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Attesa come meraviglia e memoria presente: mostra di Rosaria Lardo a Ferrara

15 Nov

All’Hotel Annunziata di Ferrara la mostra fotografica di Rosaria Anna Lardo, riflessione su ricordo e avvenire

«Nella luce del tardo pomeriggio, mi è sembrato che gli anni si confondessero e che il tempo diventasse trasparente».

(Patrick Modiano, da “Fiori di rovina”)

Un atto di intima archeologia familiare è quello compiuto da Rosaria Anna Lardo, che a Ferrara espone il suo progetto fotografico “Pianonobile – I fiori del bene”. La mostra è visitabile gratuitamente nell’Art Gallery all’interno dell’Hotel Annunziata (p.zza della Repubblica) fino al prossimo 4 gennaio, è curata da Margherita Franzoni e accompagnata da un catalogo omaggio.

Lucana ma residente a Roma, Lardo si ispira alla storia di una nobildonna vissuta nella sua terra d’origine a inizio Ottocento. Il percorso espositivo alterna interni di una grande villa ormai spoglia con esterni ariosi ma carichi di tensioni. La salvezza — sembra dirci in ultima analisi l’artista — viene sempre dall’altro, da fuori: fuori da quella finestra verso cui è rivolto non solo il viso della donna protagonista delle immagini, ma l’intero suo corpo, tenero ma potente nell’essere proteso verso la luce (foto). In un’altra immagine in parete, il fuori è invece rappresentato dalla stanza accanto, enigmatica perché solo accennata, rivestita di luce ma spoglia. Esterno/interno non è, però, l’unica tensione nelle foto di Lardo: una vestaglia da donna posata sul divano o, in un’altra opera, un velo candido (che pare un sudario) dicono di una presenza e assieme di un’assenza, di un tentativo di nascondere e di segnare. Di un ricordo e di una volontà di abbandono, ma non al passato.

La salvezza, infatti, è in questa attesa composta e mite ma profondamente dinamica. E l’attesa – nelle mani, nel volto pur celato – è sempre, anche, contemplazione, quindi non banale agire ma apertura, risposta, inquietudine mossa da un’affezione più grande. Non è esitazione ma consacrazione, un “dedicarsi a”. Si attende sempre ciò che è reale e presente, Colui che viene. E così la memoria – quella di chi ha saputo almeno una volta sperare – non è mai sterile, è anch’essa attesa di ciò che ancora vive, contemplazione creatrice. Fiori posati sul cuore, una conchiglia di luce.

La nostra baronessa, Donna P. P., madre di sette figlie, rivivendo nelle stesse parole di Lardo (il testo è presente nel catalogo) ci grida «voglio il fuori» e al tempo stesso il suo desiderio di «sprofondare». Il dolore ne pervade il corpo ma non è totalizzante: l’avvenire avrà casa nella «meraviglia» e nel «miracolo». Così l’artista, scavando nella vita di questa sua nobile ava, in realtà dissotterra tesori imprevisti nella propria esistenza, rendendola più trasparente e facendo entrare — anche per noi che ammiriamo le sue foto e leggiamo le sue parole – un po’ di luce da quel fuori che ci attende.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 novembre 2024

Abbònati qui!

Procida e i suoi Misteri, «ecco la nostra mostra»

20 Apr

Maria Grazia Dainelli e Carlo Midollini hanno immortalato la suggestiva processione del Venerdì Santo nell’isola napoletana. A “La Voce” raccontano questa esperienza

di Andrea Musacci

Un evento collettivo, manifestazione profonda della cultura di una terra, alchimia originale di fede e folclore, storia e devozione popolare. Dal 23 al 28 aprile, l’ex chiostro olivetano di San Giorgio fuori le Mura a Ferrara ospita la mostra fotografica dedicata alla processione dei “Misteri” che ogni Venerdì Santo si svolge a Procida. La mostra – finora esposta solo nell’isola a cui è dedicata – sarà inaugurata alle 10.30 del 23 aprile prima della S. Messa presieduta dall’Arcivescovo mons. Perego alle ore 11.15. Trenta gli scatti in bianco e nero esposti, oltre alla proiezione di un audiovisivo sulla costruzione degli stessi Misteri. Abbiamo contattato i due autori di questo progetto, i fiorentini Maria Grazia Dainelli e Carlo Midollini, fotografi e giornalisti per il mensile di arte e cultura “La Toscana Nuova” (di cui lei è anche Caporedattrice), per farci raccontare il loro progetto. 

CHE COSA SONO I MISTERI

Procida – appena 4 km2, a 40 km dal capoluogo Napoli – è un’isola che solo negli ultimi anni sta diventando un’ambìta meta turistica, dopo che, dal XVIII secolo fino al secolo scorso, è stato un importante centro cantieristico navale. Quella dei Misteri è un’antica tradizione che si svolge fin dal XVII secolo (ai tempi in funzione penitenziale, con anche autofustigazioni). Durante le prime ore del mattino del Venerdì Santo, al risuonar di tre squilli di tromba (che richiamano quelli per i condannati a morte in epoca romana) a cui si risponde con altrettanti colpi di tamburo, da Terra Murata (il centro medievale dell’isola, sul suo punto più alto, dove si trova l’Abbazia di San Michele Arcangelo) parte la processione: a sfilare sono proprio i Misteri, “carri” allegorici costruiti dai procidani, che rappresentano la Passione di Gesù e altri episodi del Nuovo e dell’Antico Testamento. I Misteri sono costituiti da una o più tavole di legno (dette “basi”) lunghe fino a 8 metri e larghe 2, sulle quali vengono allestite le rappresentazioni scultoree. I materiali utilizzati sono perlopiù poveri: cartapesta, legno e stoffa. In passato, i Misteri venivano costruiti nei portoni delle case e svelati solo il Venerdì Santo.

INNAMORARSI DI PROCIDA

Maria Grazia e Carlo iniziano a frequentare l’isola due anni fa: «da lì si è aperto un mondo», ci dicono. La prima mostra che le dedicano è su Palazzo d’Avalos, edificio del XVI secolo, dal 1830 fino al 1988 adibito a carcere, esposta nello stesso Palazzo e a Firenze (una terza mostra su Procida è prevista per il 2025). «Alcuni procidani iniziarono a raccontarci la storia dei Misteri del Venerdì Santo», tipici di varie località del Meridione. L’interesse per questa antica tradizione li cattura, e contattano, quindi, le associazioni che nell’isola li organizzano. L’anno scorso viene loro permesso di assistere alla costruzione dei Misteri, un lavoro collettivo che coinvolge, oltre alla Congregazione dell’Immacolata Concezione dei Turchini, parrocchie e associazioni laiche e dura tutto l’anno. Un grande momento aggregativo, quindi, che vede lo stesso Comune sempre più coinvolto. «Siamo stati in più occasioni a Procida – proseguono i due fotografi – intervistando molte persone che ci hanno permesso di comprendere l’intreccio fra religione, storia e associazionismo sia religioso che laico».

TRADIZIONE E ATTUALITÀ

Il silenzio è ciò che domina la lunga processione dei Misteri lungo le strade procidane. Nel serpentone del corteo risalta la “divisa” canonica della sopracitata Congrega dei Turchini, con saio bianco e “mozzetta” (mantellina) turchese. E poi ci sono i bambini, angioletti addobbati a lutto coi loro abitini neri arricchiti da ricami d’oro. Ma nei Misteri non c’è spazio solo per la storia: «negli ultimi anni – ci spiegano Maria Grazia e Carlo – non danno solo un’interpretazione strettamente religiosa ma li attualizzano: quest’anno, ad esempio, vi erano anche riferimenti alla guerra in Ucraina e alla violenza sulle donne». Negli anni scorsi, anche la pandemia è stata protagonista della processione. «Vi è quindi – proseguono i due – un pensiero, una progettualità, la ricerca di idee e temi sempre nuovi».

Una creazione collettiva, dunque, fra arte e artigianato, mai identica a sé stessa: «dopo ogni processione, i Misteri vengono distrutti. A volte, alcune componenti più artistiche rimangono come cimelio nel museo dei Misteri, ma il ciclo si rinnova e dopo la Pasqua inizia la progettazione per l’anno successivo». 

LO SGUARDO SEMPRE AL FUTURO

L’antica “penitenza” legata ai Misteri rimane nella dedizione appassionata, nei tanti sacrifici necessari per la sua realizzazione, nelle notti bianche, nel peso di questi manufatti da portare in processione lungo le strade dell’isola, un tempo anche dai detenuti. Il segno, indelebile, della tradizione come traccia viva nell’anima di chi la custodisce. Com’è viva nelle mani e nelle menti di queste persone, eredi degli operai e progettisti della stagione dei gloriosi cantieri navali.

Ma l’anima di un popolo, si sa, è sempre difficile da conservare, soprattutto in questi decenni in cui l’abisso fra generazioni si fa sempre più profondo e minaccioso. «Ora – proseguono i due fotografi – i Misteri sono poco più di 40, un tempo erano un centinaio. Negli anni è cresciuta la disaffezione dei più giovani, ma le associazioni dei Misteri cercano comunque di coinvolgerli, di farli maturare attraverso questa esperienza e di tenerli nella vita della comunità».

DA PROCIDA A FERRARA

La nostra città ha, come anticipato, l’onore di essere la prima a ospitare questa mostra sui Misteri al di fuori di Procida. Lo scorso settembre, in occasione della festa della Madonna del salice, il chiostro di San Giorgio ospitò un’altra mostra fotografica dedicata alla devozione popolare nel Meridione, “Matera in cammino: tra fede e cultura” di Cristina Garzone, sulla Festa della Bruna. E per Dainelli e Midollini si tratta di un ritorno nella nostra antica Cattedrale dopo che nel settembre del 2021 vi esposero la mostra “L’informalità. Cuba tra sogno e realtà”, sempre grazie all’intraprendenza del diacono olivetano Emanuele Maria Pirani, curatore delle esposizioni a San Giorgio. Pirani che ha presenziato, dopo Pasqua, al finissage a Procida della stessa mostra dei due fotografi fiorentini. All’inaugurazione del 23 sarà presente anche mons. Perego, la cui attenzione verso i migranti è nota: Procida è anche terra di accoglienza, e ospita il Muro dei Migranti dedicato a chi, oggi come ieri, lascia la propria terra per un futuro migliore.

Ma se San Giorgio richiama anche un’altra isola, quella veneziana (sede della Fondazione intitolata al ferrarese Giorgio Cini), così Procida richiama, in parte, il passato dell’antico borgo ferrarese: nel “Polesine di San Giorgio”, infatti, nell’antica biforcazione del Po nei rami del Volano e del Primaro (la “Punta di San Giorgio”), venne edificata nel 540 d. C. la prima chiesa di San Giorgio. Ora, le radici del nostro passato si intrecciano in profondità con quelle della lontana, ma solo fisicamente, isola dei Misteri.

(Foto: i due fotografi ai lati, al centro Emanuele Pirani)

Pubblicato sulla “Voce” del 19 aprile 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

Quei cieli padani porte verso l’Eterno

20 Gen

“Il cielo parla” è il volume di fotografie di Paola Volpe, con testi di don Graziano Donà: un invito ad alzare lo sguardo e il cuore

di Andrea Musacci

Pezzi di anima che la nostra immaginazione illuminata dal cuore proietta in alto, in una visione speciale, più interiore che esteriore. Sono i cieli che Paola Volpe ha fotografato e raccolto in un volume in uscita questo mese, “Il cielo parla” (Faust edizioni, euro 20). Un progetto ideato assieme all’amica e collaboratrice Olga Nacu e che vede la prefazione, i commenti alle immagini e la conclusione affidate a don Graziano Donà, parroco di San Martino-UP del Poggetto.

UNO SGUARDO DI SPERANZA

Un centinaio le foto contenute nel libro, scatti unici realizzati con un semplice smartphone da cui emerge la capacità di Volpe di perdersi nell’ammirare quel luogo sconfinato che è il cielo. O meglio, i cieli. Quei cieli così cangianti e imprevedibili da rapire chi conserva il desiderio di farsi tutt’uno con loro, catturandone la maestosità, scorgendovi richiami, figure, volti. Tutte porte di accesso verso l’Eterno, verso il Cielo. Nessuno “spettacolo” fine a sé stesso, dunque, ma una forma di preghiera contemplativa.

I cieli padani e del Delta del Po diventano, dunque, luogo di ricerca spirituale. Il libro, per don Donà «non è semplicemente un catalogo di foto ma un’opportunità per fare un viaggio che ci rieduca ad alzare gli occhi verso il cielo, in cui possiamo trovare suggestioni e risposte; capace di dare speranza, di stimolare le idee di cambiamento, di assaporare qualche momento di consolazione e di ritrovare il desiderio profondo della pace». «Il nostro cammino è verso il cielo – scrive ancora – e in questo viaggio abbiamo bisogno di consolazione e di coraggio». A questo servono gli angeli, ai quali è dedicata la prima parte del volume. Il cielo, dunque, «ci invita alla Speranza, cioè all’intima certezza che, oltre ciò che vediamo e ciò che viviamo, c’è un Bene più grande che vogliamo e dobbiamo raggiungere».

SE IL CIELO È DIO

Che la bellezza stia nello sguardo del soggetto è un’iperbole. Ma come tutte le iperboli contiene un nocciolo di verità: senza un cuore aperto e due occhi vivi, è impossibile cogliere la bellezza e la verità che sempre la accompagna, e dunque è come se non esistessero. Associamo tra loro bellezza e verità perché lo stesso volume di Volpe non è un catalogo di capricci estetici, ma un progetto, come detto, fortemente impregnato di spiritualità. Possiamo quindi riflettere su come nella Sacra Scrittura il cielo non sia tanto il firmamento quanto il “luogo” delle creature spirituali – gli angeli – e di Dio. Ma Dio non può stare in un luogo delimitato: il cielo è, quindi, Dio stesso, l’Eterno, la gloria escatologica. È un modo di essere, il fine ultimo dell’uomo, la felicità suprema e definitiva: è la vita in Cristo, la piena comunione in Lui, la Patria eterna alla quale dobbiamo tornare. Non a caso, nella Lettera a Diogneto (testo anonimo del II secolo), i cristiani vengono chiamati «cittadini del cielo».

«“Cieli” è parola che significa la modalità in cui il Dio santo è con sé stesso», scrive Romano Guardini in “La preghiera del Signore”, commento al Padre nostro. «I cieli sono l’inaccessibilità di Dio, sono la beata e inviolabile libertà, in cui Egli appartiene a sé medesimo, come Colui che Egli è (…). Il cielo è l’essere-altro di Dio; ma proprio in questa alterità sta la nostra patria con le “dimore eterne” (Lc 16,9)». Il cielo «non è un luogo che sussista per sé, “in” cui Dio si trovi (…)», prosegue il teologo. «Il cielo è Dio, in quanto Egli dimora presso sé medesimo».

Benedetto XVI in “Gesù di Nazaret” pone ancora più in risalto la nostra nostalgia del cielo/Dio Padre: «Se la paternità terrena separa, quella celeste unisce», scrive. «Cielo significa dunque quell’altra altezza di Dio, dalla quale tutti noi veniamo e verso la quale tutti noi dobbiamo essere in cammino». Un cammino che Volpe compie nella propria esistenza e che con le sue fotografie ci invita a non dimenticare, a compierlo assieme, da pellegrini dell’Eterno.

Chi è Paola Volpe 

Paola Volpe, nata a Lendinara (Rovigo), classe ‘67, vive a Ferrara, ha due figli e, da oltre dieci anni, si occupa di fotografia con soggetto principale il Cielo. In sinergia con Olga Nacu, amica e ideatrice del progetto, l’Artista ha partecipato ad alcune esposizioni di rilievo nazionale e internazionale. Tra le personali: “Il cielo non ha limiti”, Centro Culturale di Palazzo Pisani Revedin a Venezia (settembre 2023); quella al “Dosso Dossi” di Ferrara in programma per marzo 2024.

Olga Nacu, classe ’74, moldava d’origine, è ideatrice del progetto. Vive a Ferrara, è sposata e ha due figlie.

Pubblicato sulla “Voce” del 19 gennaio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

Arte e natura da custodire: nuovi incarichi in Diocesi

2 Ott

Due nuovi incaricati diocesani per tempo libero, turismo, sport e pellegrinaggi: sono don Giovanni Polezzo ed Emanuele Pirani. Nella “loro” San Giorgio, dal 27 al 30 la mostra sulle Valli di Argenta

Dio è il più grande artista, su questo non v’è dubbio. Ed Egli è la fonte e il senso ultimo della bellezza. A ognuno di noi spetta saper riconoscere il dono di questo splendore, cercando di renderne partecipi quante più persone.

È questo che prova a fare Sergio Stignani, fotografo che da tanti anni immortala le meraviglie delle Valli diArgenta, sua “casa”, luogo dell’anima che attraversa e conosce come pochi, occupandosi della gestione dei suoi capanni fotografici ed essendo guida al Museo della Bonifica. Dal 27 al 30 settembre Stignani è stato il protagonista della mostra “Valli di Argenta: un mondo da scoprire”, allestita nel Chiostro olivetano di San Giorgio fuori le Mura in occasione della Giornata Mondiale del Turismo.

Ad organizzarla, l’Ufficio diocesano per la pastorale del tempo libero, del turismo, dello sport, dei pellegrinaggi, che dal 1° settembre ha due nuovi Incaricati diocesani: il diacono Emanuele Pirani e il neo Rettore di San Giorgio don Giovanni Polezzo. Un Ufficio, quindi, che viene rilanciato attraverso iniziative come questa e, in prospettiva, quella più ambiziosa  di dar vita anche nel nostro territorio diocesano a un “Parco Culturale Ecclesiale” (PA.C.E.), come da diversi anni già ne esistono in altre realtà. Un nuovo tentativo di proporre un modello turistico non consumistico, non massificante ma di esperienza anche spirituale. Tentativo che da qualche anno la nostra Arcidiocesi ha già in un certo senso avviato, non solo proponendo nel periodo estivo diverse iniziative soprattutto nei Lidi e a Pomposa, ma cercando di coordinarle tra loro.

Su questo è intervenuto anche il nostro Vicario Generale mons. Massimo Manservigi, presente all’inaugurazione, riprendendo in parte il Messaggio di mons. Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero vaticano per l’Evangelizzazione, in occasione della Giornata Mondiale del Turismo: «c’è bisogno di riscoprire un turismo intelligente – ha detto mons. Manservigi -, per ritrovare equilibrio e un rapporto personale con la natura e con l’arte». Ma non solo: un “turista dal volto umano” è quello che «non considera i luoghi turistici come mere passerelle», ma che invece non dimentica quanto spesso quei luoghi siano anche «luoghi di povertà» o nei quali, proprio a causa del turismo, «tanti lavoratori vengono sfruttati».

Tornando alla mostra di Stignani, è stato proprio Pirani a introdurla mercoledì 27, raccontando innanzitutto l’amicizia nata tra i due lo scorso agosto durante un’escursione nelle Valli argentane. Il diacono ha sottolineato come anche Stignani nella propria opera di custodia e valorizzazione delle Valli, se ne prende cura cercando di «consegnarle alle prossime generazioni come il Creatore le ha a noi affidate».

Mons. Manservigi ha poi elogiato «la pazienza» di Stignani nel cogliere nella fauna valliva quell’attimo irripetibile, oltre alla sua profonda conoscenza non solo della tecnica fotografica ma dello stesso ambiente naturale che da tanti anni contribuisce a conservare.

Un mondo con mille sfaccettature, che le fotografie di Stignani raccolgono cogliendole nella loro estrema bellezza: si passa dai diversi tipi di volatili (solo per citarne alcuni: Martin pescatore, Garzetta, Tarabusino, Ibis sacro,Beccamoschino, Upupa) alle lepre e ai caprioli, alle faine, alle volpi e ai famosi lupi (attualmente 4, ma fino a due anni fa erano il doppio).

Un mondo – lo ripetiamo anche a conclusione del Tempo del Creato – da coltivare e custodire, sempre.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 6 ottobre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

La Matera mariana nelle fotografie di Cristina Garzone

5 Set

L’artista espone a San Giorgio dal 7 al 17 settembre. Ecco il racconto della “Festa della Bruna”

La devozione popolare come segno profondo dell’amore per la propria terra e di come la fede possa innervare di sé la storia e la vita di un popolo. Questo sa bene Cristina Garzone, fotografa di fama internazionale, che dal 2015 immortala l’antica Festa patronale della Madonna della Bruna a Matera, sua città natale.

Le stupende immagini tratte da questo suo reportage verranno esposte a Ferrara in una mostra curata dalla nostra Arcidiocesi e dall’Unità pastorale San Luca-San Giorgio. L’esposizione intitolata “Matera in cammino: tra fede e cultura” sarà visitabile nell’ex chiostro olivetano di San Giorgio fuori le Mura dal 7 al 17 settembre, in occasione dei festeggiamenti per la Madonna del salice.

Cristina Garzone, da molti anni residente a Firenze, nella sua carriera ha ricevuto innumerevoli riconoscimenti tra cui, nell’aprile 2020, la più alta onorificenza della fotografia internazionale MFIAP (Maitre de la Federation Internationale de l’Art Photographique). È è ancora la prima ed unica donna fotografa italiana ad aver conseguito un titolo così importante. 

Negli ultimi tre anni le sono state conferite, fra l’altro, anche le tre ambite onorificenze Excellence FIAP Diamante, mentre lo scorso marzo la FIAF le ha riconosciuto il titolo di IFI (Insigne Fotografo Italiano). 

IL RICHIAMO DEL SANGUE

Meriti – come si suol dire – guadagnati sul campo, nel suo caso diversi luoghi del mondo – fra cui India, Nepal, Etiopia. Proprio al misticismo copto etiope, Garzone ha dedicato un progetto fotografico presentato sempre a San Giorgio fuori le Mura lo scorso aprile. Ma non si può sfuggire al richiamo del sangue, delle proprie radici. 

«Sono nata a Matera – ci racconta Garzone -, e quando avevo poco più di 1 anno con la mia famiglia ho seguito mio padre nei suoi trasferimenti per lavoro: prima a Siena, poi a San Gimignano, quindi a Firenze. Mio padre rimase sempre molto legato a Matera, dove ci portava ogni anno, fino a quando ero adolescente». Negli anni, Cristina perde gradualmente i legami con la sua terra materana, a parte un cugino che dieci anni fa le propone di raccontare Matera attraverso le sue foto. «Mi ha riportato nei miei luoghi, facendomi riscoprire le mie origini». Da qui, l’incontro con i talentuosi artigiani locali – come Andrea Sansone, che per alcuni anni ha realizzato il carro trionfale di cartapesta per la Festa della Bruna – e Mimì Andrisani, ex presidente dell’Associazione “Maria Santissima della Bruna”. A seguire, due mostre a Matera con le sue foto della Festa della Bruna e un libro, “Maria De Bruna. Riti, storia e immagini”, con ricerca curata da Nicola D’Imperio e riflessioni di Marco Tarquinio (ex direttore di “Avvenire”) e mons. Antonio Giuseppe Caiazzo (Arcivescovo di Matera-Irsina).

Le decine di foto che potremmo ammirare anche a Ferrara non raccontano semplicemente questa suggestiva e partecipata Festa, ma tutto ciò che ci gira intorno, il coinvolgimento pieno e appassionato di un intero popolo, per un evento che ha il suo culmine il 2 luglio (dalle 4 del mattino fino a sera), ma che inizia un mese prima. 

ORIGINI DI UNA DEVOZIONE

La devozione alla Madonna della Bruna risale forse al Medioevo. La leggenda narra di un contadino che, di ritorno a Matera dopo la giornata di lavoro nei campi, dà un passaggio sul suo traino a una giovane sconosciuta. Arrivati nel luogo dove ora sorge il rione “Piccianello”, la donna incarica il contadino di consegnare un suo messaggio al Vescovo, scende dal traino e scompare. Nel messaggio è svelata l’identità della giovane, cioè la Madonna, ed è espressa la sua richiesta di restare a Matera. Il Vescovo e il clero si recano subito nel luogo in cui la donna era scesa dal traino e lì trovano una statua della Vergine che, posta su un carretto riccamente ornato, venne portata in trionfo fino alla Cattedrale, dove si trova ancora assieme a un affresco che la raffigura risalente al XIII secolo.

La Festa patronale a lei dedicata nasce invece oltre sei secoli fa, quando papa Urbano VI, già arcivescovo di Matera, istituì nel 1389 la Festa della Visitazione. Ogni 2 luglio, il culmine “profano” della Festa (dopo varie processioni per le vie della città) prevede – una volta “messa in salvo” in Cattedrale l’immagine mariana -, l’assalto (lo “strazzo”) della folla per accaparrarsi un pezzo del carro che la trasportava. 

Segnaliamo, infine, che lo scorso 1° settembre all’unanimità il Consiglio comunale di Matera ha approva e avviato le procedure per il riconoscimento della Festa della Bruna a Patrimonio mondiale dell’umanità. 

Andrea Musacci

(La foto è di Cristina Garzone)

Pubblicato sulla “Voce” dell’8 settembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Purezza e silenzio nelle foto di Cristina Garzone

24 Apr

La mostra “Misticismo copto” esposta nella Basilica di San Giorgio fuori le Mura

Purezza e silenzio, una preghiera fatta anche di gesti lenti, impercettibili.

Sono forti le emozioni che trasmette la mostra di Cristina Garzone, “Misticismo copto”, esposta dal 21 al 25 aprile nell’ex chiostro olivetano della Basilica di San Giorgio fuori le Mura. In occasione della Festa del patrono, la nostra città ha ospitato le fotografie della fotoreporter di fama internazionale. Foto scattate nella città di Lalibela nel nord, patrimonio UNESCO dal 1978, con le sue 11 chiese monolitiche ipogee costruite nel XII secolo e collegate da un intricato sistema di tunnel sotterranei.

«Abbiamo pensato che questo chiostro, per secoli luogo del silenzio, potesse essere adatto per questa mostra», ha detto il diacono Emanuele Pirani durante l’inaugurazione del 21. «Il silenzio e l’osservazione – ha proseguito – sono caratteristiche necessarie perché ogni fotografia sappia cogliere sentimenti, azioni, storia e cultura delle persone, dei luoghi, dei popoli». 

«Lasciamoci prendere dal silenzio, dal fascinosum di queste fotografie», ha aggiunto padre Augusto Chendi, Amministratore parrocchiale di San Giorgio.

Presente all’evento inaugurale anche il nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego: «sono stato due volte in Etiopia, la prima per un progetto Caritas Italiana legato alla guerra, la seconda da Direttore della Migrantes. Nei miei viaggi ho potuto ammirare anche queste meravigliose chiese. È una mostra importante – ha proseguito – anche perché ci fa riflettere sui monasteri presenti nella nostra città, una città storicamente religiosa e di preghiera, fortemente mistica». 

Dopo un breve saluto da parte di don Lino Costa, amico da anni di Garzone, ha preso la parola proprio quest’ultima: «nei sotterranei che ho visitato e fotografato sono venuta in contatto con la gente di queste tribù. Persone dure, difficili, ma devote e che trasmettono un senso di purezza da cui mi sono fatta trasportare. Persone che ho avvicinato considerandole non cose, oggetti del mio lavoro, ma con una dignità. Mi sono avvicinata a loro, quindi, in punta di piedi, mettendomi “al loro livello”. Ero diventata la loro fotografa, ho anche regalato loro una foto scattata da me».

Garzone ha quindi donato due copie della sua foto della chiesa di San Giorgio a Lalibela in Etiopia, una al Vescovo e una a padre Chendi come rappresentante della parrocchia. A lei, invece, padre Chendi ha regalato una statuetta di San Giorgio. Poi, il giro con mons. Perego per presentargli la mostra, attraversando le immagini della processione di Santa Maria, della luce che filtra nelle fessure, del bacio della croce prima dell’ingresso in chiesa, delle scarpe tolte prima di entrarvi. Del profondo raccoglimento e stupore di questo popolo così profondamente – è il caso di dire – immerso nel divino.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Misticismo copto, l’Etiopia tra Matera e San Giorgio: mostra di foto a Ferrara

17 Apr

Dal 21 al 25 aprile la Basilica di San Giorgio fuori le Mura a Ferrara ospita la mostra di Cristina Garzone, fotoreporter di fama internazionale. Le abbiamo rivolto alcune domande

di Andrea Musacci

La Basilica di San Giorgio fuori le Mura ospita la mostra personale di una fotoreporter di livello internazionale, Cristina Garzone. Dal 21 al 25 aprile, in occasione della Festa di San Giorgio, nell’ex Chiostro Olivetano sarà esposto il progetto fotografico dal titolo “Misticismo copto”. Inaugurazione il 21 aprile alle ore 18.45. Protagonista delle opere in parete, la città di Lalibela nel nord dell’Etiopia (a oltre 2600 metri di altezza), patrimonio UNESCO dal 1978, con le sue 11 chiese monolitiche ipogee costruite nel XII secolo e collegate da un intricato sistema di tunnel sotterranei. Come ha scritto Carlo Ciappi a proposito del progetto della Garzone, «è proprio in quell’interiorità della terra che gli Etiopi cercano di immedesimarsi in quell’Uno, di avvicinarsi al suo esempio ideale poggiando mani e volto a pareti non levigate o in presenza di sontuosi arazzi o pregiate rappresentazioni di ogni genere». 

“Misticismo copto” è anche il titolo del suo libro fotografico con contributi, fra gli altri, di Derres Araia (Segretario Diocesi ortodossa Eritrea in Italia) e mons. Antonio Giuseppe Caiazzo (Arcivescovo Diocesi Matera-Irsina). È stato realizzato anche un audiovisivo, a cura di Lorenzo de Francesco (https://www.youtube.com/watch?v=v49yHeP5Wso).

Garzone, originaria di Matera e residente in provincia di Firenze, negli anni ha conseguito numerosi riconoscimenti nei più importanti concorsi internazionali. Fra questi, nel 2010, ha ottenuto il 1° Premio nel concorso “3° Emirates Photographic Competition” in Abu Dhabi, e nel 2014 ha conquistato il Grand Prize nell’8a edizione dell’“Emirates Award of Photography”, sempre in Abu Dhabi: qui, è risultata prima assoluta fra 8500 partecipanti di 58 Paesi, presentando il portfolio “Pellegrinaggio a Lalibela”. Ad aprile 2020 le è stata conferita la più alta onorificenza della fotografia internazionale MFIAP (Maitre de la Federation Internationale de l’Art Photographique): Garzone è ancora la prima ed unica donna fotografa italiana ad aver conseguito un titolo così importante. Infine, nel Luglio 2021 le è stata conferita l’onorificenza EFIAF (Eccellenza della FIAF) e nel marzo 2023 l’onorificenza EFIAF/b. Sue mostre personali sono state esposte in Italia e all’estero.

L’abbiamo contattata per rivolgerle alcune domande.

Dove nasce il progetto “Misticismo copto”?

«Il progetto parte da lontano, nel 2011, quando scelgo di “abbandonare” la mia macchina analogica per iniziare a usare quella digitale, e il mio amato Oriente – sono stata, ad esempio, una decina di volte in India – per visitare il sud dell’Etiopia, alla ricerca delle antiche tribù. Successivamente ho scelto di visitare anche il nord del Paese, in particolare la città di Lalibela, famosa per le sue chiese monolitiche scavate nella roccia».

Cos’ha scoperto qui?

«Ho scoperto innanzitutto queste chiese splendide, scavate nel tufo. Fin da subito mi ha impressionato vedere tanti fedeli così profondamente assorti nella preghiera, molti di loro all’esterno delle strutture, dato che le chiese sono piccole: alcuni di loro – avvolti in mantelli bianchi così da trasmettere una sensazione di purezza – gli ho visti baciare le pareti in segno di devozione». 

Da qui, l’idea del progetto…

«Esatto. Una volta tornata a casa, mi sono confrontata con un noto studioso di storia delle religioni, che mi ha incitato a realizzare un progetto di questo tipo sui copti, mai realizzato prima». 

Com’è nata l’idea di esporre a Ferrara?

«Sono venuta in contatto col diacono Emanuele Pirani tramite don Lino Costa, che conosco da diversi anni e più volte mi ha coinvolto nelle sue iniziative “In viaggio con don Lino”».

Il legame con San Giorgio è profondo…

«Sì, sembra che San Giorgio mi segua ovunque: la chiesa più importante a Lalibela è proprio la chiesa di San Giorgio (Bet Giorgis, ndr), la cui foto aprirà la mia mostra a Ferrara. Tra l’altro, il prossimo 7 settembre tornerò a San Giorgio fuori le Mura per esporre il mio progetto fotografico dedicato alla Festa della Bruna a Matera».

Avremo modo di riparlarne. In ogni caso, Matera per lei non rappresenta solo il luogo di nascita…

«Sì, questo progetto mi fu suggerito da un mio cugino: nel realizzarlo, ho provato emozioni molto forti, ricordi e sensazioni di quando ero bambina e ogni anno tornavo a Matera coi miei genitori. Ho deciso così di lasciare qualcosa d’importante di me nella mia terra, anche in memoria di mio padre, morto quando aveva 58 anni. Sono entrata in contatto anche con diversi artigiani del luogo, fra cui Francesco Artese, maestro dei presepi. Inoltre, lo scorso settembre ho partecipato al Congresso eucaristico nazionale di Matera come fotografa per Logos, la rivista della Diocesi».

A livello di spiritualità, esiste qualche legame tra una terra come Matera e l’Etiopia?

«Sì, a Matera come in tutto il Sud Italia la spiritualità è molto forte, la fede è molto sentita, vissuta in maniera intensa, come in Etiopia. Spesso, invece, al Nord Italia ad esempio, è ridotta a un fatto d’apparenza». 

In generale, qual è il suo rapporto con la fede?

«Sono credente, spesso amo “rifugiarmi” nel convento di S. Lucia alla Castellina a Sesto Fiorentino, perché sento il bisogno di staccarmi dalla quotidianità e perché la vita a volte ti mette davanti a dure prove. Da qui, il mio bisogno di avvicinarmi a Dio, di sentirmi vicino a Lui».

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Festa di San Giorgio, tante iniziative fino al 25 aprile

Lunedì 24 importante Rassegna corale e strumentale diretta da Davide Vecchi

La Festa di San Giorgio, patrono della città di Ferrara, prevede venerdì 21 aprile alle ore 18.45 l’inaugurazione della mostra “Misticismo copto” di Cristina Garzone.

Sabato 22 aprile alle ore 18, S.Messa solenne presieduta dal nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, mentre domenica 23 aprile, S. Messe alle ore 11.15 (solenne) e 18 (in memoria dei contradaioli di San Giorgio).

Lunedì 24 aprile alle ore 21, I^ Rassegna corale & strumentale “San Giorgio, Patrono di Ferrara”, diretta da Davide Vecchi.Si esibirannoCoro della Basilica di S. Giorgio in Ferrara (Dir. Davide Vecchi), Coro dell’Arengo, Bologna (Dir. Daniele Sconosciuto), Ensemble strumentale “Otto e mezzo” Accademia Corale Teleion, Mirandola (MO) (Dir. Luca Buzzavi),Coro da camera del Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara (Dir. Manolo Da Rold).

Ma sono tanti anche gli eventi organizzati dalla Contrada di San Giorgio col Palio di Ferrara:fra questi, “Le Taverne all’ombra del campanile” (dal 21 al 25 aprile), il 22 alle 18 l’inaugurazione dei nuovi giardini della Contrada diSan Giorgio con spettacolo del gruppo sbandieratori e musici; il 23 aprile alle 9.30 è invece in programma la “Caminada Par San Zorz – Trofeo AVIS”. Infine, il 25 aprile sul piazzale San Giorgio alle ore 10, XI Trofeo dell’Idra, Torneo Sbandieratori e Musici.

Pubblicati sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Al Carbone le foto dell’indicibile e antica Ferrara

17 Gen

Una Ferrara antica e monumentale, grandiosa nel proprio incanto. Una fascinazione che rischiamo di perdere, annacquati come siamo nelle abitudini quotidiane, o avvezzi a vedere vacuità invece che bellezza. Anche per questo sono importanti mostre  come “Concrete visioni – Ferrara a passi lenti”, visitabile fino al 29 gennaio (ore 17-20) alla Galleria del Carbone di Ferrara.

La rassegna è il risultato del lavoro del Fotoclub Vigarano nella scia del libro “Nuova guida di Ferrara” di Carlo Bassi in cui l’architetto propone una serie di itinerari di lettura della città. La mostra – che ha il patrocinio del Comune di Ferrara e del Comune di Vigarano Mainarda – ospita 28 foto in bianco e nero, mentre sono 82 quelle nel catalogo, con testo di Lucia Bonazzi e acquistabile al Carbone. «La rinuncia al colore – scrive Bonazzi – valorizza l’incisività delle ombre, mentre le luci conferiscono tridimensionalità ai particolari architettonici, le cui forme e linee diventano più attrattive». L’occhio può quindi posarsi in un preciso punto, su un dettaglio, una fenditura, un minuscolo frammento. Oppure nell’ampiezza di un varco. E fare esperienza, ancora una volta e come non mai, dell’indicibile mistero di Ferrara.

Le foto sono di Alessandro Berselli, Andrea Gallesini, Andrea Giorgi, Davide Occhilupo, Enrico Testoni, Fabio Belmonte, Liana Caselli, Lino Ghidoni, Marco Andreani, Marisa Caniato, Massimo Cervi, Maurizio Marchesini, Sonia Campanelli, Tonina Droghetti, Ulrich Wienand Valentina Mazza, Yolanda D’Amore.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 20 gennaio 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Lutto e apparizione: la mostra di Maria Chiara Bonora

12 Set

di Andrea Musacci

Non si può «accettare la morte come evento in sé dotato di senso. Non si può. Il pane, la luce, la verità, l’amore sono in sé dotati di senso – la morte dell’uomo no». 

(R. Guardini, “Le cose ultime”)

Colmare una mancanza, dare corpo e senso a un’assenza irrimediabile. È il tentativo compiuto dalla fotografa Maria Chiara Bonora dopo la perdita della madre dieci anni fa. Un distacco non rimarginabile, ma a cui l’artista ha cercato – cerca ancora – di dare forma e profondità. Il frutto di questo lavoro interiore è la mostra di foto dal titolo “Non ho mai smesso di respirare”, inaugurata sabato 10 settembre alla Galleria del Carbone di Ferrara e visitabile fino al 25 di questo mese. Ed è la parte più abissale e misteriosa di lei a chiederglielo: quel mondo dei sogni sempre imprevedibile nei tempi e nel linguaggio, e quell’altro regno, della memoria, non meno imponderabile.

In una delle foto (immagine sopra), un volto di donna coperto da un velo sembra segnato dalle ingiurie della morte. Volto (della madre, ma della figlia stessa) che è inganno e consolazione, certezza e fantasia. È quindi con l’immagine che l’artista prova a colmare questo enorme silenzio del distacco ultimo. Tenta di ridare, o di riconoscere, realtà a ciò che è velato ai nostri occhi («Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia» – 1Cor 13,12). L’immagine fotografica è di per sé inaspettata epifania: come scrive Agamben, in ogni foto vi è l’esigenza «di cogliere il reale che si sta perdendo per renderlo nuovamente possibile» (“Il Giorno del Giudizio”). Nel caso di Bonora, l’apparizione ha una forza tale da voler diventare resurrezione, pur simbolica. Un tentativo di risposta alla grande domanda sulla morte e sull’eterno e, forse, anche alla supplica, dolce e oscura, della madre.

Articolo pubblicato su “La Voce” del 16 settembre 2022

La Voce di Ferrara-Comacchio

Il gioco e la visione. Quando tutto sembra ciò che non è: il libro con le sculture di Farina

3 Mag
foto di Simone Sabbioni

“C’è una fiaba in ogni cosa” è il nome del volume appena uscito (curato da Emiliano Rinaldi e Roberto Roda) con gli scatti di sei fotografi in cui protagoniste sono le sculture di Elisabetta Farina

Oggetti e alimenti quotidiani perdono la propria “utilità” e divengono opere d’arte, dando vita a intrecci e sovrapposizioni fra forme artistiche diverse.Si intitola “C’è una fiaba in ogni cosa. Le allegre sculture di Elisabetta Farina” il volume da poco uscito per Editoriale Sometti e curato da Emiliano Rinaldi, fotografo, grafico e curatore, e Roberto Roda, fino al 2018 attivo nel Centro Etnografico ferrarese. Il libro raccoglie i risultati di un workshop fotografico promosso dal Fotoclub Ferrara in sinergia con l’Osservatorio Nazionale sulla fotografia e svoltosi tra il 2018 e il 2019. Protagoniste degli scatti sono le creazioni dell’artista Elisabetta Farina – ferrarese ma residente a Doha, in Qatar –, a metà tra scultura e design, diventate il soggetto di brevi sequenze fotografiche concettuali tra gioco, fiaba e sogno. Il gruppo di fotografi del Fotoclub è composto da Maurizio Bottazzi, Enrico Chiti, Francesco Marconi, Simone Sabbioni, Luca Zampini e Nedo Zanolini. La mostra, tra fine 2019 e inizio 2020 è stata esposta prima al Centro Culturale “Mercato” di Argenta, poi nella libreria-galleria “La Pazienza” gestita da Valentina Lapierre in via de’ Romei a Ferrara. E ora questa pubblicazione, che chiude un percorso di didattica fotografica iniziato nel 2012 con “Ai margini della realtà” dedicato a Blow Up di Antonioni, e proseguito prima nel 2014 con “Giallo, noir e perturbante” (con richiami kubrickiani), poi nel 2016 con “Incatenare Angelica. Chi la salverà?” per i 500 anni dell’Orlando Furioso.Tre sono le parti in cui si divide il progetto artistico. La prima, ambientata nel ristorante “381 Storie da gustare” in piazzetta Corelli a Ferrara, vede pin-up “della porta accanto” giocare con alcune opere della Farina, giganteschi dolci di tessuto, morbidi e opulenti. L’inganno è palese, anzi incentivato: l’ordinarietà del cibo è stravolta, svelando l’intento del “gioco”: nella loro materia, nelle loro dimensioni, le cose appaiono ciò che non sono, rimandando a un puro divertissement estetico. Sono opere d’arte, dunque “inutili”, inutilizzabili, non consumabili. Sono protagoniste di un rito diverso da quello della sacralità culinaria, ma che anzi nella loro leggera irriverenza richiamano l’infanzia. La malizia la aggiungono le modelle, ammalianti ma genuine nella loro stucchevolezza. Il gigantismo dolciario, nella sua surrealtà, sembra un omaggio (o uno sberleffo?) all’inutile, al chiassoso, all’abbagliante universo del consumismo. Con la differenza che nel consumo tutto ha un prezzo, non c’è la gratuità del gioco artistico nella sua purezza, l’abbaglio non confonde per mostrare l’essenza delle cose, ma è vero accecamento.E a proposito di luci e bagliori, nello show room sulle colline di Rimini allestito dall’azienda RiminiRock, specializzata nella produzione di “rocce artificiali” (ad esempio per scenografie di stabilimenti termali), sono ambientate alcune delle fotografie della seconda parte. Le lampade artistiche della Farina prendono il posto, con le loro forme rigidamente definite, dei “cuscini” alimentari di prima. Le luci ora si fanno più soffuse, l’oscuro pervade e avvolge le figure, l’imprevedibile prende il posto dello sfacciato. La stessa allure si fa evanescente, la lampada assopisce, cattura brani dell’anima per una ritualità differente, meno patinata e più esoterica, dove l’eros è più carnale e arcaico.“Gli abitanti dell’Isola di Plastica raccontano la loro storia” è, infine, il nome della terza parte del progetto, anch’esso ambientato fra le finte rocce di RiminiRock. Di nuovo le lampade sono protagoniste di una visionaria fiaba ambientata – con ironia –  nelle oceaniche “Isole di Plastica”, un mondo dove qualsiasi cosa è composta da questo materiale. Degna conclusione, insomma, di un progetto artistico dove l’artificialità la fa da padrone, ora con ironia ora con lieve sensualità: in ogni immagine, tutto è falsificato, ingannevole. Nulla è ciò che sembra. O forse, nulla è ciò che ci si aspetta che sia, e questa non prevedibilità, questa non funzionalità, forse, in fondo, è proprio ciò che permette tanto il gioco quanto il rito, tanto il sogno quanto la visione.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 maggio 2021

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