è carne, gesti, l’esserci, gesti che sfidano: cosa c’è di più radicale di questo? La Chiesa deve semplicemente fare la Chiesa, deve riscoprire la natura del cristianesimo, non mere nozioni bigotte, ma permettere ai giovani di riscoprire la fede. In questo è riuscito don Giussani, cioè nel cercare di far capire la pertinenza della fede, del cristianesimo con le esigenze del vivere».

Tornando a un appoccio critico ma mai distruttivo, Bertinotti ha poi sottolineato come  «un tempo, nonostante le differenze politiche, c’era un destino condiviso che riguardava il futuro dei popoli, e lo sguardo era sempre sul reale. Oggi invece abbiamo un mondo virtuale che è un circo ludico e feroce. Il pensiero corrente, egemone è quello che si afferma perché non incontra la resistenza delle fedi, dove per fedi intendo le forme di trascendimento del sé verso un destino comune. Il dialogo – ha proseguito Bertinotti – è possibile solo in presenza di fedi: senza ciò, il pensiero egemone ha il sopravvento, e il dialogo si trasforma in sopraffazione».

La comunità diventa così il centro della rinascita: «la comunità è quel processo di costruzione dentro cui condividere una sorte, è quel luogo dove la tua fede prende corpo insieme ad altre persone, è condivisione della vita. E’ vero che ogni fede contiene un rischio di fondamentalismo, ma l’idea di comunità, con la ricerca dell’altro, impedisce questo rischio. Da questo rischio quindi non si esce uccidendo le fedi e abbandonandosi a questo sistema alienante: senza fede e comunità non c’è libertà».

Riguardo al rapporto della sinista, e a livello personale di Bertinotti, col movimento di Comunione e Liberazione, Bertinotti ha riconosciuto come «CL è costruzione di popolo, di comunità, e questo mi affascina, questa capacità di dono, di relazione. Nella diversità, insomma, riconosciamo elementi comuni: questo è il vero dialogo. Un tempo il dialogo vedeva il fenomeno religioso indagato attraverso la politica, l’ideologia, non attraverso il rapporto con la vita: questo è il motivo dell’odio ideologico che la sinistra nutriva verso CL! Oggi c’è bisogno di una ricostruzione del dialogo tra le fedi, cioè tra coloro che non si adeguano al nichilismo del nostro tempo».

Questo tema porta al rapporto con l’altro, che oggi è, più che mai, anche il migrante: «la prossimità facilità l’incontro con l’altro, lo sguardo lo fa smettere di essere il cattivo immigrato, ma una persone come te, un fratello o una sorella».

«Questo sguardo di riconoscimento dell’altro – ha quindi concluso Carron – quando c’è, spiega davvero come il Verbo si è fatto carne, altrimenti questo sguardo non sarebbe possibile. Bisogna ricostruire dal di dentro non muri ma ponti: ma quelli che migrano da noi trovano il nichilismo, o trovano quello sguardo?», è la domanda cruda, la provocazione che i due interlocutori lanciano a un Occidente malato di vuoto.

Andrea Musacci

Una mostra dedicata alla vita e alla fede di Sant’Agostino

23 Ago

P1000311In occasione della fiera del paese di Sant’Agostino, in programma fino al 28 agosto, dalle 19 alle 22 presso la Scuola Materna Parrocchiale “Sacro Cuore” in C.so Roma, 4 sarà possibile visitare la mostra “S. Agostino. Si conosce solo ciò che si ama”, presentata nel 2009 al “Meeting per l’Amicizia fra i popoli” di Rimini. I pannelli che si susseguono lungo le sale  raccontano di un’esistenza dedita alla ricerca, sofferta e appassionata, della Verità. La fede per S. Agostino è vita, non astrazioni, è “l’avvenimento della conoscenza”. “Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”, è una delle frasi più belle delle sue “Confessioni” e ben spiega il desiderio d’infinito dell’uomo, la sua inquietudine, il bisogno di fede. La giovinezza sfrenata di Agostino segnerà la sua vita, lo porterà a profonde riflessioni sul male, la libertà, la Grazia. Una vita di redenzione e di ricerca, dunque la sua. Africano d’origine (nelle terre dell’attuale Algeria), si trasferisce poi a Roma e a Milano dove incontra il Vescovo Ambrogio, futuro Santo. Dopo la conversione ritorna in Africa e diviene Vescovo a Ippona, città dove morirà. Benedetto XVI, nel 2008, ha detto di lui:  è “un contemporaneo che parla a me, parla a noi con la sua fede fresca e attuale”.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 23 agosto 2014

Due Papi così diversi, così vicini

12 Gen

L’esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, presentata a fine novembre scorso, ha già scatenato numerosi dibattiti in tutto il mondo. Ieri alle ore 17, presso la libreria IBS in Piazza Trento Trieste, 1 si è svolto, a riguardo, l’incontro dal titolo “L’esortazione apostolica Evangelii Gaudium e il pontificato di Papa Francesco”, organizzato dall’Istituto Gramsci e dall’ISCO di Ferrara. Massimo Faggioli, docente di Storia del Cristianesimo all’University of St. Thomas Minneapolis/St. Paul ne ha discusso insieme a Piero Stefani, biblista. A coordinare il dibattito, il sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani. Quest’ultimo insieme a Roberto Cassoli ha introdotto le relazioni dei due esperti, mettendo a fuoco gli snodi fondamentali del testo in questione: l’annuncio, la testimonianza, l’apertura della Chiesa, la collegialità.  Fin dall’inizio del confronto è stata chiara la volontà dei relatori, seppur con sfumature diverse, di porre, strumentalmente, l’attuale Pontefice in totale contrasto col pontificato di Benedetto XVI, isolando quest’ultimo dal rinnovamento cattolico degli ultimi decenni. Al contrario, diversi sono i 2014-01-11 17.44.54punti di profonda continuità tra i due, ignorati dai relatori: la critica alla diffusa indifferenza relativistica e al secolarismo occidentale, tendenti a relegare la fede nella sfera del privato; i valori e le radici minacciate dalla globalizzazione; il tecnicismo che mette in pericolo la libertà della persona e la sacralità della vita umana. Tutto ciò, in ogni caso, non toglie valore al rinnovamento del papato di Francesco, seppur in una continuità sostanziale col suo predecessore. Infine, da sottolineare l’acutezza delle critiche poste dal prof. Stefani su vari ambiti riguardanti non solo “Evangelii gaudium” ma l’intera personalità di Papa Bergoglio.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 12 gennaio 2014

(nella foto, da sx: Massimo Faggioli, Tiziano Tagliani, Piero Stefani e Roberto Cassoli)