Archivio | ottobre, 2023

Vita di Nella Gandini, un sogno di canto libero interrotto troppo presto

27 Ott

La giovane ferrarese è tra i 191 morti dello spezzonamento americano del 10 giugno 1944. Vi raccontiamo la sua pur breve vita di promessa cantante lirica: un pezzo di storia della città

di Andrea Musacci

Aveva solo 24 anni Nella Gandini quando trovò la morte, assieme ad altre 190 persone, a causa dello spezzonamento delle forze armate americane sulla città di Ferrara. Una vita orribilmente stroncata assieme al suo sogno: diventare una grande cantante lirica, come il padre Napoleone e il cugino Angelo.

Vi raccontiamo questa storia inedita grazie soprattutto ai racconti di Savia Salmi, vedova di Giorgio Gandini, nipote di Nella. Una vicenda drammatica ma ricca di aneddoti ed episodi particolarmente interessanti, dove l’intimità delle persone e delle famiglie richiama fatti collettivi, e viceversa.

UNA FAMIGLIA FERRARESE

Nata il 21 gennaio 1920, era figlia di Napoleone e Maria Faccini.Suo padre, classe 1892, era cresciuto nel Borgo San Luca dove vivrà per alcuni anni (forse anche dopo sposato), prima di spostarsi con la famiglia in corso Porta Reno, 23, come risulta dalla carta d’identità di Nella del 1938 (dove si firma “Nella Maria Gandini”), e poi in via Ripagrande, 21 (dove oggi c’è l’hotel Maxxim), occupando qui un intero piano sopra i fratelli Cervi, storici “biciclai” ferraresi. Prima e durante la guerra, Napoleone gestiva una macelleria in via Gorgadello (l’attuale via Adelardi). Dai suoi documenti, risulta anche che Napoleone aveva vissuto in via della Luna, 23. La madre Maria, detta Edvige, amava invece ospitare nella sua casa per pranzo o cena, e a volte dando anche alloggio, giovani artisti e studenti universitari, anche amici dei figli, a cui a volte chiedeva di recitare alcuni versi.

Nello stesso documento di identità, di Nella si dice che fosse alta 1,69 m, «robusta» di corporatura, capelli e occhi «castani», fronte «media» e naso «concavo». Nelle foto dell’album di famiglia, spesso la giovane è assieme a una sua carissima amica, Wanda, riconoscibile per i folti capelli ricci.

Nella era la maggiore di quattro figli: gli altri erano Rino, padre di Giorgio (marito di Savia), più giovane di quattro anni; Giorgio, giornalista e storico; Giovanni, il più giovane. 

LA PASSIONE PER LA LIRICA

Il padre Napoleone, come detto, era baritono e usava il nome d’arte Nino Cavalieri. Cantò anche con Enrico Caruso. Anche suo nipote Angelo Mercuriali (1909-1999), figlio della sorella, era cantante d’opera (tenore, per la precisione) e veniva simpaticamente chiamato “voce d’Angelo”. Diceva sempre che doveva molto allo zio Napoleone, ed era sposato con il soprano Lina Paletti.

Nella, quindi, respirò fin da piccola quest’aria e volle seguire il padre e il cugino su questa strada: studiò a Padova e si esibì a Parma, Firenze, alla Scala a Milano, oltre che a Ferrara. Nel 1937, ad esempio, prese parte al “Lodovico…il Moro” con regia di Angelo Aguiari.

CLIENTE DEL “PICCOLO PARIGI”

Nella adorava collezionare piccole bambole che vestiva con abitini da lei stessa realizzati: acquistava dei “bustini” femminili di piccole dimensioni (parti di pompon per la cipria) che legava a coni di cartone usati come base e rivestiva con abitini che riproducevano gli abiti delle protagoniste degli spettacoli o forse di personaggi che lei stessa interpretava. Li usava come portafortuna e amava ammirarli poggiati sulla sua toeletta, chissà, forse anche fantasticando. 

I “bustini” (realizzati tra gli anni ’20 e ‘30) probabilmente li acquistava nel “Piccolo Parigi”, boutique in piazza Trento e Trieste vicina al Teatro Nuovo, per la precisione dove ora si trova l’entrata del negozio “Kasanova” (mentre le attuali altre due vetrine dello stesso, un tempo erano occupate dal negozio di abbigliamento per bambini “Cottica” e da un negozio di tessuti). Di proprietà di un certo Trevisani, il negozio (chiuso da una 30ina d’anni) prima si trovava in piazza Municipale, proprio sotto l’arco che divide questa da piazza Duomo e vendeva, fra l’altro, bigiotteria, pettini, profumeria, cerchietti per capelli per bambini, portachiavi e portasigarette. Il magazzino del “Piccolo Parigi” si trovava invece nella vicina via Contrari. L’illustratore Claudio Gualandi ci racconta come a metà anni ’70 lo visitò trovandoci, fra l’altro, gadget fascisti (spille, anelli) e un fez.

UNA VOCE SPEZZATA

I suoceri di Savia e altri parenti acquisiti han sempre parlato poco e malvolentieri della morte di Nella, per un pudore recondito o perché il dolore per il trauma vissuto minacciava sempre di riaffiorare.

Rino, fratello di Nella, è un partigiano o comunque collabora con i partigiani. Possiede un furgone con cui durante la guerra mette in salvo persone trasportandole fuori città. E forse trasporta anche partigiani, ricercati dai nazifascisti e armi. Forse per questo, per non esporla a rischi, il 10 giugno del 1944 non vuole caricare Nella in uno dei viaggi verso Porotto. Ma Rino – che è molto legato a lei – non può sapere che così la sta abbandonando a un’orrenda fine. Quando Rino torna da Porotto, lo spezzonamento in zona San Luca è già avvenuto: Nella viene colpita in via G. Fabbri presso il frutteto Tenani. Proprio il fratello Giorgio nel suo libro “Ferrara sotto le bombe” (Comune di Ferrara, 1999) racconta, forse riportando la testimonianza del fratello Rino: «Mia sorella aveva un grosso buco dietro l’orecchio, un largo squarcio sulla schiena, sul petto e sulla pancia, un piede amputato. Il suo impermeabile era intriso di sangue. Zeffira aveva la testa appoggiata su mia sorella e guardava il cielo, stringendo al petto il maglione di lana che stava sferruzzando, lordo di sangue. (…) Mia sorella Nella – continua il racconto – l’avevano distesa sul pavimento della cucina e noi la guardavamo con occhi impietriti. “Uomini, andate via! Dobbiamo lavarla e vestirla”, ci avevano intimato le donne del Borgo, spingendoci affettuosamente fuori (…).  Il giorno dopo il “Corriere Padano” (…) diede la notizia dell’inaudito massacro. “I gangsters nuovamente su Ferrara (occhiello) – Micidiale spezzonamento di inermi fuggiti nei campi (titolo)” (…). L’articolo scriveva: “(…) Il numero delle vittime sorprese all’aperto e senza possibilità di difesa è pertanto assai elevato. La pesante incursione ha avuto luogo nella mattinata” (alle ore 10.30, ndr)». Probabilmente quando muore, Nella è sola, anche se dall’elenco delle vittime risultano altre due donne (Nina Merli, 19 anni e Maria Grazia Schivalocchi), colpite anch’esse «nei pressi di via G. Fabbri». Nella forse si trovava in questa zona perché rifugiatasi da parenti di S. Luca dove il padre stesso era nato e cresciuto. 

Il “santino” funebre di Nella recita così: «Per te che hai spiccato il volo verso la più eccelsa e luminosa vetta, cantino gli angeli il cantico più bello, la melodia più dolce; perché tutto in te era arte, tutto era musica. L’Alma tua, aleggerà sempre sopra di noi indicandoci la via del bene. Tu pura, tu buona, come hai cantato fra gli uomini continuerai a cantare fra gli angeli».

Una Speranza infinita per questa ragazza strappata troppo presto al palcoscenico drammatico e sublime della vita.

Grazie a Claudio Gualandi e Linda Mazzoni per averci aiutato nella raccolta delle informazioni e delle immagini.

Pubblicato sulla “Voce” del 27 ottobre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Ecologia. L’urgenza delle parole e delle azioni: quali passi fare insieme?

25 Ott

Il 20 ottobre nel Monastero ferrarese del Corpus Domini il primo dei tre incontri organizzati dal Circolo Laudato si’: una trentina le persone presenti (due soli maschi) per pregare assieme e condividere timori, idee, progetti e speranze

Il venir meno dell’equilibrio naturale, della pace fra gli uomini e col resto del creato. E, parallelamente, il venir meno di una consapevolezza sulle conseguenze che determinate scelte di vita – personali e collettive – possono avere sull’esistenza di ognuno, compresa quella delle generazioni che verranno.

È così, senza infingimenti, che la sera del 20 ottobre scorso si è svolto il primo incontro di preghiera e condivisione proposto dal Circolo diocesano “Laudato si’” in collaborazione con le Sorelle Clarisse. I restanti incontri si svolgeranno il 9 febbraio sul tema “La sobrietà” e il 19 aprile su “La cura”. Tema del primo incontro (alla presenza di 30 persone), invece, è stato “L’urgenza”.

Al Monastero del Corpus Domini di Ferrara è stato un alternarsi di silenzi e parole parche, profonde, sincere. Ed è emerso come l’urgenza stia anche nel bisogno di condividere timori, progetti, speranze, domande. Tutti frutti sani di un’importante risonanza interiore.

L’incontro è iniziato coi vespri in chiesa, durante la quale si è svolta anche una piccola processione in cui alcuni partecipanti hanno portato davanti all’altare tre immagini emblematiche delle conseguenze dell’azione nociva dell’uomo sul creato. A seguire, vi è stato un momento di condivisione nel coro. Diversi gli interventi alternati a letture di brani tratti dalla “Laudato si’” e dalla “Laudate Deum” di Papa Francesco. «Dobbiamo farci carico della nostra casa comune e divenire consapevoli della nostra meschinità, piccolezza, delle tante vite usurpate, rovinate», è stato un primo intervento. «Che in noi possa crescere la consapevolezza della brevità del tempo che ci rimane». Da qui, l’urgenza di agire: «il tempo si è fatto breve, non possiamo più dormire». 

«A me colpisce tanto l’indifferenza verso questi problemi e verso i più poveri, nonostante i segni dell’emergenza siano sempre di più», è invece la preoccupazione di un’altra persona. «Forse, questa, è una tendenza a rimuovere il problema per continuare a vivere serenamente. Vorrei che fossimo capaci di cambiamento, anche attraverso questo nostro piccolo Circolo Laudato si’».

Ma – è emerso da altri interventi – «come posso pormi io davanti all’enorme drammaticità di questi problemi? Oltre ai nostri piccoli passi, quali passi significativi fare insieme?». Considerando, anche, come questa consapevolezza ecologica «è relativamente recente». Ora però, «c’è molta più attenzione su questi temi e più atti concreti». Serve «perseveranza», «costanza», non solo il compiere azioni, ma renderle anche durature, dare loro continuità. E serve non dimenticare il peso dei piccoli gesti personali, perché anche dall’unione di questi nasce quella «massa critica» fondamentale per cambiare le nostre società. Ma perché tutto ciò non si riduca a mera pulizia all’interno del nostro universo di benessere, serve fare due passi innanzitutto dentro di sé: «tornare a stupirsi davanti alla bellezza e riuscire ad ascoltare il lamento del prossimo». Senza questo, quindi senza la Grazia di Dio, si rischia di rimanere nell’ambito mondano della pura rivendicazione.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 27 ottobre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Terra d’Israele, terra nostra, stuprata da chi vuole distruggerla

10 Ott

700 morti, 2500 feriti, 150 rapiti: sono i terribili dati dell’attacco senza precedenti del fondamentalismo islamico a Israele. Lo scenario, le storie delle vittime, alcune riflessioni

di Andrea Musacci

Lo scorso 1° settembre in Israele si sono riaperte le scuole. In totale, circa 2,5 milioni gli studenti rientrati in classe. Cosa c’entra, direte voi, con quello che sta succedendo?  C’entra perché ad essere stata violentata e rapita dai terroristi di Hamas e della Jihad Islamica è la realtà quotidiana di uno Stato che dal 1948 cerca di vivere in pace, di progredire e di tutelare ogni libertà e diritto personale e collettivo, come avviene in qualsiasi comunità democratica e costituzionale.

E invece l’inferno si è scatenato nella terra di Davide e Salomone: le vittime dei raid di Hamas, comprese le 260 del terribile massacro del rave party israeliano (il Nova Music Festival) alla frontiera con Gaza per celebrare la festa di Sukkot, mentre scriviamo (lunedì 9) sono arrivate ad oltre 700. Dei circa 2.500 feriti, molti sono gravi. E all’appello mancano ancora in centinaia, molti dei quali rapiti (si pensa 750) e portati nel gorgo di Gaza e spartiti, come merce, tra Hamas, Jihad islamica e Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Tel Aviv e Gerusalemme appaiano città fantasma, con la popolazione barricata in casa. Sull’altro versante, quello di Gaza, i morti sotto gli attacchi necessari dell’aviazione israeliana sono arrivati ad oltre 436 tra civili e miliziani, con 2.270 feriti. Prima di qualsiasi azione di terra, l’esercito israeliano deve infatti liquidare le sacche di resistenza al confine con la Striscia, dove sono ancora in corso scontri tra miliziani di Hamas e soldati. A inizio settimana una colonna di tank israeliani è diretta verso Gaza: secondo il Washington Post gli USA si attendono un’ampia operazione via terra contro Hamas a Gaza entro questo mercoledì. E ancora sei località nel sud di Israele vicino alla frontiera sono teatro di combattimenti con i miliziani di Hamas, ha dichiarato Daniel Hagari, portavoce delle Forze di difesa israeliane, nominando le località di Beeri, Kfar Aza, Nirim e Alumim. «I miliziani – ha aggiunto – hanno varcato la linea di confine non solo la sera dell’attacco ma anche negli ultimi due giorni». 

STORIE DI VITE RAPITE

«Una voce si ode da Rama,

lamento e pianto amaro:

Rachele piange i suoi figli,

rifiuta d’essere consolata perché non sono più».

Dice il Signore:

«Trattieni la voce dal pianto,

i tuoi occhi dal versare lacrime,

perché c’è un compenso per le tue pene;

essi torneranno dal paese nemico» 

(Geremia 31, 15)

Tanti i video, le foto, i racconti di giovani, bambini, anziani, famiglie intere sterminate dalla furia islamista di tagliagole senza scrupoli, sostenuti in ogni modo (non solo economicamente) dall’Iran e dalla libanese Hezbollah, oltre che da parte dell’universo islamico a livello globale e da una fetta dell’opinione pubblica occidentale.

C’è la storia di Yoni Asher che ha denunciato l’irruzione di Hamas sabato sera mentre sua moglie, insieme alle due figlie Aviv e Raz, di 3 e 5 anni, erano in casa della suocera, nel Kibbutz Nir Oz. Grazie al servizio di geolocalizzazione del telefono della donna, Yoni è riuscito a rintracciare lo smartphone a Khan Younis, città a sud di Gaza, avendo così conferma della condizione della donna. Tra le denunce relative ai tanti rapiti dal rave sopracitato, tenutosi al Kibbutz Reim, vicino al confine con Gaza, c’è quella relativa a Noa Argamani, 25enne apparsa in un filmato in cui viene portata via su una moto dai miliziani di Hamas durante l’evento. La si vede mentre implora per la sua vita: «Non uccidermi! No, no, no», grida spaventata; a due passi il suo fidanzato tenuto stretto da due terroristi. Dalla medesima festa risulta disperso anche un cittadino britannico di 26 anni, Jake Marlowe, mentre il suo connazionale, il londinese Nathanel Young, 20 anni, è stato ucciso mentre, militare, era addetto alla sicurezza del rave. 

C’è poi una giovane israelo-tedesca, Shani Louk, la cui madre ha chiesto la liberazione in un disperato video apparso sui social. E proprio un orribile video ha fatto conoscere la sua vicenda: un gruppo di sudici criminali di Hamas tengono il suo corpo sotto le gambe nel retro di un pick up. La giovane è distesa a faccia in giù, incosciente, seminuda, le gambe orribilmente spezzate. Un uomo la tiene per i capelli, come una bestia appena cacciata, un giovane le sputa addosso. Tutti urlano “Allah Akbar”.

Poi c’è la storia di un’intera famiglia, le cui sorti sono apparse in un video condiviso dalla giornalista di Ynetnews Emily Schrader, composta da marito, moglie e due bambini che si vede seduta a terra in casa, tenuta in ostaggio dai miliziani palestinesi. La figlia più grande è stata uccisa nell’irruzione di Hamas. «Volevo che vivesse, c’è la possibilità che torni?», ha domandato il fratellino piccolo alla mamma. E c’è Yaffa Adar, 85 anni, fondatrice di un kibbutz, ribattezzata la “nonna della coperta rosa” perché in un video la vediamo così mentre palestinesi la portano via su un veicolo dopo averla rapita. Ma il suo sguardo è quello del suo popolo: fermo, fiero, dignitoso.

In un altro video, un bimbo israeliano rapito (di nemmeno 10 anni) viene messo in mezzo a tre suoi coetanei palestinesi che lo bullizzano, spingendolo, prendendolo in giro, agitandogli un bastone vicino al viso. Un bullismo infantile frutto di una cultura radicalmente antisemita: secondo un rapporto commissionato dall’Unione Europea nel 2019, i libri di testo dell’Autorità Palestinese incoraggiano la violenza contro gli israeliani, il popolo ebraico e includono messaggi antisemiti.

NAZISTI ISLAMICI, NON “VITTIME DEL SIONISMO”

«Le violenze degli islamisti si sono esercitate essenzialmente contro i civili», scrive lo storico Claudio Vercelli su http://www.mosaico-cem.it, sito della Comunità ebraica milanese. «Non i militari (…) e neanche i “sionisti” o gli “israeliani” (…), bensì contro gli “ebrei”. Nella dottrina di Hamas, e nelle liturgie di comportamento che ne derivano, sono infatti questi ultimi ad essere odiati. Pochi giri di parole, al riguardo. Israele, di per sé, è inteso solo come un recente prodotto “ebraico” e non in quanto altro», prosegue. «Pertanto, quel che conta, è estirpare la “cattiva pianta” dell’ebraismo come tale. Soprattutto da Dar-al-Islam, la terra benedetta in quanto integralmente musulmana. Poiché da tutto ciò non potrà quindi derivare altro che non sia un’armonia universale, altrimenti inquinata – ed interrotta – dalla persistente presenza dei “giudei”. In tutta sincerità, è assai difficile non pensare che una tale impostazione mentale, prima ancora che ideologica, sia molto lontana da quella terrificante esperienza che, in Europa, e non solo, abbiamo conosciuto con il nome di “nazismo” (…). Non di meno, tuttavia, non esimiamoci dal bisogno di trovare un qualche precedente. Pertanto, il terrorismo islamista, in quanto movimento anche di massa, trova parte delle sue ispirazioni nel lascito, al medesimo tempo catacombale, demoniaco nonché messianico, del nazionalsocialismo. (…) Se le premesse sono queste – sono ancora parole di Vercelli -, Hamas non esercita una “resistenza palestinese all’occupante sionista” (così come altrimenti recita ad uso e consumo del pubblico non musulmano) bensì un Jihad, apertamente dichiarato nei confronti del resto del mondo: ovvero, un atto di purificazione, non troppo diverso, nella logica degli attuali protagonisti, da quello che animava coloro che intendevano, tra la fine degli anni Trenta e la prima metà degli anni Quaranta, mettere mano definitiva alla «soluzione della questione ebraica».

«DIFENDERE ISRAELE È DIFENDERE OGNI DEMOCRAZIA»

«Ribadiamo con forza il diritto dello Stato di Israele di difendere il proprio territorio – definito sulla base di storici accordi internazionali e di pace – e la legittimazione ad attivarsi a tutti i livelli per sradicare questa minaccia che riguarda tutta la regione mediorientale e le democrazie di tutto il mondo». Così Noemi Di Segni, presidente UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) in un comunicato uscito l’8 ottobre. «I palestinesi hanno ricevuto tutta la Striscia di Gaza, così come altri territori, nella speranza che possano divenire luoghi di crescita e sviluppo per vivere a fianco al popolo di Israele ma a quanto vediamo accade esattamente il contrario: i leader palestinesi invece di coltivare frutti di pace per le future generazioni seminano odio e generano terrore con il sostegno di molti Paesi non solo arabi», prosegue Di Segni. «Questo è il risultato di chi mette fin dalla nascita un fucile in mano ai propri neonati anziché nutrirli di valori e amore per la vita propria e altrui. Di chi trasforma moschee, scuole, e aree residenziali in arsenali e centro di comando dell’odio. L’Ucei – sono ancora parole di Di Segni – chiede con forza che si sostenga il diritto di Israele ad esistere e a difendersi, arginando ogni tentativo di distorsione così tante volte subito anche nelle sedi europee e internazionali più rappresentative e dinanzi a qualsiasi foro internazionale. Non si tratta solo di un attacco terroristico, non è solo guerra sferrata contro inermi civili sotto migliaia di missili e fatti anche ostaggio, è un attacco alla civiltà».

Dalla Germania alla Francia e dagli Stati Uniti all’Italia, intanto, la polizia intensifica la protezione delle istituzioni ebraiche e israeliane. Il timore, oltre alla possibilità che il conflitto possa trasferirsi oltre i confini israeliani, è che possa scatenare una nuova ondata di antisemitismo a livello globale. Nel frattempo, gruppi filo-palestinesi negli Stati Uniti esultano e applaudono l’attacco terroristico di Hamas, pianificando manifestazioni di sostegno. In Germania, a Berlino-Neukölln, simpatizzanti di Hamas hanno distribuito baklava sulla Sonnenallee per festeggiare l’attacco a Israele. Sostegno, sui social, anche da simpatizzanti italiani.

«L’attacco contro Israele e la reazione che ne sta seguendo, con un’escalation inimmaginabile, destano dolore e grande preoccupazione. Esprimiamo vicinanza e solidarietà a tutti coloro che, ancora una volta, soffrono a causa della violenza e vivono nel terrore e nell’angoscia». Lo scrive in una nota la Presidenza della CEI, che chiede «il pronto rilascio degli ostaggi» e si appella «alla comunità internazionale perché compia ogni sforzo per placare gli animi e avviare finalmente un percorso di stabilità per l’intera regione, nel rispetto dei diritti umani fondamentali».

La Comunità Ebraica di Ferrara ha aperto il Tempio di via Mazzini la sera del 9 ottobre ai cittadini ebrei e ferraresi per pregare insieme per la pace, per la solidarietà al popolo di Israele e per la salvezza degli ostaggi.

Pubblicato sulla “Voce” del 13 ottobre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

«Una nuova intimità col mondo»: la rivoluzione della Gaudium et spes

10 Ott

Prolusione di mons. Perego per l’inizio della Scuola di teologia per laici: «nasce un nuovo umanesimo cristiano». Sono stati 140 i partecipanti al primo incontro

C’è un numero che getta una luce positiva sul nuovo percorso della Scuola diocesana di teologia per laici: quello di 140, cioè i partecipanti al primo incontro dell’anno pastorale. 

Un dato significativo, che dice di un desiderio crescente nel nostro laicato per momenti di formazione e di condivisione a livello diocesano. Forse, anche questo, uno dei frutti del cammino sinodale in corso.

Lo scorso 5 ottobre a Casa Cini la Prolusione  del nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego ha dunque dato il via al nuovo anno. Tema, “Gaudium et Spes: una rilettura per il nostro tempo. La missione della Chiesa nel mondo tra profezia del Concilio e cambiamento d’epoca”.

La Costituzione pastorale del ’65, documento fondamentale del Concilio Vaticano II, ha rappresentato – parole del Vescovo – «una sintesi tra visioni pessimiste e ottimiste sul mondo». L’importanza di interrogarsi sui «segni dei tempi», concetto mutuato dalla “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, ma già presente in certa letteratura pastorale e teologica antecedente, porta «una nuova visione del rapporto Chiesa-mondo, con una intimità che prima non c’era». Si auspica quindi «un rapporto intimo col mondo»:è una rivoluzione. «Nella Chiesa non c’era mai stata una visione così positiva. Prima – ha proseguito mons. Perego -, il rapporto era sempre impregnato di diffidenza, il mondo era da tenere distante. Questa visione nuova e arricchente ha avuto conseguenze pastorali importanti, imperniate sul “vedere, giudicare, agire”, e nella prospettiva del dialogo».

Dialogo che non può non avvenire sulla base del riconoscimento della persona e della sua dignità, in «una nuova stagione dei diritti dell’uomo», dopo la nascita del personalismo negli anni ’20. Non a caso, riguardo alla Gaudium et spes si è parlato di «un nuovo umanesimo cristiano, di una nuova simpatia della Chiesa per l’uomo». L’uomo è dunque «chiamato a costruire una comunità nuova, una nuova fratellanza, una sola famiglia. L’annuncio del Vangelo rimane la sua missione, con al centro l’amore per i nemici, ma questa nuova apertura – che mantiene la centralità del matrimonio e della famiglia come luogo educativo -, ha effetti sulla cultura e in ambito economico. Riguardo a quest’ultimo, mons. Perego ha posto l’accento sul passaggio della Costituzione nel quale si sollecitano «investimenti per le generazioni successive, senza pensare solo al consumo individuale», e si ricorda la «destinazione universale dei beni», proponendo Enrico Mattei e Adriano Olivetti come esempi virtuosi. Nella parte conclusiva il Vescovo ha quindi brevemente accennato agli effetti sull’idea di politica, sul tema della pace e della nonviolenza, della mondialità e della cooperazione internazionale.

Infine, una comunicazione di servizio: la lezione prevista per giovedì 12 ottobre non si svolgerà per favorire la partecipazione all’incontro con don Fabio Rosini previsto la sera stessa alle ore 21 nel Cinema S.Benedetto. 

Il programma completo della Scuola di teologia – che ha subito altre modifiche – si può trovare qui:https://stlferraracomacchio.it/calendario-2023-24/

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 13 ottobre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Giovani voci di libertà: Ucraina, Iran e Afghanistan 

2 Ott

Festival Internazionale /2. La giornalista Cecilia Sala (Il Foglio, Chora Media) a Ferrara ha presentato il suo nuovo libro, analizzando la situazione drammatica nei tre Paesi

Guardare il mondo con le sue profonde trasformazioni attraverso gli occhi delle giovani generazioni. È quello che ha tentato di fare Cecilia Sala – giornalista lei stessa giovane (28 anni),  che lavora per Il Foglio e Chora Media – col suo nuovo libro “L’incendio” (Mondadori, 2023), presentato lo scorso 30 settembre al Ridotto del Comunale di Ferrara per il Festival di Internazionale. Nel suo volume, Sala racconta le storie di giovani ucraini, iraniani e afghani, protagonisti coraggiosi in Paesi in guerra o nei quali vengono negate alcune libertà fondamentali.

UCRAINA: DIFENDERE LA LIBERTÀ

«I giovani ucraini nati nei primi anni ’90 – ha spiegato Sala rispetto al Paese in guerra –  rappresentano la prima generazione post sovietica, quindi indipendente». Le proteste di Euromaidan nel 2013, che l’anno successivo portarono alla fuga del presidente filorusso Janukovyc, hanno visto tanti di questi giovani diventare protagonisti.

«Non voglio vivere nella paura, so che la violenza è inevitabile, e quindi non voglio vivere con questa minaccia incombente. E  non voglio che il compito di combattere contro Putin spetti a un’altra generazione successiva alla mia. Per questo, spero ci sia la guerra». Oggi Kateryna è una soldatessa dell’esercito ucraino, ma queste parole le disse a Cecilia Sala a inizio 2022, prima dell’invasione russa. «I giovani come lei – ha spiegato la giornalista – vogliono difendere la loro libertà, le loro conquiste. Lei a inizio 2022 era più lucida di molti anziani ucraini e dello stesso Zelensky, che minimizzava e credeva che al massimo l’esercito di Putin avrebbe provato a invadere il Donbass».

Purtroppo, «un odio e un rancore profondi vivono ormai nei cuori degli ucraini», alimentato dalla guerra ma con radici antiche, a causa di storia di sottomissione alla Grande Russia.

IRAN: TRASFORMAZIONI INARRESTABILI

Chi da oltre 40 anni vive sotto un regime è il popolo iraniano. «È difficile che qualcosa cambi in tempi brevi – ha detto Sala -, dato che il Governo continua comunque a mantenere la totalità dei gangli economici e delle armi. Ma le trasformazioni sono inarrestabili». Già da 15 anni gli ayatollah «sanno di aver perso i loro giovani – che non condividono le loro tradizioni -, e così sanno di aver perso il futuro». Le repressioni e l’inasprimento delle sanzioni per le donne che non indossano il velo convivono con la consapevolezza concreta del regime che non può arrestare tutte le donne – tante, sempre di più – che lo indossano “male” o non lo indossano. E che «oggi in Iran vi sono comunque donne che pilotano aerei, che hanno ruoli dirigenziali, che sono ingegneri aerospaziali. Una donna è stata anche vicepresidente» (Masoumeh Ebtekar, dal 2017 al 2021).

Storicamente, Sala ha ricordato anche come la rivoluzione che nel 1979 portò al potere la Repubblica Islamica deponendo lo shah Muhammad Reza Pahlavi, inizialmente non fosse solo islamica ma composta anche da marxisti, socialisti, nazionalisti e da femministe, donne che il velo non lo indossavano. Poi, purtroppo, il clero sciita prese il controllo del potere.

AFGHANISTAN: LA VERGOGNA DEL RITIRO

Qui il potere oppressivo il potere l’ha ripreso dopo 20 anni: «tanti giovani nei 20 anni dopo la liberazione del Paese dal regime talebano, hanno solo sentito parlare di loro». Con il ritiro delle truppe USA e NATO (iniziato nel 2020 con Trump, proseguito nel ’21 con Biden presidente), i talebani sono tornati al potere «nonostante non rappresentino assolutamente la maggioranza degli afghani. Il ritiro è stato un disastro totale, una grande vergogna», ha detto Sala. «E non si è riusciti a mettere in salvo fuori dal Paese tanti che in quei 20 anni avevano collaborato con USA e NATO e tante donne che in questo ventennio avevano scoperto la libertà e  magari ottenuto il divorzio da mariti che le sottomettevano. Questo atto di debolezza di USA e NATO ha convinto Putin a invadere l’Ucraina. Ma l’Ucraina se non fosse stata fin da subito aiutata dalla NATO, in poco tempo sarebbe stata interamente occupata dai russi».

Speriamo di imparare dalla storia, più  o meno recente, e dalla voglia di libertà dei questi giovani.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 6 ottobre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

«L’Intelligenza Artificiale va fermata con l’umano e la sovranità popolare»

2 Ott

Festival Internazionale / 1. Il giornalista bielorusso Evgeny Morozov è intervenuto a Ferrara: «dovremmo pensare a far progredire l’intelligenza umana, non queste tecnologie. L’IA è uno strumento del neoliberismo, un suo inganno»

di Andrea Musacci

Chi sostiene acriticamente l’Intelligenza Artificiale (IA) «non riesce a immaginare un modo diverso per migliorare l’umanità, l’intelligenza umana, ma solo questo raffinamento tecnologico. Dietro tutto ciò, c’è un’ideologia più profonda, lo Iagismo, che promette una panacea progressista».

A quasi un anno dal lancio di ChatGPT si moltiplicano gli allarmi riguardo alle possibili conseguenze negative dell’AI. Fra le voci maggiormente critiche vi è Evgeny Morozov, giornalista e scrittore bielorusso, intervenuto al Cinema Apollo di Ferrara lo scorso 29 settembre in occasione del Festival di Internazionale. Esperto di tecnologia e di internet, scrive su Foreign Policy, Economist, Wall Street Journal, Financial Times e Internazionale. Fra i suoi libri, The Net delusion: The Dark Side of Internet Freedom (2011) e To Save Everything, Click Here: The Folly of Technological Solutionism (2013).

«L’Attuale infatuazione per l’IA è un’estensione di quella per il mercato e il neoliberismo», ha riflettuto Morozov. «In pochi contestualizzano l’IA studiando i suoi legami con le forze economiche e politiche dominanti». Il giornalista pone la sua attenzione in particolare sulla cosiddetta “Intelligenza Artificiale generale” (o “forte”), vale a dire la capacità di un agente intelligente di apprendere e capire un qualsiasi compito intellettuale che può imparare un essere umano: «questo è il vero obiettivo di chi intende ancora sviluppare l’IA». 

Ma nella Silicon Valley «non esistono organizzazioni umanitarie, esistono aziende capitalistiche orientate al profitto. Lo Iagismo è un alleato potente e cool del neoliberismo, e in particolare ne rilancia i dogmi più deleteri», ha proseguito. Innanzitutto quello che afferma che il privato è di per sé più efficace del pubblico, che al contrario «non sarebbe creativo ma solo oneroso». Per questo, l’IA sta già invadendo anche diversi servizi pubblici (trasporti, sanità, educazione, sicurezza). Ma com’è avvenuto anche per Uber nel sistema dei trasporti, dopo l’inganno iniziale legato ai prezzi stracciati, col tempo il modello si rivelerà una bolla pronta a scoppiare se non alzando notevolmente i prezzi. Ormai, però, come potrà succedere con l’IA, «i consumatori ne saranno dipendenti e quindi saranno disposti a pagare molto di più per lo stesso servizio. La millantata “salvezza del mondo”, quindi, va monetizzata», ha chiosato Morozov.

Un secondo dogma neoliberista afferma che conviene adattarsi alla realtà e non tentare di trasformarla. «La “follia soluzionista” – così la definisce il giornalista – dell’ideologia tecnologica neoliberista pretende sempre di risolvere qualsiasi problema». Le istituzioni pubbliche, invece, non dovrebbero adattarsi alla realtà (e al mercato) ma aiutare le comunità, le persone «a sviluppare le proprie intelligenze». Terzo e ultimo dogma del neoliberismo è quello di promettere un’efficienza che renderebbe inutile ogni concetto di bene comune e di giustizia, considerati come «meri ostacoli per i profitti». È il mercato, invece, a «dare la misura delle cose», ad assegnare loro valore. Così, l’IA generale potrà essere applicata in ogni ambito, compreso quello sanitario, educativo e dell’informazione. Con conseguenze estremamente gravi. L’IA, infatti, non può cogliere la missione, i valori e le tradizioni, e le interazioni fra queste, ma solo usare freddi dati» (basti pensare a ChatGPT, mero algoritma). «Analizza il linguaggio ma non comprende i concetti: per questo, non può essere definita “intelligente”. Non può cogliere l’ethos del pubblico» e «non aumenterà, come promette, le nostre capacità ma anzi le restringerà. Inoltre, ad oggi non sappiamo nulla riguardo alla sua sostenibilità economica ed ecologica».

Quale alternativa a questo sistema che pare inarrestabile? «Dobbiamo pensare a una sovranità tecnologica e popolare, unica via per contrastare lo strapotere globale di Silicon Valley». Servirebbe, dunque, per Morozov «uno Stato capace di creare regole e infrastrutture pubbliche digitali, un modello pubblico alternativo» per evitare, ad esempio, che l’IA sfrutti – come già ha iniziato a fare – l’intelligenza, le conoscenze e la creatività di artisti, letterati e professionisti vari. Una sfida non da poco, ma necessaria.

Pubblicato sulla “Voce” del 6 ottobre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Arte e natura da custodire: nuovi incarichi in Diocesi

2 Ott

Due nuovi incaricati diocesani per tempo libero, turismo, sport e pellegrinaggi: sono don Giovanni Polezzo ed Emanuele Pirani. Nella “loro” San Giorgio, dal 27 al 30 la mostra sulle Valli di Argenta

Dio è il più grande artista, su questo non v’è dubbio. Ed Egli è la fonte e il senso ultimo della bellezza. A ognuno di noi spetta saper riconoscere il dono di questo splendore, cercando di renderne partecipi quante più persone.

È questo che prova a fare Sergio Stignani, fotografo che da tanti anni immortala le meraviglie delle Valli diArgenta, sua “casa”, luogo dell’anima che attraversa e conosce come pochi, occupandosi della gestione dei suoi capanni fotografici ed essendo guida al Museo della Bonifica. Dal 27 al 30 settembre Stignani è stato il protagonista della mostra “Valli di Argenta: un mondo da scoprire”, allestita nel Chiostro olivetano di San Giorgio fuori le Mura in occasione della Giornata Mondiale del Turismo.

Ad organizzarla, l’Ufficio diocesano per la pastorale del tempo libero, del turismo, dello sport, dei pellegrinaggi, che dal 1° settembre ha due nuovi Incaricati diocesani: il diacono Emanuele Pirani e il neo Rettore di San Giorgio don Giovanni Polezzo. Un Ufficio, quindi, che viene rilanciato attraverso iniziative come questa e, in prospettiva, quella più ambiziosa  di dar vita anche nel nostro territorio diocesano a un “Parco Culturale Ecclesiale” (PA.C.E.), come da diversi anni già ne esistono in altre realtà. Un nuovo tentativo di proporre un modello turistico non consumistico, non massificante ma di esperienza anche spirituale. Tentativo che da qualche anno la nostra Arcidiocesi ha già in un certo senso avviato, non solo proponendo nel periodo estivo diverse iniziative soprattutto nei Lidi e a Pomposa, ma cercando di coordinarle tra loro.

Su questo è intervenuto anche il nostro Vicario Generale mons. Massimo Manservigi, presente all’inaugurazione, riprendendo in parte il Messaggio di mons. Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero vaticano per l’Evangelizzazione, in occasione della Giornata Mondiale del Turismo: «c’è bisogno di riscoprire un turismo intelligente – ha detto mons. Manservigi -, per ritrovare equilibrio e un rapporto personale con la natura e con l’arte». Ma non solo: un “turista dal volto umano” è quello che «non considera i luoghi turistici come mere passerelle», ma che invece non dimentica quanto spesso quei luoghi siano anche «luoghi di povertà» o nei quali, proprio a causa del turismo, «tanti lavoratori vengono sfruttati».

Tornando alla mostra di Stignani, è stato proprio Pirani a introdurla mercoledì 27, raccontando innanzitutto l’amicizia nata tra i due lo scorso agosto durante un’escursione nelle Valli argentane. Il diacono ha sottolineato come anche Stignani nella propria opera di custodia e valorizzazione delle Valli, se ne prende cura cercando di «consegnarle alle prossime generazioni come il Creatore le ha a noi affidate».

Mons. Manservigi ha poi elogiato «la pazienza» di Stignani nel cogliere nella fauna valliva quell’attimo irripetibile, oltre alla sua profonda conoscenza non solo della tecnica fotografica ma dello stesso ambiente naturale che da tanti anni contribuisce a conservare.

Un mondo con mille sfaccettature, che le fotografie di Stignani raccolgono cogliendole nella loro estrema bellezza: si passa dai diversi tipi di volatili (solo per citarne alcuni: Martin pescatore, Garzetta, Tarabusino, Ibis sacro,Beccamoschino, Upupa) alle lepre e ai caprioli, alle faine, alle volpi e ai famosi lupi (attualmente 4, ma fino a due anni fa erano il doppio).

Un mondo – lo ripetiamo anche a conclusione del Tempo del Creato – da coltivare e custodire, sempre.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 6 ottobre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio