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Dialogo interreligioso a Ferrara: «Incontriamoci nella carità concreta»

14 Ott


Frammenti dell’incontro

Ebrei, cattolici, protestanti e musulmani si sono confrontati il 10 ottobre a Ferrara per la Giornata Europea della Cultura Ebraica

«Rincontriamoci». Si è concluso con questo auspicio il dibattito organizzato dalla Comunità Ebraica di Ferrara in occasione della 22esima Giornata Europea della Cultura Ebraica.

Una promessa reciproca fra i presenti, nella comune volontà di costruire non solo momenti di confronto amicale ma progetti concreti a favore degli ultimi. E proprio sul dialogo e l’accoglienza dell’altro si sono interrogati i relatori nella tavola rotonda trasmessa in diretta streaming la mattina di domenica 10 ottobre sul tema “Dialogo interculturale sulle problematiche dell’accoglienza del profugo”. Un dibattito rispettoso ma non retorico moderato da Cristiano Bendin, Direttore della redazione ferrarese de “Il resto del Carlino” e introdotto dal saluto di Fortunato Arbib, Presidente della locale Comunità Ebraica.

Col ricordo di Germano Salvatorelli, consigliere ferrarese dell’Associazione Medica Ebraica morto di Covid l’anno scorso, il Rabbino Capo Rav Luciano Meir Caro ha dato il via al confronto. Partendo dalla Torah, ha riflettuto sui doveri nei confronti dello straniero che arriva sulla nostra terra, banco di prova utile anche per «capire meglio la nostra cultura. Lo straniero non deve uniformarsi a noi ma godere dei nostri stessi diritti». Nella Bibbia – ha proseguito – egli «è titolare di particolare protezione divina: chi lo offende, offende anche Dio».

Da Maometto e dagli altri profeti del Corano, «esempi di dialogo e accoglienza dell’altro», ha invece preso le mosse Hassan Samid, Presidente del Centro di cultura islamica di Ferrara. «È importante – ha riflettuto – anche nelle nostre comunità islamiche fare sempre un lavoro sulla paura del diverso. Spesso nelle nostre famiglie c’è quasi il “terrore” di contaminarsi con la cultura di chi ci accoglie, paura di perdere la propria identità e le proprie tradizioni». Invece, per Samid «si può essere italiani senza rinunciare a essere musulmani». «È importante – ha poi concluso – andare per gradi e porre attenzione non solo all’accoglienza momentanea del “forestiero” ma a quella a lungo termine, che porta alla convivenza».

Dell’esperienza all’interno delle proprie comunità ha parlato anche Giuseppina Bagnato, pastora metodista-valdese in servizio a Bologna, in passato alla guida delle comunità di Ferrara e Rimini. «Negli anni ’80 e ’90 – ha spiegato – nelle nostre comunità aumentarono i figli di stranieri, portando spesso le loro difficoltà nell’essere accettati in Italia. Oggi queste nuove generazioni nate e cresciute nel nostro Paese possono indicarci la direzione della convivenza». Convivenza che, per don Andrea Zerbini, Presidente dell’Unità Pastorale Borgovado, non può non «proliferare ai margini, negli interstizi delle relazioni “corte”», nella prossimità di chi si trova a dover convivere con persone o famiglie straniere. «Il modello della fede come mero contenuto da trasmettere – ha proseguito – non funziona più». Ciò che fa la differenza è «lo stile» delle relazioni, inteso come «modo di stare nel mondo». Don Zerbini ha poi parlato della costruzione delle nostre UP come esempio «intercattolico» di dialogo e convivenza fra diversi, lanciando quindi una proposta: «il Centro di Ascolto presente da anni nell’UP Borgovado diventi luogo di incontro» – all’insegna della carità concreta – «fra persone delle nostre comunità religiose». Un’idea subito raccolta da Rav Caro, che ha “incaricato” il sacerdote di organizzare entro la fine dell’anno un nuovo incontro, più “operativo”. Sulla stessa linea d’onda anche Samid, che ha insistito sulla collaborazione fattiva tra le religioni, e la pastora Bagnato: «dobbiamo costruire una comunità interculturale e interreligiosa nel fare concreto».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 ottobre 2021

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Carlo Pagnoni, instancabile tessitore di umanità

14 Dic

Lo scorso 10 dicembre è scomparso un protagonista della vita culturale e civile ferrarese, autore di libri su Luciano Chiappini, don Alberto Dioli e i missionari ferraresi

Un instancabile uomo di dialogo e di pace: è unanime il coro di chi nelle ore immediatamente successive alla sua scomparsa ha offerto a “La Voce” un ricordo di Carlo Pagnoni, morto lo scorso 10 dicembre a 83 anni nella sua casa di via Cappuccini a Ferrara.

«Viveva nel mondo i valori del vangelo»
di don Andrea Zerbini
C’eravamo incontrati non più di un mese fa. Carlo trovava sempre parcheggio davanti a S Francesca Romana; ogni volta tornava a salire quella scala della parrocchia che frequentava negli anni ’50 quando era parroco don Carlo Borgatti. Era iscritto all’Azione cattolica e mi diceva, sorridendo, che don Carlo una volta ebbe a dirgli che egli ascoltava con attenzione quanto lui diceva, ma sempre con un atteggiamento un po’ critico. L’Azione Cattolica attraversò momenti difficili in quegli anni e nel 1954 il presidente nazionale dei giovani di Ac, Mario Rossi, amico e collaboratore di don Primo Mazzolari, rassegnò le proprie dimissioni per dissensi con i vertici della presidenza Luigi Gedda, per via dei Comitati Civici di orientamento fortemente anticomunista. Le sue dimissioni ne provocarono molte altre sia ai vertici che alla base della GIAC e anche Carlo fu tra quelli che se ne andarono. Ma egli se ne andò conservando sul piano personale i rapporti che aveva allacciato nel mondo cattolico, soprattutto con monsignor Giulio Zerbini. Tra loro discutevano dei più svariati argomenti, sempre in maniera molto distesa e serena, anche quando Carlo, nel 196, approdò nel Partito Comunista. Quelle frequentazioni anzi si intensificarono ed assunsero un carattere un po’ diverso, perché la Federazione locale del PCI ed anche la CGIL, in considerazione della sua provenienza dal mondo cattolico, in più occasioni gli chiesero di allacciare rapporti e monsignor Zerbini fu per lui sempre un interlocutore privilegiato, oltre che un amico.
Fu tessitore di umanità attraverso la cultura e l’impegno civico; promotore di incontri tra le due sponde del Volano, nell’oltre Tevere ferrarese. Mi ricordava il cardinale Agostino Casaroli, segretario di stato vaticano e la sua Ostpolitik ma al contrario, il primo come inviato della Santa Sede nei Paesi d’Oltrecortina, Carlo come inviato del partito al mondo cattolico. Egli fu un coordinatore instancabile di incontri sia nelle circoscrizioni e centri sociali sia nelle parrocchie; da sempre impegnato in problematiche culturali e cattoliche, nell’ambito dei rapporti tra chiesa e politiche di sinistra.
Frequentò l’Istituto di Scienze religiose in Montebello e la sua tesi divenne un libro: «Vangelo tra la gente. Missionari ferraresi nel mondo». Per l’editore Corbo pubblicò due libri, su don Alberto Dioli e su Luciano Chiappini. Ricordo che nel 2013 mi invitò con il sindaco Tiziano Tagliani alla scuola di politica del PD per un incontro su: “Il significato del Concilio Vaticano II per la Chiesa cattolica”, presso il Centro Sociale “Acquedotto” di Corso Isonzo.
Non fu quella volta come gli incontri a Brescello, tra Peppone e don Camillo, anche perché il sindaco aveva la tessera dell’Azione cattolica. Sempre documentatissimo, una pregevole biblioteca con testi non solo della storia del Concilio, ma riguardante le più svariate questioni, dall’ecumenismo alla liturgia, dai temi della pace al dialogo interreligioso ed era sempre presente ai convegni di “Teologia della pace” a S. Francesca. Nell’ultimo incontro parlammo delle chiese e comunità ortodosse a Ferrara; mi portò anche uno scatolone di libri sul Concilio. Il suo interessarsi ed aggiornarsi sulla chiesa nel mondo ma anche sulle vicende tristi e liete della nostra chiesa locale non nascevano da una curiosità frivola e superficiale. Era invece desiderio di accrescere il proprio sapere per meglio prendersi cura dell’altro; curiosità che rivelava una disponibilità a mettersi in cuore le ragioni anche differenti degli altri. L’etimologia di “curiosità” deriva da cura, quella ospitale che si apre alla possibilità del confronto e del dialogo. Uno stile quello di Carlo del vivere nel mondo i valori del vangelo e dell’uomo tra la gente. Dietro ogni cura del bene comune sta infatti un progetto di amicizia per provare a costruire la comunità e la solidarietà umana nella città. Così mi piace dedicargli un testo del card. Agostino Casaroli su papa Giovanni che lo ricordano molto: «In Giovanni XXIII la novità non riguardava la dottrina, ma piuttosto il modo di esporla e forse, talvolta, d’interpretarla, senza tradirla o modificarla mai. E di applicarla alle situazioni concrete. Riguardava poi, per così dire, lo stile, nel parlare e nell’agire, sia all’interno sia all’esterno della Chiesa: una maggiore prontezza alla comprensione dell’“altro”; una carica di “simpatia” nello sforzarsi di valutare la mentalità o gli atteggiamenti anche dei più lontani; una capacità di rendersi conto delle loro difficoltà obiettive e l’arte di saper creare un clima di fiducia, nonostante la distanza, o addirittura l’opposizione frontale delle posizioni reciproche; la cura di non offendere le persone pur dicendo la verità». Grazie Carlo.


«Ha tradotto il cattolicesimo sociale nell’impegno politico»
A “La Voce” affida un pensiero anche Alessandra Chiappini, ex Assessora del Comune di Ferrara ed ex Direttrice della Biblioteca Ariostea: «è stato una sorta di “pontefice”, nel senso letterario del termine, creava ponti fra il mondo cattolico e quello della sinistra politica. Lo ricordo come assiduo frequentatore del Centro Studi “Charles de Foucauld”», che aveva sede a casa Chiappini in via Madama, Centro che era «una fucina di elaborazione di senso critico cattolico. Un luogo di confronti a cui Carlo diede un contributo importante, continuo e coerente». Pagnoni, dunque, «ha tradotto tutta la vocazione sociale del cattolicesimo in un impegno politico concreto», del quale si ricorda anche quella di scrittore: oltre al sopracitato “Il Vangelo tra la gente. Missionari ferraresi nel mondo”, Pagnoni curò anche il libro “Don Alberto Dioli da Ferrara a Kamituga” (G. Corbo ed., Ferrara., 1998) e il volume di scritti del padre di Alessandra, Luciano, pubblicati su “la Voce” tra il 1982 e il 2002, “Una voce fedele e libera. Il Taccuino di Luciano Chiappini” (G. Corbo ed., Ferrara, 2000).
Infine, alla figura di Pagnoni, Chiappini associa quella di Aldo Ferraro, morto nel 2015 a 79 anni, impegnato tra l’altro negli anni ’90 nel movimento dei “Cristiano sociali”, poi confluito nei DS.

«Coltivava amicizie e relazioni al di là dei tradizionali steccati ideologici e religiosi»
«Una persona capace di tessere relazioni con tanti mondi politici e culturali. Nella nostra città tutti conoscono la sua raffinata cultura, la passione civile, la conoscenza e appartenenza al mondo cattolico progressista, l’appassionata militanza nella Cgil e nella sinistra politica», è il pensiero di Fiorenzo Baratelli a nome dell’Istituto Gramsci di Ferrara di cui è presidente. «Ricordiamo la sua capacità di organizzatore culturale (pensiamo al circolo culturale di via Bologna di cui fu anima e animatore per molti anni), la sua dote di scrittura, la sua innata empatia e curiosità che gli consentivano di coltivare amicizie e relazioni al di là dei tradizionali steccati ideologici e religiosi. Carlo, in tempi di risse e troppi accesi scontri, si è sempre distinto come costruttore di ponti tra le persone e tra mondi culturali e politici diversi. Tutto ciò ha fatto di Carlo Pagnoni uno tra i maggiori protagonisti della vita culturale della nostra comunità. Ci mancherà, ma chi lo ha conosciuto non dimenticherà mai la sua mite e generosa persona. È stato uno dei migliori figli della nostra città. Troveremo i modi e creeremo le occasioni per ricordarlo come merita».
Sempre dall’Istituto Gramsci, Roberto Cassoli ci confida: «ho saputo della sua morte da un amico comune, Domenico Malagrinò. Ricordo la sua capacità di relazionarsi con le persone, e il fare cultura sempre pensando agli altri, per creare occasioni di incontro e riflessione in ogni ambito. Il suo desiderio era sempre quello di organizzare iniziative per coinvolgere gli altri, per momenti di confronto pubblici. Ho sempre trovato magnifico questo suo grande obiettivo che aveva. Un obiettivo che ha perseguito fin quando ha avuto le forze. Lo vedevo spesso – prosegue Cassoli – seduto su una panchina dal Montagnone a leggere un libro». Rimasto vedovo, gli ultimi anni di vita della moglie aveva abbandonato le sue attività per accudirla.
«Un caro, caro amico, colto e aperto», è invece il ricordo che l’ex Sindaco Tiziano Tagliani affida al proprio profilo Facebook. «Non un intellettuale spocchioso ma una persona attenta alle realtà anche più umili, infaticabile nel ricucire sempre, avaro nel giudicare gli altri e generoso nella disponibilità quando gli si chiedeva una mano. L’ho sentito vicino anche se era da tanto che non lo vedevo».
Infine, è Anna Quarzi, Presidente dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara, a offrirci un ricordo: «eravamo rimasti in contatto. Ricordo le tante iniziative organizzate nel Centro culturale “Mario Roffi” di via Bologna, tra cui il ciclo di incontri “Addio al ‘900” con ospiti di livello nazionale. E poi era un grande lettore: aveva comprato un piccolo appartamento solo per conservarvi i suoi libri, da tanti che ne aveva…».

(a cura di Andrea Musacci)

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 dicembre 2020

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Ecologia e nonviolenza: un cammino di trasformazione personale e collettiva

7 Ott

Nel mese del Sinodo per l’Amazzonia, sono stati circa 150 i presenti nei due incontri del XXIV Convegno di Teologia della Pace svoltosi a Ferrara il 2 e 3 ottobre scorsi. Tanti i relatori, credenti (Piero Stefani, Emanuele Casalino, Giuliano Ferrari) e non credenti (Paolo Cacciari e Daniele Lugli). Il 2 ottobre si è tenuto anche l’ultimo incontro del “Tempo del Creato”

a cura di Andrea Musacci

mahatma-gandhi-a.900x600Dove trovare il giusto equilibrio tra la necessità di una resistenza alla catastrofe climatica che incombe su di noi, e il rispetto dei principi della mitezza e della nonviolenza? Questo è solo uno degli interrogativi emersi dal XXIV Convegno di Teologia della pace, svoltosi a Ferrara il 2 e 3 ottobre sul tema “La mitezza darà un futuro alla terra? Per una ecologia e nonviolenza integrali”, ispirato al passo delle Beatitudini, “I miti erediteranno la terra” (Matteo 5,5). L’appuntamento è stato organizzato da diverse associazioni (Pax Christi, SAE, Banca Etica, AC, ACLI, AGESCI, Movimento Rinascita Cristiana, Ferrara Bene Comune, MASCI), dall’Ufficio diocesano per la pace e la cura del creato, l’Ufficio diocesano ecumenismo e per il dialogo interreligioso, la Chiesa Battista di Ferrara, e con il patrocinio del Comune di Ferrara.

Fra il testo biblico e la “Laudato si’ ”

OLYMPUS DIGITAL CAMERAIl saluto iniziale del primo dei due incontri – svoltosi mercoledì 2 alla presenza di un’ottantina di persone nella sala parrocchiale di Santa Francesca Romana (in via XX settembre) – è spettato a don Andrea Zerbini, il quale si è soffermato sul ricordo di mons. Elios Giuseppe Mori (1921-1994) a cui, insieme ad Alberto Melandri, è stato dedicato il Convegno. Per l’occasione, è stato stampato e distribuito un piccolo opuscolo con alcuni passi di mons. Mori sul tema dell’ecologia e della pace. Il primo intervento ha visto Piero Stefani relazionare sul tema del Convegno: nella Bibbia la terra è promessa ai discendenti di Abramo, al popolo, dunque i padri trasmettono “qualcosa che non possono possedere”. E’ una terra, dunque, “che si eredita, che si accoglie, che mai dovrebbe essere conquistata”. Anche se spesso è proprio così, e questo, certamente, “non fa della Bibbia un testo ecologico”. Dall’altra parte, nel racconto biblico, “Dio ha cacciato alcuni popoli dalla terra che abitavano perché l’hanno resa impura: da qui l’idea, già presente, che stare sulla terra comporti un certo stile di vita”. Fondamentale per capire il versetto delle Beatitudini (Mt 5,5) è il Salmo 37, dove i giusti, i poveri e i miti “sono coloro che alla violenza non reagiscono con la violenza”, ma anche “coloro che prestano denaro, che aiutano chi ha bisogno”. Insomma, “sono coloro che confidano nella volontà di Dio”. Un’analisi dell’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco dal punto di vista di un “laico e agnostico” (come lui stesso si definisce) è stata poi tentata da Paolo Cacciari, scrittore, giornalista ed ex deputato, storico esponente ambientalista. Nell’aprile 2018, Cacciari insieme ad altri ha dato vita all’associazione “Laudato si’ – Un’alleanza per il clima, la terra e la giustizia sociale”, basata sulla lettera–appello sottoscritta da 160 attivisti e intellettuali, fra cui don Luigi Ciotti, don Virginio Colmegna, Erri De Luca, Luigi Ferrajoli, Grazia Francescato, Raniero La Valle, Gad Lerner, Luigi Manconi, Dacia Maraini, Luca Mercalli, Tomaso Montanari, Moni Ovadia, Francesca Re David, Paolo Rumiz, Wolfgang Sachs, Alex Zanotelli, Luca Zevi e padre Mussie Zerai. Un primo grande merito della Laudato si’ – “nella quale il Papa riconosce l’importanza dei movimenti ambientalisti degli ultimi decenni e critica i vari negazionismi” sul tema della crisi climatica – per Cacciari, è di aver “riconciliato un’analisi scientifica della realtà con un’attenzione etica e, direi, metafisica”. Centrale nell’enciclica è il concetto di “ecologia integrale”, da intendere nel duplice senso di “ecologia non superficiale, non piegata a ragioni di marketing o di business”, e nel senso ancora più profondo di “correlata alle questioni sociali, economiche, strutturali. Sarebbe, però, riduttiva una lettura solo ambientalista della Laudato sì”, ha proseguito il relatore: infatti, “questa conversione ecologica sempre più urgente, non può essere affrontata solo da un punto di vista fisico, biologico, o meramente tecnologico. Occorre invece una rivoluzione culturale e spirituale profonda, cercando di immaginare la nostra vita al di fuori delle regole del mercato, della logica capitalista del commercio, del profitto e della competizione”, di questa “economia che uccide”. Per Cacciari non bisogna abbandonarsi a una sterile lamentosità, ma cercare “controegemonie culturali, vere e concrete. La stessa Chiesa dovrebbe essere meno ambigua sulle tematiche legate alla crisi ecologica”. Dal testo biblico aveva preso l’avvio Stefani nel suo intervento e col testo biblico si è chiusa la prima giornata. Cacciari ha infatti criticato il versetto di Genesi 1,28 (“Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra»”). “Penso invece – ha concluso – che bisogna superare ogni forma di antropocentrismo, di specismo e, insieme, di androcentrismo, contrapponendo una forma di ’sacralizzazione’ della natura, iniziando a considerare i suoi beni non totalmente a disposizione degli esseri umani. Va quindi modificata la stessa concezione di esseri umani, pensandoci come interrelati con il resto della natura”.

La pace passa attraverso il sorriso, la testimonianza, la fede e la meditazione attiva: la tavola rotonda svoltasi il 3 ottobre dalle Clarisse

relatoriNel Monastero del Corpus Domini di Ferrara, nel dopocena di giovedì 3 ottobre, si è svolto il secondo appuntamento del Convegno di “Teologia della pace”. Sul rapporto fra ecologia e nonviolenza hanno discusso, moderati da Piero Stefani, Daniele Lugli (Presidente onorario del Movimento nonviolento), Emanuele Casalino (pastore della Chiesa Battista di Ferrara) e Giuliano Ferrari (monaco de “I Ricostruttori nella preghiera” di La Spezia. Lugli ha relazionato sul tema “Ferrara città nonviolenta?”, partendo da un ricordo di Alberto Melandri, insegnante, coordinatore del CIES – Centro informazione e educazione allo sviluppo, rappresentante dell’associazione Cittadini del mondo, scomparso il 10 giugno scorso a 69 anni. Così, dal suo “sorriso ambulante” (la definizione è della figlia di Melandri) Lugli ha proposto ai tanti presenti (una 70ina) una “carrellata” di testimoni della nonviolenza, tutti, come Melandri, portatori di “un sorriso accogliente”. Il pensiero è andato innanzitutto a Silvano Balboni, ferrarese classe ’22, morto giovane, nel ’48, per una grave malattia, organizzatore anche nella nostra città dei Convegni sul problema religioso, un’originale forma di dialogo fra credenti (di ogni confessione) e non credenti, ai quali partecipavano anche alcuni sacerdoti, fra cui mons. Elios Giuseppe Mori (a cui è stato dedicato questo Convegno di Teologia della pace, insieme ad Alberto Melandri). Pietro Pinna (1927-2016), il primo obiettore di coscienza al servizio militare in Italia per motivi politici, è un altro “portatore”, secondo Lugli, di un sorriso indimenticabile, “segno di un animo nonviolento, nonostante una vita difficile, gli arresti e le critiche, contento comunque di non aver ucciso altri esseri umani”. Proseguendo, il relatore ha ricordato il sorriso di don Giuseppe Stoppiglia, ex parroco di Comacchio, deceduto il 24 settembre scorso, da lui conosciuto personalmente nella città lagunare alla fine degli anni ’60, “ritrovato” dopo 30 anni, e rincontrato nel 2016 in occasione della cittadinanza onoraria assegnatali proprio a Comacchio. Infine, un ricordo di Aldo Capitini, padre fondatore del Movimento nonviolento italiano, teorico della nonviolenza come apertura degli esseri all’esistenza nella sua interezza, senza però ’sacralizzare’ la natura. “Anche le varie Chiese Battiste italiane hanno prodotto negli anni diversi documenti ufficiali dedicati alla questione ecologica”, ha spiegato invece Casalino, spostando quindi il discorso sull’altro termine contenuto nel tema della serata. Si può partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso, per fare un breve excursus, quando la Federazione delle Chiese evangeliche nel nostro Paese ha istituto una Commissione apposita sull’ambiente. “Nel giardino di Dio non ci sono rifiuti” è invece il nome del documento di quest’anno che segue diversi altri dal 2014 in poi. In quest’ultimo si denuncia come “l’attuale sistema di produzione e di consumo non faccia che generare rifiuti, compromettendo così il futuro e generando disprezzo verso il Creato”, con lo scarto anche degli esseri umani. La stessa lotta portata avanti da Greta Thunberg è, secondo Casalino, “frutto di una visione integrale della questione ecologica, che chiede quindi un cambio del sistema di produzione, non all’interno del sistema stesso”. Dopo aver citato importanti documenti sulla crisi ecologica, redatti da Legambiente e dall’IPCC (il Gruppo intergovernativo ONU di esperti sul cambiamento climatico) sulle responsabilità dell’uomo nell’aumento della temperatura media globale e di alcuni stravolgimenti all’ecosistema globale, Casalino ha riflettuto su come dovremmo ragionare da credenti: innanzitutto, prendiamo atto come nelle stesse comunità cristiane – delle varie confessioni – “se da una parte c’è una sempre maggiore consapevolezza, dall’altra molti cristiani tendono ancora a ignorare e a sottovalutare il tema”, se non addirittura a negarlo. Da qui il pastore ha proposto alcune considerazioni. Innanzitutto, l’importanza a suo dire di “riflettere su come, da cristiani, confessiamo la nostra fede in un Dio che è anche creatore di tutte le cose, così riconoscendo la centralità del Creato nella struttura dell’esperienza di fede. Ciò purtroppo, però, non ha impedito che anche Paesi dove il cristianesimo era dominante, si siano resi responsabili dell’attuale crisi ecologica”, con, ancora oggi, “diversi ambienti religiosi che sono veri e propri complici di questa situazione, strumentalizzando lo stesso testo biblico”. Un’altra causa della concezione errata di parte del mondo cristiano sul “dominio del creato” nasce, secondo il relatore, nel XII secolo quando si inizia a passare “da un’idea di Dio-Amore a una di Dio come potenza assoluta”, dalla quale deriverebbe la concezione dell’uomo, essendo a Sua immagine, come “colui che poteva disporre della natura per mandato divino”. Legata a questo grave errore, quello di “un’escatologia cristiana sempre più apolittica e sempre meno messianica”. Per Casalino, dunque, oggi è più che mai necessaria “una deontologia ambientale specifica da parte delle Chiese cristiane, non dimenticando mai che il problema non si può affrontare da soli ma collaborando con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, sia delle altre religioni sia non credenti”. Nell’ultimo intervento della serata, Ferrari ha innanzitutto posto una domanda: “chiediamoci non solo quale terra i miti erediteranno, ma anche quale terra loro stessi contribuiranno a costruire”. Da qui l’esempio di Gandhi (ricordiamo che il 2 ottobre era il 150esimo anniversario dalla nascita e la Giornata annuale mondiale della nonviolenza) e di altre figure – dall’Oriente o dall’Occidente -, veri e propri “germogli di una società e di un’umanità non violenta, semi che ci sono ancora oggi e che, se alimentati, crescono, come nel caso di Greta Thunberg o di Carola Rackete”. L’importanza di un approccio spirituale alla questione della difesa del Creato è stata quindi al centro dell’intervento del monaco: “sono gli occhi che devono aprirsi per vedere al di là delle apparenze, per vedere il divino nella realtà”, e dunque rispettarlo e amarlo. “Noi occidentali siamo tecnologicamente molto avanzati ma spesso non abbiamo questa capacità di visione, di vedere oltre, di vedere avanti. Il nostro – ha concluso Ferrari – dev’essere un cammino di coscienza, una trasformazione prima personale poi collettiva che ci unisca al mondo animale, vegetale, all’intero creato e al divino”.

Con S. Francesco per amare i doni di Dio

Un profondo momento di preghiera per concludere nei migliori dei modi il “Tempo del Creato”. Nel tardo pomeriggio dello scorso 3 ottobre, il Monastero del Corpus Domini di Ferrara ha ospitato il terzo e ultimo appuntamento del mese dedicato alla cura del Creato, in concomitanza con i primi vespri della Festa di San Francesco d’Assisi, da 40 anni patrono dei cultori dell’ecologia. Dopo l’incontro del 1° settembre al porto di Gorino e quello del 13 al Santuario del Poggetto, questa volta è toccato alla nostra città – per la precisione alle Clarisse di via Campofranco – di ospitare questo momento di preghiera, con la meditazione tenuta da fra Paolo Barani dei Conventuali di Bologna, intervenuto dopo il racconto del transito del Santo di Assisi. Santo che, fino all’ultimo, ha invitato tutti a lodare Dio: “anche nel momento di maggiore sofferenza, aveva la lode nel cuore, l’ebbe fino all’ultimo respiro”. Nell’agonia che lo porterà alla morte terrena, nell’ospedale di San Salvatore, vicino Assisi, in una piccola cella, fra i topi, “sentiva la presenza del Signore”, presenza che gli ispirò il celeberrimo “Cantico di Frate Sole” (o “Cantico delle creature”). Questa sua divina capacità di vedere l’eterno in ogni creatura, ha proseguito fra Paolo, “è segno che Dio stesso ama le sue creature come vive, mai come mere cose morte, inermi”. Creato che, in quanto tale, non ha e non può avere nessuno scopo specifico, “nessuna utilità, solo di essere riflesso della bellezza, della bontà e dell’amore assoluti di Dio, riflesso che noi possiamo contemplare” per meglio conoscere l’Eterno. In conclusione, prima del saluto finale di don Francesco Viali, direttore dell’Ufficio Diocesano per la Salvaguardia del Creato, il Vescovo mons. Perego ha spiegato come il fazzoletto di terra adagiato davanti all’altare dalle sorelle Clarisse, “ci ricorda la nostra creaturalità e dunque il nostro legame profondo con la terra, che spesso però devastiamo, dimentichiamo, non riconosciamo come ricchezza. Il Sinodo per l’Amazzonia – ha concluso – serve anche a ricordarci come gli esseri umani non debbono sacrificare la terra per i propri interessi utilitaristici, ma guardarla con gli occhi della povertà, del rispetto, della gioia e del ringraziamento”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 ottobre 2019

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Apertura e complessità: il papato di Francesco

11 Mar

Una Chiesa vissuta, globale, ecumenica, sinodale e periferica è quella che Massimo Faggioli il 7 marzo a Ferrara ha descritto come la Chiesa che Bergoglio sta tentando di costruire. Ma le difficoltà sono tante, dalla Cina agli USA e, soprattuto, riguardo al vaso di pandora degli scandali legati alla pedofilia e agli abusi sessuali

4805Un relatore di altissimo profilo è intervenuto la sera dello scorso 7 marzo nella sala parrocchiale di Santa Francesca Romana in via XX settembre a Ferrara. Si tratta di Massimo Faggioli, nato a Codigoro 49 anni fa, residente a Ferrara dal 1978 al 2008, quando si è trasferito negli USA, dove è docente ordinario nel dipartimento di Theology and Religious Studies alla Villanova University (Philadelphia). L’anno scorso è uscito il suo ultimo volume, “Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo. Chiesa, società e politica dal Vaticano II a papa Francesco” (Armando Editore). Faggioli nel suo intervento, al quale hanno assistito una 50ina di persone, ha cercato di ricostruire i caratteri prevalenti dei primi sei anni del pontificato di Francesco, “il primo papa a non essere anche ‘il’ teologo della Chiesa”.

Una Chiesa vissuta, non astratta

Questo non per mancanze del Pontefice, ma perché Francesco è “visceralmente antideologico, odia declinare il cristianesimo in una ideologia – conservatrice o liberale che sia – perché la sua idea di Chiesa è vissuta, è popolare. E questa sua visione la mette in pratica su divere questioni, come ad esempio il tema dell’omosessualità, del matrimonio o del divorzio, temi sui quali non modifica la dottrina ma ha un approccio coraggioso su come la stessa debba essere applicata”, ha spiegato. Per Francesco “non c’è un astratto da applicare a qualsiasi situazione, e questo è un cambiamento epocale”.

Il Papa della globalizzazione e dell’ecumenismo

La Chiesa, inoltre, pur essendo, per sua natura, universale, “per la prima volta ha un Papa davvero globale, e che ha compiuto passi molto importanti a livello ecumenico, con fatti e gesti concreti”. In particolare, si pensi al suo “avvicinamento al mondo islamico”, col quale Francesco “mette in pratica l’idea fondamentale di papa Giovanni XXIII sulla fraternità universale, diversa e più profonda da quella pur importante di dialogo”. Ciò è molto significativo in un mondo “nel quale si alzano muri o dove sono i mari ad essere ’sbarrati’ come se fossero muri”.

Sinodalità e riforme attese

Proseguendo, secondo Faggioli, “Papa Francesco chiama la Chiesa a cambiare anche su come governare se stessa, anche se rimane uno dei problemi di fondo, il fatto che la gerarchia è ancora troppo maschile e clericale. La sinodalità – ha proseguito – è dunque uno dei capisaldi del suo pontificato, intesa come vera inclusione di tutto il popolo di Dio, non solo del clero o degli uomini”. Con i Sinodi e il recente incontro para-sinodale, inoltre, “Francesco ha dimostrato di non considerare il Vaticano come mero palcoscenico per le sue dichiarazioni, ma come luogo per chiamare la Chiesa, da tutto il mondo, a parlare. La speranza – sono ancora parole di Faggioli – è che nella cosiddetta ‘fase 2’ del pontificato, Francesco riesca a fare quelle riforme istituzionali così difficili da portare a termine, a causa delle tante resistenze”.

Nelle periferie “impossibili”

Riguardo al rapporto col mondo, Faggioli ha poi spiegato come “il Papa sceglie di compiere i suoi viaggi prevalentemente nel mondo post-cristiano o dove i cristiani e in particolare i cattolici sono minoranza, perlopiù piccola”. Fra i gesti più importanti da lui compiuti, ricordiamo l’incontro col Patriarca di Mosca, Kirill, all’aeroporto dell’Avana nel settembre 2016, e, due anni dopo, l’accordo col governo cinese sulla nomina dei Vescovi.

USA, il punto dolente

Ampio spazio Faggioli ha poi dedicato, com’è logico dato il punto di vista privilegiato, alla situazione negli States. “Quando Bergoglio venne eletto al soglio pontificio – ha spiegato -, mi accorsi subito che ci sarebbero state tensioni nei suoi confronti, ma mai avrei pensato che sarebbero state così forti. Negli USA c’è una forte resistenza politica, sociale e culturale nei suoi confronti, con picchi di tensione registrati durante il Sinodo della famiglia – Amoris Laetitia per la stragrande maggioranza dei vescovi nordamericani è come se non esistesse -, e con l’elezione di Trump a Presidente.

“Abusi, se ne parlerà ancora per molto tempo”

La condanna del cardinale Pell, il caso dell’ex cardinale McCarrick e le accuse al Papa da parte dell’ex nunzio apostolico a Washington Viganò. Questi sono solo alcuni dei casi più gravi ed eclatanti nell’intera terribile vicenda riguardante gli scandali sessuali che hanno coinvolto sacerdoti, vescovi e cardinali. Riguardo a Viganò, “il fatto che lo scorso settembre fu appoggiato da alcuni vescovi e cardinali (molti dei quali statunitensi, tra cui il cardinale Daniel DiNardo, presidente della Conferenza episcopale americana, ndr), mi ha fatto davvero temere per uno scisma: andavo a letto senza sapere se il giorno successivo avrei trovato ancora una, oppure due, tre Chiese diverse”, ha commentato Faggioli. La questione della pedofilia e degli abusi sessuali nella Chiesa, “oltre a essere legata a diverse questioni teologiche, è connessa in modo forte a questioni politiche. Siamo di fronte a una crisi epocale, siamo come all’inizio di Mani Pulite: non si può prevedere cosa accadrà. Papa Francesco comunque – sono ancora sue parole -, è cosciente del fatto che che questo bubbone non è scoppiato ancora del tutto, e vuole invece che accada, non vuole coprire niente, vuole che i crimini emergano e che vengano puniti. Di sicuro, di questo tema se ne parlerà ancora per molto tempo, e sempre più anche nel nostro Paese”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 marzo 2019

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