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«Chiesa e società spaccate: gli USA sono sull’orlo di una guerra civile»

25 Giu

Massimo Faggioli, noto storico delle religioni, è intervenuto il 16 giugno nella sua Ferrara: «tra ultraconservatori ed estremisti di sinistra, America divisa come non mai». Il possibile, fondamentale ruolo di Papa Prevost nella sua terra

di Andrea Musacci

Un’America spaccata e ultraideologizzata, che spesso fa della fede cristiana un’arma politica. È questa l’amara analisi che Massimo Faggioli, storico delle religioni e docente alla Villanova University (da settembre a Dublino, v. box sotto) ha proposto lo scorso 16 giugno a Ferrara, nella Sala del coro del Monastero del Corpus Domini. Faggioli – ferrarese d’origine e in vacanza con la famiglia nella sua amata città d’origine – è intervenuto sul tema “Papa Leone XIV e l’America nella Chiesa e nel mondo oggi”, introdotto da Piero Stefani e Francesco Lavezzi, per un incontro organizzato da UP Borgovado, Istituto Gramsci Ferrara, SAE Ferrara, CEDOC Santa Francesca Romana. Incontro che, nonostante le forti piogge, ha visto un’ampia partecipazione di pubblico. Ricordiamo che Faggioli è stato negli ultimi anni più volte intervistato – o recensito – dalla “Voce”: l’ultima, lo scorso 16 maggio, proprio sull’elezione di Papa Leone XIV.

Dopo il «tumultuoso papato del gesuita Francesco», è stato eletto un papa agostiniano, ha esordito Faggioli. E un Papa statunitense, «una novità assoluta e inaspettata». Questa scelta del Conclave «ha rotto un tabù, in quanto si dava per scontato che un cittadino di una grande “potenza coloniale” non potesse essere papa perché ciò avrebbe significato un’inconcepibile sovrapposizione». Un papa, dunque, «non europeo, non mediterraneo ma con anche sangue creolo e africano». Un aspetto, questo, per Faggioli decisivo «perché è un modo del Conclave di dare una risposta a questo particolare periodo della storia americana», dominata dal trumpismo.

IL NUOVO INTEGRALISMO ULTRACONSERVATORE

Periodo in cui la «svolta politica e ideologica della destra USA – per Faggioli – ha rimpiazzato quell’evangelicalismo» tipico di certe Chiese della galassia protestante. Si tratta di una forma di integralismo portata avanti, però, soprattutto non da «blogger che lo fanno a tempo perso ma da persone che magari hanno la cattedra ad Harvard»…Intellettuali, insomma, docenti universitari. O meglio, anche da tante persone semplici e ceto medio, ma guidati da professori accademici che han dato vita a vere e proprie «teologie integraliste» e che hanno nel vicepresidente JD Vance il loro punto di riferimento. Il cattolicesimo USA, quindi, «è diventato anche questo», e si differenzia dal «conservatorismo cattolico USA tradizionale, che aveva un’idea forte di democrazia, che anzi per loro andava non solo difesa ma esportata, anche con le armi».

Riguardo a quest’anima cattolica ultraconservatrice, secondo Faggioli, gli USA «non stanno vivendo un normale passaggio di governo» ma «un cambio di regime, che non sappiamo dove porterà il Paese. Due mesi fa – ha spiegato Faggioli – mi è stato sconsigliato di lasciare gli USA per venire in Italia e in ogni caso di scegliere bene l’aeroporto dal quale partire, evitando ad esempio quello di Atlanta, viste le dure politiche antimmigrazione di quel Distretto». E tutto ciò, nonostante «io viva negli USA da molti anni e abbia un lavoro stabile». E sulla polemica fra Trump e l’Università di Harvard riguardante i fondi governativi e i visti per gli studenti stranieri, Faggioli ha criticato il giornalista Federico Rampini che – a suo dire – avrebbe sottovalutato questa “minaccia” di Trump: la sua, invece, è una scelta molto grave perché è anche «un messaggio che manda a tutte le Università americane: “se non assumete determinate posizioni politiche, potreste subire conseguenze di questo tipo”». In America, quindi, «si attende una voce forte come quella del Papa», che «ricordi agli USA cosa vuol dire – nel profondo – essere America». Insomma, Prevost «è atteso a mandare certi messaggi, anche agli USA. Per ora è prudente, ma se Trump continuerà così, potrebbe esporsi maggiormente». Molti fra gli stessi Vescovi statunitense «han creduto che Trump fosse meglio di Kamala Harris, non immaginando il suo peggioramento a livello democratico». Questo peggioramento «sta portando quindi molti di loro a non sostenere più Trump».

UN’AMERICA CHE NON CREDE PIÙ IN SÉ STESSA

Papa Leone XIV è «cosciente di quanto sia enormemente complicata questa situazione», con un’America «molto divisa» e addirittura «in certe zone sull’orlo della guerra civile». Ciò “costringerà” il Papa ad «affrontare in modo diverso il suo rapporto con gli USA e col mondo cattolico statunitense». USA che ha come propria essenza un intreccio originale e complesso tra politica e religione, e che «storicamente sono anticattolici», dalle origini fino alla diffidenza di molti verso Kennedy. Stati Uniti che invece oggi sono «sempre più cattolici e sempre più secolarizzati, e sempre meno protestanti. Negli ultimi decenni le chiese si sono svuotate e i luoghi di espressione della fede sono diventati i partiti politici», dominati da «un purismo ideologico totale». 

USA, come detto, che stanno vivendo «un momento di coalizzazione ideologica e religiosa che non si vedeva dai tempi della guerra civile sulla questione della schiavitù» e più pericolosi persino di «momenti simili vissuti negli anni ’60, con le battaglie per i diritti civili, e negli anni ’90 con gli scontri razziali». In entrambi questi momenti – ed è questa per Faggioli la differenza radicale – tutti avevano una forte fede negli Stati Uniti d’America», perché «l’America è sostanzialmente un atto di fede nell’America». Oggi, invece, «il problema della secolarizzazione non riguarda solo il fatto che la gente non va più in chiesa ma che non crede proprio più nell’America». Le lotte politico-ideologiche di questi anni «contro il colonialismo, lo schiavismo, il patriarcato hanno convinto molti giovani che gli USA sono un errore» in quanto tali, fin dalla loro nascita. Queste lotte, insomma, «erodono alle fondamenta la ragione profonda di esistere di una civiltà che invece da sempre si presenta come plurale, aperta, difenditrice della libertà e della democrazia».

UN’AMERICA E UNA CHIESA SPACCATE

Papa Leone XIV ha dunque in carico un’America che vive «una crisi fondamentale di fede in sé stessa», e che quindi «non ha più fede nell’essere una nazione cristiana civile». Oggi negli USA il cristianesimo, e nello specifico il cattolicesimo, per Faggioli «è trasformato in ideologia politica» ed è «spaccato in due, destra e sinistra»: la prima è «integralista, ultraconservatrice, etnonazionalista e dominata da un cinismo assoluto», la seconda si presenta invece come «inclusiva e tollerante», ma i “cattolici democratici” «sono quasi scomparsi o spesso tengono segreto il loro essere cattolici». Molti cattolici, inoltre – ha analizzato Faggioli – «negli USA sono impauriti da certo estremismo ideologico di parte della sinistra», soprattutto sui temi legati all’ideologia gender: secondo quest’ultima, infatti, «i bambini possono scegliere il loro genere ed è successo che in alcuni casi, pur ancora rari, se i genitori hanno obiettato contro questa scelta prematura, sono stati denunciati. Io dunque vedo anche questo estremismo», non solo quello fondamentalista di Vance&co. 

«Vedremo quindi – ha proseguito Faggioli – se tra queste due anime della Chiesa USA vi sarà una soluzione». Per ora, l’unica cosa certa è che si tratta di «due visioni diverse di Chiesa sulla teologia, la catechesi, la pastorale; due movimenti diversi che convivono a fatica». Oggi dunque «la questione statunitense, del futuro della sua democrazia è anche «un tema teologico. Fino a 30 anni fa, invece, si poteva contare sul fatto che gli USA avessero imparato il dna della democrazia, dei diritti, mentre oggi vi sono voci autorevoli che dicono “abbiamo avuto troppa democrazia, troppa libertà, bisogna sfalciare un po’, iniziando dagli immigrati”». «Non so – ha detto poi – se negli USA ci sarà una guerra civile, ma storicamente in questo Paese questa è sempre stata vista come positiva», sull’idea di base che «i conflitti vanno prima o poi risolti per via armata».

COSA CI SI ASPETTA DA PAPA LEONE XIV

Tornando a Papa Leone XIV, Faggioli ha spiegato come «viene da un retroterra molto particolare», lui che è stato ordinato prima diacono e poi prete «da due Vescovi considerati molto progressisti»: viene quindi da «una Chiesa molto sociale». E Papa Prevost «conosce molto bene la Chiesa USA, non ha bisogno di farsela spiegare, interpretare, tradurre», anche perché negli anni «ha sempre mantenuto con questa contatti molto stretti». A breve avrà nomine importanti e delicate da fare, come quella dell’Arcivescovo di New York, «nomina di grandissimo peso», e quella del «nuovo Nunzio apostolico negli Stati Uniti, che soprattutto in questo contesto politico è un ruolo molto importante».

È importante – ha spiegato ancora Faggioli –  «che Papa Leone XIV non sia identificato come rappresentante di una Chiesa fascista, razzista, sessista, come invece molti oggi vedono la Chiesa cattolica negli USA» e il cattolicesimo à la Vance. In ogni caso, si trova in una fase politica e ideologica molto delicata. La storia gli ha assegnato, fra i vari compiti, uno complicatissimo: ricostruire l’unità in tutta la Chiesa universale, e in particolare in quella della sua terra.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 27 giugno 2025

Abbònati qui!

(Foto Sergio Flores – AFP/SIR)

FAGGIOLI A DUBLINO

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Il 12 giugno il Loyola Institute del Trinity College di Dublino ha annunciato la nomina di Massimo Faggioli a Professore di Ecclesiologia Storica e Contemporanea. Faggaioli lascia quindi gli USA (dove viveva dal 2008) e la Villanova University, dove ha iniziato a insegnare nel 2016.

«Non sarà un “Francesco 2″» ma «mix di rottura e continuità»

13 Mag


Massimo Faggioli, esperto di cattolicesimo USA, a “La Voce”: «Prevost cattolico sociale non liberal»

di Andrea Musacci

Ferrarese d’origine, Massimo Faggioli è storico delle religioni e docente negli Stati Uniti alla Villanova University (Philadelphia, Pennsylvania), dove Papa Leone XIV si è laureato. Lo abbiamo contattato per chiedergli di analizzare con noi questa novità storica e inaspettata di un papa stars&stripes.

Faggioli, il nuovo Papa viene dalle Americhe come Francesco, ma  non si può dire venga «dalla fine del mondo»…

«Sì, è un po’ diverso, è un papa delle Americhe, non solo dell’America latina, ma anche dell’America del nord: è quindi molto meno “fine del mondo” rispetto a Francesco. Nato a Chicago, una delle capitali del cattolicesimo USA, Leone XIV è stato missionario in un Paese povero come il Perù ma qui il venire “dall’altro mondo” si deve applicare in modo diverso rispetto a Bergoglio…

Papa Francesco, inoltre, proveniva dall’Argentina, Paese molto particolare in America latina in quanto a stragrande maggioranza bianca, a differenza del Perù – dove ha vissuto Prevost – e della sua Chicago, capitale nera degli States».

Che tipo di cattolico statunitense è Prevost?

«È un cattolico sociale ma non liberal, formatosi alla scuola di Leone XIII. È poi interessante il suo essere agostiniano e non un gesuita, quindi sulla modernità ha una visione più pessimista rispetto a un gesuita.Oltre, naturalmente, alla grande novità di essere il primo papa degli USA: ciò avrà effetti sia sul Vaticano sia sul cattolicesimo statunitense. Ma ci vorrà tempo per capire come la Chiesa USA si relazionerà col primo papa USA».

E rispetto all’attuale Amministrazione statunitense?

«Negli States viviamo in un tempo particolare: il trumpismo rappresenta un modo di appropriarsi della religione e il Conclave ha anche voluto, quindi, mandare un segnale sul fatto che esiste una voce alternativa al trumpismo. Lo stesso vicepresidente Vance si è definito “figlio di Sant’Agostino” ma è evidente che il suo e quello di Prevost sono due agostinismi tra loro diversi».

Qual è l’atmosfera oggi alla Villanova University? Che ricordi si hanno di Prevost?

«Io non ho avuto modo di conoscere personalmente Prevost, ma qui alla Villanova lo conoscono bene, era molto noto anche prima di diventare cardinale».

Come gli anni alla Villanova hanno influito sulla sua personalità?

«Gli agostiniani hanno il carisma della comunità: per loro è molto importante la vita di comunità, la formazione comunitaria. Qui diPrevost ne parlavano come membro di una comunità, come uno che ha vissuto da monaco agostiniano in modo più tranquillo, meno conflittuale di come Bergoglio visse  nel mondo gesuita: infatti, il rapporto di quest’ultimo con la sua comunità è stata più accidentata rispetto a quella di Prevost negli agostiniani, dove non ha mai avuto un rapporto traumatico».

Qual è la situazione del cattolicesimo negli USA? 

«I cattolici negli Stati Uniti purtroppo sono più o meno spaccati in due, seguendo i due grandi partiti – Democratico e Repubblicano.Questo papa è quindi chiamato più di altri a rispondere su questa profonda frattura, che Trump ha accentuato ma che nasce 30 anni fa e nel tempo si è aggravata. Ciò ha conseguenze sulla vita di ogni cattolico, come la scelta della scuola per i figli e della parrocchia dove andare. È un’esperienza che un cattolico europeo difficilmente può capire…».

L’elezione di un Papa USA accentuerà o meno queste fratture tra i cattolici statunitensi?

«Difficile dirlo.Sicuramente Prevost conosce molto bene la Chiesa americana, a differenza di com’era per Bergoglio. Prevost non ha bisogno di “traduttori” o mediatori per capire cosa succede nella Chiesa statunitense. È un altro tipo di rapporto. Qualcosa di inedito, tutto da studiare».

Quali novità Papa Prevost potrà portare alla Chiesa universale ?

«È un agostiniano e viene dopo un gesuita: ciò riequilibrerà  determinati aspetti. È un prete missionario della Chiesa globale e questo permetterà di continuare certe traiettorie del papato di Francesco. Su altre questioni, eticamente sensibili, è difficile dire come si comporterà, forse qualche spostamento e differenza di accento rispetto a Francesco ci sarà.Ma bisognerà vedere, aspettare. In ogni caso, non credo ci sarà un “Francesco 2”. Sarà qualcosa di diverso».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 16 maggio 2025 

(Foto Ansa/SIR)

«Per gli ucraini il disarmo vorrebbe dire piena distruzione»: Massimo Faggioli sulla guerra

3 Apr

«La pace viene dopo aver fatto la resistenza, la resistenza non è la pace». Sbaglia, quindi, chi in Italia, compresi molti cattolici, «vorrebbe il disarmo dell’Ucraina contro l’invasore russo: significherebbe una resa, e porterebbe a una distruzione dell’Ucraina». Così Massimo Faggioli, storico delle religioni e docente dell’Università di Villanova (Pennsylvania, USA), intervenendo il 31 marzo all’incontro “Guerra ucraina e cristianesimo”, per il ciclo “Anatomia della pace”. L’incontro, svoltosi on line, è stato organizzato da Istituto Gramsci Ferrara e Isco Ferrara, ed è reperibile sulla pagina Facebook dello stesso Istituto Gramsci.

Secondo Faggioli – intervistato da Francesco Lavezzi -, «spesso nel dibattito all’interno del cattolicesimo italiano non si è colta la rottura che questa guerra ha portato, e che invece ha fatto emergere la rielaborazione della memoria della Resistenza in Italia sotto l’emblema della pace. Ma la resistenza – ha proseguito – vuol dire anche resistenza attiva, con l’uso della forza quando non ci sono altre risorse». Tanti cattolici, invece, propongono il disarmo anche per gli ucraini, «una soluzione velleitaria, che significherebbe la distruzione» del Paese. La stessa Chiesa cattolica, secondo Faggioli, deve continuare a «essere operatrice di dialogo e di pace», ma «a volte non ci sono alternative: la resa dell’Ucraina sarebbe una sorta di suicidio collettivo». I laici cattolici «devono prendere decisioni», a volte «le meno peggio», spesso dolorose. Ma «il primo dovere è quello di difendere chi non si può difendere». Da notare, inoltre, come l’Ucraina negli ultimi decenni «abbia fatto molto più i conti col proprio passato, anche filonazista», rispetto alla Russia che, al contrario, «glorifica il proprio passato imperiale». Oggi l’Ucraina è guidata da Zelensky, «un presidente ebreo», ed è «sempre più multiculturale».

Il dibattito nella Chiesa

Faggioli ha anche ragionato su come la guerra russo-ucraina stia spaccando tanto il mondo cattolico quanto quello ortodosso. «Si tratta di un evento che rompe una certa situazione, o illusione, sull’Europa, che anche il mondo cattolico si era fatto: quello di un quadro stabile e pacificato». Quadro che aveva portato anche alla «de-europeizzazione e de-occidentalizzazione» tipica del papato di Francesco. «La guerra russo-ucraina – secondo Faggioli – sicuramente sta facendo ragionare molti cardinali su quale pontificato possa essere il più adatto» nel post Francesco, «viste anche le difficoltà di quest’ultimo a volte nell’interpretare il conflitto».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto Francesca Brancaleoni)

“La fede di Biden è credibile perché vissuta”

26 Gen

Intervista a Massimo Faggioli (politologo) dopo l’insediamento di Joe Biden, secondo presidente cattolico negli USA: “ci sarà riconciliazione nazionale se verrà meno una concezione nostalgica ed estremista della religione”. Purtroppo negli Stati Uniti di oggi “gli allineamenti all’interno del campo conservatore da un lato e progressista dall’altro sono molto più forti che le comuni radici tra cattolici”. Vicinanza e possibili future distanze fra il neo presidente e il papato di Francesco

di Andrea Musacci
«Molti secoli fa sant’Agostino – il santo della mia Chiesa – scrisse che un popolo era una moltitudine definita da ciò che ama. Definita dagli oggetti comuni del loro amore».
La citazione tratta da “De civitate Dei” (19, 24) è stata pronunciata dal neo Presidente degli Stati Uniti d’America Joseph R. Biden durante il discorso d’insediamento lo scorso 20 gennaio a Washington. 78 anni compiuti lo scorso novembre, secondo presidente cattolico dopo John Fitzgerald Kennedy (1961-1963), e quarto cattolico a candidarsi – gli altri due sono Al Smith nel 1928 e John Kerry nel 2004, anch’essi democratici -, Biden nasce e cresce in una famiglia cattolica da madre di origini irlandesi.
Chi da anni si occupa di politica e vita ecclesiale, e dei rapporti fra le due sfere, al di là dell’Oceano è Massimo Faggioli, storico e teologo nato a Codigoro 50 anni fa, residente a Ferrara dal 1978 al 2008, anno in cui si è trasferito negli USA, dove è Ordinario nel dipartimento di Theology and Religious Studies alla Villanova University in Pennsylvania.
In Italia per Scholé-Morcelliana è appena uscita la traduzione della sua ultima fatica col titolo “Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti” (negli States, “Joe Biden and Catholicism in the United States”).
Gli abbiamo rivolto alcune domande sui temi centrali della sua pubblicazione.


Prof. Faggioli, gli USA vivono una situazione fortemente drammatica, in cui i frutti delle “culture wars” nelle ultime settimane sono degenerate in un vero e proprio assalto al cuore della democrazia. Riuscirà Biden nel suo tentativo di riconciliazione nazionale?
«Il momento storico della presidenza di Biden comprende una Chiesa cattolica in cui coesistono precariamente identità politiche e religiose diverse e contraddittorie. Il tentativo di riconciliazione nazionale dipenderà molto anche dalla reazione di quel vasto mondo religioso delle chiese americane che negli ultimi anni hanno appoggiato Trump fino alla fine. Questa è anche una crisi religiosa, nel senso che idee estremiste in materia di religione e di rapporti tra chiesa e stato sono uscite dalle frange e sono entrate nell’alveo delle idee socialmente accettabili. Questo è un problema anche per il cattolicesimo dove la nostalgia per la chiesa preconciliare è diventata una nostalgia per il medioevo».


Biden secondo presidente cattolico negli USA: che cattolico è? E come il cattolico Biden incarna, interpreta la propria appartenenza religiosa nell’azione politica?
«La fede di Biden non è intellettuale ma non è anti-intellettuale; è una fede popolare con sfumature di cultura pop, più Lady Gaga e Bruce Springsteen che Jacques Maritain e Thomas Merton. Sebbene la sua vita sia stata segnata da lutti gravi, non è un cattolico funereo; ma la sua esperienza di perdita di membri della famiglia più giovani di lui (moglie e figlia appena nata nel 1972; il figlio Beau nel 2015) gli dà una sensibilità speciale nell’offrire conforto e empatia con le persone in lutto. Biden ha fatto della sua fede una parte centrale della campagna, punteggiando i suoi discorsi con riferimenti alla fede cattolica, citando l’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti e la preghiera di San Francesco. La presidenza Biden suscita non solo aspettative politiche ma anche in certo modo religiose. La fede di Biden è credibile perché è più vissuta di quanto proclamata. Questo lo rende culturalmente compatibile con molti americani che potrebbero essere più conservatori ma non necessariamente di destra. Biden viene da una cultura politica simile per certi versi a quella Democrazia Cristiana italiana subito dopo la seconda guerra mondiale: progressista sulle questioni economiche e di giustizia sociale, conservatore su quelle di morale sociale (famiglia e matrimonio). La maggiore differenza coi democristiani è una visione dell’America ancora al centro del mondo (anche se in modo molto diverso dal nazionalismo di Trump) e, durante gli anni come vicepresidente di Obama, uno spostamento a favore del matrimonio omosessuale. È un cattolico tradizionale (ma non tradizionalista) nel suo stile di devozione e religiosità: messa tutte le domeniche e feste comandate, rosario, “un cattolico alla Giovanni XXIII” come Biden stesso si è definito. Al contrario di tutti i predecessori che si sono candidati alla presidenza e del suo predecessore cattolico alla Casa Bianca, JFK, non ha mai nascosto né tenuto privato il proprio cattolicesimo. Ha vinto anche per questo».


Sembra difficile negli USA parlare di “cattolicesimo” al singolare. Una spaccatura, come ben spiega nel libro, acuitasi dagli anni Ottanta del secolo scorso, e ancora fortissima nel mondo cattolico. Biden saprà, nel suo ruolo, ricucire alcune delle fratture interne al mondo cattolico statunitense?
«La presidenza Biden potrà contare su alleati molto diversi dai leader cattolici che hanno sostenuto Trump, compresi vescovi e cardinali vicini a Francesco (come il nuovo cardinale di Washington, Wilton Gregory); la rete dei gesuiti da James Martin a Papa Francesco, col loro sistema dei media e le università; le suore coinvolte nel lavoro sociale come la suora anti pena di morte Helen Prejean. In generale, gli interlocutori cattolici di Biden saranno meno clericali e meno bianchi, un gruppo che riflette maggiormente il volto della chiesa americana di oggi dal punto di vista delle diversità culturali ed etniche. I segnali giunti dopo l’elezione non sono incoraggianti nel senso che i vescovi hanno mandato segnali ostili che danno l’idea di una conferenza episcopale che sente già nostalgia per Trump e per le promesse di protezione che aveva fatto in difesa dal secolarismo, l’agenda LGBT etc. Si tratta di un cattolicesimo molto diviso ideologicamente tra i due partiti, ma anche dal punto di vista delle identità etniche. Gli allineamenti all’interno del campo conservatore da un lato e progressista dall’altro sono molto più forti che le comuni radici tra cattolici o tra protestanti o tra ebrei. Per fare un esempio, si vede benissimo questo dal dialogo ecumenico in Nord America: sulle questioni sociali e morali gli interlocutori preferiti dai vescovi cattolici oggi sono i musulmani».


Su alcuni ambiti possiamo ipotizzare come si muoverà l’Amministrazione Biden? E sarà così “scontato” il riavvicinamento tra l’Amministrazione USA e il Vaticano, o ci potranno essere alcune difficoltà, ad esempio sui rapporti, come scrive nel libro, con alcuni Paesi come Cina e Russia?
«Posso dire che Biden non è stato il primo cattolico a candidarsi o ad essere eletto alla presidenza, ma è il primo a farlo elevandosi al di sopra delle profonde divisioni all’interno della Chiesa cattolica americana nella quale l’appello alle questioni etiche e morali da parte repubblicana è diventato un puro esercizio retorico.
Ci sono due diverse visioni in gioco, con Donald Trump da una parte e Papa Francesco e Joe Biden dall’altra, ma le somiglianze tra gli ultimi due non dovrebbero essere scambiate per visioni identiche. Ci sarà una certa convergenza sulle questioni ambientali, su immigrazione e rifugiati, su un approccio multilaterale alle questioni internazionali (come Iran e le due Coree). Su altre questioni – Cina, Russia, Medio Oriente, e specialmente sull’America Latina – col tempo emergerà una differenza di visioni di lungo periodo».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 29 gennaio 2021

https://www.lavocediferrara.it/

(foto Vatican News)

“Negli USA da sempre alcune vite sono considerate sacrificabili. Per questo la pandemia ha fatto meno impressione”: parla Massimo Faggioli

18 Mag

usa

a cura di Andrea Musacci

Razzismo, diseguaglianze sociali, costose assicurazioni sanitarie, forte crisi occupazionale (gli ultimi dati parlano in questo periodo di circa 30 milioni di posti di lavoro persi). E una Chiesa purtroppo ancora divisa. Drammi all’interno del grande, inarrestabile dramma della pandemia da Coronavirus che ormai da tempo registra gli Stati Uniti come il paese col più alto numero di contagiati e morti al mondo. Ne abbiamo parlato con Massimo Faggioli, storico e teologo nato a Codigoro 49 anni fa, residente a Ferrara dal 1978 al 2008, anno in cui si è trasferito negli USA, dove è docente ordinario nel dipartimento di Theology and Religious Studies alla Villanova University (Philadelphia).

Partendo in generale dalla situazione negli Stati Uniti, dove si contano quasi 90mila decessi e oltre 1.500.000 contagiati per il COVID, che giudizio dà dell’operato del Presidente Trump nell’affrontare questo dramma?

La presidenza Trump è una tragedia nella tragedia, ovviamente. Ma c’è anche la crisi del sistema-paese con uno scontro tra livello federale e livello degli stati, e il crollo della capacità della politica di prendere decisioni politiche e di politica industriale capaci di fronteggiare l’emergenza. Gli Stati Uniti sono arrivati impreparati, insieme a molti altri paesi occidentali. Ma ci sono differenze importanti rispetto a questi altri paesi. Una prima differenza è che negli USA c’è ancora la tendenza a considerarsi il paese migliore del mondo – che è una cosa che ovviamente non è più vera, specialmente dal punto divista del sistema sanitario e dell’aspettativa di vita. Questa tendenza rende incapaci di imparare dagli altri. Una seconda differenza è che negli USA la pandemia colpisce come le altre malattie colpiscono negli USA: in maniera radicalmente diversa a seconda delle etnie e razze, perché alla stratificazione etnica del paese corrisponde ancora – e sempre di più – una stratificazione economico-sociale con gli afroamericani e i latinos in fondo alla scala. Quelli in fondo alla scala socio-economica muoiono prima e più facilmente, in tempi normali come anche in questa emergenza. Una terza differenza è che in America si è abituati a sentire notizie di morti che si potevano evitare (dovuti a mancanze del sistema sanitario, ma anche le sparatorie nelle scuole). Da questo punto di vista, qui in America la pandemia ha fatto meno effetto rispetto ad altri paesi perché da sempre alcune vite vengono viste come meno importanti e quindi sacrificabili sull’altare della politica e dell’economia. Su questo alcuni vescovi, ma non tutti, hanno parlato in modo chiaro.

Vi è anche il problema di un sistema sanitario complessivo non adatto a situazioni come l’attuale?

Il sistema sanitario privato è ottimo, ma solo per chi se lo può permettere grazie a costose assicurazioni sanitarie. La riforma sanitaria di Obama ha migliorato la situazione ma non l’ha cambiata in modo strutturale. Uno dei paradossi della situazione attuale è che la pandemia ha sospeso le procedure non urgenti, che sono quelle che fanno reddito nel sistema sanitario privato. Il risultato è che nel bel mezzo della pandemia un numero spropositato di personale medico e paramedico ha perso il lavoro negli Stati Uniti.

In genere, i cittadini come hanno reagito e come stanno reagendo?

In America c’è un culto della libertà che è diventato una cultura libertaria, per cui tutto quello che le autorità impongono come limite alla mia libertà (specialmente libertà economica e di impresa) diventa totalitarismo o comunismo. Le immagini più scioccanti sono state quelle di bande armate (legalmente) che hanno occupato parlamenti locali chiedendo di sospendere le misure anti-pandemia. Sono minoranze estremiste, ma purtroppo sono sostenute da gran parte del partito repubblicano e anche dal presidente Trump. Questa cosa in Italia non c’è stata.

La Chiesa, invece, come si organizza nel sostegno e nell’aiuto alle drammatiche conseguenze sociali, economiche e psicologiche che si hanno e si avranno?

C’è un grande sforzo di venire incontro ai bisogni straordinari generati dalla crisi. Ma c’è anche un ostacolo diverso rispetto all’Italia e all’Europa, dove molte chiese sono “chiese di stato” e quindi ricevono aiuti dallo stato. Qui in America ogni chiesa deve sopravvivere sul mercato delle religioni con le donazioni dei membri, e quindi le capacità di aiutare sono molto diverse a seconda delle chiese. La crisi economica significherà per alcune parrocchie cattoliche come anche per altre chiese un crollo delle donazioni e quindi renderà impossibile la loro sopravvivenza.

“La realtà è che non ci sono abbastanza risorse per curare tutti, anche nella prima economia del mondo. Non abbiamo abbastanza ventilatori e non abbiamo sufficienti posti letto in terapia intensiva e questo ha costretto e costringerà gli operatori sanitari a scegliere”. L’analisi è di Charlie Camosy, professore associato di bioetica all’università di Fordham. Che dimensioni sembra avere questo fenomeno? E come sta rispondendo la Chiesa?

La chiesa ha reagito in ordine sparso perché per un certo numero di cattolici l’istinto politico è quello di proteggere il presidente Trump e il partito repubblicano in quanto partito anti-abortista. Il problema è che quella cultura politicamente anti-abortista non significa necessariamente una cultura a favore della vita. Una serie di prese di posizione di cattolici repubblicani pro-Trump hanno criticato gli eccessi di prudenza e hanno spinto per una riapertura di tutte le attività. La voce della chiesa cattolica statunitense è divisa anche nell’emergenza pandemia: ci sono cattolici che hanno abbracciato una posizione scettica rispetto alla scienza – una posizione più vicina a quella di certe chiese fondamentaliste.

Qual è la sua impressione riguardo a come il popolo cattolico ha reagito e sta reagendo all’impossibilità a partecipare alle celebrazioni? E come la questione è affrontata a livello di dibattito teologico?

Quello che manca è una certa creatività pastorale: ci si limita a messa e rosario online. Qui in parrocchia speriamo di poter fare di più, come per esempio la catechesi per bambini e la lectio divina per giovani e adulti. Ma tutto si è focalizzato sulla messa, come in una equazione tra liturgia e messa, come se non ci potesse essere liturgia senza messa. In Italia, in confronto, c’è stato un dibattito e contributi di pensiero e pubblicazioni molto più interessanti rispetto agli USA.

Spostiamoci ora nello specifico della comunità dove vive, quella di Philadelphia: qual è la situazione del contagio, e quella socio-economica in questo periodo? La Chiesa locale come si è organizzata per venire incontro ai bisogni materiali e spirituali?

Noi viviamo nei sobborghi di Philadelphia in cui quasi tutti sono bianchi o asiatici, e la malattia ha colpito in modo marginale. Ma abbiamo avuto un certo numero di casi anche nella nostra comunità parrocchiale. La situazione è ben diversa in città, con molti più casi, ma anche nella vicina comunità residenziale dei gesuiti alla St. Joseph’s University, a quattro chilometri da qui, dove sono morti sei padri gesuiti. La chiesa locale si è attrezzata bene. La nostra parrocchia ha creato una task force (di cui faccio parte) per immaginare la riapertura: tra chiesa, cimitero e scuola (dai 3 ai 14 anni, la scuola che frequentano i nostri figli), la parrocchia ha quasi cento impiegati.

Lei e la sua famiglia – in particolare i bambini – come state vivendo questo periodo?

I bambini (che hanno 8 e 5 anni, ndr) intuiscono che è molto improbabile la nostra venuta in Italia questa estate. È la cosa più dolorosa per noi perché è l’appuntamento a cui guardano e di cui parlano nel resto dell’anno. Ci stiamo attrezzando per fare scuola di italiano a casa, dopo che avranno finito la loro scuola online – che per me e mia moglie è la cosa più complicata e stancante di tutte in questo periodo.

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 22 maggio 2020. Leggi e scarica gratuitamente l’intera edizione su http://www.lavocediferrara.it 

Apertura e complessità: il papato di Francesco

11 Mar

Una Chiesa vissuta, globale, ecumenica, sinodale e periferica è quella che Massimo Faggioli il 7 marzo a Ferrara ha descritto come la Chiesa che Bergoglio sta tentando di costruire. Ma le difficoltà sono tante, dalla Cina agli USA e, soprattuto, riguardo al vaso di pandora degli scandali legati alla pedofilia e agli abusi sessuali

4805Un relatore di altissimo profilo è intervenuto la sera dello scorso 7 marzo nella sala parrocchiale di Santa Francesca Romana in via XX settembre a Ferrara. Si tratta di Massimo Faggioli, nato a Codigoro 49 anni fa, residente a Ferrara dal 1978 al 2008, quando si è trasferito negli USA, dove è docente ordinario nel dipartimento di Theology and Religious Studies alla Villanova University (Philadelphia). L’anno scorso è uscito il suo ultimo volume, “Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo. Chiesa, società e politica dal Vaticano II a papa Francesco” (Armando Editore). Faggioli nel suo intervento, al quale hanno assistito una 50ina di persone, ha cercato di ricostruire i caratteri prevalenti dei primi sei anni del pontificato di Francesco, “il primo papa a non essere anche ‘il’ teologo della Chiesa”.

Una Chiesa vissuta, non astratta

Questo non per mancanze del Pontefice, ma perché Francesco è “visceralmente antideologico, odia declinare il cristianesimo in una ideologia – conservatrice o liberale che sia – perché la sua idea di Chiesa è vissuta, è popolare. E questa sua visione la mette in pratica su divere questioni, come ad esempio il tema dell’omosessualità, del matrimonio o del divorzio, temi sui quali non modifica la dottrina ma ha un approccio coraggioso su come la stessa debba essere applicata”, ha spiegato. Per Francesco “non c’è un astratto da applicare a qualsiasi situazione, e questo è un cambiamento epocale”.

Il Papa della globalizzazione e dell’ecumenismo

La Chiesa, inoltre, pur essendo, per sua natura, universale, “per la prima volta ha un Papa davvero globale, e che ha compiuto passi molto importanti a livello ecumenico, con fatti e gesti concreti”. In particolare, si pensi al suo “avvicinamento al mondo islamico”, col quale Francesco “mette in pratica l’idea fondamentale di papa Giovanni XXIII sulla fraternità universale, diversa e più profonda da quella pur importante di dialogo”. Ciò è molto significativo in un mondo “nel quale si alzano muri o dove sono i mari ad essere ’sbarrati’ come se fossero muri”.

Sinodalità e riforme attese

Proseguendo, secondo Faggioli, “Papa Francesco chiama la Chiesa a cambiare anche su come governare se stessa, anche se rimane uno dei problemi di fondo, il fatto che la gerarchia è ancora troppo maschile e clericale. La sinodalità – ha proseguito – è dunque uno dei capisaldi del suo pontificato, intesa come vera inclusione di tutto il popolo di Dio, non solo del clero o degli uomini”. Con i Sinodi e il recente incontro para-sinodale, inoltre, “Francesco ha dimostrato di non considerare il Vaticano come mero palcoscenico per le sue dichiarazioni, ma come luogo per chiamare la Chiesa, da tutto il mondo, a parlare. La speranza – sono ancora parole di Faggioli – è che nella cosiddetta ‘fase 2’ del pontificato, Francesco riesca a fare quelle riforme istituzionali così difficili da portare a termine, a causa delle tante resistenze”.

Nelle periferie “impossibili”

Riguardo al rapporto col mondo, Faggioli ha poi spiegato come “il Papa sceglie di compiere i suoi viaggi prevalentemente nel mondo post-cristiano o dove i cristiani e in particolare i cattolici sono minoranza, perlopiù piccola”. Fra i gesti più importanti da lui compiuti, ricordiamo l’incontro col Patriarca di Mosca, Kirill, all’aeroporto dell’Avana nel settembre 2016, e, due anni dopo, l’accordo col governo cinese sulla nomina dei Vescovi.

USA, il punto dolente

Ampio spazio Faggioli ha poi dedicato, com’è logico dato il punto di vista privilegiato, alla situazione negli States. “Quando Bergoglio venne eletto al soglio pontificio – ha spiegato -, mi accorsi subito che ci sarebbero state tensioni nei suoi confronti, ma mai avrei pensato che sarebbero state così forti. Negli USA c’è una forte resistenza politica, sociale e culturale nei suoi confronti, con picchi di tensione registrati durante il Sinodo della famiglia – Amoris Laetitia per la stragrande maggioranza dei vescovi nordamericani è come se non esistesse -, e con l’elezione di Trump a Presidente.

“Abusi, se ne parlerà ancora per molto tempo”

La condanna del cardinale Pell, il caso dell’ex cardinale McCarrick e le accuse al Papa da parte dell’ex nunzio apostolico a Washington Viganò. Questi sono solo alcuni dei casi più gravi ed eclatanti nell’intera terribile vicenda riguardante gli scandali sessuali che hanno coinvolto sacerdoti, vescovi e cardinali. Riguardo a Viganò, “il fatto che lo scorso settembre fu appoggiato da alcuni vescovi e cardinali (molti dei quali statunitensi, tra cui il cardinale Daniel DiNardo, presidente della Conferenza episcopale americana, ndr), mi ha fatto davvero temere per uno scisma: andavo a letto senza sapere se il giorno successivo avrei trovato ancora una, oppure due, tre Chiese diverse”, ha commentato Faggioli. La questione della pedofilia e degli abusi sessuali nella Chiesa, “oltre a essere legata a diverse questioni teologiche, è connessa in modo forte a questioni politiche. Siamo di fronte a una crisi epocale, siamo come all’inizio di Mani Pulite: non si può prevedere cosa accadrà. Papa Francesco comunque – sono ancora sue parole -, è cosciente del fatto che che questo bubbone non è scoppiato ancora del tutto, e vuole invece che accada, non vuole coprire niente, vuole che i crimini emergano e che vengano puniti. Di sicuro, di questo tema se ne parlerà ancora per molto tempo, e sempre più anche nel nostro Paese”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 marzo 2019

La Voce di Ferrara-Comacchio

“Evangelii gaudium”, esperti a confronto in libreria

11 Gen

Ogni gesto, ogni azione, ogni parola di Papa Francesco provocano a livello mondiale reazioni perlopiù positive, stimolando sempre nuove riflessioni sulla fede e sul ruolo della Chiesa nella società contemporanea. Così la stessa esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, uscita a novembre scorso, si presenta come un testo fondamentale per credenti e non credenti. Oggi alle ore 17, presso la libreria IBS in Piazza Trento Trieste, 1 si terrà, a riguardo, l’incontro dal titolo “L’esortazione apostolica Evangelii Gaudium e il pontificato di Papa Francesco”. Ne discuteranno Massimo Faggioli, docente di Storia del Cristianesimo all’University of St. Thomas Minneapolis/St. Paul e Piero Stefani, biblista. Il ruolo di coordinatore dell’incontro è affidato a Tiziano Tagliani, sindaco di Ferrara.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara l’11 gennaio 2014