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“Passione cinema”: il libro con 25 anni di Micalizzi sulla “Voce”

13 Dic

Paolo, nostro collaboratore dal 1967, ci ha lasciati il 20 ottobre 2024: lo ricordiamo col libro che tanto desiderava e un incontro giovedì 18 dicembre a Casa Cini

[Qui la locandina dell’iniziativa del 18 dicembre]

di Andrea Musacci

È con grande commozione che come Voce presentiamo il libro di Paolo Micalizzi dal titolo Passione cinema. Oltre un secolo di film, volti e storie, che esce come supplemento della nostra rivista. Paolo ci ha lasciati il 20 ottobre 2024 (erano giorni miti e piovosi) e fino all’ultimo è stato un fedele e costante collaboratore del nostro Settimanale.

Il libro è una sorta di antologia-testamento: raccoglie oltre 25 anni di collaborazione con la Voce, dal 1999 al 2024. Ho avuto la fortuna di curare questo volume, ma più che curatore ne sono stato co-curatore, insieme a Paolo. Questo, infatti, non è un libro dedicato a lui ma è il suo libro, il libro che lui ha desiderato, sognato, che ha ideato e organizzato, col sostegno mio, di don Massimo Manservigi e di Laura Magni.

Il volume verrà presentato – in collaborazione col Circolo della Stampa di Ferrara – giovedì 18 dicembre alle ore 17.30 a Casa Cini, Ferrara (via Boccacanale di Santo Stefano, 24 – v. locandina a pag. 5). Il volume (prezzo 15 euro) sarà acquistabile in quell’occasione o successivamente a Casa Cini (contattare il numero 350-5210797) o nella Libreria Paoline di via San Romano.

IL LIBRO: GENESI E STRUTTURA

Gli articoli contenuti in questo volume sono stati pubblicati nella rubrica settimanale Panorama Cinema, poi diventata Cinenotes. Il lavoro per la pubblicazione inizia nel 2024 con la scelta degli articoli, la correzione, il disporli in senso cronologico (il più vecchio è del giugno 1999 ed è dedicato a Mario Soldati; i più recenti sono dell’aprile 2024 e sono due articoli “religiosi”, uno sulla Cattedrale di Ferrara e l’altro sulla figura di Gesù Cristo nel cinema); e poi il dividerli per macro sezioni (Cinema italiano, Cinema internazionale, Cinema ferrarese, Cinema religioso); e le prime due macrosezioni – le più corpose – nel suddividerle a loro volta in cinque sottosezioni: Dive&Divi, Maestri della regia, Storia, arte e letteratura, Protagonisti della settima arte, Coppie: gli indivisibili. Poi vi è stata la stesura degli indici (quello generale e quello dei nomi) e la scelta delle immagini. E a proposito di queste, Paolo per la copertina mi aveva suggerito di usare una locandina del cinema dei fratelli Lumière del 1895.

(Leggi l’articolo intero e il ricordo scritto da Maurizio Villani qui).

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 12 dicembre 2025

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Don Santo Perin che donò la vita per uno sconosciuto

9 Mag

Il docufilm di don Manservigi. A Santo Spirito la versione inedita de “L’unica via” con backstage e animazione. Ecco la storia di un martire del Vangelo, morto a 27 anni a Bando di Argenta.Il 13 maggio serata cinefila con tante sorprese

di Andrea Musacci

Il racconto del sacrificio estremo, quello della propria vita e – insieme – il racconto delle nostre terre e del nostro popolo durante la guerra. È stata una serata particolarmente toccante quella dello scorso 29 aprile al Cinema S. Spirito di Ferrara per la proiezione della versione inedita del docufilm “L’unica via” del regista don Massimo Manservigi e dedicato a don Santo Perin. La nuova versione è introdotta da scene inedite dal backstage e dal lavoro – anch’esso inedito – di Laura Magni per la grafica, il compositing e la titolazione, e della stessa Magni assieme a Giuliano Laurenti (entrambi dell’UCS – Ufficio Comunicazioni Sociali Diocesano) per l’animazione in video real grafica di diverse immagini della pellicola, oltre che di foto e filmati dell’epoca. La sera stessa, il Cinema di via della Resistenza ha ospitato due piccole mostre dedicate a don Perin, una delle quali inedita, e realizzate dallo stesso UCS Diocesano. La prima, fu ideata e creata nel 2010, dopo l’uscita del film; l’altra, rimarrà esposta fino all’11 maggio nella chiesa di Santo Spirito. Ricordiamo che questo del 29 è stato il secondo dei tre incontri del ciclo dedicato al cinema di don Manservigi, dal titolo “Ti ho ascoltato con gli occhi”, che si concluderà il 13 maggio (alle ore 21, ingresso gratuito, e alle ore 20 con buffet offerto ai partecipanti) con “Laboratorio di immagini. Come nasce un documentario tra narrazione e realtà”, con aneddoti legati ad alcuni film. Il primo incontro, tenutosi il 25 marzo, ha visto invece la proiezione dei documentari “Come il primo giorno” dedicato all’artista Giorgio Celiberti, e “Nzermu. Accesa è la notte”, dedicato a p. Anselmo Perri sj.

Tornando a “L’unica via”, la prima fu il 14 ottobre 2010 al Multisala Apollo di Ferrara, per l’occasione gremito di persone.E non pochi erano nemmeno i presenti  a S. Spirito. Qui, don Manservigi, nel presentare il film, ha posto ripetutamente l’accento sulla partecipazione di tante persone – soprattutto dell’argentano e di Ferrara – nella realizzazione della pellicola.Una partecipazione di non professionisti a titolo gratuito che ha dato vita, possiamo dire, a una comunità, «alla nascita o al rafforzarsi di relazioni di amicizia e di stima ancora oggi vive». Il film è, quindi, anche «un album di famiglia». Nel futuro, vi sarà anche la pubblicazione di un romanzo breve dedicato a don Perin, scritto da Barbara Giordano (Ufficio Comunicazioni Sociali Diocesano), co-sceneggiatrice del film.

Ricordiamo, fra gli altri protagonisti del progetto, Roberto Manuzzi per le musiche, Nicoletta Marzola per la scelta dei costumi d’epoca, Scolastica Blackborow per la fotografia di scena e Alberto Rossatti come voce narrante. Decisiva, già prima della realizzazione del film, anche la figura di Sergio Marchetti, Presidente del Comitato “Amici di Don Santo Perin”, che ha sposato Rosanna, una delle nipoti del sacerdote, e che ha svolto il ruolo di addetto al coordinamento durante le riprese. Il film inizia proprio con immagini inedite del backstage e interviste ad alcuni dei protagonisti, fra cui don Stefano Zanella – che interpreta don Perin -, allora sacerdote da appena 2 anni, e oggi parroco dell’Immacolata di Ferrara, Direttore dell’Ufficio Tecnico Amministrativo Diocesano e neo Presidente del Museo della Cattedrale.

Nel docufilm si alternano parti di cronaca storica ad altre di narrazione della vita – interiore e non – di don Santo e delle persone di Bando di Argenta a lui affidate. Ad arricchire il racconto, testimonianze e ricordi di Dolores Filippi, sorella di Pino, il giovane morto con don Santo, Bruno Brusa, e diversi nipoti di don Santo, oltre allo storico Rino Moretti e a molti altri. Quella di don Perin – «figura piccola sul piano storico ma grande sul piano umano», come ha detto don Manservigi -, è una delle vittime di un gruppo specifico nella seconda guerra mondiale: 7 sono stati, infatti, i preti ferraresi, o attivi nella nostra provincia nella Seconda guerra mondiale, uccisi nello stesso periodo, su un totale di 123 sacerdoti e religiosi ammazzati in Emilia-Romagna negli stessi anni, come ha ricordato il nostro Arcivescovo mons. Perego nel saluto finale.

TUTT’UNO COL SUO POPOLO

Il docufilm di don Manservigi è anche un racconto popolare, della vita umile nelle campagne nel difficile periodo della guerra.E così la vita di don Santo è quella di una famiglia contadina, di un ragazzino presto dovutosi abituare al lavoro nei campi ma che non per questo non si innamorò dello studio, anzi.

Santo Perin nasce il  3 settembre 1917 a Trissino (Vicenza) da Crescenzio Luigi e Maria Miotti e 6 giorni dopo è battezzato al fonte della chiesa parrocchiale di Sant’Andrea Apostolo. Proprio nella località vicentina, l’Amministrazione, oggi, sta pensando di dedicargli una via. Nel ’24 la sua famiglia emigra ad Argenta, ma si pensa che alcuni Perin si siano recati lì già nel ’22 per valutare l’acquisto di alcuni terreni, e per l’occasione abbiano conosciuto quella che di lì a breve diventerà una delle prime vittime del fascismo: il parroco don Giovanni Minzoni. Passano 10 anni e il 28 novembre 1933 Santo decide, nonostante la giovane età, di iniziare il cammino che lo porterà al sacerdozio. Prima tappa, l’Istituto Missionario Salesiano “Cardinal Cagliero” di Ivrea (Torino). Nel ’36 muore il padre, stroncato da un infarto e un anno dopo Santo entra nel Seminario Arcivescovile di Ravenna dove il 5 dicembre 1943 riceve il diaconato e pochi mesi dopo, il 25 marzo 1944, l’ordinazione sacerdotale. Il 17 giugno dello stesso anno termina gli studi teologici e lascia il Seminario per essere destinato a Bando di Argenta come vicario cooperatore del parroco don Enrico Ballardini, che però, ormai molto anziano, muore pochi mesi dopo, lasciando al giovane l’intera responsabilità della parrocchia. Fin da subito, don Santo si dimostrerà un pastore attento a ogni singola persona a lui affidata; come ogni padre, capace di dosare tenerezza e fermezza, di rapportarsi ai più piccoli come ai più anziani, con una spiccata sensibilità che solo la fede nel Dio incarnato può donargli.

Il periodo non è di certo uno dei più facili, con la guerra che incombe e soffoca la vita delle persone. Guerra che nel film di don Manservigi innerva gesti, parole ed emozioni dei protagonisti, divenendo, delle loro esistenze, sfondo e ossatura, e intrecciandosi a quei riti quotidiani – una donna che impasta il pane, i bambini che giocano a calcio con un pallone di stracci -, come la nebbia che tutto avvolge e ovatta. Ma, scriveva il giovane parroco nel proprio diario, «sorriderò e il buio della mia anima si dissiperà»: incessante, infatti, è la sua preghiera al Padre, non tanto per sé ma, sempre, per questo suo popolo affidatogli; tanto che il paese si rappresentava in lui, e lui era il suo paese. Emblematica, a tal proposito, la scena della consegna da parte dei bandesi delle chiavi delle loro case a don Santo prima di sfollare nei campi. Don Perin scelse di vivere così il proprio servizio a Cristo e al suo pezzo di Chiesa: confortando i sopravvissuti, medicando i feriti come un buon samaritano, dando degna sepoltura ai morti. E svolgendo buona parte della propria missione sulla strada, da Bando a Filo, da Bando a Longastrino e ritorno, sempre inforcando la propria bicicletta, a portare i sacramenti e la prossimità, fisica e spirituale, del parroco, dell’amico, del Signore dei poveri e degli sfollati, medico per le ferite delle loro anime, capace anche di vincere il male di una guerra assurda e fratricida.

«Signore accetta la mia vita. Non avrò paura della morte. Il futuro è tuo», scriverà sempre nel suo diario. 

E così vivrà, fino all’ultimo: tra il 10 e il 18 aprile ’45, gliAlleati sferrano l’attacco definitivo contro le ultime difese tedesche, provocando rovina e morte anche a Bando, dove don Santo celebrerà il rito di benedizione per 40 vittime, aiutando lui stesso a scavare la fossa. Il 25 aprile 1945, quando il Ferrarese è già stato da alcuni giorni liberato dall’invasore, il giovane prete viene a sapere che lungo l’argine del canale Benvignante c’è il corpo di un soldato tedesco, e subito decide di andare a seppellirlo. Perché rischiare la propria vita per un morto, perlopiù “nemico”? Ma la logica che muove don Santo non è quella di questo mondo, ma quella del Regno: i nemici vanno amati, perché tali non sono, ma fratelli nostri. DonSanto parte, seguito da alcuni ragazzi che si offrono di aiutarlo. L’esplosione di una mina li investirà, dilaniando a morte il corpo del giovane Giuseppe “Pino” Filippi e riducendo in fin di vita don Santo, che morirà il giorno dopo all’ospedale di Argenta. Nel cimitero di questa località verrà sepolto, ma le sue spoglie mortali il 20 aprile 2002 saranno traslate nella chiesa parrocchiale di Bando. Nel cippo posto sul luogo della sua morte, sono incise le parole di Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Solo il Cristo Risorto può essere la fonte di questo amore assurdo.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 maggio 2025

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(Immagine: un frammento dal docufilm di don Manservigi)

Sopra il mare vi è una Speranza: a due anni dal naufragio di Cutro

27 Feb

A Santo Spirito la proiezione del commovente documentario  “Cutro Calabria Italia”. I corpi dei bambini, i detriti, le grida. E quelle rose che spuntano, quei volti di carità

di Andrea Musacci

«La morte è stata sommersa nella vittoria». (1Cor  15, 54)

Il racconto si apre col buio squarciato dalla dolcezza della luna e – da una barca – con gli occhi di una donna sgranati a intuirvi speranza. E si chiude con altri occhi, quelli «azzurri» dell’Alì di Pasolini: «Saranno / con lui migliaia di uomini / coi corpicini e gli occhi / di poveri cani dei padri / sulle barche varate nei Regni della Fame».

Una forte ma discreta commozione ha attraversato la sala del Cinema Santo Spirito di Ferrara la sera del 21 febbraio scorso, in occasione della proiezione – in contemporanea con oltre 50 Sale della Comunità in tutta Italia – del documentario “Cutro Calabria Italia”.L’evento organizzato dall’ACEC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) – e patrocinato da Fondazione Migrantes e Ufficio Nazionale CEI per le Comunicazioni Sociali -, per commemorare il secondo anniversario della tragedia di Cutro, ha visto in via della Resistenza un’80ina di partecipanti.

La notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 a Steccato di Cutro (Kr), persero la vita 94 persone, tra cui 34 minori. L’imbarcazione, partita dalla Turchia e carica di oltre 180 migranti provenienti da Afghanistan, Pakistan, Siria, Somalia e Iraq, si infranse contro gli scogli a pochi metri dalla costa calabrese.

In collegamento con le Sale, S.Spirito compresa, il regista Mimmo Calopresti: «il migrante è una persona che ha bisogno di te, non una di cui non fidarsi», ha detto. «Ho scelto di fare questo documentario per non dimenticare ma anche per raccontare la reazione di carità di tanti calabresi». Collegato anche il Sindaco di Cutro Antonio Ceraso:«lo abbiamo vissuto come un lutto di famiglia», sono state le sue parole. «A Cutro siamo già nella fase di integrazione dei migranti e dello scambio culturale con loro. Ho deciso anche di creare un cimitero islamico, e in una posizione non periferica: a migliaia da tutta la nostra Regione avevano offerto ognuno un loculo per le vittime».

A S. Spirito era presente anche mons. Gian Carlo Perego, nostro Arcivescovo e Presidente Fondazione Migrantes, intervenuto anch’egli in collegamento con le altre Sale: «una serata come questa – ha detto – è importante non solo per la memoria dei drammi passati, ma anche per ricordarci come purtroppo ciò avvenga ancora».

«Il film ci abitua anche a non banalizzare tragedie come queste, a non abituarsi – come si rischia sentendo sempre le notizie dei tg – ai morti in mare», ha invece detto l’ex Ministro Patrizio Bianchi (titolare Cattedra Unesco educazione, crescita ed eguaglianza a UniFe).«Oggi è sempre più forte una sistematica e continua educazione all’odio».

SE GESÙ PASSA SU QUELLA SPIAGGIA

Ma un modo per combattere contro questo odio strisciante e sempre più sfacciato e volgare, è, ad esempio, quello di guardare le immagini di quella spiaggia maledetta: quello straccio – forse un vestito – che galleggia sull’acqua, i detriti sulla rena, i corpi che riaffiorano.E poi quei vestitini e quei giocattoli di bimbe e di bimbi, e la fila di sacchi bianchi sulla sabbia, poi sostituiti dalle bare dentro il palazzetto dello sport, con le urla strazianti dei famigliari delle vittime a squarciare ancora quel cielo che pare lontano. 

Dicevamo di Pier Paolo Pasolini: in queste terre trovò la Maria del suo Vangelo secondo Matteo (la giovane crotonese Margherita Caruso) e altri volti per il suo film, oltre a luoghi nei quali girò alcune scene (i calanchi di Cutro e la spiaggia delle Castella, frazione di Isola di Capo Rizzuto). E proprio del Vangelo pasoliniano, Calopresti mostra un frammento di sequenza molto suggestivo, quandoGesù chiama Simone e Andrea: «Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,18-22). La proposta assoluta è sempre la stessa: aiutate i vostri fratelli e sorelle a salvarsi, e solo così anche voi troverete la salvezza. Nella carità e nella fede, nell’abbandono e nella sequela a Cristo, troverete il Regno. Perché in quel mare, su quella spiaggia, l’ultima parola non l’ha il maligno con la sua tempesta che sembra inghiottire nel nulla corpi, sorrisi, speranze.

Là in quell’angolo d’Italia – come nel documentario di Calopresti – vedi che quei detriti si trasformano in una croce di legno e uno squarcio, nel cielo, di nuovo ricompare. Ora anche le rose rosse possono “crescere” e vibrare al vento su quella spiaggia. Quelle urla strazianti non risuonano più nel vuoto, anche le lacrime dei soccorritori, prima ricacciate a forza dal vento e dall’urgenza, ora possono tramutarsi in lode, memoria, abbraccio.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 febbraio 2025

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Shoah, fare memoria del male per un avvenire diverso 

5 Feb

A S. Spirito “Il giardino dei Finzi Contini” con dibattito. Il terrore e quel finale dolce

di Andrea Musacci

L’urgenza non solo della memoria del male che è stato, ma della denuncia di quello che è ancora e del rischio di quel che potrà essere. E l’urgenza contro il tempo che corre e che rischia di seppellire il ricordo di quei fatti. Di questo si discute ogni Giorno della Memoria – e non solo -, perché gli anni passano e il periodo in particolare fra il 1938 (entrata in vigore delle leggi razziali nel nostro Paese) e il 1945 si allontana sempre più, forse anche dalla coscienza e dal cuore delle nuove generazioni.

Di questo si è riflettuto la sera dello scorso 27 gennaio nel Cinema S. Spirito di Ferrara in occasione di un incontro promosso dallʼUfficio Diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso, che ha visto la presenza di circa 120 persone. La proiezione della versione restaurata de “Il giardino dei Finzi Contini” di Vittorio De Sica (’70) è stata preceduta da un momento di confronto – moderato da Alberto Mion – che ha visto gli interventi del nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, di Amedeo Spagnoletto (Direttore MEIS Ferrara), di Anna Quarzi (ISCO Ferrara) e Carlo Magri (docente UniFe ed esperto di cinema locale).

IL DIBATTITO: DOVERE E DIFFICOLTÀ DEL RICORDARE

«Bisogna sempre cercare il dialogo e prestare attenzione all’antisemitismo che dà segnali preoccupanti. Mai dimenticare l’importanza della relazione con l’altro e con la diversità, anche religiosa», ha detto il Vescovo. Dicevamo della memoria, e Spagnoletto ha così esordito: «Mi interrogo sempre su quale sarà il futuro della memoria della Shoah». Ha poi raccontato un aneddoto su Edith Bruck, scrittrice classe ’31 di origini ungheresi sopravvissuta ad Auschwitz e ad altri campi tedeschi: «ieri l’ho intervistata. “Testimonierò – mi ha detto – finché avrò un alito di vita. Ritengo che i semi che abbiamo piantato daranno frutti”. Liliana Segre invece è molto preoccupata che fra qualche anno sulla Shoah possano rimanere solo poche righe nei libri di scuola». 

Ricordiamo che il giorno successivo, Edith Bruck si è collegata con la nostra città in un incontro organizzato dal MEIS e riservato alle scuole. Al MEIS «in questi giorni – ha spiegato quindi Spagnoletto – abbiamo promosso ancor più visite del solito. Il nostro impegno è rivolto soprattutto ai più giovani, con attività pensate appositamente per loro. L’ultimo anno è stato difficile». Il riferimento è alla strage del 7 ottobre 2023 e alla guerra: «spesso nella comunicazione e nel dibattito alcuni decontestualizzano la Shoah e fanno un uso sbagliato delle parole». La memoria, invece, «è come un giardino che va annaffiato costantemente. E le erbacce – antisemitismo, razzismo, mancanza di dialogo – vanno tolte di continuo. Per voi, essere qui stasera – ha concluso -, significa voler ricordare le responsabilità che anche la città di Ferrara ha avuto dal 1938 al ‘45».

Senza nulla togliere al regime di terrore instaurato dal Fascismo fin dai suoi esordi (e prima di prendere il potere), giustamente Quarzi ha ricordato come a Ferrara fino al 1938 il podestà fosse ebreo (Renzo Ravenna), così come ebrei erano il Presidente della Cassa di Risparmio, quello dei Consorzi Agrari e i Presidi dei Licei Classico e Scientifico. «Nel film – ha proseguito – la tragica perdita dei diritti viene narrata in un’atmosfera ovattata: Ferrara è “la città dalle persiane socchiuse”, come la chiamò Guido Fink. Ed è la stessa Segre a parlare spesso del pericolo dell’indifferenza». 

Magri ha poi raccontato diversi aneddoti legati alla genesi e alla realizzazione del film, partendo anche dal suo recente libro “Ferrara, città e provincia nel cinema”, dov’è presente anche un capitolo sulla “Ferrara ebraica”. «De Sica all’inizio non era molto propenso a girare il film – ha detto -, avendo dubbi su alcuni aspetti della sceneggiatura, ad esempio sull’uso dei flashback».

IL FILM: DOLORE E SPERANZA NELLA REALTÀ

La famiglia protagonista del romanzo di Bassani, e poi del film di De Sica, è ispirata a quella dei Finzi Magrini: Silvio Finzi Magrini ha infatti “suggerito” nello scrittore la figura di Ermanno Finzi Contini, capostipite della casata e padre di Micòl. I Magrini a Ferrara vissero al numero 76 di via Borgo dei Leoni. «Persino il cane Ior che si vede nel film – ha spiegato Quarzi – è identico a quello della famiglia Magrini». Nella pellicola, la dolce atmosfera di una serena giornata di sole sembra rompersi, quasi fin da subito, per la presenza del cane che enorme giace poco dopo il grande ingresso, intimorendo così i giovani diretti verso il campo da tennis. Non fa male, non aggredisce, non aggredirà: di lui si può dire, non di quella fiera disumana che è il nazifascismo. Alberto (Helmut Berger), fratello di Micòl (Dominque Sanda), confessa il timore di essere aggredito là fuori, gli altri no, non si sa se per incoscienza o rimozione di ciò che li terrorizza. Sta di fatto che man mano che le vicende si susseguono, anche la luce esterna si spegne sempre più, il buio diventa padrone. Quel buio nei cuori, che non concede rifugio né pietà. Nemmeno le mura di cinta della proprietà dei Finzi Contini – che sembra sconfinata – sono sufficienti per evitare l’avanzata del male. E l’assurdo dell’Olocausto è anticipato dall’assurdo di Micòl che nega il proprio amore (antico e ancora vivo) per Giorgio (Lino Capolicchio): come se la morte terribile che la attende iniziasse a roderla dentro nella forma dell’odio, dell’isolamento che stringe lei e gli altri ebrei in una lenta morsa fatale. 

Solo la sequenza finale sembra poter restituire – a noi, inerti spettatori – un ricordo e un sogno della sua bellezza, della sua giovinezza spensierata. Sulle note di “El Maalè Rahamim” (canto poetico in lingua ebraica usato come preghiera per le persone morte di morte violenta), Micòl, Alberto e gli amici sembrano venirci incontro trasfigurati, coi loro corpi e col loro amore folle della follia dei bambini. 

«Che dunque il Signore di Misericordia / lo nasconda tra le Sue ali per sempre / e avvolga la sua anima nella vita eterna. / Dio sia la sua eredità / e possano riposare in Paradiso».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 febbraio 2025

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Antonioni e la sua «Ferrara sempre nel cuore»

15 Gen

Presentato in Biblioteca Ariostea il volume “Infinito Antonioni”. Gli aneddoti della nipote

Il piccolo ma ricchissimo mondo di Ferrara e il grande e caotico universo degli anni ’60, con i suoi tumulti e le sue rivoluzioni.

Michelangelo Antonioni durante la sua lunga e complessa carriera artistica ha saputo porsi nei diversi punti di intersezione- temporali e spaziali – fra queste diverse dimensioni. Di questo e molto altro si è parlato lo scorso 10 gennaio in Biblioteca Ariostea a Ferrara nel corso della presentazione del libro “Infinito Antonioni. Una ricerca rivoluzionaria sulle immagini” (L’Asino d’oro edizioni, Roma, 2024). Il volume, curato da Elisabetta Amalfitano e Giusi De Santis, raccoglie i contributi di Giulia Chianese, Iole Natoli e Francesca Pirani.

Proprio Chianese il 10 ha dialogato con la storica Antonella Guarnieri, il fondatore della Ferrara Film Commission Alberto Squarcia e il pittore Luca Zarattini.

POPOLARE E SEMPRE OLTRE

«Antonioni, nonostante le sue origini borghesi, scelse il mondo popolare, protagonista dei suoi primi film, dimostrando così di avere uno sguardo diverso, profondo sulla realtà». Così Guarnieri nel suo intervento. «Possedeva uno sguardo politico nel senso di umano, nel saper guardare la commozione profonda di chi non poteva esprimersi».

Della Ferrara metafisica, città dei silenzi e città in bianco e nero», ha invece parlato Squarcia: «Antonioni è stato fortemente influenzato dalla sua città ma al tempo stesso ha raccontato le trasformazioni e le inquietudini degli anni ’60», ha aggiunto.

Sulla stessa scia, Chianese, la quale ha sottolineato la sua «capacità di cogliere dinamiche profondissime e di rappresentarle per immagini».

Zarattini ha invece spiegato come il regista abbia influenzato la sua arte, per poi riflettere sul rapporto tra Antonioni e la musica jazz. «Grande era la sua capacità di mettersi sempre in discussione – ha riflettuto il pittore -, di andare sempre oltre e oltre il proprio tempo in maniera sempre originale». Zarattini ha poi mostrato alcuni suoi disegni realizzati per l’occasione e ispirati ad alcune immagini delle pellicole di Antonioni, fra cui “Gente del Po”, “La notte” e”L’eclisse”.

ANEDDOTI AGRODOLCI

L’incontro si è quindi concluso con l’intervento di Elisabetta Antonioni, fondatrice e Presidente dell’Associazione “Michelangelo Antonioni” e protagonista di un’intervista contenuta nel volume. Diversi gli aneddoti raccontati in una Sala Agnelli colma di persone. Le origini familiari, innanzitutto: «la madre di Michelangelo, mia nonna Elisabetta Alfonsina Maria – ha detto – era casalinga e per radio ascoltava sempre le commedie, e Michelangelo si lagnava un po’ di questo»…mentre suo padre «amava i treni e le ferrovie». Michelangelo, «che a 8-10 anni suonava il violino», aveva un tic «amato da tante ragazze», e il sogno «di girare un documentario nel manicomio di Ferrara, grazie al fatto che suo padre ne conosceva il Direttore». Ma non andò a buon fine. Un altro dispiacere era legato al fatto che «metà del girato di “Gente del Po” andò perduto» e alle critiche «della sinistra politica di allora al suo “Grido”, perché in esso – a dire di alcuni – aveva rappresentato i sentimenti “borghesi” di un operaio». Altra delusione fu la stroncatura de “L’avventura” a Cannes, con Monica Vitti che «esce piangendo dalla sala della prima perché nel pubblico in tanti fischiano e sghignazzano. Ma il mattino dopo molti critici sostengono pubblicamente con una lettera la pellicola« (il documento è esposto allo Spazio Antonioni). E ancora: «le foto andate perdute» delle giovani fan a un concerto dei Beatles e la «forte preoccupazione di Michelangelo perché dopo il grande successo di “Blow Up” si sentiva oppresso in quanto temeva di non riuscire più a fare un film all’altezza». Paura infondata. Infine, il “ritorno” a Ferrara coi ricordi e Michelangelo che «impara a sciare sul Montagnone», la casa nel quartiere San Giorgio e l’ultima casa ferrarese dove ha abitato, in via Cortevecchia, 57, dove ora si trova un noto bar-pasticceria. Insomma, «Michelangelo non ha mai perduto la sua Ferrara: l’ha sempre tenuta nel cuore».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 17 gennaio 2025

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(Foto: dal film “La notte”)

Paolo sempre in viaggio «là dove le cose nascono»

29 Ott

Paolo Micalizzi. L’ultimo saluto al critico e storico cinematografico. Mons. Manservigi: «la sua vita era un viaggio, era sempre altrove, dove le cose nascevano e accadevano. Oggi di uomini così ce ne sono sempre meno. Raccoglieva idee e le portava agli altri»

Le parole, nella vita di ogni giorno, e in particolare in un mestiere come quello del giornalista, possono essere un’arma o una carezza, una via di incontro o di conflitto. Vanno usate, più che mai, con attenzione, con una parresia sempre intrisa di attenzione all’altro, di un desiderio pieno: che quando quelle parole si interromperanno, avvenga l’incontro, il cuore e la mente si elevino, le vite e i volti delle persone si incrocino e si affianchino.

Ci sono state persone come Paolo Micalizzi che per una vita hanno tentato di usare le parole in questo modo: come ponte, come sempre nuovo sprone per continuare la ricerca.Nel pomeriggio dello scorso 24 ottobre, in chiesa e sul sagrato della Sacra Famiglia a Ferrara, in occasione delle sue esequie, le parole scorrevano discrete fra le tante persone accorse. Erano vocaboli di dolore e di riconoscenza, di un’incredulità ancora bruciante, di affetto, parole di pietà per la moglie Mara e la figlia Federica. Parole discrete, sì, ma che si rincorrevano, tanti erano gli aneddoti su Paolo da raccontare, i suoi progetti portati a compimento, le relazioni intessute, gli intrecci. C’era l’Amministrazione Comunale – nella persona dell’Assessore alla Cultura del Comune di Ferrara Marco Gulinelli -, il mondo accademico, dell’associazionismo, di tutte le varie anime della cultura ferrarese che Paolo ha attraversato e alimentato.

Le parole, quindi. Tante ora sono raccolte e si continueranno a raccogliere in un blog a lui dedicato (https://mostramicalizzi.blogspot.com), altre commoventi le ha pronunciate mons. Massimo Manservigi nell’omelia per l’amico e collega:«questo – ha detto – non è un saluto estremo ma il nostro saluto terreno, diverso da quell’abbraccio di quando il Signore tornerà per portarci là dove ci ha già preparato una dimora. E ora Paolo è col Signore, perché Lui lo conosce, perché Dio è attento a ciascuna persona come se fosse l’unica». Uno dei tratti di Paolo – ha proseguito – «era di prendere congedo, sempre pronto per andare da un’altra parte: “devo andare” in quel tal posto, diceva sempre, aveva «questa dinamica.Era sempre in ciò che doveva fare, nel luogo che doveva raggiungere, guardava sempre avanti». Come “Voce” stavamo lavorando assieme a lui per un libro che raccoglierà diversi suoi articoli usciti sul nostro Settimanale diocesano: «avrei dovuto chiamarlo a breve per dirgli che a livello di impaginazione il volume è pronto», ha proseguito mons. Manservigi. «Sembrava sempre giovane,  Paolo, sempre attivo, mai si rallentava nei suoi impegni. Era uno che – citando il Vangelo – andava a preparare posti, perché amava condividere con gli altri. La sua vita era un viaggio, era costantemente altrove, andava a vedere dove le cose nascevano e accadevano. Oggi di uomini così ce ne sono sempre meno».

E ancora: «per lui valeva sempre il motto “prendi quel che ami e portalo da un’altra parte”: era un “accumulatore seriale” di oggetti, cimeli, libri, di tutto ciò che riguardava il cinema, soprattutto ferrarese». Da qui, l’idea di donare tutto al “Centro Documentazione Studi e Ricerche Cinema Ferrarese” con sede a Palazzo Roverella, Centro di cui era ideatore e Responsabile. «La sua vita – se ci pensiamo – è la misura del tempo in cui il cinema è vissuto a Ferrara. Questo suo raccogliere, materiale e non, è un’eredità che lascia e che ora dovremmo far nostra. Lo dobbiamo a una persona equilibrata, pronta al dialogo, anche se a volte poteva sembrare sbrigativo, preoccupato com’era di arrivare al dunque, di portare a termine i suoi tanti progetti, ma sempre rispettoso delle persone con le quali aveva a che fare. Paolo ci ha donato qualcosa che nessun altro potrà donarci».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 1° novembre 2024

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(Foto: https://www.cdscultura.com/)

La “Voce” senza Paolo

26 Ott

Un ricordo del critico e storico cinematografico Paolo Micalizzi, scomparso la notte tra il 19 e 20 ottobre

di Andrea Musacci

Già quando nella tarda mattinata di sabato 19 ottobre mi aveva chiamato, la voce stanca, ero dispiaciuto nel sentirgli dire: «non so se faccio in tempo a inviarti il pezzo per Cinenotes perché ho avuto la febbre alta». La mia risposta – «va bene, saltiamo una settimana, non succede niente» – pur sincera non faceva trapelare la stranezza di immaginare un numero della Voce senza la sua rubrica. Poi aveva aggiunto: «riesci a riempirlo comunque quello spazio?». «Sì, Paolo, non ti preoccupare…». Certo, lo abbiamo riempito, ma sembra rimasto vuoto. 

In questo mio ricordo avrei voluto raccontare i tanti progetti e attività della sua vita, ma avremo tempo per farlo con più calma e in parte lo fa chi lo ricorda in questa pagina (v. qui “La Voce” del 25 ottobre 2024). Voglio solo aggiungere che Paolo nasce a Reggio Calabria nel 1938 e a soli 21 anni (il 1° maggio ’59) viene assunto dalla Montecatini di Ferrara, dove lavorerà fino alla pensione. Come critico cinematografico esordisce alla Gazzetta Padana di Ferrara: un secondo lavoro che lo affaticava ma che – mi raccontava poche settimane fa – faceva con enorme passione. Nel giugno 2021 lo intervistai per La Voce e come ultima domanda gli chiesi i suoi progetti per il futuro: «Continuare a tenere viva con articoli, libri e iniziative che intendiamo attuare come Cineclub Fedic Ferrara, la tradizione di Ferrara e il suo cinema…». Lo ha fatto fino all’ultimo, finché ne ha avuto le forze. 

Grazie di tutto, Paolo.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 25 ottobre 2024

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Raccontare il cinema: il libro di Gian Pietro Zerbini

11 Set

Nel volume, 365 recensioni e diversi interventi. Presentazione il 12 settembre in Biblioteca Ariostea

Si intitola “Il cinema raccontato giorno per giorno” il volume che raccoglie 365 recensioni di film, una per ogni giorno dell’anno, del giornalista Gian Pietro Zerbini, dal 1989 fino a pochi mesi fa nella redazione de “la Nuova Ferrara”.

Da giornalista, Zerbini vedeva scorrere ogni giorno la pellicola della realtà, e con gli occhi del cronista la registrava, la interpretava. Per fare il giornalista, bisogna avere passione per la realtà. E il cinema (l’arte in generale) non è meno “reale” di quella fuori dallo schermo. È la realtà vissuta prima nella mente e nel cuore del regista, che poi rivive nel cuore di chi la osserva. Ho sempre apprezzato poco l’espressione “cinema della realtà”: il cinema è un’illusione non negativa (lo è la mera foto “di cronaca”, figuriamoci un film “di finzione”…), è creazione, ri-creazione nel senso di stacco, di distacco, di sempre nuova realtà, che prima non esisteva. 

Allo stesso modo, il cronista/critico cinematografico Zerbini con le sue parole ha ri-creato 365 e più volte quel reale sullo schermo che tanto ama. Lo ha fatto rivivere di vita nuova, perché la parola non può essere corpo morto, ma vita che si incarna sulla pagina, vita che a sua volta rivive in chi la legge. E così via, su una pellicola invisibile e potenzialmente infinita.

Andrea Musacci

IL 12 SETTEMBRE PRESENTAZIONE IN BIBLIOTECA ARIOSTEA

Il volume, già acquistabile nelle librerie e anche on line, viene presentato giovedì 12 settembre alle ore 17 nella Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea di Ferrara (via delle Scienze, 17).

Il libro di Zerbini inaugura anche una nuova collana della Faust edizioni di Fausto Bassini, intitolata “Buio in sala”, dedicata ai legami tra il cinema e Ferrara.

GLI INTERVENTI NEL LIBRO

Uscito per Faust edizioni, il volume ospita anche diversi interventi: Cristiano Meoni (Direttore “la Nuova Ferrara”), Massimo Marchesiello (Prefetto Ferrara), mons.Massimo Manservigi (Vicario della nostra Arcidiocesi e regista), Paolo Micalizzi (critico d’arte e nostro storico collaboratore), Gabriele Caveduri (ex gestore di sale cinematografiche),  Paolo Govoni (Vice Presidente  Camera di Commercio Ferrara-Ravenna), Carlo Magri (docente UniFe a.c. e filmaker), Riccardo Modestino (Presidente De Humanitate Sanctae Annae odv), Stefano Muroni (attore e fondatore di “Ferrara La Città del Cinema”), Erik Protti (Foiunder e co-CEO gruppo Cinepark), Anna Quarzi (Presidente ISCO Ferrara), Bobo Roversi (Presidente nazionale Unione Circoli Cinematografici ARCI).

Pubblicato sulla “Voce” del 13 settembre 2024

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Santo Spirito, da 75 anni al servizio della città 

11 Nov
Enrichetta Maregatti, Giorgio Mazzoni ed Elvio Bonifazi

Nel novembre del 1948 l’allora parroco padre Francesco Righetti aprì la sala cinematografica in via Resistenza. Un pezzo di storia di Ferrara che ancora guarda al futuro (di tutti)

di Andrea Musacci

Nell’atrio il primo proiettore a carbone – un Victoria 4r del 1934 – accoglie giovani, famiglie, coppie, anziani e bambini che per gioco vorrebbero tirarne ogni parte sporgente…Utilizzata fino agli anni ’80 (a parte un’eccezione nel ’98 per “Gatto nero, gatto bianco” di Emil Kusturica), è l’immagine plastica di un piccolo ma storico luogo che definire cinema è riduttivo. Non è fra i più “antichi” (ad esempio l’Apollo è del ‘21), ma fu, ad esempio, il primo a proiettare capolavori del neorealismo e a organizzare Cineforum. Siamo in via della Resistenza a Ferrara, nel complesso parrocchiale di Santo Spirito, dove l’omonimo cinema da 75 anni è il punto di riferimento per cinefili e amanti della cultura in senso largo.

Nel ’48 fu l’allora parroco, il francescano padre Francesco Righetti, a dar vita al “Piccolo Cinema”, inaugurato a fine novembre dello stesso anno e con la prima proiezione organizzata a inizio dicembre. Fra i primi “padroni” della cabina di proiezione ci furono i proiezionisti Mario Stabellini, morto nel 2020, e Giordano Galesini, padre di frate Mauro, francescano del Santuario di Chiampo (VI). Ai tempi, per motivi di sicurezza e di gestione meccanica dei proiettori, era infatti normale la presenza contemporanea di due operatori. 

Nel libretto parrocchiale “S. Spirito…e le sue opere” del 1958 Antonio Cavalieri scrive: «Tutti sanno o almeno ammettono che l’essere umano ha necessità di ricreazione (…). Ricreazione è distensione, è rinnovamento di energie intellettuali, spirituali, fisiche (…), sollievo dal normale lavoro manuale o intellettuale (…). Ma perché questo si avveri (…) si rende indispensabile creare l’ambiente, dare i mezzi affinché ciascuno possa veramente “ricrearsi” nel vero senso, santo della parola (…). Tutto questo l’ha ben capito il nostro amatissimo Parroco, Padre Francesco, fin dai tempi dei tempi. Era un pallino che aveva nella Sua mente, un assillo che gli tormentava l’anima e il cuore (…). Ungiorno non ne poteva più; sentì il cuore gonfio, e nel cuore una Voce di sicura speranza, di fiduciosa sicurezza…e si mosse! Ed ecco la sala del cinema (eh già, come si fa oggi giorno a pensare ad opere ricreative senza cinema!…), la più bella fra le sale parrocchiali ferraresi; poi vennero i locali nuovi: le sale dei giochi per tutti – grandi e piccoli – le sale di lettura, la sala (magnifica) della televisione, delle adunanze (…)».

La Chiesa, anche a Ferrara, capì dunque che l’educazione e lo sviluppo della cultura, necessitava di luoghi moderni. Il proiezionista Galesini venne poi affiancato da Giorgio Mazzoni, che inizia a lavorare come operatore a S. Spirito 50 anni fa, nel 1973, proseguendo fino al 1984 e poi riprendendo da metà anni ’90 fino al 1998. Per un periodo, Mazzoni si alternava assieme ad Armando Maregatti tra qui e il Cinema Boldini. Armando, morto nel 2010, è il papà di Enrichetta Maregatti, che da lui ha ereditato la gestione della sala dopo l’esordio, assieme al marito Elvio Bonifazi, a fine anni ‘80. Enrichetta ed Elvio ancora oggi gestiscono con grande passione il loro amato cinema.

DAI BIGLIETTI A 40 LIRE ALL’AVVENTO DEL DIGITALE

I primi tempi le proiezioni erano quasi giornaliere, e i biglietti costavano tra le 40-60 lire nei giorni feriali (ridotti e interi) alle 50-70 per i festivi. Da inizio anni ’80, per un periodo, le proiezioni furono solo la domenica, dalle 14.30 fino a tarda serata, mentre con l’austerity (tra il ’73 e il ’74) la chiusura venne imposta alle 23. Ma con la gestione Maregatti ripresero anche nelle serate di venerdì e sabato, fino ad arrivare nel 2007 all’inizio delle rassegne (la prossima è prevista per gennaio 2024) e degli eventi speciali e, ora, a quattro serate di proiezioni, da venerdì a lunedì (oltre ai festivi e prefestivi). Un’altra svolta S. Spirito l’ha vissuta nell’estate 2013 con l’avvento del proiettore digitale (il canadese Christie Solaria One) che ha mandato in pensione i vecchi proiettori (l’ultimo fu un Victoria 8r, ai tempi considerato “la Rolls Royce” dei proiettori), grazie al contributo della Regione per la digitalizzazione dei cinema locali. S. Spirito fu il primo cinema non multisala a Ferrara ad adottare il digitale. Il Boldini ci arrivò per secondo solo il febbraio successivo. In pensione il digitale mandò anche la macchina “girafilm”, per riavvolgere la piccola o per fare montaggio, che Enrichetta conserva ancora gelosamente nella stanzetta attigua alla cabina di proiezione.

Ma torniamo agli albori: padre Francesco – che guidò S. Spirito fino al 1967 – come detto, non immaginò la sala cinematografica come luogo alieno dalla parrocchia e dal quartiere, ma una sala della comunità nella quale poter unire svago, educazione e condivisione. Un posto pensato soprattutto per famiglie, con proiezioni pomeridiane domenicali per i bambini e la sera il “filmone”. Sempre nel ’48 fu allestito anche un bar, col bancone a sinistra dell’ingresso principale e dietro la sala con i tavolini. Tra il 1982 e l’83 fu buttata giù la parete in modo da accedere direttamente alla sala. Di fronte all’ingresso, l’immancabile “stracciabiglietti”/maschera, ruolo ricoperto da metà degli anni ’50 fino al 2008 da Leonello Lugli, e il “segnatempi” sulla parete ai piedi della scala che porta alla galleria e alla cabina di proiezione. “Segnatempi” con i numeri romani I, II, III e con la A a indicare “Attualità”, vale a dire la pubblicità o i cinegiornali. «Ma non si fanno più intervalli – ci spiega Enrichetta – perché i film vanno visti senza pause».

Santo Spirito, quindi, come cinema della città ma senza dimenticare il suo legame con la Chiesa: come ci ricorda Giorgio Mazzoni, se richiesto, prestava le “pizze” con le pellicole, come ad esempio a metà degli anni ’70 quando don Sergio Vincenzi (ai tempi giovane seminarista e dallo scorso maggio in servizio proprio a S. Spirito) veniva a ritirarle per le proiezioni – sempre con una cinemeccanica Victoria 4r – nel Seminario di via G. Fabbri.

A fine anni ‘50 fu uno dei francescani di S. Spirito, padre Geminiano Venturelli, a far costruire la galleria al primo piano del cinema di via Resistenza, assieme alla cabina di proiezione (che prima era al piano terra), in questi ambienti direttamente collegati a quelli parrocchiali dove ancora oggi i bambini fanno catechismo e dove una volta erano adibiti ad aule per la Scuola elementare. E nella saletta di “passaggio” tra il cinema e le sale per i bambini, viene conservata un’altra macchina, una Victoria 5r, la stessa che nel film di Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso” sostituisce il vecchio proiettore dopo l’incendio che rende cieco il proiezionista Alfredo.

Luoghi magici, più o meno nascosti, che dopo tanti anni trasmettono ancora quel calore antico di spazi vissuti e fatti crescere con invincibile passione.

Proseguendo nel nostro giro negli ambienti, scopriamo come per diversi anni in sala il palcoscenico – di legno – fosse davanti lo schermo, mentre quello nuovo, dietro lo stesso, venne fatto costruire a metà degli anni ’80 da padre Flavio Medaglia. Una volta, lo schermo quando non serviva veniva alzato e posto orizzontalmente a sfiorare, parallelo, il soffitto. Diverse foto che possiamo ammirare grazie a Enrichetta Maregatti e al parroco don Francesco Viali, testimoniano dell’iniziativa “Microfono d’oro” che si teneva proprio su questo palco negli anni ’70-’80, ispirata allo Zecchino d’oro del Coro Antoniano di Bologna. E un capitolo a parte meriterebbero le poltroncine blu della sala, fatte installare (assieme al pavimento) un quarto di secolo fa da padre Antonio Atanasio Drudi, in sostituzione di quelle di legno che a loro volta presero il posto di quelle in ferro. Prima delle poltroncine blu, i posti erano di più – oltre 200, rispetto alle 173 attuali – e in passato la sala era riscaldata con stufe di carbone. Un altro aneddoto riguarda le poltroncine in legno, che nei periodi estivi venivano trasferite nel campetto dell’oratorio per il “cinema all’aperto”.

I PRIMI CINEFORUM CITTADINI E “LASCIA O RADDOPPIA?”

Come accennato all’inizio, proprio nel Cinema Santo Spirito nacque, grazie a don Franco Patruno e Luciano Chiappini, il primo Cineforum ferrarese: la terza serie – a cura del “Club Ferrarese Cineforum” – ci risulta essere della stagione 1952-1953, col titolo “Panorama della cinematografia mondiale del dopoguerra. Charlie Chaplin – Il cinema francese”, con film anche di Renè Clair (“Il silenzio è d’oro”, 1947) e Henri Georges Clouzot, mentre di Chaplin venne proiettato “Monsieur Verdoux” (1946). Nella quinta serie, invece, anni ’53-54, protagonisti furono Jean Renoir (“La grande illusione”), Frank Capra (“L’eterna illusione”), G. W. Pabst (“La voce del silenzio”) e Billy Wilder (“Viale del tramonto” e “L’asso nella manica”). 

Don Patruno e Chiappini li ritroviamo quasi mezzo secolo dopo, il 4 dicembre 1998, per un incontro pubblico organizzato in occasione del 50° anniversario, con gli interventi, oltre che dei due, di Enrichetta Maregatti, del parroco padre Giovanni Di Maria (a S.Spirito dal ’97 al 2009) e di Antonio Azzalli. Proprio in occasione dei primi 50 anni del cinema, sull’edizione ferrarese del “Resto del Carlino” Gianfranco Rossi ricordava quando nel 1957 Michelangelo Antonioni con la sua troupe de “Il grido” (tra cui Alida Valli e Dorian Gray), si fermò al Cinema S. Spirito per annunciare la prossima uscita del film. 

Cinema d’autore, dunque, ma anche la neonata televisione fece capolino dal grande schermo di via della Resistenza con, dal ‘56, la proiezione di “Lascia o raddoppia?” e di altre trasmissioni televisive che raccoglievano una volta alla settimana tante famiglie della parrocchia ancora sprovviste in casa del televisore.

LE CRISI, IL PRESENTE E IL FUTURO DI UNA COMUNITÀ

Il Cinema S. Spirito è iscritto all’ACEC-SdC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema – Sale della Comunità) e oggi ospita 173 posti, di cui 153 in platea e 20 in galleria.

Come ci spiega Enrichetta Maregatti, «cerchiamo di proiettare film d’essai o comunque di qualità. Facciamo anche proiezioni per le scuole, per l’Università degli Studi di Ferrara, oltre a conferenze e spettacoli teatrali benefici di compagnie amatoriali locali».

Negli anni, prosegue, «abbiamo vissuto momenti di crisi, ad esempio dopo l’apertura del Multisala in Darsena e con le chiusure causa Covid. Ma dallo scorso gennaio è ripreso il regolare flusso di spettatori, che anzi è aumentato rispetto al periodo pre-Covid. Da noi vengono persone non solo dalla città ma anche dalla provincia (Ostellato, Massa Fiscaglia, Poggio Renatico ad esempio) o dal rodigino, e ci sono tanti affezionati, un vero e proprio “zoccolo duro”».

La missione per il futuro è sempre chiara: «siamo una sala polivalente che cerca innanzitutto di aggregare le persone, di farle ritrovare, incontrare, socializzare. Il nostro è un servizio alla comunità, e anche per questo cerchiamo di mantenere prezzi bassi. I film vanno visti in sala, sul grande schermo e soprattutto assieme agli altri». 

Per questi motivi, i cinema come S.Spirito vanno tutelati e sostenuti come patrimonio dell’intera comunità.

***

SERATA SPECIALE IL 18 NOVEMBRE

“Cinema Santo Spirito. 75 anni di film che parlano al cuore” è il nome dell’incontro in programma sabato 18 novembre al Cinema Santo Spirito di via Resistenza, 7 a Ferrara.

Questo il programma della serata:

* ore 18:45 – 20:45, atrio del cinema:Annullo filatelico di Poste Italiane per la ricorrenza.

* 19:00, Sala del cinema:Tavola rotonda “Cinema Santo Spirito tra ricordi e prospettive”. Modera mons. Massimo Manservigi, Direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio.

*20:00, cortile dell’oratorio:aperitivo con buffet.

* 21:00, Sala del cinema:speciale proiezione a sorpresa  di un film restaurato.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 10 novembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Artisti ferraresi dietro le quinte: da Melli a Berselli

30 Gen

Gli artisti Roberto Melli, Severo Pozzati e Laerte Milani, oltre alla costumista Adriana Berselli nel libro di Scardino “Cinema Pittura Ferrara”

«I film dovranno diventare disegni viventi», profetizzava un secolo fa Hermann Warm, scenografo de “Il gabinetto del dottor Caligari”. Tecnici, artigiani, scenografi, costumisti. E ancora: attrezzisti, tappezzieri, falegnami, stuccatori, fabbri e sarte. Dietro un film effettivamente vi è un mondo variegato di professionisti spesso poco considerati ma in realtà fondamentali per la realizzazione dell’opera. Un concerto di creatività che fa essere un film qualcosa di infinitamente più complesso e affascinante di una mera sequenza di riprese. 

Lo ricorda Lucio Scardino, critico e storico dell’arte, nel suo libro da poco edito “Cinema Pittura Ferrara. Quattro artisti ferraresi prestati alla Settima Arte” (Ed. La Carmelina, 2022).

L’autore si sofferma in particolare su quattro creativi del nostro territorio che hanno tentato, con alterne fortune, di realizzarsi anche nell’ambito cinematografico. Parliamo di Roberto Melli (1885-1958), Severo Pozzati (1895-1983), Laerte Milani (1913-1987) e Adriana Berselli (1928-2018).

Un crescendo, temporalmente parlando, di riconosciuta fama: si parte con Melli, pittore e scultore che riscosse ben poco successo nel suo tentativo: fu direttore artistico della San Marco Film, sceneggiatore e scenografo de “La piccola fioraia”, co-regista de “La cugina d’Alcantara” e “La casa dei libri”, regista de “Il fiore del destino”. 

Poi, Pozzati, detto Sepo, artista comacchiese, che collaborò con la Felsina Film, prima come insegnante nella scuola per attori e tecnici, poi realizzando alcune scenografie. Successivamente, firmò soggetto e regia di “Fantasia bianca”, film ben presto dimenticato.

Sicuramente più successo ebbe lo scultore Milani, originario di Mezzogoro: dagli anni ’40 realizzò prima documentari scientifici per il GUF (Gruppo Universitario Fascista) ferrarese, poi, con altri (grazie allo “Studio Milani” o “Pubblicine”), alcuni shorts, cortometraggi pubblicitari d’animazione proiettati nei cinema locali prima dei film, e una pellicola animata, “Destinazione errata”. In seguito, si concentrò su cartoons, scenografie, fondali e disegni animati.

Infine, la vera “diva” del quartetto: Berselli, costumista, nata nell’ospedale dei bambini di via Savonarola, considerata – da un articolo di “Repubblica” – «regina dei costumi del cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta». Lavorò tra l’altro per “La voce del silenzio” di Georg Wilhem Pabst, “L’avventura” di Antonioni (foto), altre pellicole con Virna Lisi, Peter Seller, Sylva Koscina, Michel Piccoli, o dirette ad esempio da Roman Polanski e Carlo Lizzani. 

Modi diversi, dunque, di tentare di dare il proprio contributo alla Settima Arte. In ogni caso, un tassello importante di ricerca di un ambito ben poco noto del legame tra Ferrara e il cinema.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 3 febbraio 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio