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Quei cieli padani porte verso l’Eterno

20 Gen

“Il cielo parla” è il volume di fotografie di Paola Volpe, con testi di don Graziano Donà: un invito ad alzare lo sguardo e il cuore

di Andrea Musacci

Pezzi di anima che la nostra immaginazione illuminata dal cuore proietta in alto, in una visione speciale, più interiore che esteriore. Sono i cieli che Paola Volpe ha fotografato e raccolto in un volume in uscita questo mese, “Il cielo parla” (Faust edizioni, euro 20). Un progetto ideato assieme all’amica e collaboratrice Olga Nacu e che vede la prefazione, i commenti alle immagini e la conclusione affidate a don Graziano Donà, parroco di San Martino-UP del Poggetto.

UNO SGUARDO DI SPERANZA

Un centinaio le foto contenute nel libro, scatti unici realizzati con un semplice smartphone da cui emerge la capacità di Volpe di perdersi nell’ammirare quel luogo sconfinato che è il cielo. O meglio, i cieli. Quei cieli così cangianti e imprevedibili da rapire chi conserva il desiderio di farsi tutt’uno con loro, catturandone la maestosità, scorgendovi richiami, figure, volti. Tutte porte di accesso verso l’Eterno, verso il Cielo. Nessuno “spettacolo” fine a sé stesso, dunque, ma una forma di preghiera contemplativa.

I cieli padani e del Delta del Po diventano, dunque, luogo di ricerca spirituale. Il libro, per don Donà «non è semplicemente un catalogo di foto ma un’opportunità per fare un viaggio che ci rieduca ad alzare gli occhi verso il cielo, in cui possiamo trovare suggestioni e risposte; capace di dare speranza, di stimolare le idee di cambiamento, di assaporare qualche momento di consolazione e di ritrovare il desiderio profondo della pace». «Il nostro cammino è verso il cielo – scrive ancora – e in questo viaggio abbiamo bisogno di consolazione e di coraggio». A questo servono gli angeli, ai quali è dedicata la prima parte del volume. Il cielo, dunque, «ci invita alla Speranza, cioè all’intima certezza che, oltre ciò che vediamo e ciò che viviamo, c’è un Bene più grande che vogliamo e dobbiamo raggiungere».

SE IL CIELO È DIO

Che la bellezza stia nello sguardo del soggetto è un’iperbole. Ma come tutte le iperboli contiene un nocciolo di verità: senza un cuore aperto e due occhi vivi, è impossibile cogliere la bellezza e la verità che sempre la accompagna, e dunque è come se non esistessero. Associamo tra loro bellezza e verità perché lo stesso volume di Volpe non è un catalogo di capricci estetici, ma un progetto, come detto, fortemente impregnato di spiritualità. Possiamo quindi riflettere su come nella Sacra Scrittura il cielo non sia tanto il firmamento quanto il “luogo” delle creature spirituali – gli angeli – e di Dio. Ma Dio non può stare in un luogo delimitato: il cielo è, quindi, Dio stesso, l’Eterno, la gloria escatologica. È un modo di essere, il fine ultimo dell’uomo, la felicità suprema e definitiva: è la vita in Cristo, la piena comunione in Lui, la Patria eterna alla quale dobbiamo tornare. Non a caso, nella Lettera a Diogneto (testo anonimo del II secolo), i cristiani vengono chiamati «cittadini del cielo».

«“Cieli” è parola che significa la modalità in cui il Dio santo è con sé stesso», scrive Romano Guardini in “La preghiera del Signore”, commento al Padre nostro. «I cieli sono l’inaccessibilità di Dio, sono la beata e inviolabile libertà, in cui Egli appartiene a sé medesimo, come Colui che Egli è (…). Il cielo è l’essere-altro di Dio; ma proprio in questa alterità sta la nostra patria con le “dimore eterne” (Lc 16,9)». Il cielo «non è un luogo che sussista per sé, “in” cui Dio si trovi (…)», prosegue il teologo. «Il cielo è Dio, in quanto Egli dimora presso sé medesimo».

Benedetto XVI in “Gesù di Nazaret” pone ancora più in risalto la nostra nostalgia del cielo/Dio Padre: «Se la paternità terrena separa, quella celeste unisce», scrive. «Cielo significa dunque quell’altra altezza di Dio, dalla quale tutti noi veniamo e verso la quale tutti noi dobbiamo essere in cammino». Un cammino che Volpe compie nella propria esistenza e che con le sue fotografie ci invita a non dimenticare, a compierlo assieme, da pellegrini dell’Eterno.

Chi è Paola Volpe 

Paola Volpe, nata a Lendinara (Rovigo), classe ‘67, vive a Ferrara, ha due figli e, da oltre dieci anni, si occupa di fotografia con soggetto principale il Cielo. In sinergia con Olga Nacu, amica e ideatrice del progetto, l’Artista ha partecipato ad alcune esposizioni di rilievo nazionale e internazionale. Tra le personali: “Il cielo non ha limiti”, Centro Culturale di Palazzo Pisani Revedin a Venezia (settembre 2023); quella al “Dosso Dossi” di Ferrara in programma per marzo 2024.

Olga Nacu, classe ’74, moldava d’origine, è ideatrice del progetto. Vive a Ferrara, è sposata e ha due figlie.

Pubblicato sulla “Voce” del 19 gennaio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

Misticismo copto, l’Etiopia tra Matera e San Giorgio: mostra di foto a Ferrara

17 Apr

Dal 21 al 25 aprile la Basilica di San Giorgio fuori le Mura a Ferrara ospita la mostra di Cristina Garzone, fotoreporter di fama internazionale. Le abbiamo rivolto alcune domande

di Andrea Musacci

La Basilica di San Giorgio fuori le Mura ospita la mostra personale di una fotoreporter di livello internazionale, Cristina Garzone. Dal 21 al 25 aprile, in occasione della Festa di San Giorgio, nell’ex Chiostro Olivetano sarà esposto il progetto fotografico dal titolo “Misticismo copto”. Inaugurazione il 21 aprile alle ore 18.45. Protagonista delle opere in parete, la città di Lalibela nel nord dell’Etiopia (a oltre 2600 metri di altezza), patrimonio UNESCO dal 1978, con le sue 11 chiese monolitiche ipogee costruite nel XII secolo e collegate da un intricato sistema di tunnel sotterranei. Come ha scritto Carlo Ciappi a proposito del progetto della Garzone, «è proprio in quell’interiorità della terra che gli Etiopi cercano di immedesimarsi in quell’Uno, di avvicinarsi al suo esempio ideale poggiando mani e volto a pareti non levigate o in presenza di sontuosi arazzi o pregiate rappresentazioni di ogni genere». 

“Misticismo copto” è anche il titolo del suo libro fotografico con contributi, fra gli altri, di Derres Araia (Segretario Diocesi ortodossa Eritrea in Italia) e mons. Antonio Giuseppe Caiazzo (Arcivescovo Diocesi Matera-Irsina). È stato realizzato anche un audiovisivo, a cura di Lorenzo de Francesco (https://www.youtube.com/watch?v=v49yHeP5Wso).

Garzone, originaria di Matera e residente in provincia di Firenze, negli anni ha conseguito numerosi riconoscimenti nei più importanti concorsi internazionali. Fra questi, nel 2010, ha ottenuto il 1° Premio nel concorso “3° Emirates Photographic Competition” in Abu Dhabi, e nel 2014 ha conquistato il Grand Prize nell’8a edizione dell’“Emirates Award of Photography”, sempre in Abu Dhabi: qui, è risultata prima assoluta fra 8500 partecipanti di 58 Paesi, presentando il portfolio “Pellegrinaggio a Lalibela”. Ad aprile 2020 le è stata conferita la più alta onorificenza della fotografia internazionale MFIAP (Maitre de la Federation Internationale de l’Art Photographique): Garzone è ancora la prima ed unica donna fotografa italiana ad aver conseguito un titolo così importante. Infine, nel Luglio 2021 le è stata conferita l’onorificenza EFIAF (Eccellenza della FIAF) e nel marzo 2023 l’onorificenza EFIAF/b. Sue mostre personali sono state esposte in Italia e all’estero.

L’abbiamo contattata per rivolgerle alcune domande.

Dove nasce il progetto “Misticismo copto”?

«Il progetto parte da lontano, nel 2011, quando scelgo di “abbandonare” la mia macchina analogica per iniziare a usare quella digitale, e il mio amato Oriente – sono stata, ad esempio, una decina di volte in India – per visitare il sud dell’Etiopia, alla ricerca delle antiche tribù. Successivamente ho scelto di visitare anche il nord del Paese, in particolare la città di Lalibela, famosa per le sue chiese monolitiche scavate nella roccia».

Cos’ha scoperto qui?

«Ho scoperto innanzitutto queste chiese splendide, scavate nel tufo. Fin da subito mi ha impressionato vedere tanti fedeli così profondamente assorti nella preghiera, molti di loro all’esterno delle strutture, dato che le chiese sono piccole: alcuni di loro – avvolti in mantelli bianchi così da trasmettere una sensazione di purezza – gli ho visti baciare le pareti in segno di devozione». 

Da qui, l’idea del progetto…

«Esatto. Una volta tornata a casa, mi sono confrontata con un noto studioso di storia delle religioni, che mi ha incitato a realizzare un progetto di questo tipo sui copti, mai realizzato prima». 

Com’è nata l’idea di esporre a Ferrara?

«Sono venuta in contatto col diacono Emanuele Pirani tramite don Lino Costa, che conosco da diversi anni e più volte mi ha coinvolto nelle sue iniziative “In viaggio con don Lino”».

Il legame con San Giorgio è profondo…

«Sì, sembra che San Giorgio mi segua ovunque: la chiesa più importante a Lalibela è proprio la chiesa di San Giorgio (Bet Giorgis, ndr), la cui foto aprirà la mia mostra a Ferrara. Tra l’altro, il prossimo 7 settembre tornerò a San Giorgio fuori le Mura per esporre il mio progetto fotografico dedicato alla Festa della Bruna a Matera».

Avremo modo di riparlarne. In ogni caso, Matera per lei non rappresenta solo il luogo di nascita…

«Sì, questo progetto mi fu suggerito da un mio cugino: nel realizzarlo, ho provato emozioni molto forti, ricordi e sensazioni di quando ero bambina e ogni anno tornavo a Matera coi miei genitori. Ho deciso così di lasciare qualcosa d’importante di me nella mia terra, anche in memoria di mio padre, morto quando aveva 58 anni. Sono entrata in contatto anche con diversi artigiani del luogo, fra cui Francesco Artese, maestro dei presepi. Inoltre, lo scorso settembre ho partecipato al Congresso eucaristico nazionale di Matera come fotografa per Logos, la rivista della Diocesi».

A livello di spiritualità, esiste qualche legame tra una terra come Matera e l’Etiopia?

«Sì, a Matera come in tutto il Sud Italia la spiritualità è molto forte, la fede è molto sentita, vissuta in maniera intensa, come in Etiopia. Spesso, invece, al Nord Italia ad esempio, è ridotta a un fatto d’apparenza». 

In generale, qual è il suo rapporto con la fede?

«Sono credente, spesso amo “rifugiarmi” nel convento di S. Lucia alla Castellina a Sesto Fiorentino, perché sento il bisogno di staccarmi dalla quotidianità e perché la vita a volte ti mette davanti a dure prove. Da qui, il mio bisogno di avvicinarmi a Dio, di sentirmi vicino a Lui».

***

Festa di San Giorgio, tante iniziative fino al 25 aprile

Lunedì 24 importante Rassegna corale e strumentale diretta da Davide Vecchi

La Festa di San Giorgio, patrono della città di Ferrara, prevede venerdì 21 aprile alle ore 18.45 l’inaugurazione della mostra “Misticismo copto” di Cristina Garzone.

Sabato 22 aprile alle ore 18, S.Messa solenne presieduta dal nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, mentre domenica 23 aprile, S. Messe alle ore 11.15 (solenne) e 18 (in memoria dei contradaioli di San Giorgio).

Lunedì 24 aprile alle ore 21, I^ Rassegna corale & strumentale “San Giorgio, Patrono di Ferrara”, diretta da Davide Vecchi.Si esibirannoCoro della Basilica di S. Giorgio in Ferrara (Dir. Davide Vecchi), Coro dell’Arengo, Bologna (Dir. Daniele Sconosciuto), Ensemble strumentale “Otto e mezzo” Accademia Corale Teleion, Mirandola (MO) (Dir. Luca Buzzavi),Coro da camera del Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara (Dir. Manolo Da Rold).

Ma sono tanti anche gli eventi organizzati dalla Contrada di San Giorgio col Palio di Ferrara:fra questi, “Le Taverne all’ombra del campanile” (dal 21 al 25 aprile), il 22 alle 18 l’inaugurazione dei nuovi giardini della Contrada diSan Giorgio con spettacolo del gruppo sbandieratori e musici; il 23 aprile alle 9.30 è invece in programma la “Caminada Par San Zorz – Trofeo AVIS”. Infine, il 25 aprile sul piazzale San Giorgio alle ore 10, XI Trofeo dell’Idra, Torneo Sbandieratori e Musici.

Pubblicati sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Solo la Chiesa salva dai mali moderni: i taccuini di Bruno Paparella

3 Ott

Il libro sul dirigente di Azione Cattolica: incontro l’8 ottobre a Casa Cini

di Andrea Musacci

La lucidità di un uomo capace di cogliere anche l’essenza negativa della modernità ma senza tentazioni di fuga per rifugiarsi in facili spiritualismi.

Leggendo gli appunti dai taccuini di Bruno Paparella emerge, tra l’altro, questo aspetto di un intellettuale cattolico coraggioso nel dire, e cercare sempre, la verità. Appunti che sono contenuti nel libro “Un cristiano senza aggettivi. Bruno Paparella, testimonianze di amici” appena edito dalla nostra Arcidiocesi (Ufficio Comunicazioni sociali) nella collana “Con occhi nuovi – Profili”.

Tanto abbiamo scritto sulla “Voce” a proposito dell’intensa e appassionata vita di Paparella, classe 1922, giovane educatore dell’Azione Cattolica nella parrocchia ferrarese di San Paolo, poi antifascista e partigiano, quindi dirigente dell’Azione Cattolica, prima diocesana poi nazionale, fino alla morte che lo ha colto nel ’77.

Sulla modernità

Una personalità la cui unicità emerge in maniera ancora più dirompente proprio nei suoi scritti più privati, nei quali  è chiaro lo sguardo di un uomo che ha attraversato il cuore – turbolento e affascinante – del Novecento. Dell’Occidente che si avvia verso il benessere economico, Paparella è capace di cogliere sottotraccia gli aspetti più degradanti. «Le civiltà degne di questo nome – scriveva il 6 novembre 1963 -, assecondando la natura, avevano (…) reso pregevole e gradita anche la vecchiaia dell’uomo che l’inciviltà moderna – tesa solo alla giovinezza ed al successo – considera il male peggiore». Quel mito della giovinezza è l’illusione di una visione del reale ristretta, schiacciata sul presente, senza ampiezza né profondità. «Per raggelare di colpo l’entusiasmo della gente per un’idea, una moda od una qualsiasi opera od attività, basta dire: “È superata!” (…)», scrive nel dicembre ’76. «Il modo di ragionare contemporaneo ha, infatti, sostituito le categorie “bene o male”, “giusto o ingiusto” ecc., con “nuovo o vecchio”, “moderno o antico”, ecc.». Il nuovismo, dunque, regna. Il passato va abolito, anche quello recente perde subito di senso spazzato via dal continuo bisogno di stimoli sempre differenti. 

Paparella temeva che questo spezzarsi del legame con le proprie radici potesse avvenire anche per l’AC e la Chiesa. «La separazione (di un popolo, di un’associazione) dalla propria storia, con la recisione di quel legame vivente con l’opera di ieri che sola può dar senso all’opera di oggi e indirizzare un avvenire che abbia significato, porta a conseguenze gravissime», scrive nell’agosto ‘74. «Un paese idealmente separato dal proprio passato, è infatti, un paese in crisi di identità e dunque potenzialmente disponibile, senza valori».

È un Paese che subisce quel processo che non va «verso la pienezza, ma verso il nichilismo», come scriveva Augusto Del Noce (L’idea di modernità, 1982). Nichilismo logica conseguenza di quel razionalismo assoluto che nega la possibilità del soprannaturale e quindi di verità sovrastoriche. 

«Quanto “terrenismo” – scrive nel febbraio ’65 Paparella – c’è anche oggi negli ideali messianici di tanti “innovatori” del mondo». E riferito all’ACI, dieci anni dopo rifletterà: da un apostolato universale «che aveva come radici e fine il piano di Dio per la salvezza di tutti gli uomini, si è via via passati a problemi sempre più interni, prima della Chiesa ed infine, quasi esclusivamente della stessa associazione». Una regressione dalla quale metterà in guardia fino all’ultimo, come anche ammonirà riguardo al rischio di riduzionismo sociologico ed economicistico della fede cristiana (si pensi a ciò che oggi Papa Francesco dice sul rischio che la Chiesa si trasformi in una ong).

Tutto ciò ha ricadute gravi sullo sguardo della Chiesa sulle persone: ciò che l’ateismo spaccia per libertà e per umanesimo, in realtà è una mortificazione dell’uomo. «L’uomo non vive di solo pane – scrive nel febbraio ’65 – e (…) dando oggi ai poveri la loro bistecca, ma non curandoci dei loro godimenti spirituali ed intellettuali, noi li consideriamo “bestie” oggi, o siamo diventati noi stessi più “bestie” di ieri». 

Spesso ricorre anche l’associazione tra relativismo e solitudine. Siamo nel ’69, la tensione tra comunità e individuo si fa sempre più forte. Paparella scrive: «Fin tanto che c’è una Chiesa, od un partito, o una nazione, che dicono che questo è bene e questo è male, che dicono che il male va combattuto (…), l’uomo comune si sente confortato – unito ad una comunità che soffre con lui e che resiste con lui (…). In questa nostra Italia e persino nella nostra Chiesa (…) – scrive sempre nel ’69 – male e bene, giusto e ingiusto, vero e falso sono la stessa cosa. E l’uomo comune rimane veramente solo (…), senza nessuno che gli dia più speranza». Parole dure, certo, ma di un figlio della Chiesa che la ama e che non dimenticherà mai la sua missione di salvezza per ogni donna e ogni uomo.

«Le sole parole che ci possono salvare»

Nell’ottobre del ’65 scrive: «Pare impossibile (…) che nel nostro mondo (e nella nostra vita quotidiana) ci sia d’ora in poi – e per sempre in questa vita – un’assenza, un buco vuoto che nessuno al mondo può più riempire. Lo “spirito” di una persona è veramente qualcosa di unico e di insostituibile e non si può – in questi casi – non pensare ad un altro mondo, dove tutte queste lacune drammatiche possano colmarsi e ci si possa sentire nuovamente “completi” (Ecco, ora ci siamo tutti, ora possiamo davvero cominciare a giocare, spensieratamente)». Dolci parole di fede che seguono, sempre, a parole di denuncia. «È strano come questa nostra civiltà impazzita ci spinga ogni giorno – dicendo di voler farci più felici – verso l’infelicità», scrive nell’aprile ‘66. «La Rivelazione dicendoci di amare gli altri, di dimenticare noi stessi (…) ci dà la ricetta della nostra felicità (…). E lo strano è che nessuno sembra accorgersene, nessuno pensa a dirlo, e quelli stessi che dovrebbero dirlo per “missione”, temono di apparire ridicoli o superati se annunciano le sole parole che ci possono salvare».

Commovente è la visione che scrive il 3 ottobre ’64, per dare l’immagine di ciò che, anche nella società moderna, possa e debba rappresentare la Chiesa: «Questa sera, a Ferrara, nel buio umido delle strade che la circondano, la chiesa di S. Girolamo sembrava un porto caldo di luce e consolazione, illuminata ed addobbata per la festa di S. Teresa del Bambino Gesù (…). E pensavo che una Chiesa così bella, calda, consolatrice, unico punto di riferimento e di appoggio nel buio nel mondo, bisognava pur guardarla».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 ottobre 2022

Incontro con la band The Sun al monastero Corpus Domini

2 Mar

sun-2_2911837_702941Tra gli eventi in programma per l’Ottavario di S. Caterina Vegri, stasera alle 21 nel Monastero Corpus Domini (via Campofranco, 1 a Ferrara) vi sarà un incontro pubblico con la nota rock band The Sun.

Il gruppo è un’evoluzione artistica dei Sun Eats Hours, nati nel ‘97 e composta da Francesco Lorenzi (autore, cantante e chitarrista), Riccardo Rossi (batterista), Matteo Reghelin (bassista) e Gianluca Menegozzo (chitarrista). La band aveva già all’attivo quattro album ed era stata supporter di band internazionali quali The Cure, The Offspring e Deep Purple.

La scelta di comporre in italiano risale al 2008 e consegue a un percorso di risveglio spirituale del gruppo. Una svolta dovuta alla volontà di dare un taglio più spirituale, solare e diretto alla musica che, quindi, vira dall’hard-rock-punk a un sound più immediato. Sony Music decide di investire su di loro pubblicando nel 2010 “Spiriti del Sole”, che entra subito nella Top Ten degli album più venduti in digitale. Nel 2011 si esibiscono a Betlemme per uno speciale concerto per la Pace e per l’abbattimento del muro. Nel 2012 pubblicano il nuovo album “LUCE”, che tratta tematiche importanti come la vita dopo la morte, l’amore per Dio e per l’umanità, la famiglia e la fede. Nello stesso anno prendono parte a Milano al 7° meeting internazionale delle Famiglie dove si esibiscono per Benedetto XVI, mentre il 4 Ottobre 2013 si esibiscono ad Assisi davanti a 40.000 persone prima dell’arrivo di Papa Francesco. Il 30 Ottobre Lorenzi incontra il Papa durante l’Udienza generale in Piazza San Pietro. La band è attualmente impegnata in studio di registrazione per la produzione del nuovo album, in uscita nel 2015.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 02 marzo 2015

L’immaginario e la spiritualità a l’Altrove

4 Lug

Buci Sopelsa - l'AltroveLo scorso 22 giugno allo Spazio d’arte l’Altrove ha inaugurato la nuova rassegna del Progetto “Tensioni e paradossi del contemporaneo”, dal titolo “L’immaginario, il sogno, lo spirito”, pensata e curata dalla Dott.ssa Francesca Mariotti con la collega Dott.ssa Silvia Greggio. Fino a sabato 5 luglio sarà possibile ammirare le opere dei sette artisti presenti: Buci Sopelsa, Tommaso Santucci, Annamaria Gagliardi, Roberto Rossi, Barbara Pellandra, Raffaella Procaccia e Fabio Righi. In un’epoca appunto di tensioni e paradossi, questa rassegna ragiona sulla ricerca di nuove forme di spiritualità rese attraverso il mezzo artistico. Oltre ai richiami all’ebraismo (Procaccia) e al cristianesimo (Sopelsa), si notano le opere, astratte o surrealiste, che si rifanno all’olismo (Rossi, Gagliardi e Pellandra).

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 04 luglio 2014