Lo scorso 1° febbraio mons. Serafini (IRC diocesano) ha dialogato con insegnanti cattolici ed evangelici e con il responsabile nazionale UAAR su crocifissi e ora di religione nella scuola pubblica
Crocifisso sì o no? E l’ora di religione è giusto mantenerla nella sua forma attuale? Su problematiche come queste, particolarmente delicate e complesse, il confronto diretto può aiutare, se non a dare soluzioni definitive, perlomeno a chiarire le rispettive posizioni. E’ quello che è accaduto nel pomeriggio dello scorso 1° febbraio, quando in Sala della Musica di via Boccaleone a Ferrara si è svolto il dibattito, organizzato dall’UAAR Ferrara sul tema “Scuola laica: diritto allo studio ed alla libertà religiosa”. Si sono confrontati – moderati dalla giornalista Tania D’Ausilio – Roberto Grendene (segretario nazionale UAAR), Lidia Goldoni (presidente del Comitato Insegnanti Evangelici in Italia), mons. Vittorio Serafini (direttore del Servizio diocesano Insegnamento della Religione Cattolica) e Paola Lazzari (insegnante di religione cattolica). S. Messa in orario scolastico Ha sollevato non poche polemiche la S. Messa celebrata lo scorso 20 dicembre all’IC Perlasca di Ferrara in orario di lezione. “La normativa non la prevede – ha commentato mons. Serafini -, se non in orari diversi da quelli delle lezioni e se richiesto da genitori o dal Consiglio d’Istituto. Spesso presidi e insegnanti di religione non conoscono le leggi e i regolamenti, per questo lo stesso Vescovo mi ha consigliato di predisporre un vademecum al riguardo”. La scelta è stata giudicata “non pertinente” da Grendene e “inopportuna” da Lazzari. Crocifisso nelle scuole pubbliche “Il crocifisso è segno di generosità e dedizione, per cui non va certo imposto”, ha invece commentato su questo tema mons. Serafini. “Se non è nel cuore, non ha senso appenderlo al muro”. “Una scuola non è più o meno laica se nelle proprie aule accoglie il crocifisso”, è stato invece il commento di Lazzari. “Detto questo, è differente il lasciarlo quando c’è o volerlo appendere laddove non è presente”. “Gesù non ha mai voluto imporre la propria presenza”, è stata la riflessione di Goldoni. “La Chiesa cattolica dovrebbe protestare contro questa strumentalizzazione, contro questo modo empio di usare il crocifisso”. Per Grendene il fatto che nelle scuole pubbliche non siano presenti simboli né religiosi né politici è “di semplice giustizia”. L’ora di religione Al riguardo mons. Serafini ha ribadito come l’ora di religione “è un diritto e riguarda una scelta personale”, e ci ha tenuto a sottolineare come “gli insegnanti di religione normalmente sono seri professionisti, persone molto preparate e la loro competenza, ad esempio nella nostra Diocesi (dove sono un centinaio, ndr), è spesso riconosciuta dai presidi”. Detto questo, “l’ora alternativa non può essere lasciata a casaccio, come purtroppo spesso accade”. “E’ giusto che esista l’ora alternativa – sono state parole di Lazzari – ma l’ora di religione non è né catechismo né indottrinamento: in essa spesso vengono spiegate anche le altre religioni, e i loro legami con altre discipline”. “Noi insegnanti evangelici – è intervenuta Goldoni – proponiamo di usare meglio e in altri modi l’ora alternativa a quella di religione” e “non accettiamo che ad esempio la storia nostra confessione venga insegnata da un insegnante cattolico o comunque non evangelico”. Infine, per Grendene “esistono non pochi casi in cui durante l’ora alternativa o si approfondiscono materie curricolari o si fanno utili proposte formative differenti. In ogni caso, non è giusto che sia il Vescovo a indicare gli insegnanti di religioni, stipendiati dallo Stato”.
Cos’è l’Unione Atei e Agnostici Razionalisti
Lo scorso 25 gennaio in via Contrada della Rosa, 42 a Ferrara è stato inaugurato il nuovo circolo dell’UAAR, il cui coordinatore locale è Gregorio Oxilia, Paleoantropologo ed evoluzionista all’Università di Bologna. L’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti è un’associazione che, formalmente, non si pone contro le religioni in quanto tali, ma, a suo dire, per il rispetto di una vera laicità. Fra le sue battaglie storiche più famose, quello per lo “sbattezzo”, contro i crocifissi e l’ora di religione nelle scuole pubbliche, contro il meccanismo di assegnazione dei fondi dell’8×1000, o per essere riconosciuta al pari di una confessione religiosa e quindi ottenere un’intesa formale con lo Stato Italiano. “Attualmente nel circolo di Ferrara – ci spiega Oxilia – abbiamo una trentina di iscritti, di cui otto attivisti: sono perlopiù docenti, ricercatori e studenti”. Riguardo all’incontro, pur nelle non irrilevanti diversità, col mondo cattolico, recentemente Oxilia è stato ricevuto in Arcivescovado da mons. Perego per un cordiale confronto. “Sono sicuro – prosegue Oxilia – che questo sarà l’inizio di un’interessante collaborazione culturale che dimostrerà come la diversità di idee sia utile a generare collaborazioni costruttive per dare alla società spunti di riflessione per crescere senza pregiudizi”.
Andrea Musacci
Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 febbraio 2020
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Il realismo del sogno e il conseguente perturbante sentimento di una visione notturna: Samuel Moretti è un promettente artista originario di Mesola, che fino al prossimo 23 febbraio espone una serie di incisioni nella Galleria del Carbone di Ferrara. Nel tardo pomeriggio di sabato 1° febbraio, l’inaugurazione della mostra con la presentazione di Laura Gavioli, che ha redatto anche il testo in catalogo (disponibile in Galleria). Nell’esposizione intitolata “La libertà dello sguardo e la persistenza dell’emozione”, è possibile ammirare una ventina di opere a puntasecca di quest’artista classe ’80, diplomato al Conservatorio Frescobaldi e approdato all’arte grazie a Pietro Lenzini. Dieci anni fa il debutto in diverse collettive a Ferrara, Reggio Emilia, Milano. Dal 2010, tante le partecipazioni a collettive e alcune personali. L’anno scorso nella chiesa di Santa Maria della Misericordia a Castel Bolognese ha esposto la sua mostra dal titolo “Percorsi di luce. Le 14 stazioni della Via Crucis”. In parete al Carbone si possono trovare i “luoghi dell’anima” di Moretti: spaccati del bosco della Fasanara, il Castello di Mesola, ma anche alcuni relitti lignei spiaggiati.
E’ normale avere paura della paura? Su un tema spesso banalizzato mediaticamente ma che richiama l’essenza dell’essere umano, ha riflettuto a Ferrara il filosofo Salvatore Natoli. Lo scorso 31 gennaio nella Biblioteca Ariostea di Ferrara è stato invitato dall’Istituto Gramsci e dall’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara per aprire il ciclo di undici incontri sul tema “Sfidare le paure”. Il prossimo appuntamento è in programma alle ore 17 del 28 febbraio con Marco Bertozzi che relazionerà sul tema del ciclo, analizzando diversi pensatori, da Hobbes a Canetti. La lectio magistralis di Natoli è stata preceduta dal saluto dell’Assessore Alessandro Balboni (al posto del Sindaco Fabbri, invitato ma non presente), dall’introduzione di Anna Quarzi, alla guida dell’Istituto di Storia Contemporanea cittadino, che ha moderato l’incontro, e dal breve intervento di Fiorenzo Baratelli, Direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara: “la paura non va intesa solo in senso negativo – ha spiegato quest’ultimo -, ma come parte sostanziale della condizione umana, di per sé precaria: non bisogna, quindi, vergognarsi di aver paura, anche perché può essere stimolo per l’azione e per la creatività”. E’ vero, però, che la paura può anche rendere passivi, “può paralizzare”. Di sicuro – ha proseguito -, le paure peggiori sono quelle vissute nella solitudine”. La soluzione ad esse, citando anche Spinoza, può risiedere nel cercare il più possibile di usare la ragione “per comprenderne le cause, affrontandola razionalmente” e in maniera consapevole. “E’ vero – ha esordito Salvatore Natoli -, la paura è qualcosa che la natura ha predisposto per l’autoconservazione, ed è quindi un dispositivo in sé positivo”. Dopo aver brevemente riflettuto su alcune delle forme della paura – il timore, l’ansia -, Natoli si è soffermato sull’angoscia, “causata dal sentimento della nostra precarietà esistenziale, dal fatto che siamo esseri mortali, per natura esposti al nulla”. Per questo la paura “non va sottovalutata” e nemmeno, dall’altra parte, “strumentalizzata” per fini di soggezione. Riguardo a quest’ultimo aspetto, il relatore ha analizzato come il potere, nei secoli, si sia sempre servito della paura per asservire i propri sudditi: il modello hobbesiano, in particolare, è fondato sullo scambio fra la protezione che il potere sovrano concedeva ai propri cittadini (per la propria sicurezza, per la propria sopravvivenza), e l’obbedienza che questi li dovevano. Analizzando il controllo del consenso, anche in epoche più recenti, Natoli ha riflettuto su come il potere “non possa agire solo sulla paura, ma anche sulla speranza, facendo promesse: una volta, però, che le promesse si rivelano illusioni, allora il potere si autogiustifica e parallelamente ritorna a far leva sui timori delle masse”. Questo è “facilitato” anche dal fatto che i governati, vivendo lo spaesamento – non sapendo, cioè, a un certo punto chi “incolpare” delle mancate promesse non realizzate -, tendono sempre ad affidarsi all’“uomo forte”. Analizzando, poi, più nello specifico, la società contemporanea, Natoli ha accennato ai lati positivi della globalizzazione, ad esempio nel progressivo superamento delle differenze tra centro e periferie. Affrontando quindi il delicato tema delle migrazioni (e delle mistificazioni propagandistiche ad esso legate), le paure – più o meno indotte – nate in conseguenza di questa ridefinizione centro-periferia, “vanno affrontate non creando ghetti, ma attraverso l’accostamento e l’ascolto dello straniero”: la conoscenza dell’altro unita alla presenza viva e attiva degli abitanti negli spazi pubblici, con anche la trasformazione delle città sempre più in senso policentrico e a politiche neo-welfariste, sono tutti fattori che, secondo Natoli, aiutano a prevenire o comunque ad affrontare le paure legate alla convivenza col “diverso”: il concetto paradigmatico delle società del futuro, infatti, secondo il filosofo, sarà quello di “ibrido”. In conclusione, dunque, “solo un approccio razionale, scientifico collettivo” può presentarsi come l’antidoto migliore alle paure, e dar vita, unito a una “generosità” sempre più rara, a una politica che torni a essere degna di questo nome.
Gli spostamenti consistenti, improvvisi e sempre più frequenti di consensi elettorali da uno schieramento all’altro, ai quali ormai da diversi anni siamo abituati (anche nelle ultime Regionali), dovrebbero farci essere più cauti nel gioirne o rammaricarcene (a seconda della propria appartenenza politica). Il discorso, infatti, è serio (con tratti di gravità) e chiama in causa le forme e le modalità stesse della creazione di comunità politiche (in senso largo) sempre meno stabili. L’aleatorietà del consenso ricorda l’immagine evangelica della casa costruita “sulla sabbia”. Interrogarsi, quindi, sul cosa possa significare oggi – in una società “liquida”, se non “gassosa” come la nostra – costruire “sulla roccia”, è più che mai necessario. Innanzitutto – senza nessuna nostalgia per organizzazioni partitiche spesso ultraverticistiche e rigide (anche se non sono state solamente questo) – si potrebbe ragionare su quali possano essere nuove forme organizzative non fondate sull’inconsistenza del volto del proprio leader (o presunto tale): volto, nella sua specificità politica, il più delle volte più virtuale che reale.
Un’esistenza tanto misteriosa quanto posata, una personalità – al tempo stesso raffinata e passionale – artefice di alcuni dei capolavori assoluti della storia dell’umanità.