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Vita e liturgia scollate: don Belli per la Scuola di teologia

21 Dic

Una liturgia per tutti, attiva e partecipata (anche col corpo), comprensibile, abbandonando concettualizzazzioni sempre più dannose. Sull’importanza di questa “rivoluzione” nei nostri rituali ha riflettuto don Manuel Belli, intervenuto lo scorso 14 dicembre a Casa Cini per la settima lezione della Scuola diocesana di teologia per laici. Sacerdote della Diocesi di Bergamo e docente di Teologia dei sacramenti presso la Scuola di teologia del Seminario diocesano, don Belli è anche autore di alcuni volumi sul tema.

Ricordiamo che la Scuola riprenderà il prossimo 22 febbraio alle 18.30 con don Paolo Bovina che relazionerà su “Le sette chiese, una lettura pastorale di Apocalisse.

«Noi non facciamo riti, siamo fatti di riti e la qualità della nostra vita dipende dalla qualità dei nostri riti», ha esordito il relatore.Nelle nostre società, e spesso nelle nostre comunità ecclesiali, spesso però viviamo «riti tristi», cioè staccati dalle nostre vite, dal nostro cuore, dalle nostre fragilità: «Non abbiamo più vissuto a cuore aperto l’urto della realtà né percepito il modo d’essere delle cose», scriveva Guardini in “Formazione liturgica”. I nostri riti invece – secondo don Belli – sono troppo «ierocratici» e «troppo pensati», mentre essi «sono molto più dei concetti», delle nostre inutili sovrastrutture. Il relatore ha accennato come esempi quelli dell’atto penitenziale («che sia almeno di dieci secondi!»), la frazione del pane, le preghiere dei fedeli (che dovrebbero essere davvero loro frutto), il ruolo degli accoliti. «Ci vuole di più della forma – ha proseguito -, quel più che può essere dato solo dall’amore», per cambiare tutte le forme della nostra intelligenza (da quella interpersonale a quella estetica, da quella spaziale a quella musicale, solo per citarne alcune). In una società tecnocratica e digitalizzata come la nostra, invece, «siamo troppo abituati alla funzionalità delle cose e troppo poco, o nulla, ai loro aspetti simbolico ed estetico, che invece ci permettono di vivere la Messa con la sensazione di star incontrando il Signore». Solo così, per don Belli, «le fragilità di ognuno potranno sentirsi a casa». La sfida sta, per ogni sacerdote e semplice fedele, nel saper «riavvicinare vita e liturgia». Senza, però, banalizzare quest’ultima, mantenendone la sacralità e solennità. 

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 22 dicembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Siamo tutti legati (per fortuna): relazioni e fraternità nella Chiesa

1 Dic

La quinta lezione della Scuola diocesana di teologia con Simona Segoloni: comunità, gioia e femminile

Siamo tutti legati in reti invisibili ma fondamentali, che intessono la nostra essenza personale, la nostra esistenza. Su questo lo scorso 23 novembre ha riflettuto a Ferrara la teologa Simona Segoloni, intervenuta a Casa Cini per la quinta lezione dell’anno della Scuola diocesana di teologia per laici. Tema, “Fratelli tutti! La comunità espressione di gioia”. Il prossimo appuntamento sarò il 14 dicembre con “Sacramenti tra il dire e il fare, paradossi celebrativi”, relatore don Manuel Belli. Poi la Scuola rinizierà il 22 febbraio con don Paolo Bovina e “Le sette chiese, una lettura pastorale di Apocalisse”.

Segoloni è Docente invitata al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, e insegna anche alla Facoltà teologica del Triveneto, alla Pontificia Facoltà teologica San Bonaventura (Roma) e alla Facoltà teologica pugliese. Nella sua lezione a Casa Cini, ha preso le mosse dalla «sostanziale vulnerabilità degli esseri umani, dal loro essere toccati dalla realtà»: questa loro «apertura fondamentale» permette di legarsi, di «dar vita a legami». In questo, l’essere umano si scopre «a immagine di Dio, che è relazione, è un Dio che stringe legami, crea alleanze». Ed è un Dio che, come si nota nelle Scritture, «viene toccato dal grido dell’uomo, dalle sue sofferenze». Dio, quindi, si fa conoscere come «un legato, come uno che stringe legami, non come uno sciolto da questi, assoluto».

Di conseguenza, l’annuncio del Vangelo, cuore della fede cristiana, determina «un noi, l’essere tutti legati dalla Parola crea legami tra le persone e tra queste e Dio, l’Assente che si fa Presente e che ci vuole salvare assieme, come Suo popolo». Questi legami, questo popolo è il solo «che ci fa sperimentare una gioia vera, cioè quella data dal legame col Risorto». L’Eucarestia, gesto centrale della nostra fede, non a caso «è un gesto che non si può non fare assieme agli altri, perché è un gesto di comunità, di condivisione». Ma incontrare il Risorto significa «cercare di comprenderLo secondo il suo stile», che è quello indicato ad esempio in Matteo 18, con il «se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli», con la parabola della pecorella smarrita e con quella del servo malvagio. In sintesi, quindi, con la necessità dell’umiltà, con l’importanza del custodire i legami e di saper perdonare.

L’ultima parte della propria riflessione,Segoloni ha deciso di dedicarla a un ambito che le sta particolarmente a cuore e al quale ha dedicato diverse pubblicazioni: quello del femminile e della sua condizione all’interno della Chiesa e della società. Un aspetto, dunque, per nulla secondario quando si parla di legami e di fraternità. Ed è proprio sul linguaggio, che spesso (come appunto nel caso del termine “fraternità”) appiattisce, o ingloba, il femminile nel maschile, che la relatrice si è soffermata, spiegando come non sia una questione di lana caprina, ma come il modificare il linguaggio sia importante «per dare la legittima visibilità alle donne, valorizzandone i carismi e custodendo quindi i legami» anche all’interno delle nostre comunità.

Quasi tutte le domande rivolte dai presenti alla relatrice, si sono concentrate proprio sul tema del rapporto femminile-maschile (ad esempio, in termini di disuguaglianze, di ministeri nella Chiesa, di violenza), a dimostrazione di quanto la questione sia sentita – dalle donne e dagli uomini – e quindi diventi necessario creare momenti ad hoc di discussione e confronto. 

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 1° dicembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Discepoli, ovvero il ripartire grazie a Lui

22 Nov

La quarta lezione della Scuola diocesana di teologia per laici: don Paolo Mascilongo ha relazionato sul tema “Immagini di sequela dal Vangelo di Marco”. Come essere Suoi discepoli anche oggi?

Proseguono le lezioni del nuovo anno della Scuola diocesana di teologia per laici “Laura Vincenzi”.

Lo scorso 16 novembre a Casa Cini, Ferrara, don Paolo Mascilongo (Referente per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Piacenza-Bobbio) ha riflettuto sul tema “Immagini di sequela dal Vangelo di Marco”.

«A metà del Vangelo, prima dell’annuncio della morte  a Gerusalemme (Mc 10) – ha spiegato il relatore dopo una breve introduzione del testo – c’è un episodio spartiacque»: «”Chi dice la gente che io sia?”. Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti”. Ma egli replicò: “E voi chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”» (Mc 8, 27-29).

Il Vangelo secondo Marco, secondo don Mascilongo, «narra non solo di Gesù ma anche dei suoi discepoli: leggerlo, quindi, in questo modo può aiutarci nella nostra aspirazione a essere, oggi, suoi discepoli». Fra i discepoli, ha sottolineato più volte il relatore, c’erano anche delle donne;un fatto anomalo, questo, che in quel periodo storico delle donne non fossero relegate all’ambito domestico ma addirittura seguissero in questo modo un maestro come Gesù. 

Ma come si fa a riconoscerLo? E perché Pietro Lo riconosce? Fra i discepoli, naturalmente ci sono i 12 apostoli, scelti dallo stesso Gesù (Mc 3,14-15):«Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni».Questa apparente contraddizione tra lo “stare” e l'”andare” si può spiegare o considerando che «nella missione di Gesù i due aspetti coincidono», oppure come fosse (e sia) necessario «una prima fase a contatto con Lui (con la sua Parola, con la Sua presenza) per poi andare missionari», in una lontananza fisica ma non spirituale.

La passione e morte di Gesù (capitoli 14 e 15) rappresentano «il  culmine» di questo rapporto coi Suoi discepoli: dalla «comunione fortissima» durante l’ultima cena al dramma subito dopo vissuto nel Getsemani con l’arresto e la fuga dei 12, il loro «abbandono». L’antitesi, quindi, di quello “stare” con Lui sopracitato, «il fallimento» della loro missione. Cristo apparentemente morirà solo: sarà solo prima un centurione (un estraneo) a riconoscerlo, poi «alcune delle donne» e Giuseppe d’Arimatea, mai citati prima da Marco. Non i 12, lontani da Lui e ora non solo fisicamente.

«Ma egli [il giovane vestito di bianco] disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: ‘Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto’ “» (Mc 16, 6-7). «L’ultima Sua parola per i discepoli è quindi, per don Mascilongo, «non di fallimento ma per una nuova chiamata, al di là dei loro meriti. Essere un bravo discepolo non significa non fallire mai, perché si può sempre ripartire: e solo Gesù può farci davvero riniziare ogni volta».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 24 novembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Come essere «satolli di Dio»? Riflessioni sulle Beatitudini

17 Nov

Scuola di teologia per laici: il 9 novembre la comunità dei beati al centro della relazione di Valeria Poletti

“Maestro cosa devo fare per essere felice?” è il titolo della terza lezione della Scuola diocesana di teologia per laici “Laura Vincenzi”, svoltasi a Casa Cini lo scorso 9 novembre. Relatrice, la docente e teologa Valeria Poletti. Le rimanenti lezioni di novembre sono in programma (ore 18.30, Casa Cini o in streaming) il 16 con don Paolo Mascilongo che relazionerà su “Immagini di sequela dal vangelo di Marco”; il 23 con Simona Segoloni su “Fratelli tutti! La comunità espressione di gioia”; il 30 con don Ruggero Nuvoli su “Immaginazione sacramentale”.

Nella sua lezione, Poletti ha analizzato nel dettaglio le Beatitudini (Mt 5,1-12 e Lc 6,20-23), ponendo innanzitutto l’accento sul fatto che Gesù «è venuto a parlare a tutti, a dar vita a una comunità completamente nuova», annunciando che «il Regno di Dio è già ora, si può sperimentare già nel presente». Ma com’è possibile ciò, in questa “valle di lacrime” che è l’esistenza umana?

Gesù quando ci chiede di essere poveri, «non ci chiede tanto di spogliarci, ma di vestire gli altri, di prenderci cura di chi è nel bisogno. “Signore”, quindi, è chi dà agli altri, e lo fa ora, perché il dare mi rende felice, beato già ora», ha spiegato Poletti.

Questo donarsi agli altri è anche il consolare chi è nel pianto, cioè «chi ha un dolore talmente grande da non poterlo tenere dentro. Costui è beato perché mostrandolo può essere consolato, aiutato dalla sua comunità. E la consolazione è già in sé un’azione liberante». È questa la chiave di tutto: il comprendere che «si è felici, beati solo quando si dà, la comunità di persone felici è tale quando non volta la testa dall’altra parte» davanti ai bisogni dei fratelli e delle sorelle.

Allo stesso modo – e proseguendo nell’analisi delle Beatitudini -, «i giusti sono coloro che hanno fame e sete di giustizia». Ma per giustizia non si intende tanto l’osservanza delle norme, ma «è qualcosa che va oltre la legge, e porta anche a subire la persecuzione». La beatitudine sta dunque «nell’essere sazi, satolli di giustizia, quindi di Dio: si sazia la propria fame saziando quella degli altri».

Questa misericordia, questo «chinarsi sull’altro sofferente per rialzarlo», non è dunque un mero sentimento ma «un’azione» concreta. Ed è una purezza del cuore, quindi non solo esteriore ma «interiore, completa, tipica di chi possiede quell’inquietudine che lo porta a giocarsi la propria pace per gli altri, per la pace della propria comunità». Una pace dunque in fieri, un Regno da costruire, vivendo così la propria figliolanza e somiglianza al Padre.

Da qui, solo da qui, può nascere quella «comunità dei felici, dei beati nel Signore», dei «satolli di Dio». 

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 17 novembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Relazione, trascendenza, generatività: i volti della vocazione

6 Nov

Don Grossi e Bruzzone i relatori della seconda lezione della Scuola diocesana di teologia per laici

Sulla natura della vocazione e l’essenza relazionale della persona hanno riflettuto lo scorso 26 ottobre a Casa Cini, Ferrara, don Alessio Grossi (Referente del Servizio Diocesano Tutela Minori e persone vulnerabili della diocesi di Ferrara-Comacchio, nonché sacerdote dell’UP Arginone-Mizzana-Cassana) e Daniele Bruzzone Ordinario di Pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Presidente di Alæf (Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana) (foto in basso). L’occasione è stato il secondo incontro dell’anno in corso della Scuola di teologia per laici “Laura Vincenzi”, avviata lo scorso 5 ottobre con la lezione introduttiva del nostro Arcivescovo.

“Parliamo di vocazione: Una via per ciascuno?” il titolo, invece, della lezione del 26 ottobre che ha visto la partecipazione (in presenza o on-line) di oltre 120 persone.

«La vocazione – ha esordito don Grossi – è chiamata, appello, è qualcosa che parte da Dio ma che non mi arriva dall’esterno, come qualcosa che possa non andare d’accordo col mio cuore, come qualcosa che io non conosco di me». Da una concezione errata di vocazione (intesa anche come «privilegio» e come qualcosa di esclusivo), si arriva a «forme negative di rinuncia e mortificazione» e si può arrivare anche «all’abuso spirituale e di coscienza». Nessuno può dire che cosa un altro deve fare, «può accompagnarlo nella sua scelta ma alla fine è quest’ultimo che deve decidere».

Nella “Gaudium et spes” – ha proseguito il sacerdote – è scritto che la dignità deriva dalla «vocazione alla comunione con Dio», dal dialogo tra uomo e Dio. Il Catechismo, poi, a proposito di vocazione parla di «vita nello Spirito», quindi di «un’espressione creativa, una dinamica e una concretezza». Qui, secondo don Grossi, risulta fondamentale il testo di Wojtyla “Persona e atto” (1969): secondo il futuro pontefice, «l’atto, il manifestarsi costituisce il particolare momento in cui la persona si rivela». Per l’uomo, infatti, «a differenza degli animali non è indifferente come vive la propria chiamata all’esistenza». «Partecipazione» (l’esplicarsi nella relazione) e «trascendenza» (apertura, eccedenza) sono i due concetti cardine che definiscono la persona umana. Ma questo oltrepassamento avviene anche al proprio interno, in quanto «il nucleo della persona risiede dentro di sé, è quella parte aperta al mondo ma che, ascoltandosi e decidendosi, vive la dimensione trascendentale partendo dal cuore». E – si badi bene – «l’interiorità non è riducibile allo psicologico, ma è molto di più, è lo spirituale, la fonte dell’uomo che può sempre decidere come orientarsi nella vita».

Ma se l’uomo è apertura, partecipazione e trascendenza, per un cristiano ciò che lo distingue è l’amore (si veda ad esempio Gv 13, 34), «il dare la vita, il generare: la stessa morte di Cristo e quella del nostro ego non significano mortificazione ma qualcosa di generativo, quindi la vocazione, ogni vocazione non può non essere qualcosa di generativo, che genera vita per me e per gli altri. La vocazione è tale se è generativa, se è una vivificazione reciproca», ha spiegato il sacerdote.

Alla base della sopracitata “teologia della persona” di Wojtyla e non solo, ha invece riflettuto Bruzzone, troviamo la filosofia del tedesco Max Scheler (1874-1928), che ha influenzato anche il pensiero di Viktor Frankl (1905-1997), neurologo, psichiatra e filosofo austriaco, tra i fondatori dell’analisi esistenziale e della logoterapia a cui si ispira l’Alæf presieduta da Bruzzone.

«Per Frankl – ha spiegato quest’ultimo – l’uomo è sempre orientato alla ricerca dell’altro e dell’Altro – che per chi crede è Dio -, quindi vi è sempre una tensione a un’alterità, un’apertura, un’eccentricità: per realizzarci abbiamo bisogno di dedicarci ad altro e ad altri. Il cuore dell’uomo ha una struttura dialogica – ha proseguito – la nostra coscienza è sempre interpellata e sempre risponde». Riguardo alla vocazione, dunque, vediamo come la vita sia «qualcosa che ci interroga, e dalle nostre risposte dipende la direzione della nostra esistenza». Senza dimenticarci, appunto, che «il concentrarci troppo su noi stessi ci fa ammalare: senza scopo, senza altro e senza altri, l’uomo inizia a preoccuparsi, a star male». Se rinnega la propria essenziale apertura, muore.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 3 novembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

«Una nuova intimità col mondo»: la rivoluzione della Gaudium et spes

10 Ott

Prolusione di mons. Perego per l’inizio della Scuola di teologia per laici: «nasce un nuovo umanesimo cristiano». Sono stati 140 i partecipanti al primo incontro

C’è un numero che getta una luce positiva sul nuovo percorso della Scuola diocesana di teologia per laici: quello di 140, cioè i partecipanti al primo incontro dell’anno pastorale. 

Un dato significativo, che dice di un desiderio crescente nel nostro laicato per momenti di formazione e di condivisione a livello diocesano. Forse, anche questo, uno dei frutti del cammino sinodale in corso.

Lo scorso 5 ottobre a Casa Cini la Prolusione  del nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego ha dunque dato il via al nuovo anno. Tema, “Gaudium et Spes: una rilettura per il nostro tempo. La missione della Chiesa nel mondo tra profezia del Concilio e cambiamento d’epoca”.

La Costituzione pastorale del ’65, documento fondamentale del Concilio Vaticano II, ha rappresentato – parole del Vescovo – «una sintesi tra visioni pessimiste e ottimiste sul mondo». L’importanza di interrogarsi sui «segni dei tempi», concetto mutuato dalla “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, ma già presente in certa letteratura pastorale e teologica antecedente, porta «una nuova visione del rapporto Chiesa-mondo, con una intimità che prima non c’era». Si auspica quindi «un rapporto intimo col mondo»:è una rivoluzione. «Nella Chiesa non c’era mai stata una visione così positiva. Prima – ha proseguito mons. Perego -, il rapporto era sempre impregnato di diffidenza, il mondo era da tenere distante. Questa visione nuova e arricchente ha avuto conseguenze pastorali importanti, imperniate sul “vedere, giudicare, agire”, e nella prospettiva del dialogo».

Dialogo che non può non avvenire sulla base del riconoscimento della persona e della sua dignità, in «una nuova stagione dei diritti dell’uomo», dopo la nascita del personalismo negli anni ’20. Non a caso, riguardo alla Gaudium et spes si è parlato di «un nuovo umanesimo cristiano, di una nuova simpatia della Chiesa per l’uomo». L’uomo è dunque «chiamato a costruire una comunità nuova, una nuova fratellanza, una sola famiglia. L’annuncio del Vangelo rimane la sua missione, con al centro l’amore per i nemici, ma questa nuova apertura – che mantiene la centralità del matrimonio e della famiglia come luogo educativo -, ha effetti sulla cultura e in ambito economico. Riguardo a quest’ultimo, mons. Perego ha posto l’accento sul passaggio della Costituzione nel quale si sollecitano «investimenti per le generazioni successive, senza pensare solo al consumo individuale», e si ricorda la «destinazione universale dei beni», proponendo Enrico Mattei e Adriano Olivetti come esempi virtuosi. Nella parte conclusiva il Vescovo ha quindi brevemente accennato agli effetti sull’idea di politica, sul tema della pace e della nonviolenza, della mondialità e della cooperazione internazionale.

Infine, una comunicazione di servizio: la lezione prevista per giovedì 12 ottobre non si svolgerà per favorire la partecipazione all’incontro con don Fabio Rosini previsto la sera stessa alle ore 21 nel Cinema S.Benedetto. 

Il programma completo della Scuola di teologia – che ha subito altre modifiche – si può trovare qui:https://stlferraracomacchio.it/calendario-2023-24/

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 13 ottobre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

«La teologia è un bene comune: la Scuola per laici apre orizzonti»

23 Set

Scuola di teologia per laici “Laura Vincenzi”, al via il nuovo anno. Intervista al Direttore Marcello Musacchi: «studio e confronto per abbattere gli idoli del “si è sempre fatto così”»

di Andrea Musacci

Non luoghi di difesa, ma di costruzione di nuove speranze. Così vanno ripensate – continuamente – le nostre comunità ecclesiali. E per cambiare sguardo, per cercare orizzonti differenti, servono anche momenti di ascolto e confronto. Questo aspira ad essere la Scuola di teologia per laici “Laura Vincenzi”, giunta al quinto anno. È già possibile iscriversi alle lezioni che si svolgeranno a Casa Cini, Ferrara dalle 18.30 alle 20 nelle date sotto riportate. Tema, “…E lo riconobbero…oltre le attese, con gli occhi della fede”. Abbiamo incontrato il Direttore della Scuola, Marcello Musacchi, per riflettere assieme sul nuovo anno che sta per iniziare.

Musacchi, rispetto all’anno scorso quali sono le novità?

«L’anno scorso avevamo scelto l’immagine della chiave e della casa, dei modi di entrare, approcciare una pastorale diversa. Quest’anno invece abbiamo scelto l’immagine di Emmaus, icona del Sinodo in corso, e anche qui in un certo senso ricorre il tema della casa, quel luogo da dove si riparte. Al tempo stesso, però, vi è l’immagine della strada, luogo dell’annuncio».

La Scuola non è un Istituto di Scienze Religiose. Quali le differenze?

«Come l’anno scorso, abbiamo mantenuto nel programma l’unione di discipline umanistiche e teologiche, un intreccio continuo tra le due, di cui parla anche Papa Francesco nella Costituzione apostolica “Veritatis gaudium”: una teologia, quindi, che – attraverso la multidisciplinarietà – entra nei contesti e nelle dinamiche delle vite delle persone. Una differenza importante rispetto al vecchio approccio. Inoltre, riteniamo sia altrettanto importante saper comunicare bene ciò che c’è di positivo, e per questo ai relatori abbiamo chiesto di portare con sé anche la propria esperienza, per arrivare a una dinamica di riflessione, a un confronto con i presenti». 

Esperienza: parlarne significa parlare anche delle fragilità, a partire dalle proprie…

«Sì, lo faremo soprattutto nella seconda parte del programma. Gli elementi di fragilità possono trasformarsi in opportunità per le comunità e la loro pastorale. Dalle fragilità che chiunque ha, si possono – assieme – cercare nuove strade per trasmettere la fede. Strade che, quindi, si dimostrano profetiche».

Abitudine e novità, futuro e tradizione: coppie che spesso creano tensione. La Scuola come affronta questi snodi?

«Dallo stesso percorso sinodale, stanno emergendo diverse riflessioni e proposte nuove. Si tratta di capire come riorientare la memoria – che è fondamentale – in una nuova speranza. Prima parlavamo di esperienza, di vissuti: un buon metodo per lavorare su questo, è stare sulla strada, non sulle mappe…».

Passare dalla carta alla carne, insomma…

«Esatto. Ma stare nella realtà significa iniziare a guardare le nostre stesse comunità cristiane con occhi diversi, costruendo forme di appartenenza che non siano più luoghi di difesa, che non seguano più la logica dell’arroccamento in piccoli gruppi autoreferenziali…».

Non a caso, la prima parte dell’anno della Scuola si intitola “Disinstallarsi: una Chiesa in cammino che prende sul serio le domande”. In che senso bisognerebbe “disinstallarsi”?

«Nel senso di “schiodarsi”, muoversi per mettere in gioco se stessi, la propria fede. È un’espressione che Papa Francesco usa spesso. È la grande sfida delle nostre comunità. Si tratta di cercare orizzonti diversi».

Alzando sempre più in alto l’asticella, per non rischiare di fissarsi troppo su ciò che si è raggiunto…

«Si tratta di spostare l’oggetto del desiderio: ciò che come parrocchiano o appartenente a un’associazione o a un movimento hai fatto fino ad oggi, va bene. Non è questo il problema. Ma bisogna sapersi mettere in gioco, abbattere gli idoli del “si è sempre fatto così”».

Le Unità pastorali, ad esempio, richiedono a tutti un approccio diverso…

«Sì, un approccio che non faccia disperdere energie, vista la necessità di lavorare in un territorio più ampio. Il “disinstallarsi” è anche questo, e comprende il prendersi cura, quindi anche il tema di una formazione adatta a tutti, aperta a ognuno».

Il tema della cura, che richiama ancora quello della fragilità…

«Si tratta di entrare nelle vite delle persone. Ogni evangelizzazione dovrebbe sempre partire da questo, non da un sistema di pensiero che si considera perfetto e che quindi basta applicare alla realtà. Mentre invece la mia vita deve poter cambiare, senza conformarsi a un sistema concettuale. La nostra stessa Scuola, dunque, rifiuta questo tipo di rigidità, proponendo un approccio alla teologia intesa come bene comune appartenente al popolo di Dio».

Un bene comune che andrebbe anche “portato” in maniera sempre più capillare nelle varie parrocchie…

«Certamente. Già l’anno scorso alcuni dei partecipanti hanno sperimentato una forma ancora più allargata di Scuola: coloro che vi partecipavano, infatti, avevano dato vita nelle proprie parrocchie a gruppi nei quali riportavano ciò che avevano ascoltato durante le lezioni, per discuterne assieme. Un metodo da promuovere ovunque in Diocesi».

Pubblicato sulla “Voce” del 22 settembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

La filosofia nel Santo Rosario: padre Giuseppe Barzaghi a Ferrara

24 Apr

I Misteri e la dialettica, un rapporto originale. Incontro il 4 maggio a Casa Cini

di Andrea Musacci

Cosa c’entra la filosofia con il Santo Rosario? Come questi due mondi possono incontrarsi? 

Su questo il prossimo 4 maggio rifletterà padre Giuseppe Barzaghi (foto), Direttore dello Studio Filosofico Domenicano di Bologna, sacerdote domenicano, saggista e docente di Teologia. L’appuntamento è per le ore 18.30 a Casa Cini, Ferrara. Si tratta dell’ultimo dei tre incontri del ciclo “Il cuore non basta. Filosofia e fede oggi: un legame da riscoprire”, organizzato dalla Scuola di Teologia per laici “Laura Vincenzi” e coordinato dal prof. Maurizio Villani. I primi due incontri si sono svolti il 23 febbraio con Anna Bianchi (Università Cattolica di Milano) su “Fides et ratio” e il 16 marzo con lo stesso Villani su “Percorsi fenomenologici sulle religioni”. 

Il titolo dell’incontro di p. Barzaghi riprende, invece, quello di un suo noto libro, “Il riflesso. La filosofia dove non te l’aspetti o il rosario filosofico” (ESD Edizioni Studio Domenicano, collana Anagogia, ottobre 2018.)

La dialettica porta alla Gloria

Per un approccio integrale al sapere, occorre trovare una visione sintetica – scrive padre Barzaghi nel suo libro – nel senso di «tecnicità dell’operazione teoretica» e di «visione che raccoglie tutto, anche i rimasugli. I rimasugli sarebbero lo scarto», ciò che per l’uomo di scienza è opinabile.

La struttura più conforme è quella dialettica: tesi, antitesi e sintesi (che non è mera somma, ma oltrepassamento degli elementi, loro superamento nella relazione). Anzi: Positio, Oppositio, Compositio. Ma questo metodo, questa struttura si può applicare anche per i Misteri della nostra fede: la positio è rappresentata dai cinque misteri gaudiosi, l’oppositio dai cinque misteri dolorosi, la compositio dai cinque misteri gloriosi. Così, ognuna delle tre parti si divide in cinque tappe, proprio come le cinque decine del Rosario. Questa l’originale intuizione del domenicano.

Misteri gaudiosi (Positio)

Praepositio: lo stupore, la meraviglia da cui nasce la filosofia. Ovvero, la meraviglia di Maria durante l’Annunciazione. Dispositio: la Visitazione di Maria ad Elisabetta, «l’abbandono di qualsiasi presupposto», «l’umiltà di chi non sa». Propositio: proporre una nuova idea: la Nascita di Gesù. Suppositio: la Presentazione di Gesù al Tempio. Ovvero, proporre la nuova idea ma in modo riflesso. Expositio: Ritrovamento di Gesù tra i dottori nel Tempio: l’interrogare di Gesù.

Misteri dolorosi (Oppositio)

Depositio: l’agonia, la lotta, l’agone: Gesù nel Getsemani. Contrappositio: il primo atto della lotta: la Flagellazione di Gesù. Interpositio: la Derisione di Gesù. Impositio: la salita di Gesù al Calvario. Decompositio: «l’addormentarsi in Dio, nella nebbia della non conoscenza».

Misteri gloriosi (Compositio)

Superpositio: «il risvegliarsi in Dio, la Resurrezione di Gesù», cioè «considerare da un punto di vista assoluto». Transpositio: avere quindi uno sguardo più ampio e pieno: l’Ascensione di Gesù Cristo. Circumpositio: lo sguardo pieno porta a un pieno coinvolgimento: lo Spirito agisce dall’interno. Appositio: coinvolgimento anche sensibile: l’Assunzione di Maria Vergine in cielo in anima e corpo. Infine, Diapositio: «In Paradiso c’è la perfetta compositio», scrive p. Barzaghi. La diapositio è «la Gioia, filtrata dal Dolore, e che si consu(m)ma, cioè arriva a perfezione, nella Gloria». «Che cos’è il meraviglioso della Gloria? È l’atto nel quale gioia e dolore sono la stessa cosa. E questa è la commozione, la compassione e la consolazione», sono ancora sue parole. È il «meraviglioso senza perché»: «si tratta di una identificazione, come se l’addormentarsi in Dio nel risvegliarsi in Dio implicasse una fusione».

Dallo stupore iniziale, “crudo”, naturale si arriva dunque alla mistica, passando per la speculazione.

***

Si chiede ai partecipanti iscritti in presenza di comunicarlo alla Segreteria dell’Istituto. Gli incontri saranno anche disponibili (in diretta e come registrazioni) sulla piattaforma YouTube dell’Ufficio Comunicazioni diocesano.

Per informazioni e iscrizioni contattare la Segreteria: Tel. 0532 242278 

segreteria@stlferraracomacchio.ithttp://www.stlferraracomacchio.it

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

“Fondamentale nel nostro cammino di fede, mancava una proposta così”: la parola agli iscritti della Scuola di Teologia per laici

7 Ott

Diamo voce a chi ogni venerdì sera lo trascorre in Seminario per le lezioni: dal Sottufficiale dell’Aeronautica all’operaio, ecco le loro motivazioni e alcune proposte pratiche

_8853“Mi sembra impegnativa e seria, ma così dovrebbe essere ogni progetto”. Questa frase di Giuseppe Miccoli ben rappresenta il pensiero dei 117 iscritti alla neonata Scuola di teologia per laici intitolata a “Laura Vincenzi”, le cui lezioni sono iniziate il 20 settembre scorso nel Seminario di Ferrara. Un impegno non da poco ma che dimostra come la proposta della nostra Arcidiocesi stia riscuotendo un ottimo successo. Nelle ultime settimane abbiamo interpellati fgi iscritti per conoscere chi sono, per comprendere dalla loro viva voce le motivazioni di questa scelta, domandando anche come questa proposta si possa migliorare. Nel momento in cui scriviamo (ma le iscrizioni sono ancora aperte) la Scuola, come detto, registra un totale di 117 iscritti, dei quali 82 ordinari, 15 uditori, e 20 partecipanti al Modulo di ebraico biblico ed ebraismo che si svolge a Casa Cini ogni lunedì. In totale, 63 donne e 54 uomini hanno scelto di dedicare parte del loro tempo settimanale per frequentare le lezioni in Seminario e per lo studio individuale. Di quanti ci hanno risposto (circa un terzo), solo tre in passato sono stati iscritti al nostro Istituto di Scienze Religiose. Quasi tutti coloro che hanno accettato di rispondere alle nostre domande, sono laureati, anche se uno di loro si è fermato al diploma di Terza media. Una decina sono pensionati, uno è disoccupato, e gli altri si dividono fra impieghi statali, libere professioni e altro: si va da un Sottufficiale dell’Aeronautica Militare a una cuoca, da un’audiometrista a un operaio, da una casalinga a un ricercatore dell’IMAMOTER, da un fisioterapista a un agente immobiliare. Molti di loro sono a vario titolo impegnati nella propria parrocchia d’appartenenza, perlopiù come catechisti. Gli altri si dividono fra volontariato nella Caritas o impegno in associazioni e movimenti diocesani (Azione Cattolica, Scout, SAV, Papa Giovanni XXIII) o laiche (AVIS, Croce Rossa, Avvocati di strada). Amore e conoscenza: perché trascorrere il venerdì sera a Scuola… “Approfondimento”, “conoscenza”, “formazione”, “competenza”, “amore”, “cammino di fede”: sono queste le parole che ricorrono maggiormente nelle motivazioni degli iscritti. A dominare è la volontà di iniziare o proseguire un percorso formativo e al tempo stesso di fede, culturale e spirituale insieme, spesso “per mettere in pratica un desiderio che avevo da tempo” e che ora questa proposta diocesana realizza. Scandagliando meglio le risposte, notiamo in diverse persone come lo studio possa essere particolarmente utile anche nel proprio impegno di catechista, “per trasmettere – spiega Giuseppe Claudio Aquilino -, con più competenza l’insegnamento biblico”, per “far conoscere ai bambini in particolare la figura del Maestro”, dice Catia Massarenti, catechista a Vaccolino; oppure, risponde Daniela Previato, catechista a Malborghetto – “perché è forte la necessità di una formazione adeguata a chi come me ha scelto di testimoniare ai più piccoli la bellezza dell’incontro con Gesù”. “Chi Lo ama non può non voler approfondire la conoscenza anche con lo studio – sono parole di Chiara Fantinato -, soprattutto se si è impegnati nella pastorale catechistica ed educativa”. Per Gabriele Guerzoni, sono conoscenze importanti “da mettere al servizio in Parrocchia”, per il mio ruolo di Ministro Straordinario dell’Eucarestia, riflette invece Teresa Semenza, o, per Chiara Cortesi, perché “possa essermi di aiuto per eventuali attività pastorali che si possono presentare in futuro”. Secondo Michelina Grillo è fondamentale “scoprire la dimensione teologica radicale dell’essere credenti”: “ho bisogno di spazio di preghiera”, aggiunge Annadriana Cariani, o, come ci spiega Giovanna Foddis, “ho da imparare molto”. Forti motivazioni personali, anche se non necessariamente spendibili in attività parrocchiali, motivano Cristina Scarletti (“mi possono aiutare anche e soprattutto con il mio prossimo”) e Laura Chiappini – “desidero approfondire quello che ritengo la centralità della mia vita” -, per – sono invece parole di Anna De Rose – “far crescere quel seme che Dio ha piantato nel mio cuore”, così da “rendere meglio ragione della mia speranza”. Infine, non manca chi motiva la scelta anche col bisogno di socializzazione, di scambio di esperienze, o chi, come Fausto Tagliani, intende anche “confrontare con quanto imparato negli anni ‘80 alla Scuola di teologia per laici in AC, diretta da mons. Mori”. Va tutto bene, ma…: alcuni suggerimenti Partiamo dalle proposte organizzative: c’è chi chiede di “alternare annualmente le materie del primo orario (18.30) a quelle del secondo orario (20.20) per permettere a ciascuno di frequentarle tutte”, o chi consiglia “una certa elasticità per la questione presenze, nel caso in cui non si riesca a frequentare almeno i 2/3 delle ore del corso”. C’è anche chi pensa possa essere utile “effettuare recuperi o meglio testi scritti, per chi non potesse partecipare a tutte le lezioni, ad esempio per motivi professionali”. Un paio di persone, poi, consigliano di inserire materie giuridiche nel piano di studi – ovvero Diritto ecclesiastico e Diritto canonico –, di valorizzare “temi cari all’azione pastorale della Chiesa locale, educandoci a lavorare sul campo, nella nostra realtà odierna di società secolarizzata, per costruire occasioni di confronto”; o ancora, che si si pensi a “un percorso sistematico di riflessione sulla fede, di conoscenza della Parola di Dio, di approfondimento della morale cristiana, di comprensione della liturgia e dei sacramenti”, magari con “un aspetto culturale che la differenzi dal taglio pastorale e dal profilo accademico dell’ISSR”. Infine, un’ultima ma non secondaria proposta: “incominciamo ogni lezione con la Santa Messa”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 ottobre 2019

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