Archivio | Lavoro RSS feed for this section

Il lavoro tra crisi e comunità

11 Giu


Scuola di Formazione Politica. Magnani e Marchesini il 4 giugno per l’ultimo incontro

La sera dello scorso 4 giugno si è conclusa la Scuola diocesana di Formazione Politica, giunta al suo secondo anno. Protagonisti dell’ultimo incontro (svoltosi solo on line) sono stati Gianpiero Magnani, membro del CDS Cultura OdV di Ferrara, e Valentina Marchesini, figlia primogenita di Maurizio, Presidente di Marchesini Group S.p.A., e direttrice delle Risorse umane della Beauty Division (nata nel 2021), nonché membro del Cda del Gruppo. Marchesini Group, che ha sede nel bolognese, progetta e produce macchine e linee di confezionamento per l’industria farmaceutica e cosmetica. Tema della serata, “Ferrara e il lavoro. Dai dati statistici a una visione prospettica”. 

CRITICITÀ DEL TERRITORIO 

«In Italia vi sono forti disuguaglianze, non solo tra nord e sud ma anche all’interno delle stesse province», ha esordito Magnani. Caratteristica, questa, ben evidente nel Ferrarese, dov’è presente un’Area interna formata da 9 Comuni (nella parte orientale), per un totale di quasi 70mila abitanti. Area, questa, «particolarmente arretrata a livello economico e con un disagio sociale pesante». Si tratta di una delle aree più povere della Regione, assieme a certe zone montane del modenese e del reggiano: «parlare di politiche di sviluppo del territorio significa innanzitutto portare avanti queste aree arretrate», ha detto Magnani.

Tornando alla nostra provincia, il «tasso di occupazione è di oltre il 69% ma nell’Area interna crolla al 45%». Industria e manifattura nel Ferrarese sono sotto di 4 punti percentuali rispetto alla media regionale e nella nostra provincia vi è il numero più basso di imprese locali: siamo i penultimi in regione e ne ha di più anche una provincia piccola – extra regione – come quella di Mantova. Andando, poi, ad analizzare i singoli settori produttivi, a livello regionale siamo ultimi nel settore della manifattura (2mila imprese contro, ad esempio, le oltre 8mila del modenese) e anche nell’agricoltura – da sempre nostra “eccellenza”, come numero di operatori siamo appena terzi in tutta l’Emilia-Romagna. Anche il Petrolchimico presente nella nostra città è in crisi, con «forti disinvestimenti» e conseguenti «problemi in termini occupazionali, mentre a Ravenna, invece, stanno investendo molto». Note negative anche per il numero e le dimensioni delle cosiddette “grandi imprese” e  per l’export all’estero.

Non va meglio nemmeno se guardiamo i dati dell’andamento demografico, per il quale Bologna e Modena sono in aumento e Ferrara è stata da tempo superata anche da Ravenna. «Questo perché – ha commentato Magnani – a Ferrara e provincia ci sono meno opportunità di lavoro e quindi i giovani non si fermano». Non basta, dunque, la presenza di UniFe, con tanti iscritti, in crescita, in particolare fuori sede. E il calo demografico si registra soprattutto nell’Area interna nel Ferrarese. Non basta, nemmeno, a livello demografico, l’importo dell’immigrazione.

Venendo, poi, all’analisi dei Fondi europei, Magnani ha spiegato come questi «siano importantissimi, anche per lo sviluppo dei territori: come PNRR siamo terzi in regione» e i Fondi di Coesioni europee «potrebbero invertire la rotta se usati bene»: un esempio di questo buon uso dei Fondi europei, per Magnani, è il progetto del Tecnopolo di Bologna (DAMA – Tecnopolo Data Manifattura Emilia-Romagna), progetto di riconversione dell’ex Manifattura Tabacchi. Investimento che «darà vita a 2mila posti di lavoro».

«NOI METTIAMO LA PERSONA AL CENTRO»

E a proposito di lavoro, Marchesini, dopo aver brevemente presentato la propria azienda, ha detto: «il lavoro non può essere un orpello», per poi citare un passo della Regola francescana dove si invita i frati a lavorare «con fedeltà e con devozione».

«Nel mio caso – ha riflettuto Marchesini -, il prossimo è il lavoratore, colui che non ho scelto e con qui passo molto tempo della mia vita: il lavoro può quindi – per questo – essere un luogo di santità». E questo «i più giovani se lo sono scordati, e anche molti fra noi adulti». Nella «nostra azienda – ha proseguito – fondamentale è fare un lavoro che appassiona» e «farlo per un’impresa che ha dei valori. Il lavoro è parte della vita, non qualcosa di distinto da essa», ha proseguito.

L’azienda, per Marchesini, è «un luogo di comunità, quindi, dove si condividono spazi per un fine comune. E nella nostra c’è un forte sistema di welfare aziendale», welfare che «crea la comunità, con idee che spesso nascono dal basso».

Soprattutto in un’epoca in cui «i corpi intermedi stanno sparendo» e «dove tante persone sono sole», per Marchesini è importante la «cultura della cura: prendersi cura dell’altro è un atto politico». La stessa «ricerca del profitto, che è il primo obiettivo di un’azienda, va fatto senza calpestare le persone che fan parte dell’azienda stessa».

Per Marchesini è, quindi, decisivo «fare di un’azienda un luogo di cultura, anche aperto, dove si valorizzano le differenze». A tal proposito, la relatrice alla fine ha accennato alla Fondazione Marchesini ACT (Avanguardia, Cultura, Territorio), Fondazione di «supporto al territorio» nel periodo post pandemia.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 13 giugno 2025

Abbònati qui!

Referendum 8-9 giugno: lavoro e cittadinanza, ecco perché è importante votare

6 Giu

Alessandra Annoni e Silvia Borelli, docenti di UniFe, spiegano gli obiettivi dei 5 quesiti a cui siamo chiamati a rispondere col voto nelle urne. Tanti i temi che toccano la vita quotidiana: dai contratti precari agli incidenti sul lavoro, dai licenziamenti ai diritti civili legati all’acquisizione della cittadinanza

di Andrea Musacci

Quanto spesso nei normali discorsi fra le persone si sente – giustamente – lamentare del lavoro precario, delle cosiddette “morti bianche” (che quasi mai sono “bianche”), dei licenziamenti ingiusti (individuali o collettivi), dell’assurdità di persone – che incontriamo a scuola, al lavoro – che vivono da tanti anni nel nostro Paese e non sono riconosciuti cittadini come noi…

L’8 e il 9 giugno, ognuno di noi è chiamato a votare su 5 quesiti referendari riguardanti proprio lavoro e cittadinanza. Un’ottima occasione, quindi, per esprimere la propria opinione su temi che riguardano o potranno riguardarci direttamente, o persone a noi care, con le quali condividiamo momenti delle nostre quotidianità: i licenziamenti, i contratti a termine, la responsabilità negli appalti, la cittadinanza per gli stranieri. Le cinque schede di diverso colore rappresentano altrettanti ambiti su cui gli elettori sono chiamati a esprimersi.

La sera dello scorso 27 maggio nel Cinema Santo Spirito di Ferrara erano oltre 200 le persone (fra cui diversi giovani) ritrovatesi per l’incontro organizzato da alcune associazioni e movimenti ecclesiali ferraresi (Azione Cattolica, ACLI, AGESCI, MASCI, Movimento Rinascita Cristiana, Comunità Papa Giovanni XXIII, Salesiani cooperatori). Le relatrici sono state Alessandra Annoni, professoressa ordinaria di Diritto internazionale all’Università di Ferrara e Silvia Borelli, professoressa associata di Diritto del Lavoro dello stesso Ateneo. L’incontro è stato introdotto e moderato da Alberto Mion. Una forte risposta dei ferraresi per un’iniziativa di alto livello nel quale le due esperte hanno aiutato i tanti presenti a chiarire alcuni dubbi riguardanti temi sicuramente complessi. Con un appello ad andare a votare l’8-9 giugno per due motivi di fondo: per segnalare al Parlamento che questi temi interessano tutti i cittadini e le cittadine; come occasione per interrogarci sul modello cittadinanza, cioè su cosa significa essere cittadino/a italiano/a, qual è la nostra idea di popolo oggi. Popolo, lo ricordiamo, di una Repubblica democratica (dove il referendum è uno degli strumenti diretti di questa democrazia) fondata sul lavoro. Lavoro che, appunto, si vuole tutelare attraverso i primi 4 requisiti referendari.

Tante sono state anche le domande e le riflessioni dal pubblico a conclusione dell’incontro. La registrazione integrale dell’iniziativa a S. Spirito è disponibile sul canale You Tube della nostra Arcidiocesi: youtube.com/@chiesadiferraracomacchio

Vediamo ora nel dettaglio i cinque quesiti referendari attraverso l’analisi di Silvia Borelli e Alessandra Annoni.

Continua a leggere l’articolo qui.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 6 giugno 2025

Abbònati qui!

A testa alta per il lavoro

24 Apr

1° maggio. Nonostante il silenzio dei media principali, sono tante le lotte per la dignità dei lavoratori in Italia

Nonostante la retorica che avvolge una certa narrazione sul 1° maggio, sul lavoro che manca o è mal retribuito, sui media e nei dibattiti che raggiungono milioni di persone nel nostro Paese, è praticamente impossibile sentir parlare delle lotte che settimanalmente lavoratrici e lavoratori portano avanti – con grandi sacrifici – per un lavoro più dignitoso e un futuro migliore per l’intera comunità. Ecco alcune vertenze aperte o appena concluse.

«In questi giorni, e oggi (18 aprile, ndr) in particolare, in Stellantis negli stabilimenti di Mirafiori, Verrone, Pratola Serra, Termoli, Atessa, Cassino; in Iveco negli stabilimenti di Piacenza, Foggia, Torino, Brescia, Suzzara; in Cnh Industrial a Torino, le lavoratrici e i lavoratori stanno scioperando per chiedere un giusto salario». A dirlo sono Samuele Lodi (segretario nazionale Fiom Cgil) e Maurizio Oreggia (coordinatore nazionale automotive Fiom Cgil). «La trattativa per il rinnovo del biennio economico del Ccsl – spiegano i due dirigenti sindacali – non sta proseguendo e sta determinando una vera e propria emergenza salariale, a causa del carico degli ammortizzatori sociali che, soprattutto in Stellantis, stanno pesando strutturalmente ormai da anni».

*

«Un’adesione media dell’85% con punte fino al 100% a Genova e Rimini”». A riferirlo unitariamente Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti sullo sciopero di tutti i driver della filiera dell’ultimo miglio di Amazon, svoltosi la scorsa settimana, sottolineando che «hanno sostanzialmente lavorato solo gli addetti con contratto precario».

*

La scorsa settimana è stato proclamato lo stato di agitazione del personale di e-distribuzione, società del gruppo Enel, da parte di Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil. I sindacati hanno attivato la procedura di raffreddamento e conciliazione prevista dagli accordi sul diritto di sciopero nel settore elettrico. La situazione è precipitata dopo la comunicazione aziendale del 14 aprile, in cui si annuncia l’intenzione di procedere unilateralmente all’applicazione del nuovo orario da maggio, nonostante il parere negativo espresso da tutte le articolazioni sindacali sugli esiti della sperimentazione svolta in quattro Unità Territoriali pilota. Le segreterie nazionali di Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil attendono ora una convocazione nei tempi previsti dagli accordi. I sindacati denunciano anche la carenza strutturale di organico, i  carichi di lavoro eccessivi e il degrado delle sedi.

*

A pochi mesi dalla sottoscrizione di accordi sindacali in materia di lavoro agile e integrativo aziendale, la direzione di Telemat, azienda che opera nei servizi all’impresa e agli enti pubblici, ha comunicato l’intenzione di licenziare 21 dipendenti su 30 nel sito di Bassano del Grappa (Vicenza). Nell’incontro del 14 aprile presso la Direzione lavoro della Regione Veneto, Slc Cgil e Cgil regionale hanno chiesto «il ritiro dei licenziamenti a favore di un percorso che, attraverso gli ammortizzatori sociali e la formazione, possa andare nella direzione di un’integrazione tra le due aziende, contenendo gli esuberi o al massimo riducendoli a esodi volontari».

*

Una buona notizia dalla moda: è stato emanato il 7 aprile dal Ministero del Lavoro il decreto di concessione dei contratti di solidarietà per i dipendenti del gruppo Florence, società operante nel settore della moda, al servizio dei più importanti brand del lusso con produzioni del prét-a-porter, pelletterie e calzature. Con l’attivazione dell’ammortizzatore sociale si è riusciti a scongiurare i 224 esuberi che l’azienda aveva annunciato. I contratti di solidarietà, con valenza retroattiva al 17 marzo, si concluderanno il 16 marzo 2026. A essere interessati sono i lavoratori degli stabilimenti di Arezzo, Torino, Firenze, Perugia, Nardò (Lecce), San Miniato (Pisa), Quarrata (Prato), Sant’Egidio alla Vibrata (Teramo), Urbania (Pesaro), Calenzano, Castel Fiorentino e Montelupo Fiorentino (Firenze).

*

Altra buona notizia dalla vertenza Beko: «Abbiamo firmato un buon accordo, che è stato approvato da oltre l’88% delle lavoratrici e dei lavoratori degli stabilimenti: questo il primo commento della segretaria nazionale Fiom Cgil Barbara Tibaldi all’intesa siglata il 14 aprile al Ministero delle Imprese. «È grazie alla lotta delle lavoratrici e dei lavoratori che, ancora una volta, siamo riusciti a raggiungere un accordo che garantisce il lavoro e un settore strategico come l’elettrodomestico», prosegue la dirigente sindacale: «Quest’accordo costituisce un precedente importante nelle modalità e nel merito». L’accordo riduce gli esuberi, dichiarati dalla multinazionale turca del gruppo Arçelik, da 1.935 a 937, più i 287 del sito di Siena (per un totale di 1.224). Le lavoratrici e i lavoratori di Siena potranno accedere agli ammortizzatori sociali conservativi e alle uscite incentivate volontarie, evitando così i licenziamenti. È stata scongiurata la chiusura della fabbrica di Comunanza (Ascoli Piceno), mentre il sito di Cassinetta (Varese) continuerà l’attuale produzione di frigoriferi che doveva essere ridimensionata.

*

La Filt Cgil Milano ha proclama lo stato di agitazione e sciopero in tutti gli appalti che coinvolgono le aziende Brivio & Viganò Logistics, Cap Delivery e Deliverit, operanti nella logistica per Esselunga. Lo sciopero è stato dichiarato a partire dal 18 aprile fino alle ore 2 di domenica 20 aprile, con presidi in tutta la regione presso i siti di Settimo milanese (MI), Dione Cassio (MI), Varedo (MB) e Lallio (BG).

*

Infine, Pasqua amara per le lavoratrici e i lavoratori Gurit : il 18 aprile lo stabilimento di Volpiano (Torino) ha chiuso. A fine gennaio la società svizzera aveva annunciato la chiusura dell’impianto, attivo nella produzione di componenti per turbine eoliche, e il licenziamento dei 56 dipendenti (cui si aggiungevano altri 20 addetti in somministrazione). Malgrado oltre due mesi di trattative, l’azienda è rimasta irremovibile. 

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 25 aprile 2025

Abbònati qui!

(Foto Yury Kim – pexels.com)

«Formazione e ricerca: solo così l’Europa può essere competitiva»

22 Feb

La Prolusione dell’ex Ministro Patrizio Bianchi all’Accademia delle Scienze di Ferrara: «Cina e altri Paesi sono all’avanguardia nel digitale, ma le disuguaglianze aumentano»

di Andrea Musacci

Quale può essere oggi il ruolo dell’Europa in un contesto globale complesso, conflittuale e dominato sempre più dall’economia cinese e da altre economie orientali?

Su questa drammatica domanda ha riflettuto lo scorso 12 febbraio Patrizio Bianchi nella sua Prolusione richiestagli dall’Accademia delle Scienze di Ferrara. In via del Gregorio, dopo i saluti di Pier Andrea Borea (Presidente dell’Accademia) ha preso la parola il noto economista, titolare della Cattedra Unesco Educazione, crescita ed eguaglianza presso l’Università di Ferrara. Lungo, il suo curriculum: solo per citare gli incarichi passati più prestigiosi, ricordiamo che è stato Ministro dell’Istruzione del governo Draghi, Assessore a scuola, università e ricerca della Regione Emilia-Romagna ed è professore emerito di UniFe, di cui è stato Rettore. “Tendenze e conflitti dell’economia globale”: già dal titolo scelto per la sua Prolusione, ben si comprende su quale contesto ci troviamo a ragionare a 35 anni dalla caduta del Muro di Berlino, e quando ormai ampiamente si sono spente quelle speranze nate allora di poter vivere in un mondo di pace e dove il libero mercato dovrebbe portare maggiore democrazia e ricchezza per i popoli.

FRATTURE E DISILLUSIONI

«L’attuale momento internazionale è molto difficile, in quanto attraversato da diverse fratture», ha esordito Bianchi. Per questo, è importante «l’apporto della ricerca, della scienza, di parlarsi, di confrontarsi: oltre all’Università, è significativo il ruolo delle Accademie come la vostra».

Viviamo dunque in un’epoca complicata, che segue una lunghissima crescita avvenuta nell’ultimo mezzo secolo. In questo periodo di tempo, però, vi sono state «fasi tra loro molto diverse»: si usciva dal secondo conflitto mondiale e dopo 40 anni è caduto il mondo sovietico, dando vita a una fase nuova: a metà anni 90 si è avuto, infatti, il World trade Agreement, la possibilità cioè di commerciare liberamente fra tutti i Paesi a livello globale, a differenza di ciò che avveniva durante la Guerra Fredda. Successivamente, vi è stata una rapidissima fase di crescita, con un aumento fortissimo della popolazione a livello mondiale (più che raddoppiata in pochi decenni) e un aumento del reddito medio. «Ma questo aumento del reddito non è stato distribuito equamente», ha aggiunto il relatore. Tre sono le grandi illusioni nate dopo la caduta del Muro nel 1989: «che non ci sarebbero più state guerre, che il mercato si sarebbe autoregolato e che le nuove tecnologie avrebbero reso il mondo più democratico. Ma questi tre aspetti – fra loro collegati – non si sono del tutto realizzati».

RICERCA PER CRESCERE

La vera protagonista a livello mondiale – per la crescita impetuosa che ha avuto – è la Cina. Cina che dagli anni ’90 ha avviato politiche di «salari bassissimi, dimostrando grande capacità di produzione e forte disponibilità a collaborare con gli altri Paesi». Collaborazione che è avvenuta «facendosi formare» dagli occidentali, ai quali, quindi, ha “preso” anche le tecnologie. Un aspetto decisivo, questo, e drammaticamente «sottovalutato» da molti. I cinesi, quindi, avevano capito che «educazione, formazione e ricerca sono le chiavi dell’innovazione». Le fasi di instabilità – perciò – «sono molto pericolose se non si investe nell’industria, quindi nell’innovazione, in formazione, ricerca e tecnologia ma si sta attenti solo ai guadagni in Borsa», ha ammonito Bianchi. «Ciò che fa la differenza, quindi, sono gli investimenti di lungo periodo». Arrivando all’inizio del nuovo millennio, la nuova fase è segnata negli USA dalla crisi dei subprime, «che colpisce soprattutto le banche più piccole, legate a quelle grandi e grandissime. A questa crisi negli USA si è reagito girando pagina, cioè investendo sull’industria digitale». Dal 2008, infatti, «lo scambio internazionale di prodotti fisici cala, ma la produzione totale cresce, grazie proprio all’aumento dell’economia digitale».

EUROPA E RUSSIA IN DIFFICOLTÀ

È soprattutto in questi anni che la Cina cresce esponenzialmente mentre l’Europa registra una «crescita scarsa e molto altalenante». L’Europa – per Bianchi – «solo quando gioca assieme compete e trascina l’economia mondiale, mentre quando si fraziona è troppo piccola per stare al passo» degli altri Paesi forti. E oggi – è l’ennesimo allarme che l’economista lancia – per l’Europa «potrebbe essere troppo tardi per una ripresa, per una crescita pur necessaria per la stabilità mondiale». Fra i grandi Paesi, solo la Russia non può altrettanto sorridere. È, infatti, un Paese «dominato da un gruppo ristretto di oligarchi che impedisce lo sviluppo di una vera economia nazionale: in Russia si registra una forte inconsistenza del sistema economico».

ANALISI DI ALCUNI SETTORI CHIAVE

Andando più nel dettaglio, e analizzando alcuni settori economici chiave, vediamo ad esempio come dal 2000 al 2021 il mercato dell’auto in Cina è cresciuto in % dal 1,5 al 37,5, mentre negli USA è calato dal 13,4 al 2,7 e in Germania dal 12, 4 al 5,4. E la Germania è il Paese europeo più forte in questo settore… 

«La chimica – ha poi aggiunto Bianchi – è l’ambito che oggi più mi preoccupa, se in esso non riusciamo più a produrre e a innovare». Proseguendo, per quanto riguarda la produzione digitale, nei circuiti integrati svettano Hong Kong, Cina, Taiwan e Singapore; gli USA producono invece circa 1/3 di ognuno di questi Paesi. Idem per i semiconduttori, prodotti per il 22% in Cina, altrettanto a Taiwan e per il 25 in Corea del sud. Per non parlare dell’«enorme concentrazione di ricchezza nell’ambito della comunicazione, dove dominano Cina e USA». Ma la Cina è anche il Paese «con più brevetti e che più ha investito in robot e macchine di produzione ad alta tecnologia: se i Paesi europei – ha spiegato con amarezza Bianchi – si mettessero tutti insieme arriverebbero forse ai livelli di USA o Giappone», ma sarebbero comunque ancora lontani dalla terra del dragone.

DISEGUAGLIANZE CRESCENTI

Come accennato sopra, tutto ciò negli ultimi tre decenni ha portato, però, a «un aumento delle disuguaglianze a livello globale». In particolare, in Cina sono raddoppiate: il 10% dei ricchi controlla il 70% della ricchezza, mentre in USA il 10% della popolazione controlla l’80% della ricchezza, e il secondo 50% controlla appena lo 0,6%…

Se il massimo della povertà rimane in Africa e in America latina, la vecchia Europa «tiene», nonostante tutto. Il nostro continente – ha spiegato Bianchi – «è marginale nel digitale ma primo in altri settori: ad esempio esportiamo in quello farmaceutico e negli strumenti scientifici, soprattutto legati all’ambito sanitario e più in generale alla qualità della vita. Investimenti in salute, scienza e welfare sono quindi importanti perché possono essere elementi di traino per l’Europa a livello globale. Dobbiamo consolidare questo nostro primato europeo: ma purtroppo il tema viene spesso sottovalutato». Com’è – secondo Bianchi – sottovalutato quello dell’educazione, «importante non solo per la vita delle persone ma appunto come traino per lo sviluppo».

DOVE STA L’EUROPA?

Oggi qual è, quindi, il posto dell’Europa nel mondo? Per Bianchi, come detto, l’unica via per il nostro continente sta nell’«investire in educazione, ricerca e nella capacità di trasformare queste in qualità della vita. Non dobbiamo abbatterci: l’identità europea oggi si può esprimere a livello continentale unitario solo nella capacità di investimento e recuperando una visione di lungo periodo, per poi – sempre come Europa – essere in grado di costruire e garantire la pace a lungo termine».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 febbraio 2025

Abbònati qui!

Basso Ferrarese, ecco la ricerca CISL-CDS

31 Gen

Impresa, demografia, infrastrutture non vanno. Servono interventi pubblici. Una proposta seria

È ora disponibile il Rapporto finale del progetto di ricerca “Sulla sostenibilità socio-economica ed ambientale nell’Area Interna del Basso Ferrarese”, promosso da CISL Ferrara e a cura di CDS – Centro Ricerche Documentazione e Studi Economico Sociali OdV, con la Collaborazione Scientifica di Aurelio Bruzzo, già afferente al Dipartimento di Economia e Management UniFe. Qui il testo completo della Ricerca: urly.it/3149s2

Risulta evidente – è scritto nel testo – che nell’Area Interna Basso Ferrarese è presente «un circolo vizioso che ovviamente andrebbe interrotto, per poter lanciare un vero e proprio processo di sviluppo». Circolo vizioso «alimentato dallo spostamento al di fuori dell’area in oggetto di importanti risorse – come il capitale umano e presumibilmente anche il capitale finanziario» che «contribuiscono all’ulteriore impoverimento dell’Area Interna, soprattutto in termini di potenzialità circa un futuro sviluppo socio-economico. L’interruzione di tale circolo non può che avvenire attraverso l’adozione di una serie di misure d’intervento pubblico».

L’Area Interna – «anche a causa dello spostamento verso l’esterno – gode di una minore quantità di forza lavoro rispetto all’area rimanente che compone la provincia di Ferrara; inoltre si è appurato che nell’Area Interna sono maggiormente presenti le imprese di piccola o piccolissima dimensione, le quali molto spesso sono diffuse sul territorio, anziché essere agglomerate in apposite aree attrezzate destinate alle attività produttive (industriali e terziarie), come quella di San Giovanni di Ostellato. Tutto ciò comporta che le imprese localizzate nell’Area interna non usufruiscono né delle economie di scala né di quelle di agglomerazione; conseguentemente, esse sostengono costi di produzione molti elevati che vanno a ridurre i margini di guadagno registrati nei bilanci aziendali. La disponibilità di manodopera non particolarmente formata – salvo le debite eccezioni – contribuisce ad ottenere dalle iniziative imprenditoriali operanti nell’Area livelli di produttività e di redditività inferiori a quelli possibili, che si riesce invece ad ottenere al di fuori dell’Area».

Per quanto riguarda le famiglie, «a causa del basso livello di reddito pro capite goduto dai residenti nei Comuni dell’Area, i consumi che in parte potrebbero essere costituiti da autoconsumo, sono anch’essi limitati, per cui la domanda di beni di consumo avanzata nei confronti delle imprese produttive, locali e non, sarà anch’essa limitata», e quindi queste «riusciranno a produrre una quantità altrettanto limitata di beni».

Proseguendo, l’Area interna Basso Ferrarese si caratterizza per «un elevato livello di fragilità socio-demografica, a causa dello spopolamento e dell’invecchiamento della popolazione che rimane a risiedere, di frammentazione territoriale delle attività produttive e di una elevata, quanto paradossale differenziazione fra i Comuni che la compongono, che sono di diversa dimensione demografica e specializzati in attività tra loro diverse, ma non complementari».

Un’altra caratteristica propria di quest’area è rappresentata dalla «carenza di infrastrutture, sia materiali che immateriali, rispetto al resto del territorio provinciale in settori come quelli delle telecomunicazioni, del trasporto pubblico e, di conseguenza, della mobilità, mediante le quali si potrebbe favorire delle relazioni più intense e strette sia all’interno dell’Area stessa, sia con le aree contermini presenti nella provincia, a ovest e a sud, nonché con quelle delle province circostanti (in particolare Rovigo, Modena, Bologna e Ravenna). Le maggiori, sia in termini di frequenza che di intensità, relazioni consentirebbero ovviamente di incrementare gli scambi commerciali, sia con le attività produttive localizzate nelle aree menzionate, sia con quelle straniere attraverso infrastrutture logistiche e di trasporto – come le ferrovie e le banchine portuali – presenti in altre aree della regione, come la provincia di Ferrara». A tal proposito, importante è il recente progetto di Zona Logistica Semplificata, imperniata sul porto di Ravenna, «della quale però le attività produttive localizzate nell’Area Interna che volessero effettuare attività di import-export non potrebbero avvalersi di un collegamento diretto attraverso la Strata statale Romea (S.S. 309) o una adeguata rete ferroviaria, per ricorrere al polo logistico di Bondeno, situato molto più a ovest».

Andando avanti nell’analisi, si registra la totale assenza di un adeguato coordinamento tra i progetti di investimento pubblico finanziati mediante il PNRR, la politica di coesione europea e la STAMI (Strategie territoriali per le aree montane e interne, ndr), in sede di programmazione iniziale e a livello di intera Area interna». Andrebbe invece «individuata una sede o un soggetto istituzionale che riesca a svolgere una simile funzione di coordinamento».

Per concludere, i sopracitati necessari interventi finalizzati allo sviluppo reddituale e a quello del benessere sociale «dovrebbero essere effettuati in vari ambiti di competenza pubblica (dall’assistenza socio-sanitaria all’istruzione, dalla creazione di nuovi posti di lavoro duraturi e di qualità alla salvaguardia dell’ambiente, dalla valorizzazione turistica e culturale delle numerose località dotate di caratteri di attrattività, ecc.)»; e «dovrebbero puntare all’inversione del trend demografico e a favorire l’inclusione della nuova popolazione che volesse trasferirsi in questa area, che presenta numerose e inestimabili ricchezze ambientali». Il «recupero dell’attuale patrimonio residenziale, attraverso la sua ristrutturazione e l’adeguamento dal punto di vista energetico» è un intervento «mai stato preso in debita considerazione» ma significativo per il futuro di quest’area che ancora vive difficoltà e contraddizioni profonde che la rendono povera e poco attrattiva.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 gennaio 2025

Abbònati qui!

Vecchio, povero e fragile: il territorio ferrarese secondo l’Annuario CDS

18 Dic

La tradizionale fotografia socio-economica di fine anno, fra disuguaglianze e possibilità

I dati, si sa, sono sempre interpretabili, non sono mai dogmi assoluti. Forniscono, però, alcune chiare indicazioni sulla realtà. Realtà che spesso stentiamo a riconoscere, come nel caso della situazione socio-economica del territorio Ferrarese.Anche quest’anno, come negli ultimi 37, il CDS di Ferrara (Centro ricerca Documentazione e Studi economico sociali) ha presentato il proprio Annuario, il 13 dicembre  nella Sala Convegni CNA di via Caldirolo, realizzato con il Patrocinio di ISCO, Provincia di Ferrara e ASviS-Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. L’Annuario 2024 – che ha come sottotitolo “Osserva Ferrara”- è stato presentato da Annalisa Ferrari e Gianpiero Magnani (Direttivo  CDS). Quest’ultimo ha spiegato come al suo interno vi siano i contributi di 50 autori che hanno utilizzato oltre 180 fonti per i dati e le informazioni necessarie. Il pomeriggio – molto partecipato – si è concluso con un ricordo di Paolo Micalizzi da parte di Sergio Foschi e la proiezione di “Lo sguardo e la memoria.Il sogno infinito di Paolo Micalizzi“, a cura di Roberto Fontanelli e Riccardo Modestino.

BRACCI: «SERVE CAMBIO DI PASSO»

Dopo i saluti di Anna Quarzi (Presidente ISCO) e Diletta D’Andrea (Consigliera Provincia di Ferrara) (assenti il Presidente provinciale  Garuti e quello regionale De Pascale), ha relazionato la Presidente del CDS Cinzia Bracci. Che ha innanzitutto fatto un piccolo annuncio: «stiamo pensando di tornare a realizzare anche un Annuario ad hoc sulla città di Ferrara». L’analisi della situazione socio-economica della nostra Provincia è impietosa: innanzitutto, com’è noto, in Regione il Basso Ferrarese è una delle zone più povere assieme a quelle montane. La distanza dalla via Emilia, insomma, fa la differenza. A livello demografico, la nostra Provincia in 20 anni ha registrato un calo da 360mila a meno di 340mila abitanti e siamo la Provincia con l’indice di vecchiaia più alto in tutta l’Emilia-Romagna. «E fino al 2031 la popolazione calerà ancora e pesantemente». A Ferrara, poi, l’età media è di 49 anni, 2 sopra quella regionale. «Con questi dati – ha proseguito Bracci – vi sono seri problemi di sostenibilità: servirebbero, soprattutto a livello nazionale, incentivi alla natalità e che impediscano l’emigrazione dei nostri giovani, oltre a politiche per una vecchiaia più attiva». Al riguardo, la Presidente ha citato una proposta di Pino Foschi, fondatore del CDS, di lasciare i lavoratori in età di pensionamento per alcuni anni in tandem sul luogo di lavoro coi più giovani.

A fianco della crisi demografica, vi è quella sociale: la nostra Provincia, in Regione, è quella con meno stranieri e «ciò è segno di poca attrattività produttiva». Spesso, poi, i lavoratori stranieri presenti sono stagionali.Forti differenze vi sono anche all’interno del Ferrarese, ad esempio nella percentuale di laureati/e (ad es., l’8,3% a Goro e il 38% a Ferrara). In ogni caso, in questo ambito «siamo ben al di sotto sia della media regionale sia di quella nazionale, nonostante un Ateneo in crescita». AUniFe, secondo Bracci, manca ad esempio «un Dipartimento di Agraria», in un territorio come il nostro ancora fortemente agricolo. Ancora sui giovani: il 16,1% non studia né lavora, altro «dato pesante». La fragilità economica, di conseguenza, è inevitabile: siamo la penultima Provincia come reddito imponibile medio, e come livello occupazionale nell’industria e nel terziario siamo sotto la media nazionale. Inoltre, il 62,9% delle imprese ferraresi è piccola come dimensioni. «È necessario – ha aggiunto Bracci – un cambio di passo, con innovazione e politiche serie. Altrimenti per la nostra Provincia sarà un disastro». Gli aiuti, da alcuni anni, ci sono ma «dei Fondi di coesione, appena l’1% lo usiamo in innovazione, contro il 33% a livello regionale, e quelli del PNRR non sappiamo se le future generazioni saranno in grado di restituirli», dato che in parte sono prestiti.

Anche a livello morfologico, il nostro è un territorio fragile, che va conservato e protetto: «non possiamo pensare che ce la caveremo per sempre».

BIANCHI E CALAFÀ: «TUTELARE IL LAVORO»

«Quello sulla nostra Provincia è, naturalmente, uno sguardo limitato ma nel suo piccolo ci fa comunque comprendere alcune trasformazioni in corso a livello nazionale, europeo e mondiale», ha riflettuto poi  Patrizio Bianchi (Cattedra UNESCO “Educazione, Crescita ed Eguaglianza”, UniFe). «Oggi nei  Paesi avanzati sempre più assistiamo a un fenomeno per cui in aree sviluppate si creano aree povere, bolle di svuotamento». Bianchi si è quindi concentrato sul tema del lavoro, che sta cambiando, soprattutto «nella percezione dei giovani, i quali non concepiscono più di poter svolgere lo stesso impiego per tutta la vita». Questa flessibilità, però, «ha bisogno di essere tutelata». Ma servono anche «reti infrastrutturali e comunicative per attrarre le imprese». In ogni caso, ha ribadito Bianchi, attenzione perché la crescita economica spesso negli ultimi decenni ha portato a «un aumento delle disuguaglianze, come ad esempio in Cina». La «scarsa partecipazione» e quindi la «scarsa democrazia» sono un rischio nelle società avanzate e all’interno dei luoghi di lavoro. Sul tema del lavoro e dei suoi diritti si è concentrata anche Laura Calafà (Docente di diritto del lavoro, UniVr): «serve la tutela di un lavoro dignitoso» contro «le ricadute in basso della globalizzazione», contro i cosiddetti “contatti collettivi pirata“, quelli cioè sottoscritti non dalle grandi organizzazioni sindacali e quindi con una corsa al ribasso nei trattamenti economici e normativi del lavoro.

MORELLI: DONNE E DELTA

SCANDURRA: FORMAZIONE PARTECIPATIVA

«Nessuno si salva da solo, è fondamentale lavorare assieme», ha poi chiosato Aida Morelli (Presidente Parco Delta del Po Emilia-Romagna), che si è concentrata sul tema della parità di genere («è un fatto sostanziale, ne va della stessa democrazia») e sul Delta del Po, «che ha grandi potenzialità di crescita, con possibili ricadute positive indirette anche a livello occupazionale». L’ultimo intervento è poi spettato a Giuseppe Scandurra (Docente di Antropologia culturale, UniFe), il quale ha accennato alla collaborazione tra Dipartimento di Studi Umanistici (Laboratorio Studi Urbani) di UniFe e CDS. «Da anni – ha detto – i miei studenti e le mie studentesse li coinvolgo in progetti di ricerca sul nostro territorio»: un’esperienza importante soprattutto dopo 1 anno e mezzo di dad causa Covid e con «il crescere delle università telematiche», fondate proprio sulla dad e sulla privatizzazione e lo svilimento del sapere.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 20 dicembre 2024

Abbònati qui!

Regal e Berco: 557 licenziamenti. Il lavoro che manca o è sottopagato

19 Ott
Foto Kateryna Babaieva


I 77 dipendenti della sede di Masi Torello hanno ricevuto la notifica via mail mentre lavoravano. Ma l’azienda USA non è per nulla in crisi. I dati delle delocalizzazioni e dei salari in Italia

di Andrea Musacci

In un’epoca nella quale a dominare l’immaginario collettivo vi sono miti come quello del lavoro autonomo che rende automaticamente liberi, del lavoro ideale da casa, di quello automatizzato, del self made man, una mattina, in un piccolo Comune come quello di Masi Torello mentre tu, operaio, sei a lavorare, vieni a scoprire da una mail che sei stato licenziato. È quello che è accaduto – senza nessun preavviso – lo scorso 7 ottobre a 77 lavoratrici e lavoratori della Regal Rexnord (ex Tollok), azienda del Wisconsin che produce componenti per pale eoliche. Si tratta di 49 operai, 25 impiegati e 3 dirigenti. 75 i giorni per avviare la procedura di fine rapporto. Fra questi, 4 coppie di coniugi, con figli piccoli a carico e un mutuo da pagare.

La Regal Rexnord ha comunicato via Pec i licenziamenti, motivando la scelta con la decisione di delocalizzare la produzione in India e in Cina, dove il costo del lavoro è più basso e le condizioni fiscali più vantaggiose. Il gruppo Regal Rexnord ha chiuso il 2022 con un fatturato di 5,2 miliardi, in crescita del 36%; il 2023 invece è stato chiuso a 6,2 miliardi, con un utile ipotizzato a 270 milioni. I conti di Regal Rexnord Corporation, comprensivi di fatturato, spese, profitti e perdite sembrano solidi: il fatturato totale per l’ultimo trimestre è di 1,55 miliardi di dollari, in calo del 0.01% rispetto al trimestre precedente. L’utile netto nel secondo quadrimestre 2024 è di 62,5 milioni di dollari. Nessuna crisi dell’azienda, quindi. Anzi. I sindacati si sono subito mobilitati con presidio permanente davanti ai cancelli, la proclamazione dello sciopero a oltranza e un incontro nella sede di Confindustria Ferrara lo scorso 9 ottobre, che ha portato a un nulla di fatto. Il 15 ottobre è previsto un tavolo in Regione convocato dall’Assessore Colla per cercare di trovare una soluzione.

Appena due giorni dopo, a pochi km di distanza, la Berco, azienda   del gruppo Thyssen Krupp specializzata in sottocarri agricoli, annuncia 550 esuberi (oltre alla cancellazione della contrattazione aziendale), dei quali 480 nella sede di Copparo che conta circa 1250 dipendenti, gli altri in quella di Castelfranco Veneto (Treviso), dove lavorano 150 operai. Situazioni gravi in un contesto non felice per l’automotive: ad oggi la richiesta di ammortizzatori sociali riguardano lo stabilimento della VM (Cento), Sagom Tubi (Cento), ZF (zona SIPRO), Sirtec e Tecopress (Dosso), Reflexallen (Cento). 

DELOCALIZZAZIONE E COSTO DEL LAVORO

Da uno studio di Porsche Consulting (società di consulenza tedesca) del 2023, il costo del lavoro in Cina è del 400% inferiore a quello italiano, del 300% a quello americano, del 600% a quello tedesco e francese. Si parla poi di “riglobalizzazione selettiva”: un’azienda europea può pensare a delocalizzare in Romania dove il costo del lavoro è solo del 17% superiore a quello cinese (quindi quasi tre volte meno che in Italia) e al Mediterraneo in generale. Secondo dati dell’agenzia Eurofound (Fondazione UE per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), tra il 2003 e il 2016 sono stati 752 i casi di delocalizzazione, di cui 352 a destinazione di un altro Stato membro dell’Unione Europea; e dei 197.927 impieghi persi in 13 anni, 118.760 possono essere collegati ad un trasferimento della produzione aziendale verso un altro Paese membro dell’UE, soprattutto dell’est Europa.

IN ITALIA SALARI IN CALO

Ma nel nostro Paese, anche dove il lavoro rimane, i salari calano: rispetto a gennaio 2021, sono scesi, infatti, del 10%. È quanto emerge dall’indagine realizzata alcuni giorni fa da Legacoop con Prometeia, che analizza andamento dei prezzi e impatto dell’inflazione. Secondo lo studio, da inizio 2021 a oggi i salari orari sono cresciuti in media in Italia dell’1,2%, contro il +3,3 dell’area euro. Le cause risiedono nei «ritardi nei rinnovi contrattuali», nell’«assenza di un salario minimo e di meccanismi di indicizzazione». E dopo il picco registrato nell’ottobre 2022 al culmine della crisi energetica, il tasso di inflazione in Italia continua a scendere, collocandosi al di sotto della media dell’eurozona. Ma se le imprese sono riuscite a difendersi trasferendo i maggiori costi sui beni finali, i salari hanno invece subìto, soprattutto in Italia, una forte erosione del potere d’acquisto.

***


Workers buyout: quando i lavoratori salvano l’azienda comprandola

Di cosa si tratta e quanti sono in Italia. Il caso della “Girasole” a Porto Garibaldi

In inglese si chiama workers buyout (WBO) ed è il salvataggio di un’impresa in crisi (o senza successori) da parte dei lavoratori che subentrano nella proprietà e nella conduzione, quasi sempre organizzandosi in cooperativa e investendo risorse proprie, come l’indennità di disoccupazione e il Tfr. Con le “imprese rigenerate dai lavoratori” si preservano il sapere tecnico, le abilità professionali e le relazioni commerciali già esistenti e si può arrivare anche a uno sviluppo significativo del giro di affari, a fronte di un fallimento altrimenti già segnato. Può essere, questa, una soluzione alle tante possibili crisi. E in questo l’Italia è avanti rispetto ad altri Paesi. Il primo caso è stato quello della Scalvenzi di Brescia, salvata nel 1985 e ancora in attività: produce compattatori e, dal 2015, anche componenti per scooter elettrici.

Nel 1986 nasce CFI (Cooperazione Finanza Impresa) a seguito dell’entrata in vigore della Legge Marcora e, da allora, ha finanziato 332 workers buyout, per un totale di oltre 10mila posti di lavoro, con il sostegno delle organizzazioni sindacali. CFI è vigilata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, è partecipata da 393 cooperative e dai fondi mutualistici di Confcooperative, Legacoop e Agci, le tre associazioni cooperative che ne hanno promosso la nascita.

Nel 1996 l’apertura da parte della Commissione Europea di una procedura d’infrazione aveva bloccato l’operatività della legge, ma nel 2001 la legge di riforma ha recepito le intese raggiunte con la Commissione Europea. Nel 2014, ai lavoratori riuniti in cooperativa è stato attribuito il diritto alla prelazione nelle procedure che prevedono l’affitto o l’acquisto delle aziende o dei rami d’azienda di cui essi erano dipendenti. CFI ha sostenuto 584 imprese cooperative di lavoro – e, a partire dal 2002, sociali – realizzando investimenti per complessivi 335,7 milioni di euro e contribuendo al mantenimento di 28.486 posti di lavoro. Se si considera solo l’ultimo periodo, dal 2011 ad oggi, i workers buyout sono 93. Con un apporto di 49,3 milioni di euro, sono state instradate e assistite imprese cooperative che occupano oltre 2mila lavoratori e arrivano a un valore della produzione consolidato superiore a 500 milioni di euro. In 12 anni, il ritorno per lo Stato, tra imposte dirette, imposte sul lavoro e contributi previdenziali, è stato superiore a 300 milioni di euro. 

IN EUROPA

Anche in Europa gli esempi di aziende salvate dai lavoratori sono numerosi, ma concentrati soprattutto in Paesi come Francia e Spagna. In Spagna, la confederazione delle cooperative di lavoratori COCETA, è composta da circa 17.600 cooperative di lavoratori, per un totale di oltre 305.000 posti di lavoro e, negli ultimi cinque anni, ha sostenuto oltre 500 workers buyout. In Francia, invece, secondo i dati della Confédération générale des Scop, delle 300 nuove cooperative create nel Paese lo scorso anno, l’8% è nato dall’acquisizione di un’azienda in difficoltà mentre il 15% dal trasferimento di un’azienda sana.

IN EMILIA-ROMAGNA

Dal 2007, in Emilia-Romagna il workers buyout è in continua ascesa, una risposta ai tanti casi di crisi aziendali. Ad oggi – come riportato dal sito della Regione Emilia-Romagna – sono 56 le nuove cooperative create, quasi 1200 posti di lavoro salvati. Più di 10 nuove cooperative all’anno dal 2012. Il meccanismo distribuito su tutto il territorio regionale (2 a Rimini; 8 a Reggio Emilia; 3 a Ravenna; 1 a Parma; 4 a Modena; 2 a Ferrara; 30 a Forlì-Cesena; 6 a Bologna) e che si indirizza verso tutti diversi settori (il 5%nel settore agricoltura; il 60% nell’industria di cui quasi la metà nell’edilizia; il 35% nel settore dei servizi).

Un esempio nel Ferrarese è quello della Cooperativa Lavanderia “Girasole” a Porto Garibaldi, guidata da Matteo Tomasi: da 14 dipendenti, nel tempo sono diventati 25 e con un fatturato in espansione.

LA PROPOSTA DEL FORUM DISUGUAGLIANZE DIVERSITÀ

Il Forum Disuguaglianze e Diversità (nato nel 2018 e di cui fa parte anche Caritas Italiana), per promuovere un maggiore ricorso ai WBO fa alcune proposte: «prendere in considerazione l’opzione WBO come prima alternativa nell’affrontare le crisi aziendali – ai cosiddetti “tavoli di crisi” che lo Stato organizza con imprenditori e imprenditrici e sindacati – e prima ancora di questo stadio, per pianificare con i rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici e dell’azienda le azioni in grado di garantire continuità all’attività imprenditoriale; introdurre un premio fiscale all’impegno dei lavoratori e delle lavoratrici nella rigenerazione dell’azienda; accelerare i tempi per l’acquisizione dell’impresa e il suo avvio come WBO; rafforzare la formazione dei lavoratori e delle lavoratrici affinché essi possano svolgere con effettiva competenza e autonomia la nuova funzione di soci-imprenditori e socie-imprenditrici». Il tutto, con un maggiore coinvolgimento di sindacati, organizzazioni imprenditoriali, sistema cooperativo, istituzioni e sistema bancario-finanziario.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 ottobre 2024

Abbònati qui!

Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri

12 Ott

Festival Internazionale. L’analisi di Riccardo Staglianò: «perché in Italia crea scandalo chiedere più tasse per i più ricchi?»

“Hanno vinto i ricchi”, e non è una buona notizia.Con amara ironia, lo scorso 6 ottobre, in occasione del Festival Internazionale a Ferrara, Riccardo Staglianò ha presentato il suo libro “Hanno vinto i ricchi” (Einaudi, 2024). Il giornalista del “Venerdì di Repubblica” è intervenuto davanti a una sala 2 dell’Apollo gremita, soprattutto di giovani. 

Innanzitutto, i dati: secondo l’OCSE, dal 1990 al 2020 i salari medi in Italia sono diminuiti del 2,90%, unico Paese in cui sono calati. Fra le cause, la bassa produttività, la diminuzione del potere del sindacato, la globalizzazione, l’erosione dei diritti dei lavoratori. Riguardo, però, alla produttività, pur calata, c’è stata, ed «ad averne vantaggi, non sono stati di certo i lavoratori». In Italia, Paese delle medio e piccole imprese, 1 lavoratore su 5 non è tutelato dai contratti collettivi e spesso questi, quando vi sono, non sono rinnovati o lo sono con grave ritardo. Insomma, l’inflazione cresce ma i salari rimangono fermi.Inoltre, dal 2020 al 2022 le ore lavorative si sono ridotte dell’8%. Vi è poi il tema della crescente precarietà, incentivata da Governi di centro-destra e di centro-sinistra, a partire dal famigerato Pacchetto Treu. «Oggi siamo al punto che il lavoro precario è la norma, non l’eccezione», ha detto Staglianò. Tutto ciò porta ad avere in Italia 1 lavoratore su 4 – con regolare contratto – che guadagna 780 euro o meno al mese.  Per non parlare dell’Irpef, che in Italia (a differenza degli altri Paesi occidentali avanzati) si è sempre più ridotto per le fasce alte e altissime. Come denunciò Giulio Marcon, saggista ed ex deputato, in una sua inchiesta, nel nostro Paese diversi ricchi e ultraricchi si lamentano di essere «tartassati dalle tasse». Una posizione che farebbe ridere se non avesse conseguenze drammatiche. Negli USA, invece, Abigail Disney ha fondato il movimento dei “Milionari patriotici”, nato al grido di “Fateci pagare più tasse!”. Unici italiani presenti in questa particolare associazione, i Notarbartolo-Marzotto, attivi nel tessile.

Ma quali sono le cause storiche di questa crescita delle disuguaglianze? La crisi degli anni ’80 del secolo scorso e la nascita della cosiddetta globalizzazione, convinse molte imprese che la soluzione era nel delocalizzare in Paesi dove il costo del lavoro era molto più basso (in Cina, e poi ad esempio in quelli dell’est Europa), oppure far arrivare inItalia lavoratori dagli ex Paesi del blocco sovietico, sottopagandoli e dando così vita a una competizione al ribasso. Questa ideologia neoliberista – fondata anche su «una lotta perpetua contro i sindacati e contro le tasse» – si è presto sposata con una forma estrema di finanziarizzazione, che non ha fatto che aumentare le disuguaglianze e togliere potere agli Stati nazionali. Steve Jobs, spesso osannato anche a sinistra, non a caso dichiarò: «I sindacati sono la cosa peggiore che sia mai capitata all’istruzione, perché hanno ucciso la meritocrazia». Solo nel 2022, il sindacato è entrato per la prima volta in un negozio Apple, per la precisione nel Maryland. Per Staglianò, interventi come il reddito di cittadinanza o il salario minimo, «pur non essendo la soluzione al problema, hanno arginato la povertà» e, come nel caso del salario minimo, rappresentano misure minime che non ha senso non accettare in un Paese democratico. Di certo – e come dargli torto -, «non dovrebbe creare più scandalo l’aumento delle tasse per i ricchi e gli ultraricchi e il tornare a una tassazione fortemente progressiva, oltre che l’investire sull’istruzione e sulla formazione dei lavoratori».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 ottobre 2024

Abbònati qui!

Lavoro e redditi in crisi: e il PNRR non aiuta a superare le disuguaglianze

22 Dic

Presentato dal CDS Ferrara l’Annuario socio-economico: nel Ferrarese calano gli addetti, il Petrolchimico non ha un futuro roseo, il turismo non decolla, Ferrara non è ancora una città universitaria. E i fondi PNRR in provincia e in Regione non aiutano le aree povere

Occupazione e turismo non danno segnali positivi, e il PNRR spesso non è distribuito in modo da ridurre le disuguaglianze territoriali. È questo il quadro impietoso della nostra provincia illustrato lo scorso 16 dicembre nel corso della presentazione della 36^ edizione dell’Annuario Socio-Economico Ferrarese, realizzato da CDS Cultura OdV (Centro ricerche Documentazione e Studi), col patrocinio di ISCO e Provincia di Ferrara.

La giornata svoltasi nella sede del CNA di Ferrara, coordinata da Cinzia Bracci, Presidente CDS, ha visto Silvia Dambrosio leggere un passo sulla “pace integrale” tratto dal libro “La saggezza e l’audacia” di David Sassoli e gli interventi di diversi ospiti: Manuela Coppari (responsabile Servizio Pianificazione Territoriale e Urbanistica Provincia di Ferrara) per l’illustrazione del Piano Territoriale di Area Vasta; Massimiliano Mazzanti (Direttore Dipartimento di Economia e Management e delegato PNRR UniFe) e Giovanni Peressotti (Direttore Dipartimento Tecnico e delle Tecnologie Sanitarie AUSL e dell’Azienda ospedaliero-Universitaria di Ferrara), che hanno presentato le scelte progettuali, rispettivamente di UniFe e delle ASL ferraresi, derivanti dal PNRR e da altre fonti di finanziamento; Paolo Calvano, Assessore Emilia-Romagna, che invece ha trattato la strategia regionale e la programmazione della politica europea di integrazione e coesione; e, infine, Paolo Micalizzi, che ha guidato alla visione del documentario di Giuliano Montaldo “Ferrara. La città spettacolo” (1988).

LA CRISI DEL FERRARESE DENTRO LA CRISI DELL’OCCIDENTE

Due sono stati gli interventi introduttivi alla lunga mattinata, nei quali è stato presentato l’Annuario: Andrea Gandini (Direzione dell’Annuario CDS) ha tratteggiato gli aspetti congiunturali locali più rilevanti: «Ferrara è ancora la “bella addormentata”», ha esordito. «Nei primi decenni del secondo dopoguerra, c’è stata una situazione eccezionale di crescita, uguaglianza e benessere. Uscivamo da una guerra, i valori erano molto forti e le élite erano quindi interessate a diffondere le innovazioni in tutto il Paese». Ma furono decenni, appunto, eccezionalmente positivi. «Negli ultimi 30 anni registriamo una crescita delle disuguaglianze e una perdita di salario reale: la maggioranza delle persone – ha spiegato – ha avuto un peggioramento del reddito» e «la disuguaglianza è destinata ancora ad aumentare, con un declino dell’area del dollaro, la crescita dei Paesi del BRICS, e un indebolimento delle aree più piccole e fragili dell’Europa e dell’area occidentale».

Secondo Gandini, «la grande sfida» dei prossimi anni e decenni sarà rappresentata dallo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale: «si può fare in modo che possa diventare una risorsa utile per la diffusione della prosperità e l’aumento dei salari», oppure – e questa è la previsione purtroppo più realistica – le innovazioni verranno utilizzate per aumentare l’automazione e sequestrare l’aumento di produttività a vantaggio delle élite». In questo contesto globale si inserisce il discorso sui fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), il programma con cui il Governo gestisce i fondi del Next generation Eu. Innanzitutto, ha sottolineato Gandini, «il PNRR è per il 65% a debito, quindi dovremmo essere più cauti nello spendere questi fondi».

Se a livello nazionale «il monte ore lavorato è in calo e l’occupazione aumenta solo per i contratti part time e i tempi determinati», nel 2022 nella nostra provincia si registra una perdita di 4mila addetti. E anche le presenze turistiche nel Comune di Ferrara risultano in calo rispetto al 2019. Inoltre, nella nostra provincia «la manifattura è in crescita nel 2022, ma solo per le imprese con almeno 100 addetti» e lo stesso Petrolchimico è fonte di «grandi preoccupazioni» per il «ridimensionamento delle grandi società» nei prossimi anni. Più in generale, nella nostra provincia «non si riesce a trovare personale, a causa del violento calo demografico e dei tanti nostri giovani che cercano lavoro a Modena e Bologna».

Una nota parzialmente positiva arriva dal mondo universitario, con UniFe che aumenta di anno in anno gli iscritti (attualmente sono circa 28mila), di cui l’81% è fuori sede (la percentuale più alta d’Italia). «Ma non siamo ancora diventati una vera città universitaria, per quanto riguarda soprattutto gli studentati e la transizione al lavoro», con tanti giovani che dopo la laurea nel nostro Ateneo abbandonano Ferrara. Un esempio virtuoso a livello nazionale è invece rappresentato dal recente accordo sindacale negli stabilimenti Luxottica: il nuovo contratto integrativo aziendale prevede un modello di orario che introduce 20 settimane lavorative a 4 giorni e 30 a 5 giorni, a parità di salario, con la stabilizzazione a tempo indeterminato di 1.550 lavoratori in somministrazione e il rilancio della cosiddetta “staffetta generazionale” (part time per gli assunti anziani e assunzioni a tempo pieno, fin da subito, per i giovani). Un modello da imitare e che fa ribadire con forza a Gardini che «la ricchezza futura potrà essere creata aumentando le relazioni e il senso di comunità», non solo gli occupati e il welfare.

PNRR DISEGUALE

Diversi gli aspetti critici emersi anche dalla relazione di Aurelio Bruzzo (Direzione dell’Annuario CDS) riguardante l’utilizzo dei fondi PNRR a Ferrara e provincia. Si conferma, innanzitutto, il divario della nostra provincia rispetto al resto della Regione (che è tra le più sviluppate di Europa) e quello all’interno della nostra provincia tra il più arretrato Basso Ferrarese e il resto del territorio. «Come reddito pro capite – ha spiegato Bruzzo – la nostra provincia registra il valore più basso in Regione» e con una differenza rispetto al bolognese simile «a quello che nel secondo dopoguerra esisteva tra il nord e il centro-sud del nostro Paese». Ma le risorse del PNRR, che dovrebbero aiutare anche il superamento delle disuguaglianze territoriali, «non sono state distribuite in misura maggiore nelle aree più povere della Regione», vale a dire in buona parte di quelle della Romagna. Anche nella nostra provincia, nonostante il valore dei fondi PNRR sia fra i più alti in Regione (secondo solo a quelli assegnati al bolognese), l’area più povera (il Basso Ferrarese) ha ricevuto meno fondi rispetto alle altre aree della provincia, con l’unica eccezione del Comune di Goro. «Il PNRR, quindi, – ha concluso amaramente Bruzzo – non riequilibra i divari territoriali né in Regione né nella nostra provincia».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 22 dicembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Diario di un prete di Comacchio nella tempesta di inizio ‘900

10 Giu

Le memorie di don Antonio Fogli sono state trascritte e pubblicate da Maurizio Marcialis in un libro: il sacerdote racconta la politica, la fame, la guerra e la fede di un popolo

di Andrea Musacci

Quel grande guazzabuglio che è stata l’Italia di inizio Novecento, con le sue passioni divoranti, la guerra che falciava vite, le epidemie, la sorda miseria, gli embrioni dei grandi partiti politici. E la fede in Cristo che non muore, pur iniziando a vivere come sotto assedio, odorando l’arrivo dell’ateismo diffuso.

A volte è più utile un diario personale che un pur più preciso e obiettivo manuale di storia, a descrivere tutto ciò. Per questo, i diari ritrovati del canonico comacchiese Antonio Fogli sono un documento alquanto prezioso, perché testimonianza non solo dei fatti storici, locali, nazionali e mondiali, ma anche un documento importante per capire la visione del mondo di un anziano prete a contatto con le miserie del suo tempo.

È grazie all’architetto Maurizio Marcialis, che questi diari sono stati editi nel volume “Diario di un curato di valle. Dal 1900 al 1921 del Canonico Antonio Fogli” (Gruppo Editoriale Lumi, 2020). L’autore ha presentato il libro lo scorso 29 maggio nella Biblioteca Ariostea di Ferrara assieme a Diego Cavallina e Alberto Lazzarini, quest’ultimo prefatore assieme ad Aniello Zamboni.

Marcialis ha ritrovato casualmente il manoscritto oltre 20 anni fa in un mercatino invernale a Cesena, trascrivendolo con minuzia durante il lockdown di tre anni fa. Nato nel 1842 a Comacchio, dove muore nel 1938, don Fogli – secondo di otto figli – viene ordinato sacerdote a Ravenna nel ’65. Nella sua città sarà canonico dopo esser stato arciprete a Mesola, Goro e Gorino, e poi a Codigoro.

Nel 1900 il sacerdote inizia il proprio diario già prevedendo i tumulti che investiranno anche la sua terra: «Dal 1899 al 1900 nella mezzanotte in tutte le cattedrali e chiese parrocchiali del mondo cattolico si cantò la messa e il Tedeum. Nei primi dell’anno fu innalberato su i principali monti il vessillo della Croce e in molti luoghi elevati la statua del Redentore. Ah! Si prevedeva che nella corrottissima società si sarebbero svolti fatti eccezionali: epperciò fin da allora si scongiurava la divina Misericordia a salvare religione e società dal massimo pericolo».

L’ODIO POLITICO: DALLE VIOLENZE SOCIALISTE ALL’ARRIVO DEL FASCISMO

Un umile, pur dotto, prete di provincia, non poteva non avere una visione del movimento socialista esclusivamente come ateista e dedito alla violenza contro l’ordine costituito. Sua fonte, dalla quale a volte ritagliava anche articoli che inseriva nel proprio diario, era il giornale cattolico locale “La Domenica dell’operaio”. Nel 1912 a Comacchio viene linciato Demetrio Faccani, guardia valliva proveniente da Alfonsine. Don Fogli ne parla così: «Lo sciopero indetto dalla brutta peste dei Socialisti, che raccogliendo il fango delle piazze si nutriva di passioni e di odi feroci, si convertì in atto sanguinesco di crudeltà». Nel 1919 scrive: «I socialisti fanno dovunque atti di violenza contro le persone dabbene, contro il Clero, contro le Chiese e seminano contro le più sacre funzioni lo scompiglio e perfino le morti. Quasi la nazione viveva meglio nel tempo della guerra, se la perdita di tanti carissimi giovani non l’avesse addolorata». 

Nel 1919 si affaccia la speranza grazie al neonato Partito Popolare Italiano: «Un partito però dell’ordine che richiamava i principi cristiani sorse per incanto e, sebben bambino, e contrastato con tutte le arti maligne prese un posto dignitoso sorpassando per numero gli altri partiti e mettendosi di fronte ai Socialisti». 

Ma nel febbraio del ’21, vede nel nascente squadrismo fascista una reazione giustificata alle violenze socialiste: «I grandi soprusi, le soverchierie, le barbarie commesse dai socialisti, che hanno innalzato il regno del terrore» nel nostro Paese, e che il governo «è impotente ormai a frenare: ha fatto sì che nei popoli è nata una reazione contro di loro e per bisogno di difendere la libertà sono sorti i fascisti». Ma poco dopo avrà modo, almeno in parte, di ricredersi: «Introdottisi nei fascisti degli elementi sovversivi, e può dirsi anche criminabili, non si fermò più il fascismo alla giusta difesa del popolo e de’ suoi diritti, ma a sfogare con violenza gli odi personali». Nell’agosto dello stesso anno scrive: gli uomini «non ascoltano sacerdoti, anzi li guardano come nemici: non vanno più in chiesa, epperciò il Signore li abbandona ai loro partiti diabolici».

LA CARNEFICINA DELLA GUERRA

Don Fogli vive la guerra innanzitutto come peste che distrugge le vite della povera gente, costretta a partecipare al massacro, o di cui ne subisce le conseguenze. Non manca però il sentimento nazionalista; l’Austria, scrive, «teneva la nostra penisola come una serva da strapazzo». 

Ma il 6 luglio 1915 accenna a un episodio che ben spiega il clima bellico: «Alle 15 vengono arrestati tutti i frati del Convento dei Cappuccini e scortati a Ferrara sotto l’iniqua imputazione di fare segnalazioni al nemico». Don Fogli incolpa di ciò «la camorra brutale della massoneria». I frati verranno liberati senza processo 24 giorni dopo.

Nelle sue memorie accenna anche ai bombardamenti nemici, come quello nel 1916 a Codogoro: «altra barbarie» commesse dagli austriaci «con l’intenzione malefica» di bombardare l’idrovora e il vicino zuccherificio. Morirono 5 persone fra cui una bambina, 2 i feriti. Nel giugno ’17 riporta di altre incursioni aeree sopra Codigoro e poi sopra Comacchio: gli aerei nemici «li abbiamo veduto girarci sopra: ma anche in tal occasione la Madonna ci ha salvato: e a quegli uccellacci, portatori di rovine e morte, ha intimato: vade retro satana». Il 4 novembre 1918, con l’armistizio di Villa Giusti che sancì la resa dell’Impero austro-ungarico all’Italia, finisce la guerra: «vittoria grande incredibile» dell’Italia sull’Austria, scrive il sacerdote. L’Austria «ha abbassato la sua testa grifagna» davanti al nostro Paese. 

LA MISERIA: «TUTTO È SECCO, TUTTO MUORE»

La tragedia del conflitto mondiale, unita all’inclemenza della terra, gettano il suo popolo nella povertà più assoluta. Nel luglio 1916 scrive della siccità: «Sono tre mesi dacché non piove (…). Tutto è secco, tutto muore. Frumentone è andato, faggioli sono perduti: muoiono disseccati perfin gli alberi, e alle viti crolla l’uva». Mentre a novembre dello stesso anno, è l’esatto contrario: «Rovesci di pioggia continua han fatto temere rotte ed ancora non siamo fuori di pericolo. Burrasche di mare prodotte da fortissimi scirocchi hanno portato le onde sopra le dune di Magnavacca». A gennaio ’17, una nuova inondazione: «Quasi tutti i piani terreni delle case hanno l’acqua dentro».

A ciò si aggiungerà l’epidemia di spagnola tra il ‘17 e il ’18, che «sempre più infierisce e miete giovani vittime (…). Si indicano preparativi, disinfettanti. (…) Conseguenza della guerra! (…)». Le precauzioni ricordano, pur con le dovute differenze, ciò che abbiamo vissuto col Covid: le limitazioni di movimento e di assembramento, il divieto di stringersi la mano, i consigli ad arieggiare frequentemente le abitazioni, a proteggere gli ammalati, a rimanere in casa per ogni minima indisposizione, a fare lunghi periodi di convalescenza.

La guerra farà il resto; a fine 1916 scrive: «Decreti sopra decreti limitano i generi più necessari. La carne, i salumi non si possono vendere che tre volte la settimana: le ova si vendono in Comune; il latte è requisito. Il pane non si può mangiare che vecchio. Vino non ce n’è più e solo un poco a £2 il boccale. L’acqua scende e minaccia innondazione (…). La caccia è proibita (…). La pesca di mare è proibita. Poi notizie sempre dolorose e mai un barlume che accenni la pace. O gran Dio salvaci da tante torture!». 

MARIA, MADRE NOSTRA, AIUTACI!

Quella «divina Misericordia» implorata a inizio secolo, sarà sempre presente nel suo cuore, come in quello della sua gente. Nel maggio del ’17, di fronte a così tanti orrori e tragedie, racconta di come «nel popolo comacchiese sorse il desiderio ardente di muovere la vetustissima e sempre venerata immagine di Maria SS.ma in Aula Regia». Ma il Vescovo non poteva permetterlo dato il divieto, in tempo di guerra, di processioni pubbliche. Si decise, quindi, di portarla in Duomo a mezzanotte del 30, di nascosto, scortata dai carabinieri. «Nonostante però tali precauzioni molta parte della popolazione ne aspettò il trasporto che arrivato alle porte della cattedrale, eruppe da ogni petto il grido di “Evviva Maria”».

Un episodio che dice, a distanza di un secolo, di come la devozione popolare, la fede mai sradicata dall’anima del nostro popolo, in tempi bui possa essere, ancora, l’estremo rifugio, l’unica vera àncora di salvezza.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto: bambini sul Ponte Pizzetti, posto di lato alla facciata della chiesa del Carmine, nel 1920. Grazie a Maurizio Marcialis)