
La Prolusione dell’ex Ministro Patrizio Bianchi all’Accademia delle Scienze di Ferrara: «Cina e altri Paesi sono all’avanguardia nel digitale, ma le disuguaglianze aumentano»
di Andrea Musacci
Quale può essere oggi il ruolo dell’Europa in un contesto globale complesso, conflittuale e dominato sempre più dall’economia cinese e da altre economie orientali?
Su questa drammatica domanda ha riflettuto lo scorso 12 febbraio Patrizio Bianchi nella sua Prolusione richiestagli dall’Accademia delle Scienze di Ferrara. In via del Gregorio, dopo i saluti di Pier Andrea Borea (Presidente dell’Accademia) ha preso la parola il noto economista, titolare della Cattedra Unesco Educazione, crescita ed eguaglianza presso l’Università di Ferrara. Lungo, il suo curriculum: solo per citare gli incarichi passati più prestigiosi, ricordiamo che è stato Ministro dell’Istruzione del governo Draghi, Assessore a scuola, università e ricerca della Regione Emilia-Romagna ed è professore emerito di UniFe, di cui è stato Rettore. “Tendenze e conflitti dell’economia globale”: già dal titolo scelto per la sua Prolusione, ben si comprende su quale contesto ci troviamo a ragionare a 35 anni dalla caduta del Muro di Berlino, e quando ormai ampiamente si sono spente quelle speranze nate allora di poter vivere in un mondo di pace e dove il libero mercato dovrebbe portare maggiore democrazia e ricchezza per i popoli.
FRATTURE E DISILLUSIONI
«L’attuale momento internazionale è molto difficile, in quanto attraversato da diverse fratture», ha esordito Bianchi. Per questo, è importante «l’apporto della ricerca, della scienza, di parlarsi, di confrontarsi: oltre all’Università, è significativo il ruolo delle Accademie come la vostra».
Viviamo dunque in un’epoca complicata, che segue una lunghissima crescita avvenuta nell’ultimo mezzo secolo. In questo periodo di tempo, però, vi sono state «fasi tra loro molto diverse»: si usciva dal secondo conflitto mondiale e dopo 40 anni è caduto il mondo sovietico, dando vita a una fase nuova: a metà anni 90 si è avuto, infatti, il World trade Agreement, la possibilità cioè di commerciare liberamente fra tutti i Paesi a livello globale, a differenza di ciò che avveniva durante la Guerra Fredda. Successivamente, vi è stata una rapidissima fase di crescita, con un aumento fortissimo della popolazione a livello mondiale (più che raddoppiata in pochi decenni) e un aumento del reddito medio. «Ma questo aumento del reddito non è stato distribuito equamente», ha aggiunto il relatore. Tre sono le grandi illusioni nate dopo la caduta del Muro nel 1989: «che non ci sarebbero più state guerre, che il mercato si sarebbe autoregolato e che le nuove tecnologie avrebbero reso il mondo più democratico. Ma questi tre aspetti – fra loro collegati – non si sono del tutto realizzati».
RICERCA PER CRESCERE
La vera protagonista a livello mondiale – per la crescita impetuosa che ha avuto – è la Cina. Cina che dagli anni ’90 ha avviato politiche di «salari bassissimi, dimostrando grande capacità di produzione e forte disponibilità a collaborare con gli altri Paesi». Collaborazione che è avvenuta «facendosi formare» dagli occidentali, ai quali, quindi, ha “preso” anche le tecnologie. Un aspetto decisivo, questo, e drammaticamente «sottovalutato» da molti. I cinesi, quindi, avevano capito che «educazione, formazione e ricerca sono le chiavi dell’innovazione». Le fasi di instabilità – perciò – «sono molto pericolose se non si investe nell’industria, quindi nell’innovazione, in formazione, ricerca e tecnologia ma si sta attenti solo ai guadagni in Borsa», ha ammonito Bianchi. «Ciò che fa la differenza, quindi, sono gli investimenti di lungo periodo». Arrivando all’inizio del nuovo millennio, la nuova fase è segnata negli USA dalla crisi dei subprime, «che colpisce soprattutto le banche più piccole, legate a quelle grandi e grandissime. A questa crisi negli USA si è reagito girando pagina, cioè investendo sull’industria digitale». Dal 2008, infatti, «lo scambio internazionale di prodotti fisici cala, ma la produzione totale cresce, grazie proprio all’aumento dell’economia digitale».
EUROPA E RUSSIA IN DIFFICOLTÀ
È soprattutto in questi anni che la Cina cresce esponenzialmente mentre l’Europa registra una «crescita scarsa e molto altalenante». L’Europa – per Bianchi – «solo quando gioca assieme compete e trascina l’economia mondiale, mentre quando si fraziona è troppo piccola per stare al passo» degli altri Paesi forti. E oggi – è l’ennesimo allarme che l’economista lancia – per l’Europa «potrebbe essere troppo tardi per una ripresa, per una crescita pur necessaria per la stabilità mondiale». Fra i grandi Paesi, solo la Russia non può altrettanto sorridere. È, infatti, un Paese «dominato da un gruppo ristretto di oligarchi che impedisce lo sviluppo di una vera economia nazionale: in Russia si registra una forte inconsistenza del sistema economico».
ANALISI DI ALCUNI SETTORI CHIAVE
Andando più nel dettaglio, e analizzando alcuni settori economici chiave, vediamo ad esempio come dal 2000 al 2021 il mercato dell’auto in Cina è cresciuto in % dal 1,5 al 37,5, mentre negli USA è calato dal 13,4 al 2,7 e in Germania dal 12, 4 al 5,4. E la Germania è il Paese europeo più forte in questo settore…
«La chimica – ha poi aggiunto Bianchi – è l’ambito che oggi più mi preoccupa, se in esso non riusciamo più a produrre e a innovare». Proseguendo, per quanto riguarda la produzione digitale, nei circuiti integrati svettano Hong Kong, Cina, Taiwan e Singapore; gli USA producono invece circa 1/3 di ognuno di questi Paesi. Idem per i semiconduttori, prodotti per il 22% in Cina, altrettanto a Taiwan e per il 25 in Corea del sud. Per non parlare dell’«enorme concentrazione di ricchezza nell’ambito della comunicazione, dove dominano Cina e USA». Ma la Cina è anche il Paese «con più brevetti e che più ha investito in robot e macchine di produzione ad alta tecnologia: se i Paesi europei – ha spiegato con amarezza Bianchi – si mettessero tutti insieme arriverebbero forse ai livelli di USA o Giappone», ma sarebbero comunque ancora lontani dalla terra del dragone.
DISEGUAGLIANZE CRESCENTI
Come accennato sopra, tutto ciò negli ultimi tre decenni ha portato, però, a «un aumento delle disuguaglianze a livello globale». In particolare, in Cina sono raddoppiate: il 10% dei ricchi controlla il 70% della ricchezza, mentre in USA il 10% della popolazione controlla l’80% della ricchezza, e il secondo 50% controlla appena lo 0,6%…
Se il massimo della povertà rimane in Africa e in America latina, la vecchia Europa «tiene», nonostante tutto. Il nostro continente – ha spiegato Bianchi – «è marginale nel digitale ma primo in altri settori: ad esempio esportiamo in quello farmaceutico e negli strumenti scientifici, soprattutto legati all’ambito sanitario e più in generale alla qualità della vita. Investimenti in salute, scienza e welfare sono quindi importanti perché possono essere elementi di traino per l’Europa a livello globale. Dobbiamo consolidare questo nostro primato europeo: ma purtroppo il tema viene spesso sottovalutato». Com’è – secondo Bianchi – sottovalutato quello dell’educazione, «importante non solo per la vita delle persone ma appunto come traino per lo sviluppo».
DOVE STA L’EUROPA?
Oggi qual è, quindi, il posto dell’Europa nel mondo? Per Bianchi, come detto, l’unica via per il nostro continente sta nell’«investire in educazione, ricerca e nella capacità di trasformare queste in qualità della vita. Non dobbiamo abbatterci: l’identità europea oggi si può esprimere a livello continentale unitario solo nella capacità di investimento e recuperando una visione di lungo periodo, per poi – sempre come Europa – essere in grado di costruire e garantire la pace a lungo termine».
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 febbraio 2025
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Hong Kong, regione amministrativa speciale della Cina, fino al ’97 colonia britannica, nel 2047 sarà destinata a rientrare totalmente sotto il dominio cinese. Una prospettiva vissuta con sempre maggiore paura da molti hongkonghesi, giovani e non solo. Per questo, sempre più persone sono scese nelle piazze per protestare rivendicando più libertà, ma la polizia locale, legata a quella cinese, vi si sta opponendo con una violenza sempre più preoccupante. Di questo si è discusso nell’incontro “La rivolta delle periferie. Le proteste a Hong Kong e la resistenza di Taiwan alle ingerenze cinesi nell’era di Xi Jinping”, svoltosi la mattina di domenica 6 ottobre in Sala Estense, all’interno del programma del Festival di “Internazionale”. Sono intervenuti tre giornalisti spesso presenti a Hong Kong per raccontare in prima persona quel che sta accadendo: Brian Hioe, taiwanese – fra i fondatori del sito “New Bloom”, nato nel 2014 durante le proteste contro il regime cinese -, Louisa Lim, dell’Università di Melbourne, e Jeffrey Wasserstrom, dell’Università della California. L’incontro è stato moderato dalla giornalista di “Internazionale” Junko Terao. Dalla scorsa primavera, migliaia di persone scendono in piazza per rivendicare maggiori libertà individuali e collettive: la scintilla iniziale è stata l’approvazione della legge sull’estradizione di criminali e dissidenti da Hong Kong verso la Cina, imposta dal governo locale. Ho vissuto a Honk Kong per i primi sei mesi del 2019”, ha spiegato Lim. “L’atmosfera è cambiata in modo drastico e catastrofico sotto i nostri occhi. Finora vi sono state 67 manifestazioni, sempre senza leader, di cui 13 non autorizzate, con 2.022 arresti, un terzo dei quali studenti. Fra le conseguenze, una sempre maggiore violenza da parte della polizia e la chiusura di molti luoghi pubblici, per contrastare, secondo il linguaggio del governo, le ‘adunate sediziose’. Non mancano poliziotti infiltrati tra i manifestanti”, ha proseguito. A tal proposito, quest’ultimi per smascherare i primi, infilano la camicia nei pantaloni, così da distinguersi dai poliziotti, i quali, per non farsi riconoscere come tali, nascondono la pistola lasciando fuori la camicia dai pantaloni. In generale, “a Hong Kong dal 2014 ho notato un sempre maggiore controllo e indottrinamento filo-cinese ad esempio nelle scuole e nei media”, sono ancora parole di Lim, oltre al controllo del territorio, “avendo raddoppiato a 12mila unità le forze militari”. Il tutto facilitato dal governo locale di Hong Kong sempre più dipendente alla Cina. Wasserstrom, presente in primavera per raccontare le proposte di Hong Kong, ha spiegato invece come “i manifestanti rivendichino un’identità propria, diversa da quella cinese” – che invece vorrebbe essere totalizzante -, “anche se ne riprendono alcuni aspetti, ad esempio il riferirsi alle proteste di piazza Tienanmen dell’89”, oltre a certo immaginario occidentale. Sempre più forte è anche “la richiesta di un’indagine imparziale sull’operato delle forze dell’ordine”, soprattutto dopo il grave ferimento con arma da fuoco di un manifestante 18enne a opera di un poliziotto. Hoei ha invece spiegato come “Taiwan, che ora gode di una certa indipendenza e democrazia” – seppur riconosciuto da pochi Stati, fra cui quello del Vaticano -, “sostiene i manifestanti di Hong Kong: a volte vi sono anche forme concrete di collaborazione fra questi e gli attivisti taiwanesi e cinesi: di quest’ultimi ne ho visti in piazza a Hong Kong”. Un’alleanza resistente, naturalmente temuta dal governo cinese. Governo che sogna “uno Stato monoculturale sotto Xi Jinping. Vedremo comunque – ha concluso – anche le conseguenze della guerra commerciale con gli USA”.
L’antica tradizione della pittura cinese interpretata in modo informale da un artista al debutto in Italia. Si intitola “(Th)ink – Storie di inchiostri” la mostra personale di Xu Ke, che inaugura oggi alle 18.30 nella Galleria d’arte Cloister in via Corso Porta Reno, 45 a Ferrara.
Diverse le inaugurazioni artistiche nella giornata di oggi.

