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Achille Funi «operaio sognatore» nostalgico della Bellezza pura

19 Gen

Ritratto dell’artista a cui è dedicata la mostra a Palazzo Diamanti: l’idiosincrasia per la meschina modernità, l’amore per l’antico, quel progetto per la chiesa di san Benedetto…

di Andrea Musacci

Più che un rifiuto della modernità, un suo oltrepassamento. Più che un’idealizzazione del passato, la ricerca di un’essenza pura, di quell’ineffabile che trascende luoghi, ere, linguaggi. La pittura di Achille Virgilio Socrate Funi rappresenta una sintesi felice di aspirazioni neoclassicistiche, reinterpretazione della tradizione artistica ferrarese e nuove suggestioni.

Un’alchimia originale, associata a un nome famoso ma non celeberrimo, che non lo rende ancora (per fortuna?) un artista iconico, non richiamando a Palazzo Diamanti folle alla ricerca di sensazioni estemporanee, di fuggitive occhiate. Era tutt’altro, Funi, e la sua arte. “Achille Funi. Un maestro del Novecento tra storia e mito” – la mostra visitabile a Diamanti fino al 25 febbraio 2024 – dice molto bene di cosa attendersi. Dentro, ci sono tutte quelle parole “pesanti” che spesso non riusciamo più a sopportare: c’è la scuola/il mestiere come luogo dell’autorità e della fatica, c’è il secolo breve ma non effervescente, c’è la gravità di un tempo che precorre e nelle aspirazioni più alte ricorre. Quelle di Funi le spiegò bene l’amica Margherita Sarfatti: «Pittore della dignità severa e della povertà nobile è il Funi. Aspira sì alla bellezza, e così alto è il sospiro, e puro, e sinceramente intero e disinteressato, che la raggiunge per vie imprevedute, non imitabili».

NELLA FOLLIA, VERSO LA BELLEZZA

«Vie imprevedute», inimitabili. De Chirico, che di misteriose chiavi di accesso alla realtà se ne intendeva, così racconta quelle di Funi: le «anomalie mentali» tipiche dei ferraresi in lui hanno portato a «infinite nostalgie verso la bellezza e la perfezione», scrive in un libricino che gli dedicò nel ’40; «Achille Funi è un operaio sognatore». «La pazzia di Funi – prosegue De Chirico – si traduce, nella sua attività pittorica, in un costante andare verso la bellezza. Vi è nella sua mentalità d’artista un che di platonico, di ermafroditico e di ineffabilmente gentile; qualcosa che a volte sconfina felicemente in quell’aspetto profondo e grazioso che in francese con parola intraducibile si chiama “joliesse”».

Si raccontava dei loro incontri al Caffè Biffi in Galleria a Milano: dialoghi spesso muti, per non disperdere pensieri in quel legame profondo. Un legame antico, con radici granitiche, di quelle che affondano nello spirito senza tempo.

MAESTOSA ANTICHITÀ E FASTIDIOSA MODERNITÀ

«La sua caparbietà, unitamente all’aspetto fisico piuttosto massiccio e nerboruto, lo facevano assomigliare a un antico romano. Di statura appena al di sotto della media, aveva spalle larghe, un viso dai grandi occhi espressivi, una voce baritonale e labbra marcate, tra le quali era solito tenere una pipa o un sigaro». Così scrive di lui Serena Redaelli, una delle curatrici della mostra ferrarese, nel catalogo della stessa di cui è co-curatrice, organizzata da Ferrara Arte e Servizio Musei d’Arte Comune di Ferrara.

Nella sopracitata opera, De Chirico racconta di un Funi in perenne ricerca di «sistemi perduti e perduti segreti» e per lo scultore Alik Cavaliere, egli «seguì con ossessiva, puntigliosa precisione la “grande” missione di un totale ritorno all’antico. L’antico costituì per lui l’unico modo di vivere il presente e lo portò alla scelta di regole rigorose che seguì per tutta la vita con coerenza».

Gli stessi sguardi dei soggetti nelle sue opere sembrano esprimere quell’invincibile malinconia e quella ancor più ostinata consapevolezza di chi sa di non appartenere al proprio tempo, pur attraversandolo. Sono sguardi pervasi, in ogni istante, dal fragore della storia.

Un andare a ritroso che è immersione nelle viscere della bellezza. Nel mezzo, la contemporaneità che già da decenni mette in mostra le proprie meschinità, che delle proprie bassezze non solo fa mercato, ma vanto: «qui ormai non c’è più fede in nulla: non si pensa che a far quattrini ed a superare la crisi il meglio possibile», scrive Funi di Parigi, nel ’31, durante un soggiorno nella capitale francese.

«Epoca assurda la nostra, in cui si crede di perdere il tempo, quando lo si guadagna contemplando […]», scriveva nel 1972 l’esegeta e amico Raffaele de Grada. «Funi lo sapeva e viveva da uomo. La metodicità della sua vita – la passeggiata, lo studio, il caffè, la lettura, il riposo, il lavoro – era il registro dell’orologio della sua vita sul quadrante della storia. Egli conosceva il gusto di quello che i francesi chiamano il flâner, il non avere uno scopo immediato, la sottrazione del vivere al concetto dell’utile, del profitto».

IL FASCISMO E L’ALTO IDEALE

Necessitante chiarimenti è il rapporto di Funi col ventennio fascista, epoca di ambiguità, di violenze, di idee criminali e di altre che, nonostante tutto ciò, cercavano una via di uscita dalla soffocante legge del denaro. La successiva demonizzazione dell’arte fascista colpì anche Funi. La sua arte, scrive Sgarbi nel catalogo della mostra, voleva invece essere una «pittura civile, capace di trasmettere i valori della grande tradizione classica italiana». «Con un “Novecento” in crisi e in netta discesa – spiega invece Nicoletta Colombo, co-curatrice -, all’inizio degli anni Trenta si faceva sempre più urgente la necessità di sostenere un’epica nazionale mediante un linguaggio artistico di destinazione sociale e non più quindi esclusivamente individuale e borghese».

Funi sicuramente partecipò ai Fasci di Combattimento di Piazza San Sepolcro a Milano nel 1919, ma in seguito se ne allontanò venendo per questo fortemente criticato da Roberto Farinacci. Non fu, quindi, mai un fascista militante. Lui stesso nel ’71 scrisse: «i punti di convergenza col fascismo potevano forse riconoscersi unicamente in talune rivalutazioni del passato storico e umanistico nazionale […]. Ma noi non facevamo politica e […] pensavamo unicamente a cercare nuove vie di rinnovamento». E Alik Cavaliere raccontò come dopo l’8 settembre Funi respinse dall’Accademia di Brera i militari, nascondendo alcune persone considerate irregolari in una cantina dell’edificio. Raffale de Garda spiegò, invece, come durante la guerra Funi gli affidò il proprio appartamento in piazzale Fiume, 9 (oggi Piazza della Repubblica) a Milano «perché io vi abitassi e sapeva che quella casa sarebbe diventata un rifugio per gli antifascisti».

QUELLE LUNETTE DI SAN BENEDETTO

E proprio in un anno simbolo del fascismo, quel ’22 della Marcia su Roma, Funi, durante il suo ritorno a Ferrara da Milano, conosce De Pisis. Quest’ultimo gli dedica un articolo sulla “Gazzetta ferrarese” dell’11 novembre dello stesso anno, dove racconta come Funi «avrebbe da poco ricevuto l’incarico di decorare le tre lunette esterne poste nella chiesa di San Benedetto a Ferrara, non sappiamo se ad affresco oppure con quadri o pannelli centinati». È Lucio Scardino a raccontare questo aneddoto nel catalogo della mostra di Diamanti, ma ne accenna anche in quello della mostra di Funi esposta al MART di Rovereto da ottobre ’22 a febbraio ’23: «Sinora a molti è sfuggito che, nel fatidico (per più versi) 1922, Achille Funi aveva ricevuto l’incarico di dipingere le lunette esterne per la chiesa di San Benedetto a Ferrara: nella facciata della chiesa rinascimentale, rifatta filologicamente nel 1954 dopo i bombardamenti di dieci anni prima, compaiono ancora oggi tre lunette sopra altrettanti portali d’ingresso». Scardino ipotizza che destinate a queste tre lunette furono le tavole “Imago Pietatis” (1920-1922 c.) (forse per la lunetta centrale), “Autoritratto con brocca blu” (1920) e “La sorella Margherita con brocca di coccio” (1920), quindi con Cristo al centro, lui e la sorella ai lati a rappresentare rispettivamente San Benedetto e la sorella Santa Scolastica. Un enigma che forse non troverà mai una risposta definitiva.

L’ENIGMA DI UN «MONDO FELICE»

Enigma come fu la sua vita, com’è ogni esistenza consacrata allo sposalizio tra bellezza e verità. «Credeva nelle idee, ed era convinto che la forma è vita», disse alla sua morte il critico e scrittore Alberico Sala. Occorre oltrepassare le linee consuete, ridecifrare i nostri codici per comprendere Funi. Un altro che di «vie imprevedute» se ne intendeva, l’artista Alberto Savinio, scrisse di lui: «La testa di Funi che dorme è nel buio della camera un globo luminoso, e in trasparenza vi appaiono le immagini di un mondo felice che la memoria vi ha raccolto, e che lui, da sveglio, ripete via via nelle sue pitture». A quel «mondo felice» e irraggiungibile Funi ha dedicato la propria vita. Un’esistenza venata di joliesse, di contraddizioni, ma capace di elevarsi alla ricerca di quella Forma pura, di quell’Ideale che mai del tutto cogliamo, di quel Mistero che sempre ci pervade e ci guida.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 19 gennaio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

Una vita dedicata all’arte

Achille Funi nasce a Ferrara 1890. Dai 12 ai 15 anni frequenta la civica scuola d’arte Dosso Dossi nella sua città natale, si diploma nel 1910 all’Accademia di Belle Arti di Brera (dove poi insegnerà dal 1939 al 1960), nel 1914 aderisce al movimento futurista, elaborandone una particolare versione e mantenendone una certa distanza. Nel 1922 nasce il gruppo “Novecento” e lui è tra i suoi fondatori. La linea teorica del gruppo si orienta verso un recupero della tradizione classica italiana rivisitata alla luce delle esperienze delle avanguardie degli inizi del secolo. L’interesse per la figura come soggetto principale dell’opera e l’attenzione al mestiere sono le caratteristiche dominanti del classicismo degli anni ‘20. Ora si parla di “umanità”, di centralità dell’uomo nella pittura. Importante anche la sua opera di affrescatore e di mosaicista: decorazioni ad affreschi per la Triennale di Milano dal 1930 al 1940, affreschi nella chiesa del Cristo Re a Roma, in S. Giorgio Maggiore e nel Palazzo di Giustizia a Milano, e un grande mosaico nella Basilica di S. Pietro a Roma. Nel 1945 ha la cattedra di pittura all’Accademia Carrara di Bergamo e successivamente ne diviene direttore. Negli anni ’50 torna ad insegnare a Brera. Muore ad Appiano Gentile nel 1972.

Ultimi incontri a Diamanti

Queste le ultime due conferenze legate alla mostra: 18 gennaio, ore 17, Palazzo Diamanti, Sala Rossetti: “Achille Funi e le suggestioni di Cézanne, Picasso e Derain”.Interviene Chiara Vorrasi, curatrice della mostra, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara.

25 gennaio, ore 17, Palazzo Diamanti, Sala Rossetti:“Achille Funi e le mostre all’estero del Novecento Italiano di Margherita Sarfatti”. Interviene Daniela Ferrari, Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.

Mostra di Banksy a Ferrara. Ma l’artista non l’ha autorizzata

25 Mag

banksySul sito del celebre writer inglese, la mostra di riproduzioni di sue opere annunciata da Sgarbi per fine maggio a Palazzo dei Diamanti, compare tra quelle dichiarate “fake”, “false” dall’artista

Banksy, artista dall’identità ignota, arriva a Ferrara. O meglio arrivano riproduzioni di alcune sue opere. Ma senza il suo consenso. Quella che sembrerebbe una situazione surreale, è realtà. Il Comune di Ferrara, insieme agli organizzatori Fondazione Ferrara Arte e Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea in collaborazione con Associazione Culturale MetaMorfosi, hanno ufficializzato che Palazzo Diamanti dal 30 maggio al 27 settembre 2020 ospiterà, come ha dichiarato il Direttore di “Ferrara Arte” Vittorio Sgarbi, “la prima mostra italiana dedicata a un autore così noto ad aprire” dopo la chiusura per l’emergenza (corsivo nostro, ndr). Mostra dal titolo “Un artista chiamato Banksy”, che già riporta, sulla locandina ufficiale, il timbro con la scritta “Unauthorized” (“Non autorizzata” dall’autore). Il writer inglese, originario di Bristol, considerato uno dei maggiori esponenti della Street Art, è noto per le sue corrosive incursioni in alcuni musei e sui muri di grandi città. Ma non è nuovo anche per partecipare, sempre indirettamente e nell’anonimato, a dispute con musei che ospitano mostre con sue opere. Due anni fa sul suo profilo Instagram dichiarò: “Non faccio pagare per vedere la mia arte, ma non penso di essere la persona giusta per lamentarsi se qualcuno pubblica qualcosa senza permesso”. Sul suo sito web (https://www.banksy.co.uk/shows.asp) compare una lista di esposizioni col suo nome da lui dichiarate “fake”, “false”. Questo il testo che accompagna la lista: “Il pubblico dovrebbe essere consapevole del fatto che c’è stata una recente ondata di mostre su Banksy, nessuna delle quali è consensuale. Sono state tutte organizzate senza che l’artista ne fosse a conoscenza o senza che fosse stato coinvolto. Vi preghiamo quindi di approcciarvi a queste mostre di conseguenza”. Fra queste, da un po’ di tempo il writer ha inserito anche quella di Ferrara. In attesa che la polemica monti anche nella nostra città, ricordiamo un caso simile col MUDEC (Museo delle Culture) di Milano. Gli organizzatori della mostra “Banksy. A visual protest”, in programma da novembre 2018 ad aprile 2019 – anch’essa nella “black list” sul suo sito -, furono citati in giudizio dalla Pest Control, società che detiene il diritto di agire per conto dell’artista, per utilizzo non autorizzato del nome, riferendosi in particolare al merchandising legato all’esposizione. Il Museo meneghino si difese affermando: “non sono presenti lavori sottratti illegittimamente da spazi pubblici, ma solo opere di collezionisti privati di provenienza certificata”. Sulla questione si pronunciò il giudice del Tribunale di Milano, che diede ragione alla Pest Control per quanto concerne l’utilizzo del nome dell’artista sui gadget, venduti nel bookshop del museo, che furono quindi immediatamente ritirati. In tribunale è stato portato anche il catalogo della mostra, a causa delle riproduzioni fotografiche delle opere presenti su di esso, ma in questo caso la questione è più complessa, in quanto non sarebbe possibile dimostrare che, insieme al diritto di proprietà, sia stato ceduto anche quello di riproduzione.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 29 maggio 2020. Leggi e scarica gratuitamente l’intera edizione su http://www.lavocediferrara.it 

Tutto il Novecento nel PAC di Ferrara: in mostra la Collezione di Franco Farina

23 Dic
Warhol, Vedova, Schifano e molti altri grandi artisti esposti al Padiglione di Arte Contemporanea. Fra due anni le opere a Palazzo Massari, a breve la catalogazione delle sue lettere e fotografie. Aneddoti inediti su Farina e il suo studio. E quel misterioso bozzetto delle “Muse inquietanti” di De Chirico…
 
di Andrea Musacci
farina 2Estro, tecnica e intelligenza sono doti necessarie per un artista ma anche per chi l’arte la colleziona, la espone, la rende patrimonio della comunità. Ed estro, tecnica e intelligenza erano caratteristiche che appartenevano a Franco Farina, non solo Direttore dal 1963 al 1993 di Palazzo dei Diamanti, ma anche colui che, in questo trentennio, ha sconvolto la monumentale quiete di un Palazzo antico e di un’intera città, portando ogni anno a Ferrara i maggiori e più coraggiosi artisti internazionali contemporanei.
 
Ora, è possibile passeggiare in queste tre decadi – o meglio, nell’intero Novecento – attraverso le sale del PAC, il Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara (attiguo a Palazzo Massari), in occasione della mostra “La collezione Franco Farina / Arte e avanguardia a Ferrara 1963/1993″, che raccoglie un’ampia selezione delle opere a lui donate o da lui cercate nel corso della carriera (in tutto, quasi 200 tra dipinti, disegni, sculture e opere polimateriche). Patrimonio che la scorsa primavera Lola Bonora, erede, compagna di una vita ed ex direttrice del Centro Video Arte di Diamanti, ha donato al Comune di Ferrara. Donazione che – come ha ricordato oggi, 20 dicembre, giorno dell’inaugurazione, proprio la Bonora nella conferenza stampa in Municipio – lo stesso Farina desiderava fortemente: “sono fortunato a poter avere queste opere in casa mia, ma quando non ci sarò più vogliono che tornino ai cittadini”, diceva. E così è stato. “In questa mostra c’è lui, la sua storia”, ha proseguito la Bonora.
 
“E’ stato tanto amato dalla sua Ferrara, anche dai semplici cittadini: diverse persone, fino all’ultimo, lo fermavano per strada per salutarlo”.
Così, ora, dopo almeno sei mesi di ricerca e preparazione, la mostra è realtà, grazie alla Fondazione Ferrara Arte e Gallerie d’arte moderna e contemporanea di Ferrara, con la cura di Maria Luisa Pacelli, Ada Patrizia Fiorillo, Chiara Vorrasi, Lorenza Roversi e Massimo Marchetti. In parete, capolavori di Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Lucio Fontana, Emilio Vedova, Robert Rauschenberg, Mimmo Rotella, Mario Schifano, ma anche Andy Warhol, Renato Guttuso, Man Ray, Mario Sironi, e, tra i ferraresi, Fabbriano, recentemente scomparso. Una collezione, quella di Farina, spiega Fiorillo nel catalogo, che nasce “dagli incontri, dagli scambi, dalle amicizie, dalla stima offerta e ricevuta, insomma da quel ‘disegno’ che non divideva l’uomo dal professionista”.
 
Prossima tappa: la catalogazione delle sue lettere e fotografie. E fra due anni le sue opere saranno a Palazzo Massari
 
OLYMPUS DIGITAL CAMERAA breve inizierà l’inventariazione dello sterminato insieme di documenti, lettere e fotografie appartenute allo stesso Farina, alcune delle quali presenti in mostra. Come spiegano a “la Voce” le curatrici Pacelli, Roversi e Vorrasi, “si tratta di oltre un centinaio di faldoni contenenti alcune migliaia di documenti. La speranza – ma è presto per dirlo – è di riuscire a concludere l’inventariazione entro sei mesi, quindi circa a metà 2020. Il nostro intento – proseguono – è anche quello di svolgere un lavoro ragionato, sottolineando ad esempio le diverse relazioni di Farina con i vari destinatari delle missive”.
 
Inoltre, Pacelli ha spiegato come non ci si limiterà al pur ottimo catalogo già disponibile, ma “il lavoro continuerà – con lo stesso gruppo di ricercatori – per realizzare prossimamente un vero e proprio libro”.
Chiediamo alla Pacelli se Palazzo Massari al momento della riapertura a fine lavori – prevista nel 2022 – potrà ospitare una sezione con le opere della Collezione Farina. “Non è questa l’idea che abbiamo – ci spiega -, ma quella di arricchire con anche le opere appartenute a Farina, la futura Sezione del Museo dedicata al Novecento”. Parole che, ancora di più, permettono di assaporare questa “piccola” ma intensa mostra al PAC come un anticipo di quello che sarà al Massari.
 
Il misterioso bozzetto delle “Muse” dechirichiane
 
antolini-farina-brunelli-copiaDi De Chirico in mostra si può ammirare l’opera “Due cavalli” (tempera su cartoncino degli anni ’50). Non abbiamo trovato, invece, un bozzetto delle “Muse inquietanti”, che nel novembre 2015 – in contemporanea con la mostra “De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie” -, la Maria Livia Brunelli Home Gallery aveva esposto per alcune settimane. Si tratta di un olio su tela forse del 1918 donato da De Chirico a Farina. Chi scrive, insieme alla Brunelli, aveva tentato di “indagarlo”: analizzando avevo scoperto come il bozzetto, rispetto all’originale, non presenti la statua-manichino e la scatola “esoterica” nella parte destra in ombra. Questo fa pensare che probabilmente il bozzetto sia una delle prime intuizioni del dipinto del 1918, e non una delle repliche realizzate successivamente all’opera, a scopo di vendita. L’intuizione potrebbe essere confermata dal fatto che l’opera non è firmata (non presenta nessuna scritta) e quindi non finalizzata al mercato. Lola Bonora ha voluto conservare questo bozzetto nella propria collezione personale, scegliendo quindi di non donarlo al Comune.
Tra l’altro, fu quella sera del 21 novembre 2015 che Farina, nella MLB home gallery di corso Ercole I d’Este annunciò: “dopo la mia morte tutte le opere della mia Collezione andranno al Comune di Ferrara”.
 
L’opera su tessuto nel suo studio, nell’aria profumo di mandorle e champagne
 
La vita di una persona è composta dagli aneddoti più originali, spesso più utili di tante parole a descrivere una personalità, come nel caso di Farina.
Il critico e curatore Lucio Scardino a “la Voce” sottolinea come egli fosse “attentissimo alla moda e al mercato, avendo un fiuto straordinario per le tendenze e le innovazioni artistiche. Era intelligente anche perché spesso – e nella mostra si nota – si faceva donare dagli artisti che esponeva a Diamanti, l’opera scelta per essere inserita sul manifesto dell’esposizione stessa”. Scardino ci regala anche un aneddoto – “ ‘Tu sei un feticista’, mi diceva scherzando, per il mio intenso interesse per gli artisti ferraresi” – e ricorda la sua collaborazione, durata alcuni anni, con Farina per la schedatura delle oltre 8mila opere d’arte del Comune di Ferrara. “L’opera ‘Interrogazioni sull’arte’, una stampa su tessuto di oltre 3 metri realizzata da Léa Lublin – ci racconta ancora Scardino -, ricordo che Franco l’aveva appesa nel proprio studio dietro la scrivania dove siedeva, donando alla vista una forte impressione”.
Anche la Pacelli, nel corso della conferenza stampa, ha ricordato le numerose visite nello studio di Farina, dove insieme mangiavano mandorle salate e bevevano champagne. Particolare, questo, ricordato a “la Voce” anche da Maria Livia Brunelli: “a chi lo andava a trovare negli anni d’oro nel suo studio a Palazzo dei Diamanti, offriva sempre un bicchiere di champagne”. Inoltre, “indossava spesso una tunica e aveva un pappagallo bianco che gli si posava sulla spalla”.
“Farina era una figura evanescente, in lui il concetto, il pensiero dominavano sulla materialità, sulla fisicità”, ha ricordato invece Vittorio Sgarbi, Presidente di Ferrara Arte. “La curiosità, il sapersi creare rapporti con i musei più importanti, i legami con i mercati ‘laici’, nel senso di privi di pregiudizi, erano le caratteristiche” che gli permisero di far diventare Diamanti quel che è diventato: in quel periodo immortale, in quei “30 anni di ‘dittatura’ farininana” – sono ancora parole di Sgarbi – nei quali egli, con la sua “produzione compulsiva” e con il suo “gusto impersonale (finalizzato soprattutto a testimoniare il contemporaneo in questa città)”, ha rivoluzionato la mistica e assonnata Ferrara.
 
Ferrara centro nazionale dell’arte fotografica?
 
E’ questa la proposta, e al tempo stesso la sfida alla città lanciata, sempre il 20 dicembre in Municipio, da Sgarbi. Nel presentare la mostra “La fotografia ha 180 anni! Il libro illustrato dall’incisione al digitale / Italo Zannier fotografo innocente” (in programma tra febbraio e marzo ’20 al MART di Rovereto e il prossimo autunno al PAC di Ferrara), il presidente di Ferrara ha raccontato la propria esperienza, nel ’74, come assistente di Zannier: “così, grazie a lui, quasi per caso, ho scoperto la fotografia”. Dunque, l’annuncio: “in Italia, quindi anche a Ferrara, c’è bisogno di un ‘terremoto fotografico’, attraverso la nascita di centri. Ferrara può diventare uno di questi centri della fotografia, è un dovere storico. Sarebbe importante che questa rivalutazione assolutamente necessaria dell’arte fotografica partisse da Ferrara, com’è stato – ha proseguito – il progetto del MEIS. Insomma, speriamo che Ferrara possa essere all’avanguardia nel riconoscimento della fotografia come arte fondamentale della modernità, della contemporaneità e della vita quotidiana di ognuno”.
Presenti in Municipio, per l’occasione, lo stesso Zannier, l’Assessore alla Cultura Marco Gulinelli e Gianfranco Maraniello, Direttore del MART di Rovereto.
 
 
Pubblicato su http://www.lavocediferrara.it

De Nittis indaga la modernità, tra nebbie antiche e nuovi sfarzi

9 Dic

Fino ad aprile Palazzo dei Diamanti ospita la personale del pittore barlettano divenuto celebre a Parigi

di Andrea Musacci

Giuseppe De Nittis, Westminster, 1878Un viaggio agli albori della modernità, tra paesaggi incontaminati e maestose metropoli europee. A compierlo, in pochi decenni, è stato il pittore barlettano Giuseppe De Nittis (Barletta, 25 febbraio 1846 – Saint-Germain-en-Laye, 21 agosto 1884), “ospite” a Palazzo dei Diamanti a Ferrara fino al prossimo aprile. Si tratta dell’ultimo progetto espositivo prima dell’avvio del cantiere che riqualificherà le sale espositive e il giardino interno, e che obbligherà alla chiusura fino al 2021 o ’22. Un motivo in più per godersi questi capolavori, inaugurati il 1° dicembre nella mostra dal titolo “De Nittis e la rivoluzione dello sguardo”, organizzata in collaborazione con il Comune di Barletta, e a cura di Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi (conservatrici delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara) e Hélène Pinet (già responsabile delle collezioni di fotografia e del servizio di ricerca del Musée Rodin di Parigi). Un’interessante esposizione che mette bene in risalto la capacità dell’artista di indagare la nascita di un’epoca, lo sviluppo delle moderne città: anche per questo, le curatrici hanno scelto di porre l’accento sulla correlazione tra le opere di De Nittis – davvero innovative – e la tecnica fotografica.

Attraverso un raffinato e lirico realismo, l’esposizione di Diamanti inizia con paesaggi deserti, sfocati e malinconici, dove la nebbia li rende come cristallizzati, eterni, atemporali. La modernità incombe, però, inesorabile, e sarà lo stesso De Nittis a cercarla e raggiungerla: nel 1867 si traferisce a Parigi (mirabile l’opera “La traversata degli Appennini – Ricordo”) dove due anni dopo sposerà Léontine Lucile Gruvelle. La capitale francese, come quella inglese, sono rappresentate perlopiù in tele dove a dominare sono cieli piovosi, brumosi, grigi, d’argento e di fumo. Paesaggi anche campestri, immersi in una foschia perlacea, diafana – solo a tratti e timidamente rosacea o color ruggine. Fumo e nebbia, dunque, “fog&smog”, ad addormentare l’atmosfera urbana, diluendo edifici e persone, invadendone fin le figure, donne e uomini “distratti” – come in “Westminster” (1878) -, apparentemente incapaci di ammirare quella luce rossa fioca del tramonto, che in lontananza cerca di emergere come in una visione. “Formicolante città – cantava Baudelaire in “I sette vecchi” -, città piena di sogni, ove lo spettro in pieno giorno adesca il passante! […Città dove] ingigantite dalla nebbia le case avevan l’aria d’argini fiancheggianti un fiume gonfio”.

Giuseppe De Nittis, Il salotto della principessa Mathilde, 1883Proseguendo nel percorso insieme a De Nittis, man mano i paesaggi, urbani e non, si fanno, da una parte, sempre più rappresentativi del moderno – nelle architetture, negli abiti -, dall’altra, più nitidi e solari, segni forse dell’incontenibile ottimismo del progresso. In una Parigi non più nebbiosa, ma pur sempre umida e soverchiata di nuvole, o in una soleggiata Londra, è come se la moderna architettura urbana volesse imporsi allo sguardo, uscendo dalla foschia del passato, dell’antico, lasciandosi alle spalle quella romantica nostalgia che confonde, ottunde, quasi acceca, per presentarsi in tutta la sua sfacciata e disincantata novità, fatta di pesante perfezione. I cantieri, in alcune opere, sono segno di questa continua costruzione, di un erigere strutture su strutture, simbolo concretissimo della nascita e dello sviluppo della città moderna, lanciata verso il XX secolo: uno sguardo sulla sua ossatura – le impalcature -, sul suo germinare dall’acciaio e dal vetro. Ma quasi fosse una reazione, una fuga (o un semplice vezzo?), sempre dalla fine degli anni ’60 si nota in alcune opere del pittore barlettano un richiamo a certo naturalismo giapponese, etereo e sognante: i paesaggi, più o meno nevosi, con le loro montagne e laghi, e anche alcuni paesaggi urbani, sembrano voler smorzare la freddezza dell’urbanità di fine secolo, la sua industrializzazione, dando anche maggior risalto alla figura umana, con primi piani femminili. Volti e corpi di donne che sono centrali nella fase successiva, dalla seconda metà degli anni ’70, quella degli interni, raffinati ambienti artificiali (a parte le ricche composizioni floreali), fin sensuali, caldi in una penombra misteriosa, intorpidita e quasi sonnolenta. Sono donne dalle pelli biancastre, o meglio, perlacee, decisamente meno vestite rispetto ai gelidi dipinti di esterni, con eleganti abiti e corpetti alla moda, ciprie e ventagli, lussuose collane e graziosi bracciali.

Sfarzo che forse raggiunge il suo apice nelle opere ambientate negli ippodromi: dopo gli angusti e intimi spazi interni, un ritorno all’aperto, in ambienti ariosi ma dove la natura, sempre più domata, è rappresentata dai cavalli di razza in gara. L’equino, simbolo di glorie antiche è, nelle opere di De Nittis, trasformato in orpello, posto sullo sfondo di questa grande sceneggiata della modernità, in questa rappresentazione teatralizzata dove a interessare è l’eleganza e il compiacimento nello sfoggio dei propri ingombranti cappelli, dei propri abiti alla moda. Così, l’ultima parte dell’esposizione è dedicata alle realizzazioni “en plein air”, dove tutto si fa massimamente lucente e spensierato, ormai lontano dalle nebbie delle città polverose e indaffarate: ora a dominare sono i dolci pastelli luminosi e vivaci, quei colori “virginali” – oro, bianco e celeste – che pare quasi di vedere anche nel “bianco e nero” dei due commoventi filmati dei fratelli Lumière, del 1895 e del 1900: in uno, un padre imbocca il figlioletto neonato sotto lo sguardo amorevole della madre, nell’altro, una bimba seduta gioca con un gatto. Lo sguardo della tecnica, d’ora in poi, invaderà sempre più il reale: De Nittis l’aveva compreso, riuscendo a interpretarlo con originale sensibilità, dote tipica dello sguardo “rivoluzionario” dell’artista.

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 13 dicembre 2019

La Voce di Ferrara-Comacchio

http://lavoce.epaper.digital/it/news

“Orlando Furioso Decoded” irrompe alla MLB home gallery

22 Set

La MLB home gallery di Maria Livia Brunelli presenta domani alle 17 uno dei suoi artisti di punta, per “accompagnare” l’inaugurazione della mostra “Orlando furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi” nel vicino Palazzo dei Diamanti. “Orlando Furioso Decoded” è il nome della mostra personale di Stefano Bombardieri, già noto a Ferrara per le sue installazioni di rinoceronti, elefanti e tigri in diversi punti del centro cittadino.

Dopo l’esposizione di Giovanna Ricotta dello scorso aprile, “Furiosamente. Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori”, la MLB home gallery presenta un altro progetto artistico legato al poema ariostesco, scegliendo l’artista bresciano Bombardieri, classe ‘68. Il pubblico dovrà utilizzare un’app che legge i codici a barre per andare alla scoperta degli innumerevoli personaggi dei vari racconti, in un viaggio nel tempo che mette in luce la ricchissima trama del poema. Arricchiscono la mostra alcune piccole sculture-gioiello ispirate a frasi iperboliche e fantasiose del “Furioso”.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 22 settembre 2016

Stasera “Cinema nel parco” chiude i battenti

24 Ago

Blue_Jasmine_posterCinquantanove proiezioni, due mesi di cinema all’aperto (e purtroppo tante serate rovinate dalla pioggia) nella suggestiva cornice dell’Arena Parco Diamanti, retrostante l’omonimo Palazzo. È il “Cinema nel parco”, ormai consueta rassegna estiva organizzata dall’Arci Ferrara nel periodo estivo per riproporre i migliori film della stagione cinematografica.

Iniziata lo scorso 27 giugno, la rassegna si concluderà stasera con la proiezione di “Blue Jasmine”, film del 2013 scritto e diretto da Woody Allen, e con protagonista Cate Blanchett, vincitrice del Premio Oscar come Miglior attrice protagonista. Tra gli altri protagonisti, Sally Hawkins, Alec Baldwin, Bobby Cannavale e Louis C.K. Il film racconta di una donna dell’alta società newyorkese (Cate Blanchett) che dopo il crollo finanziario e l’arresto del marito Al (Alec Baldwin) si trasferisce a San Francisco dalla sorella adottiva Ginger (Sally Hawkins), completamente senza soldi e per la prima volta costretta a fare i conti con la dura realtà delle ristrettezze economiche e la mancanza di onestà nella sua vita. Un altro successo della lunga carriera da regista di Woody Allen, che magistralmente riesce a fondere tragedia e commedia.

Il film avrà inizio alle 21.30, mentre il parco sarà aperto alle 21, con entrata da via Dosso Dossi, 8. Costo del biglietto intero 6 €, ridotto 4 €, per informazioni chiamare il telefono dell’Arena 320-3570689. In caso di maltempo la proiezioni si svolgerà presso la Sala Boldini in via Previati, 18.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 24 agosto 2014

Piano e corpo nella pittura di Henri Matisse

21 Mar

MatisseAll’interno del ciclo di conferenze “Sguardi su Matisse”, ieri alle 17.30 in Sala Estense in p.zza Municipale si è svolto l’incontro “Matisse: piano e corpo”. Gli appuntamenti sono legati alla mostra “Matisse, la figura. La forza della linea, l’emozione del colore”, in programma a Palazzo dei Diamanti fino al 15 giugno. Tomàs Llorens, storico dell’arte esperto di arte europea della prima metà del Novecento e già direttore del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid ha relazionato sul tema. L’analisi è partita dalla vicinanza tra Matisse e Picasso nel ruolo essenziale, e rivoluzionario, avuto nell’ambito artistico del Novecento. La svolta data dai due è stata infatti quella di “dare l’illusione dell’eliminazione della profondità, la riduzione dunque dello spazio pittorico alla bidimensionalità”. Questo approccio sfocerà poi, soprattutto negli anni ’50-’60, nell’astrattismo tipico di alcuni grandi artisti statunitensi. Tornando a Matisse e alla tendenza alla bidimensionalità, risultano decisivi gli anni ’16-’18, ispiratagli dalla pittura decorativa, periodo nel quale l’artista da Parigi si trasferisce a Nizza. Nel cosiddetto “periodo di Nizza” il pittore francese “ricerca nuovamente una pittura che si allontani dalla bidimensionalità”, recuperando la rappresentazione della volumetria dei corpi, in particolare del corpo umano. Un esempio a riguardo è l’ “Odalisca con pantaloni grigi” del ’27. Questo “ritorno nella tridimensionalità” significa per Matisse un ritorno alla pittura fiamminga (in particolare Vermeer) e a quella di Chardin. Altrettanto fondamentale, nel periodo di Nizza, risulta l’approccio, oltre che con la tecnica di Michelangelo (e il suo “Schiavo morente”), con la pittura di Cezanne, in quanto anch’essa volta alla “sperimentazione, alla ricerca di nuovi modi di rappresentare la corporeità del mondo”. Riguardo al Buonarroti, due colleghi di Matisse in particolare l’hanno accompagnato nel suo interesse per la scultura michelangiolesca: Adolf von Hildebrand e il maestro Auguste Rodin. A metà degli anni ’30, dopo un “ritorno alla bidimensionalità”, riprenderà questa ricerca sul volume, per lui così fondamentale.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 20 marzo 2014

Garofalo e Dosso con la Ciammitti

8 Gen

Una giornata speciale quella festiva di domani, giorno dell’Epifania, alla Pinacoteca nazionale di Ferrara. Con inizio alle 12 è infatti in programma una visita guidata alla mostra “Garofalo, Dosso. Due pittori un cantiere”, a cura di Luisa Ciammitti, direttrice della Pinacoteca nazionale della nostra città. Si tratta di una visita molto speciale, in compagnia della Ciammitti, per vedere le opere di Garofalo e Dosso, due dei più grandi pittori della storia artistica ferrarese. La Pinacoteca nazionale si trova in Corso Ercole I d’Este 21, per informazioni telefonare allo 0532 205844.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 05 gennaio 2014

Omaggio ad Antonioni alla MLB Home Gallery

12 Mar

filippini MLB

Sabato 9 alle 18 Alessandro Filippini, artista italo-belga, ha inaugurato alla MLB home gallery la sua personale “L’inizio e la fine del silenzio. Omaggio ad Antonioni”.  L’esposizione – a cura di Maria Livia Brunelli e Antonio Nardone e in collaborazione con l’Associazione Michelangelo Antonioni – ha visto l’esposizione di diverse opere, oltre che alla MLB home gallery, anche, nei prossimi giorni, in Piazza della Repubblica e nella Rotonda Foschini del Teatro Comunale, che già in passato aveva ospitato altre installazioni curate dalla stessa Maria Livia Brunelli. I temi ricorrenti sono quelli tipici del regista, come la vulnerabilita’ dei personaggi femminili tipici e l’incomunicabilita’, concetti comuni dell’esistenza quotidiana. Sono presenti anche opere di altri artisti, tra cui Arianna Fantin e Marcello Carra’. L’inaugurazione è avvenuta in contemporanea con la presentazione del grande evento “Lo sguardo di Michelangelo Antonioni e le arti” a Palazzo dei Diamanti, e a tal proposito sono utili e stimolanti i reciproci rimandi tra o due eventi. La mostra sarà aperta il sabato e la domenica dalle 15 alle 19 e gli altri giorni su appuntamento, fino al 29 giugno.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara del 12 marzo 2013