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Il lavoro tra crisi e comunità

11 Giu


Scuola di Formazione Politica. Magnani e Marchesini il 4 giugno per l’ultimo incontro

La sera dello scorso 4 giugno si è conclusa la Scuola diocesana di Formazione Politica, giunta al suo secondo anno. Protagonisti dell’ultimo incontro (svoltosi solo on line) sono stati Gianpiero Magnani, membro del CDS Cultura OdV di Ferrara, e Valentina Marchesini, figlia primogenita di Maurizio, Presidente di Marchesini Group S.p.A., e direttrice delle Risorse umane della Beauty Division (nata nel 2021), nonché membro del Cda del Gruppo. Marchesini Group, che ha sede nel bolognese, progetta e produce macchine e linee di confezionamento per l’industria farmaceutica e cosmetica. Tema della serata, “Ferrara e il lavoro. Dai dati statistici a una visione prospettica”. 

CRITICITÀ DEL TERRITORIO 

«In Italia vi sono forti disuguaglianze, non solo tra nord e sud ma anche all’interno delle stesse province», ha esordito Magnani. Caratteristica, questa, ben evidente nel Ferrarese, dov’è presente un’Area interna formata da 9 Comuni (nella parte orientale), per un totale di quasi 70mila abitanti. Area, questa, «particolarmente arretrata a livello economico e con un disagio sociale pesante». Si tratta di una delle aree più povere della Regione, assieme a certe zone montane del modenese e del reggiano: «parlare di politiche di sviluppo del territorio significa innanzitutto portare avanti queste aree arretrate», ha detto Magnani.

Tornando alla nostra provincia, il «tasso di occupazione è di oltre il 69% ma nell’Area interna crolla al 45%». Industria e manifattura nel Ferrarese sono sotto di 4 punti percentuali rispetto alla media regionale e nella nostra provincia vi è il numero più basso di imprese locali: siamo i penultimi in regione e ne ha di più anche una provincia piccola – extra regione – come quella di Mantova. Andando, poi, ad analizzare i singoli settori produttivi, a livello regionale siamo ultimi nel settore della manifattura (2mila imprese contro, ad esempio, le oltre 8mila del modenese) e anche nell’agricoltura – da sempre nostra “eccellenza”, come numero di operatori siamo appena terzi in tutta l’Emilia-Romagna. Anche il Petrolchimico presente nella nostra città è in crisi, con «forti disinvestimenti» e conseguenti «problemi in termini occupazionali, mentre a Ravenna, invece, stanno investendo molto». Note negative anche per il numero e le dimensioni delle cosiddette “grandi imprese” e  per l’export all’estero.

Non va meglio nemmeno se guardiamo i dati dell’andamento demografico, per il quale Bologna e Modena sono in aumento e Ferrara è stata da tempo superata anche da Ravenna. «Questo perché – ha commentato Magnani – a Ferrara e provincia ci sono meno opportunità di lavoro e quindi i giovani non si fermano». Non basta, dunque, la presenza di UniFe, con tanti iscritti, in crescita, in particolare fuori sede. E il calo demografico si registra soprattutto nell’Area interna nel Ferrarese. Non basta, nemmeno, a livello demografico, l’importo dell’immigrazione.

Venendo, poi, all’analisi dei Fondi europei, Magnani ha spiegato come questi «siano importantissimi, anche per lo sviluppo dei territori: come PNRR siamo terzi in regione» e i Fondi di Coesioni europee «potrebbero invertire la rotta se usati bene»: un esempio di questo buon uso dei Fondi europei, per Magnani, è il progetto del Tecnopolo di Bologna (DAMA – Tecnopolo Data Manifattura Emilia-Romagna), progetto di riconversione dell’ex Manifattura Tabacchi. Investimento che «darà vita a 2mila posti di lavoro».

«NOI METTIAMO LA PERSONA AL CENTRO»

E a proposito di lavoro, Marchesini, dopo aver brevemente presentato la propria azienda, ha detto: «il lavoro non può essere un orpello», per poi citare un passo della Regola francescana dove si invita i frati a lavorare «con fedeltà e con devozione».

«Nel mio caso – ha riflettuto Marchesini -, il prossimo è il lavoratore, colui che non ho scelto e con qui passo molto tempo della mia vita: il lavoro può quindi – per questo – essere un luogo di santità». E questo «i più giovani se lo sono scordati, e anche molti fra noi adulti». Nella «nostra azienda – ha proseguito – fondamentale è fare un lavoro che appassiona» e «farlo per un’impresa che ha dei valori. Il lavoro è parte della vita, non qualcosa di distinto da essa», ha proseguito.

L’azienda, per Marchesini, è «un luogo di comunità, quindi, dove si condividono spazi per un fine comune. E nella nostra c’è un forte sistema di welfare aziendale», welfare che «crea la comunità, con idee che spesso nascono dal basso».

Soprattutto in un’epoca in cui «i corpi intermedi stanno sparendo» e «dove tante persone sono sole», per Marchesini è importante la «cultura della cura: prendersi cura dell’altro è un atto politico». La stessa «ricerca del profitto, che è il primo obiettivo di un’azienda, va fatto senza calpestare le persone che fan parte dell’azienda stessa».

Per Marchesini è, quindi, decisivo «fare di un’azienda un luogo di cultura, anche aperto, dove si valorizzano le differenze». A tal proposito, la relatrice alla fine ha accennato alla Fondazione Marchesini ACT (Avanguardia, Cultura, Territorio), Fondazione di «supporto al territorio» nel periodo post pandemia.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 13 giugno 2025

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Referendum 8-9 giugno: lavoro e cittadinanza, ecco perché è importante votare

6 Giu

Alessandra Annoni e Silvia Borelli, docenti di UniFe, spiegano gli obiettivi dei 5 quesiti a cui siamo chiamati a rispondere col voto nelle urne. Tanti i temi che toccano la vita quotidiana: dai contratti precari agli incidenti sul lavoro, dai licenziamenti ai diritti civili legati all’acquisizione della cittadinanza

di Andrea Musacci

Quanto spesso nei normali discorsi fra le persone si sente – giustamente – lamentare del lavoro precario, delle cosiddette “morti bianche” (che quasi mai sono “bianche”), dei licenziamenti ingiusti (individuali o collettivi), dell’assurdità di persone – che incontriamo a scuola, al lavoro – che vivono da tanti anni nel nostro Paese e non sono riconosciuti cittadini come noi…

L’8 e il 9 giugno, ognuno di noi è chiamato a votare su 5 quesiti referendari riguardanti proprio lavoro e cittadinanza. Un’ottima occasione, quindi, per esprimere la propria opinione su temi che riguardano o potranno riguardarci direttamente, o persone a noi care, con le quali condividiamo momenti delle nostre quotidianità: i licenziamenti, i contratti a termine, la responsabilità negli appalti, la cittadinanza per gli stranieri. Le cinque schede di diverso colore rappresentano altrettanti ambiti su cui gli elettori sono chiamati a esprimersi.

La sera dello scorso 27 maggio nel Cinema Santo Spirito di Ferrara erano oltre 200 le persone (fra cui diversi giovani) ritrovatesi per l’incontro organizzato da alcune associazioni e movimenti ecclesiali ferraresi (Azione Cattolica, ACLI, AGESCI, MASCI, Movimento Rinascita Cristiana, Comunità Papa Giovanni XXIII, Salesiani cooperatori). Le relatrici sono state Alessandra Annoni, professoressa ordinaria di Diritto internazionale all’Università di Ferrara e Silvia Borelli, professoressa associata di Diritto del Lavoro dello stesso Ateneo. L’incontro è stato introdotto e moderato da Alberto Mion. Una forte risposta dei ferraresi per un’iniziativa di alto livello nel quale le due esperte hanno aiutato i tanti presenti a chiarire alcuni dubbi riguardanti temi sicuramente complessi. Con un appello ad andare a votare l’8-9 giugno per due motivi di fondo: per segnalare al Parlamento che questi temi interessano tutti i cittadini e le cittadine; come occasione per interrogarci sul modello cittadinanza, cioè su cosa significa essere cittadino/a italiano/a, qual è la nostra idea di popolo oggi. Popolo, lo ricordiamo, di una Repubblica democratica (dove il referendum è uno degli strumenti diretti di questa democrazia) fondata sul lavoro. Lavoro che, appunto, si vuole tutelare attraverso i primi 4 requisiti referendari.

Tante sono state anche le domande e le riflessioni dal pubblico a conclusione dell’incontro. La registrazione integrale dell’iniziativa a S. Spirito è disponibile sul canale You Tube della nostra Arcidiocesi: youtube.com/@chiesadiferraracomacchio

Vediamo ora nel dettaglio i cinque quesiti referendari attraverso l’analisi di Silvia Borelli e Alessandra Annoni.

Continua a leggere l’articolo qui.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 6 giugno 2025

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A testa alta per il lavoro

24 Apr

1° maggio. Nonostante il silenzio dei media principali, sono tante le lotte per la dignità dei lavoratori in Italia

Nonostante la retorica che avvolge una certa narrazione sul 1° maggio, sul lavoro che manca o è mal retribuito, sui media e nei dibattiti che raggiungono milioni di persone nel nostro Paese, è praticamente impossibile sentir parlare delle lotte che settimanalmente lavoratrici e lavoratori portano avanti – con grandi sacrifici – per un lavoro più dignitoso e un futuro migliore per l’intera comunità. Ecco alcune vertenze aperte o appena concluse.

«In questi giorni, e oggi (18 aprile, ndr) in particolare, in Stellantis negli stabilimenti di Mirafiori, Verrone, Pratola Serra, Termoli, Atessa, Cassino; in Iveco negli stabilimenti di Piacenza, Foggia, Torino, Brescia, Suzzara; in Cnh Industrial a Torino, le lavoratrici e i lavoratori stanno scioperando per chiedere un giusto salario». A dirlo sono Samuele Lodi (segretario nazionale Fiom Cgil) e Maurizio Oreggia (coordinatore nazionale automotive Fiom Cgil). «La trattativa per il rinnovo del biennio economico del Ccsl – spiegano i due dirigenti sindacali – non sta proseguendo e sta determinando una vera e propria emergenza salariale, a causa del carico degli ammortizzatori sociali che, soprattutto in Stellantis, stanno pesando strutturalmente ormai da anni».

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«Un’adesione media dell’85% con punte fino al 100% a Genova e Rimini”». A riferirlo unitariamente Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti sullo sciopero di tutti i driver della filiera dell’ultimo miglio di Amazon, svoltosi la scorsa settimana, sottolineando che «hanno sostanzialmente lavorato solo gli addetti con contratto precario».

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La scorsa settimana è stato proclamato lo stato di agitazione del personale di e-distribuzione, società del gruppo Enel, da parte di Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil. I sindacati hanno attivato la procedura di raffreddamento e conciliazione prevista dagli accordi sul diritto di sciopero nel settore elettrico. La situazione è precipitata dopo la comunicazione aziendale del 14 aprile, in cui si annuncia l’intenzione di procedere unilateralmente all’applicazione del nuovo orario da maggio, nonostante il parere negativo espresso da tutte le articolazioni sindacali sugli esiti della sperimentazione svolta in quattro Unità Territoriali pilota. Le segreterie nazionali di Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil attendono ora una convocazione nei tempi previsti dagli accordi. I sindacati denunciano anche la carenza strutturale di organico, i  carichi di lavoro eccessivi e il degrado delle sedi.

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A pochi mesi dalla sottoscrizione di accordi sindacali in materia di lavoro agile e integrativo aziendale, la direzione di Telemat, azienda che opera nei servizi all’impresa e agli enti pubblici, ha comunicato l’intenzione di licenziare 21 dipendenti su 30 nel sito di Bassano del Grappa (Vicenza). Nell’incontro del 14 aprile presso la Direzione lavoro della Regione Veneto, Slc Cgil e Cgil regionale hanno chiesto «il ritiro dei licenziamenti a favore di un percorso che, attraverso gli ammortizzatori sociali e la formazione, possa andare nella direzione di un’integrazione tra le due aziende, contenendo gli esuberi o al massimo riducendoli a esodi volontari».

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Una buona notizia dalla moda: è stato emanato il 7 aprile dal Ministero del Lavoro il decreto di concessione dei contratti di solidarietà per i dipendenti del gruppo Florence, società operante nel settore della moda, al servizio dei più importanti brand del lusso con produzioni del prét-a-porter, pelletterie e calzature. Con l’attivazione dell’ammortizzatore sociale si è riusciti a scongiurare i 224 esuberi che l’azienda aveva annunciato. I contratti di solidarietà, con valenza retroattiva al 17 marzo, si concluderanno il 16 marzo 2026. A essere interessati sono i lavoratori degli stabilimenti di Arezzo, Torino, Firenze, Perugia, Nardò (Lecce), San Miniato (Pisa), Quarrata (Prato), Sant’Egidio alla Vibrata (Teramo), Urbania (Pesaro), Calenzano, Castel Fiorentino e Montelupo Fiorentino (Firenze).

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Altra buona notizia dalla vertenza Beko: «Abbiamo firmato un buon accordo, che è stato approvato da oltre l’88% delle lavoratrici e dei lavoratori degli stabilimenti: questo il primo commento della segretaria nazionale Fiom Cgil Barbara Tibaldi all’intesa siglata il 14 aprile al Ministero delle Imprese. «È grazie alla lotta delle lavoratrici e dei lavoratori che, ancora una volta, siamo riusciti a raggiungere un accordo che garantisce il lavoro e un settore strategico come l’elettrodomestico», prosegue la dirigente sindacale: «Quest’accordo costituisce un precedente importante nelle modalità e nel merito». L’accordo riduce gli esuberi, dichiarati dalla multinazionale turca del gruppo Arçelik, da 1.935 a 937, più i 287 del sito di Siena (per un totale di 1.224). Le lavoratrici e i lavoratori di Siena potranno accedere agli ammortizzatori sociali conservativi e alle uscite incentivate volontarie, evitando così i licenziamenti. È stata scongiurata la chiusura della fabbrica di Comunanza (Ascoli Piceno), mentre il sito di Cassinetta (Varese) continuerà l’attuale produzione di frigoriferi che doveva essere ridimensionata.

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La Filt Cgil Milano ha proclama lo stato di agitazione e sciopero in tutti gli appalti che coinvolgono le aziende Brivio & Viganò Logistics, Cap Delivery e Deliverit, operanti nella logistica per Esselunga. Lo sciopero è stato dichiarato a partire dal 18 aprile fino alle ore 2 di domenica 20 aprile, con presidi in tutta la regione presso i siti di Settimo milanese (MI), Dione Cassio (MI), Varedo (MB) e Lallio (BG).

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Infine, Pasqua amara per le lavoratrici e i lavoratori Gurit : il 18 aprile lo stabilimento di Volpiano (Torino) ha chiuso. A fine gennaio la società svizzera aveva annunciato la chiusura dell’impianto, attivo nella produzione di componenti per turbine eoliche, e il licenziamento dei 56 dipendenti (cui si aggiungevano altri 20 addetti in somministrazione). Malgrado oltre due mesi di trattative, l’azienda è rimasta irremovibile. 

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 25 aprile 2025

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(Foto Yury Kim – pexels.com)

Basso Ferrarese, ecco la ricerca CISL-CDS

31 Gen

Impresa, demografia, infrastrutture non vanno. Servono interventi pubblici. Una proposta seria

È ora disponibile il Rapporto finale del progetto di ricerca “Sulla sostenibilità socio-economica ed ambientale nell’Area Interna del Basso Ferrarese”, promosso da CISL Ferrara e a cura di CDS – Centro Ricerche Documentazione e Studi Economico Sociali OdV, con la Collaborazione Scientifica di Aurelio Bruzzo, già afferente al Dipartimento di Economia e Management UniFe. Qui il testo completo della Ricerca: urly.it/3149s2

Risulta evidente – è scritto nel testo – che nell’Area Interna Basso Ferrarese è presente «un circolo vizioso che ovviamente andrebbe interrotto, per poter lanciare un vero e proprio processo di sviluppo». Circolo vizioso «alimentato dallo spostamento al di fuori dell’area in oggetto di importanti risorse – come il capitale umano e presumibilmente anche il capitale finanziario» che «contribuiscono all’ulteriore impoverimento dell’Area Interna, soprattutto in termini di potenzialità circa un futuro sviluppo socio-economico. L’interruzione di tale circolo non può che avvenire attraverso l’adozione di una serie di misure d’intervento pubblico».

L’Area Interna – «anche a causa dello spostamento verso l’esterno – gode di una minore quantità di forza lavoro rispetto all’area rimanente che compone la provincia di Ferrara; inoltre si è appurato che nell’Area Interna sono maggiormente presenti le imprese di piccola o piccolissima dimensione, le quali molto spesso sono diffuse sul territorio, anziché essere agglomerate in apposite aree attrezzate destinate alle attività produttive (industriali e terziarie), come quella di San Giovanni di Ostellato. Tutto ciò comporta che le imprese localizzate nell’Area interna non usufruiscono né delle economie di scala né di quelle di agglomerazione; conseguentemente, esse sostengono costi di produzione molti elevati che vanno a ridurre i margini di guadagno registrati nei bilanci aziendali. La disponibilità di manodopera non particolarmente formata – salvo le debite eccezioni – contribuisce ad ottenere dalle iniziative imprenditoriali operanti nell’Area livelli di produttività e di redditività inferiori a quelli possibili, che si riesce invece ad ottenere al di fuori dell’Area».

Per quanto riguarda le famiglie, «a causa del basso livello di reddito pro capite goduto dai residenti nei Comuni dell’Area, i consumi che in parte potrebbero essere costituiti da autoconsumo, sono anch’essi limitati, per cui la domanda di beni di consumo avanzata nei confronti delle imprese produttive, locali e non, sarà anch’essa limitata», e quindi queste «riusciranno a produrre una quantità altrettanto limitata di beni».

Proseguendo, l’Area interna Basso Ferrarese si caratterizza per «un elevato livello di fragilità socio-demografica, a causa dello spopolamento e dell’invecchiamento della popolazione che rimane a risiedere, di frammentazione territoriale delle attività produttive e di una elevata, quanto paradossale differenziazione fra i Comuni che la compongono, che sono di diversa dimensione demografica e specializzati in attività tra loro diverse, ma non complementari».

Un’altra caratteristica propria di quest’area è rappresentata dalla «carenza di infrastrutture, sia materiali che immateriali, rispetto al resto del territorio provinciale in settori come quelli delle telecomunicazioni, del trasporto pubblico e, di conseguenza, della mobilità, mediante le quali si potrebbe favorire delle relazioni più intense e strette sia all’interno dell’Area stessa, sia con le aree contermini presenti nella provincia, a ovest e a sud, nonché con quelle delle province circostanti (in particolare Rovigo, Modena, Bologna e Ravenna). Le maggiori, sia in termini di frequenza che di intensità, relazioni consentirebbero ovviamente di incrementare gli scambi commerciali, sia con le attività produttive localizzate nelle aree menzionate, sia con quelle straniere attraverso infrastrutture logistiche e di trasporto – come le ferrovie e le banchine portuali – presenti in altre aree della regione, come la provincia di Ferrara». A tal proposito, importante è il recente progetto di Zona Logistica Semplificata, imperniata sul porto di Ravenna, «della quale però le attività produttive localizzate nell’Area Interna che volessero effettuare attività di import-export non potrebbero avvalersi di un collegamento diretto attraverso la Strata statale Romea (S.S. 309) o una adeguata rete ferroviaria, per ricorrere al polo logistico di Bondeno, situato molto più a ovest».

Andando avanti nell’analisi, si registra la totale assenza di un adeguato coordinamento tra i progetti di investimento pubblico finanziati mediante il PNRR, la politica di coesione europea e la STAMI (Strategie territoriali per le aree montane e interne, ndr), in sede di programmazione iniziale e a livello di intera Area interna». Andrebbe invece «individuata una sede o un soggetto istituzionale che riesca a svolgere una simile funzione di coordinamento».

Per concludere, i sopracitati necessari interventi finalizzati allo sviluppo reddituale e a quello del benessere sociale «dovrebbero essere effettuati in vari ambiti di competenza pubblica (dall’assistenza socio-sanitaria all’istruzione, dalla creazione di nuovi posti di lavoro duraturi e di qualità alla salvaguardia dell’ambiente, dalla valorizzazione turistica e culturale delle numerose località dotate di caratteri di attrattività, ecc.)»; e «dovrebbero puntare all’inversione del trend demografico e a favorire l’inclusione della nuova popolazione che volesse trasferirsi in questa area, che presenta numerose e inestimabili ricchezze ambientali». Il «recupero dell’attuale patrimonio residenziale, attraverso la sua ristrutturazione e l’adeguamento dal punto di vista energetico» è un intervento «mai stato preso in debita considerazione» ma significativo per il futuro di quest’area che ancora vive difficoltà e contraddizioni profonde che la rendono povera e poco attrattiva.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 gennaio 2025

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Vecchio, povero e fragile: il territorio ferrarese secondo l’Annuario CDS

18 Dic

La tradizionale fotografia socio-economica di fine anno, fra disuguaglianze e possibilità

I dati, si sa, sono sempre interpretabili, non sono mai dogmi assoluti. Forniscono, però, alcune chiare indicazioni sulla realtà. Realtà che spesso stentiamo a riconoscere, come nel caso della situazione socio-economica del territorio Ferrarese.Anche quest’anno, come negli ultimi 37, il CDS di Ferrara (Centro ricerca Documentazione e Studi economico sociali) ha presentato il proprio Annuario, il 13 dicembre  nella Sala Convegni CNA di via Caldirolo, realizzato con il Patrocinio di ISCO, Provincia di Ferrara e ASviS-Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. L’Annuario 2024 – che ha come sottotitolo “Osserva Ferrara”- è stato presentato da Annalisa Ferrari e Gianpiero Magnani (Direttivo  CDS). Quest’ultimo ha spiegato come al suo interno vi siano i contributi di 50 autori che hanno utilizzato oltre 180 fonti per i dati e le informazioni necessarie. Il pomeriggio – molto partecipato – si è concluso con un ricordo di Paolo Micalizzi da parte di Sergio Foschi e la proiezione di “Lo sguardo e la memoria.Il sogno infinito di Paolo Micalizzi“, a cura di Roberto Fontanelli e Riccardo Modestino.

BRACCI: «SERVE CAMBIO DI PASSO»

Dopo i saluti di Anna Quarzi (Presidente ISCO) e Diletta D’Andrea (Consigliera Provincia di Ferrara) (assenti il Presidente provinciale  Garuti e quello regionale De Pascale), ha relazionato la Presidente del CDS Cinzia Bracci. Che ha innanzitutto fatto un piccolo annuncio: «stiamo pensando di tornare a realizzare anche un Annuario ad hoc sulla città di Ferrara». L’analisi della situazione socio-economica della nostra Provincia è impietosa: innanzitutto, com’è noto, in Regione il Basso Ferrarese è una delle zone più povere assieme a quelle montane. La distanza dalla via Emilia, insomma, fa la differenza. A livello demografico, la nostra Provincia in 20 anni ha registrato un calo da 360mila a meno di 340mila abitanti e siamo la Provincia con l’indice di vecchiaia più alto in tutta l’Emilia-Romagna. «E fino al 2031 la popolazione calerà ancora e pesantemente». A Ferrara, poi, l’età media è di 49 anni, 2 sopra quella regionale. «Con questi dati – ha proseguito Bracci – vi sono seri problemi di sostenibilità: servirebbero, soprattutto a livello nazionale, incentivi alla natalità e che impediscano l’emigrazione dei nostri giovani, oltre a politiche per una vecchiaia più attiva». Al riguardo, la Presidente ha citato una proposta di Pino Foschi, fondatore del CDS, di lasciare i lavoratori in età di pensionamento per alcuni anni in tandem sul luogo di lavoro coi più giovani.

A fianco della crisi demografica, vi è quella sociale: la nostra Provincia, in Regione, è quella con meno stranieri e «ciò è segno di poca attrattività produttiva». Spesso, poi, i lavoratori stranieri presenti sono stagionali.Forti differenze vi sono anche all’interno del Ferrarese, ad esempio nella percentuale di laureati/e (ad es., l’8,3% a Goro e il 38% a Ferrara). In ogni caso, in questo ambito «siamo ben al di sotto sia della media regionale sia di quella nazionale, nonostante un Ateneo in crescita». AUniFe, secondo Bracci, manca ad esempio «un Dipartimento di Agraria», in un territorio come il nostro ancora fortemente agricolo. Ancora sui giovani: il 16,1% non studia né lavora, altro «dato pesante». La fragilità economica, di conseguenza, è inevitabile: siamo la penultima Provincia come reddito imponibile medio, e come livello occupazionale nell’industria e nel terziario siamo sotto la media nazionale. Inoltre, il 62,9% delle imprese ferraresi è piccola come dimensioni. «È necessario – ha aggiunto Bracci – un cambio di passo, con innovazione e politiche serie. Altrimenti per la nostra Provincia sarà un disastro». Gli aiuti, da alcuni anni, ci sono ma «dei Fondi di coesione, appena l’1% lo usiamo in innovazione, contro il 33% a livello regionale, e quelli del PNRR non sappiamo se le future generazioni saranno in grado di restituirli», dato che in parte sono prestiti.

Anche a livello morfologico, il nostro è un territorio fragile, che va conservato e protetto: «non possiamo pensare che ce la caveremo per sempre».

BIANCHI E CALAFÀ: «TUTELARE IL LAVORO»

«Quello sulla nostra Provincia è, naturalmente, uno sguardo limitato ma nel suo piccolo ci fa comunque comprendere alcune trasformazioni in corso a livello nazionale, europeo e mondiale», ha riflettuto poi  Patrizio Bianchi (Cattedra UNESCO “Educazione, Crescita ed Eguaglianza”, UniFe). «Oggi nei  Paesi avanzati sempre più assistiamo a un fenomeno per cui in aree sviluppate si creano aree povere, bolle di svuotamento». Bianchi si è quindi concentrato sul tema del lavoro, che sta cambiando, soprattutto «nella percezione dei giovani, i quali non concepiscono più di poter svolgere lo stesso impiego per tutta la vita». Questa flessibilità, però, «ha bisogno di essere tutelata». Ma servono anche «reti infrastrutturali e comunicative per attrarre le imprese». In ogni caso, ha ribadito Bianchi, attenzione perché la crescita economica spesso negli ultimi decenni ha portato a «un aumento delle disuguaglianze, come ad esempio in Cina». La «scarsa partecipazione» e quindi la «scarsa democrazia» sono un rischio nelle società avanzate e all’interno dei luoghi di lavoro. Sul tema del lavoro e dei suoi diritti si è concentrata anche Laura Calafà (Docente di diritto del lavoro, UniVr): «serve la tutela di un lavoro dignitoso» contro «le ricadute in basso della globalizzazione», contro i cosiddetti “contatti collettivi pirata“, quelli cioè sottoscritti non dalle grandi organizzazioni sindacali e quindi con una corsa al ribasso nei trattamenti economici e normativi del lavoro.

MORELLI: DONNE E DELTA

SCANDURRA: FORMAZIONE PARTECIPATIVA

«Nessuno si salva da solo, è fondamentale lavorare assieme», ha poi chiosato Aida Morelli (Presidente Parco Delta del Po Emilia-Romagna), che si è concentrata sul tema della parità di genere («è un fatto sostanziale, ne va della stessa democrazia») e sul Delta del Po, «che ha grandi potenzialità di crescita, con possibili ricadute positive indirette anche a livello occupazionale». L’ultimo intervento è poi spettato a Giuseppe Scandurra (Docente di Antropologia culturale, UniFe), il quale ha accennato alla collaborazione tra Dipartimento di Studi Umanistici (Laboratorio Studi Urbani) di UniFe e CDS. «Da anni – ha detto – i miei studenti e le mie studentesse li coinvolgo in progetti di ricerca sul nostro territorio»: un’esperienza importante soprattutto dopo 1 anno e mezzo di dad causa Covid e con «il crescere delle università telematiche», fondate proprio sulla dad e sulla privatizzazione e lo svilimento del sapere.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 20 dicembre 2024

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Regal e Berco: 557 licenziamenti. Il lavoro che manca o è sottopagato

19 Ott
Foto Kateryna Babaieva


I 77 dipendenti della sede di Masi Torello hanno ricevuto la notifica via mail mentre lavoravano. Ma l’azienda USA non è per nulla in crisi. I dati delle delocalizzazioni e dei salari in Italia

di Andrea Musacci

In un’epoca nella quale a dominare l’immaginario collettivo vi sono miti come quello del lavoro autonomo che rende automaticamente liberi, del lavoro ideale da casa, di quello automatizzato, del self made man, una mattina, in un piccolo Comune come quello di Masi Torello mentre tu, operaio, sei a lavorare, vieni a scoprire da una mail che sei stato licenziato. È quello che è accaduto – senza nessun preavviso – lo scorso 7 ottobre a 77 lavoratrici e lavoratori della Regal Rexnord (ex Tollok), azienda del Wisconsin che produce componenti per pale eoliche. Si tratta di 49 operai, 25 impiegati e 3 dirigenti. 75 i giorni per avviare la procedura di fine rapporto. Fra questi, 4 coppie di coniugi, con figli piccoli a carico e un mutuo da pagare.

La Regal Rexnord ha comunicato via Pec i licenziamenti, motivando la scelta con la decisione di delocalizzare la produzione in India e in Cina, dove il costo del lavoro è più basso e le condizioni fiscali più vantaggiose. Il gruppo Regal Rexnord ha chiuso il 2022 con un fatturato di 5,2 miliardi, in crescita del 36%; il 2023 invece è stato chiuso a 6,2 miliardi, con un utile ipotizzato a 270 milioni. I conti di Regal Rexnord Corporation, comprensivi di fatturato, spese, profitti e perdite sembrano solidi: il fatturato totale per l’ultimo trimestre è di 1,55 miliardi di dollari, in calo del 0.01% rispetto al trimestre precedente. L’utile netto nel secondo quadrimestre 2024 è di 62,5 milioni di dollari. Nessuna crisi dell’azienda, quindi. Anzi. I sindacati si sono subito mobilitati con presidio permanente davanti ai cancelli, la proclamazione dello sciopero a oltranza e un incontro nella sede di Confindustria Ferrara lo scorso 9 ottobre, che ha portato a un nulla di fatto. Il 15 ottobre è previsto un tavolo in Regione convocato dall’Assessore Colla per cercare di trovare una soluzione.

Appena due giorni dopo, a pochi km di distanza, la Berco, azienda   del gruppo Thyssen Krupp specializzata in sottocarri agricoli, annuncia 550 esuberi (oltre alla cancellazione della contrattazione aziendale), dei quali 480 nella sede di Copparo che conta circa 1250 dipendenti, gli altri in quella di Castelfranco Veneto (Treviso), dove lavorano 150 operai. Situazioni gravi in un contesto non felice per l’automotive: ad oggi la richiesta di ammortizzatori sociali riguardano lo stabilimento della VM (Cento), Sagom Tubi (Cento), ZF (zona SIPRO), Sirtec e Tecopress (Dosso), Reflexallen (Cento). 

DELOCALIZZAZIONE E COSTO DEL LAVORO

Da uno studio di Porsche Consulting (società di consulenza tedesca) del 2023, il costo del lavoro in Cina è del 400% inferiore a quello italiano, del 300% a quello americano, del 600% a quello tedesco e francese. Si parla poi di “riglobalizzazione selettiva”: un’azienda europea può pensare a delocalizzare in Romania dove il costo del lavoro è solo del 17% superiore a quello cinese (quindi quasi tre volte meno che in Italia) e al Mediterraneo in generale. Secondo dati dell’agenzia Eurofound (Fondazione UE per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), tra il 2003 e il 2016 sono stati 752 i casi di delocalizzazione, di cui 352 a destinazione di un altro Stato membro dell’Unione Europea; e dei 197.927 impieghi persi in 13 anni, 118.760 possono essere collegati ad un trasferimento della produzione aziendale verso un altro Paese membro dell’UE, soprattutto dell’est Europa.

IN ITALIA SALARI IN CALO

Ma nel nostro Paese, anche dove il lavoro rimane, i salari calano: rispetto a gennaio 2021, sono scesi, infatti, del 10%. È quanto emerge dall’indagine realizzata alcuni giorni fa da Legacoop con Prometeia, che analizza andamento dei prezzi e impatto dell’inflazione. Secondo lo studio, da inizio 2021 a oggi i salari orari sono cresciuti in media in Italia dell’1,2%, contro il +3,3 dell’area euro. Le cause risiedono nei «ritardi nei rinnovi contrattuali», nell’«assenza di un salario minimo e di meccanismi di indicizzazione». E dopo il picco registrato nell’ottobre 2022 al culmine della crisi energetica, il tasso di inflazione in Italia continua a scendere, collocandosi al di sotto della media dell’eurozona. Ma se le imprese sono riuscite a difendersi trasferendo i maggiori costi sui beni finali, i salari hanno invece subìto, soprattutto in Italia, una forte erosione del potere d’acquisto.

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Workers buyout: quando i lavoratori salvano l’azienda comprandola

Di cosa si tratta e quanti sono in Italia. Il caso della “Girasole” a Porto Garibaldi

In inglese si chiama workers buyout (WBO) ed è il salvataggio di un’impresa in crisi (o senza successori) da parte dei lavoratori che subentrano nella proprietà e nella conduzione, quasi sempre organizzandosi in cooperativa e investendo risorse proprie, come l’indennità di disoccupazione e il Tfr. Con le “imprese rigenerate dai lavoratori” si preservano il sapere tecnico, le abilità professionali e le relazioni commerciali già esistenti e si può arrivare anche a uno sviluppo significativo del giro di affari, a fronte di un fallimento altrimenti già segnato. Può essere, questa, una soluzione alle tante possibili crisi. E in questo l’Italia è avanti rispetto ad altri Paesi. Il primo caso è stato quello della Scalvenzi di Brescia, salvata nel 1985 e ancora in attività: produce compattatori e, dal 2015, anche componenti per scooter elettrici.

Nel 1986 nasce CFI (Cooperazione Finanza Impresa) a seguito dell’entrata in vigore della Legge Marcora e, da allora, ha finanziato 332 workers buyout, per un totale di oltre 10mila posti di lavoro, con il sostegno delle organizzazioni sindacali. CFI è vigilata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, è partecipata da 393 cooperative e dai fondi mutualistici di Confcooperative, Legacoop e Agci, le tre associazioni cooperative che ne hanno promosso la nascita.

Nel 1996 l’apertura da parte della Commissione Europea di una procedura d’infrazione aveva bloccato l’operatività della legge, ma nel 2001 la legge di riforma ha recepito le intese raggiunte con la Commissione Europea. Nel 2014, ai lavoratori riuniti in cooperativa è stato attribuito il diritto alla prelazione nelle procedure che prevedono l’affitto o l’acquisto delle aziende o dei rami d’azienda di cui essi erano dipendenti. CFI ha sostenuto 584 imprese cooperative di lavoro – e, a partire dal 2002, sociali – realizzando investimenti per complessivi 335,7 milioni di euro e contribuendo al mantenimento di 28.486 posti di lavoro. Se si considera solo l’ultimo periodo, dal 2011 ad oggi, i workers buyout sono 93. Con un apporto di 49,3 milioni di euro, sono state instradate e assistite imprese cooperative che occupano oltre 2mila lavoratori e arrivano a un valore della produzione consolidato superiore a 500 milioni di euro. In 12 anni, il ritorno per lo Stato, tra imposte dirette, imposte sul lavoro e contributi previdenziali, è stato superiore a 300 milioni di euro. 

IN EUROPA

Anche in Europa gli esempi di aziende salvate dai lavoratori sono numerosi, ma concentrati soprattutto in Paesi come Francia e Spagna. In Spagna, la confederazione delle cooperative di lavoratori COCETA, è composta da circa 17.600 cooperative di lavoratori, per un totale di oltre 305.000 posti di lavoro e, negli ultimi cinque anni, ha sostenuto oltre 500 workers buyout. In Francia, invece, secondo i dati della Confédération générale des Scop, delle 300 nuove cooperative create nel Paese lo scorso anno, l’8% è nato dall’acquisizione di un’azienda in difficoltà mentre il 15% dal trasferimento di un’azienda sana.

IN EMILIA-ROMAGNA

Dal 2007, in Emilia-Romagna il workers buyout è in continua ascesa, una risposta ai tanti casi di crisi aziendali. Ad oggi – come riportato dal sito della Regione Emilia-Romagna – sono 56 le nuove cooperative create, quasi 1200 posti di lavoro salvati. Più di 10 nuove cooperative all’anno dal 2012. Il meccanismo distribuito su tutto il territorio regionale (2 a Rimini; 8 a Reggio Emilia; 3 a Ravenna; 1 a Parma; 4 a Modena; 2 a Ferrara; 30 a Forlì-Cesena; 6 a Bologna) e che si indirizza verso tutti diversi settori (il 5%nel settore agricoltura; il 60% nell’industria di cui quasi la metà nell’edilizia; il 35% nel settore dei servizi).

Un esempio nel Ferrarese è quello della Cooperativa Lavanderia “Girasole” a Porto Garibaldi, guidata da Matteo Tomasi: da 14 dipendenti, nel tempo sono diventati 25 e con un fatturato in espansione.

LA PROPOSTA DEL FORUM DISUGUAGLIANZE DIVERSITÀ

Il Forum Disuguaglianze e Diversità (nato nel 2018 e di cui fa parte anche Caritas Italiana), per promuovere un maggiore ricorso ai WBO fa alcune proposte: «prendere in considerazione l’opzione WBO come prima alternativa nell’affrontare le crisi aziendali – ai cosiddetti “tavoli di crisi” che lo Stato organizza con imprenditori e imprenditrici e sindacati – e prima ancora di questo stadio, per pianificare con i rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici e dell’azienda le azioni in grado di garantire continuità all’attività imprenditoriale; introdurre un premio fiscale all’impegno dei lavoratori e delle lavoratrici nella rigenerazione dell’azienda; accelerare i tempi per l’acquisizione dell’impresa e il suo avvio come WBO; rafforzare la formazione dei lavoratori e delle lavoratrici affinché essi possano svolgere con effettiva competenza e autonomia la nuova funzione di soci-imprenditori e socie-imprenditrici». Il tutto, con un maggiore coinvolgimento di sindacati, organizzazioni imprenditoriali, sistema cooperativo, istituzioni e sistema bancario-finanziario.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 ottobre 2024

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Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri

12 Ott

Festival Internazionale. L’analisi di Riccardo Staglianò: «perché in Italia crea scandalo chiedere più tasse per i più ricchi?»

“Hanno vinto i ricchi”, e non è una buona notizia.Con amara ironia, lo scorso 6 ottobre, in occasione del Festival Internazionale a Ferrara, Riccardo Staglianò ha presentato il suo libro “Hanno vinto i ricchi” (Einaudi, 2024). Il giornalista del “Venerdì di Repubblica” è intervenuto davanti a una sala 2 dell’Apollo gremita, soprattutto di giovani. 

Innanzitutto, i dati: secondo l’OCSE, dal 1990 al 2020 i salari medi in Italia sono diminuiti del 2,90%, unico Paese in cui sono calati. Fra le cause, la bassa produttività, la diminuzione del potere del sindacato, la globalizzazione, l’erosione dei diritti dei lavoratori. Riguardo, però, alla produttività, pur calata, c’è stata, ed «ad averne vantaggi, non sono stati di certo i lavoratori». In Italia, Paese delle medio e piccole imprese, 1 lavoratore su 5 non è tutelato dai contratti collettivi e spesso questi, quando vi sono, non sono rinnovati o lo sono con grave ritardo. Insomma, l’inflazione cresce ma i salari rimangono fermi.Inoltre, dal 2020 al 2022 le ore lavorative si sono ridotte dell’8%. Vi è poi il tema della crescente precarietà, incentivata da Governi di centro-destra e di centro-sinistra, a partire dal famigerato Pacchetto Treu. «Oggi siamo al punto che il lavoro precario è la norma, non l’eccezione», ha detto Staglianò. Tutto ciò porta ad avere in Italia 1 lavoratore su 4 – con regolare contratto – che guadagna 780 euro o meno al mese.  Per non parlare dell’Irpef, che in Italia (a differenza degli altri Paesi occidentali avanzati) si è sempre più ridotto per le fasce alte e altissime. Come denunciò Giulio Marcon, saggista ed ex deputato, in una sua inchiesta, nel nostro Paese diversi ricchi e ultraricchi si lamentano di essere «tartassati dalle tasse». Una posizione che farebbe ridere se non avesse conseguenze drammatiche. Negli USA, invece, Abigail Disney ha fondato il movimento dei “Milionari patriotici”, nato al grido di “Fateci pagare più tasse!”. Unici italiani presenti in questa particolare associazione, i Notarbartolo-Marzotto, attivi nel tessile.

Ma quali sono le cause storiche di questa crescita delle disuguaglianze? La crisi degli anni ’80 del secolo scorso e la nascita della cosiddetta globalizzazione, convinse molte imprese che la soluzione era nel delocalizzare in Paesi dove il costo del lavoro era molto più basso (in Cina, e poi ad esempio in quelli dell’est Europa), oppure far arrivare inItalia lavoratori dagli ex Paesi del blocco sovietico, sottopagandoli e dando così vita a una competizione al ribasso. Questa ideologia neoliberista – fondata anche su «una lotta perpetua contro i sindacati e contro le tasse» – si è presto sposata con una forma estrema di finanziarizzazione, che non ha fatto che aumentare le disuguaglianze e togliere potere agli Stati nazionali. Steve Jobs, spesso osannato anche a sinistra, non a caso dichiarò: «I sindacati sono la cosa peggiore che sia mai capitata all’istruzione, perché hanno ucciso la meritocrazia». Solo nel 2022, il sindacato è entrato per la prima volta in un negozio Apple, per la precisione nel Maryland. Per Staglianò, interventi come il reddito di cittadinanza o il salario minimo, «pur non essendo la soluzione al problema, hanno arginato la povertà» e, come nel caso del salario minimo, rappresentano misure minime che non ha senso non accettare in un Paese democratico. Di certo – e come dargli torto -, «non dovrebbe creare più scandalo l’aumento delle tasse per i ricchi e gli ultraricchi e il tornare a una tassazione fortemente progressiva, oltre che l’investire sull’istruzione e sulla formazione dei lavoratori».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 ottobre 2024

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Lavoro e redditi in crisi: e il PNRR non aiuta a superare le disuguaglianze

22 Dic

Presentato dal CDS Ferrara l’Annuario socio-economico: nel Ferrarese calano gli addetti, il Petrolchimico non ha un futuro roseo, il turismo non decolla, Ferrara non è ancora una città universitaria. E i fondi PNRR in provincia e in Regione non aiutano le aree povere

Occupazione e turismo non danno segnali positivi, e il PNRR spesso non è distribuito in modo da ridurre le disuguaglianze territoriali. È questo il quadro impietoso della nostra provincia illustrato lo scorso 16 dicembre nel corso della presentazione della 36^ edizione dell’Annuario Socio-Economico Ferrarese, realizzato da CDS Cultura OdV (Centro ricerche Documentazione e Studi), col patrocinio di ISCO e Provincia di Ferrara.

La giornata svoltasi nella sede del CNA di Ferrara, coordinata da Cinzia Bracci, Presidente CDS, ha visto Silvia Dambrosio leggere un passo sulla “pace integrale” tratto dal libro “La saggezza e l’audacia” di David Sassoli e gli interventi di diversi ospiti: Manuela Coppari (responsabile Servizio Pianificazione Territoriale e Urbanistica Provincia di Ferrara) per l’illustrazione del Piano Territoriale di Area Vasta; Massimiliano Mazzanti (Direttore Dipartimento di Economia e Management e delegato PNRR UniFe) e Giovanni Peressotti (Direttore Dipartimento Tecnico e delle Tecnologie Sanitarie AUSL e dell’Azienda ospedaliero-Universitaria di Ferrara), che hanno presentato le scelte progettuali, rispettivamente di UniFe e delle ASL ferraresi, derivanti dal PNRR e da altre fonti di finanziamento; Paolo Calvano, Assessore Emilia-Romagna, che invece ha trattato la strategia regionale e la programmazione della politica europea di integrazione e coesione; e, infine, Paolo Micalizzi, che ha guidato alla visione del documentario di Giuliano Montaldo “Ferrara. La città spettacolo” (1988).

LA CRISI DEL FERRARESE DENTRO LA CRISI DELL’OCCIDENTE

Due sono stati gli interventi introduttivi alla lunga mattinata, nei quali è stato presentato l’Annuario: Andrea Gandini (Direzione dell’Annuario CDS) ha tratteggiato gli aspetti congiunturali locali più rilevanti: «Ferrara è ancora la “bella addormentata”», ha esordito. «Nei primi decenni del secondo dopoguerra, c’è stata una situazione eccezionale di crescita, uguaglianza e benessere. Uscivamo da una guerra, i valori erano molto forti e le élite erano quindi interessate a diffondere le innovazioni in tutto il Paese». Ma furono decenni, appunto, eccezionalmente positivi. «Negli ultimi 30 anni registriamo una crescita delle disuguaglianze e una perdita di salario reale: la maggioranza delle persone – ha spiegato – ha avuto un peggioramento del reddito» e «la disuguaglianza è destinata ancora ad aumentare, con un declino dell’area del dollaro, la crescita dei Paesi del BRICS, e un indebolimento delle aree più piccole e fragili dell’Europa e dell’area occidentale».

Secondo Gandini, «la grande sfida» dei prossimi anni e decenni sarà rappresentata dallo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale: «si può fare in modo che possa diventare una risorsa utile per la diffusione della prosperità e l’aumento dei salari», oppure – e questa è la previsione purtroppo più realistica – le innovazioni verranno utilizzate per aumentare l’automazione e sequestrare l’aumento di produttività a vantaggio delle élite». In questo contesto globale si inserisce il discorso sui fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), il programma con cui il Governo gestisce i fondi del Next generation Eu. Innanzitutto, ha sottolineato Gandini, «il PNRR è per il 65% a debito, quindi dovremmo essere più cauti nello spendere questi fondi».

Se a livello nazionale «il monte ore lavorato è in calo e l’occupazione aumenta solo per i contratti part time e i tempi determinati», nel 2022 nella nostra provincia si registra una perdita di 4mila addetti. E anche le presenze turistiche nel Comune di Ferrara risultano in calo rispetto al 2019. Inoltre, nella nostra provincia «la manifattura è in crescita nel 2022, ma solo per le imprese con almeno 100 addetti» e lo stesso Petrolchimico è fonte di «grandi preoccupazioni» per il «ridimensionamento delle grandi società» nei prossimi anni. Più in generale, nella nostra provincia «non si riesce a trovare personale, a causa del violento calo demografico e dei tanti nostri giovani che cercano lavoro a Modena e Bologna».

Una nota parzialmente positiva arriva dal mondo universitario, con UniFe che aumenta di anno in anno gli iscritti (attualmente sono circa 28mila), di cui l’81% è fuori sede (la percentuale più alta d’Italia). «Ma non siamo ancora diventati una vera città universitaria, per quanto riguarda soprattutto gli studentati e la transizione al lavoro», con tanti giovani che dopo la laurea nel nostro Ateneo abbandonano Ferrara. Un esempio virtuoso a livello nazionale è invece rappresentato dal recente accordo sindacale negli stabilimenti Luxottica: il nuovo contratto integrativo aziendale prevede un modello di orario che introduce 20 settimane lavorative a 4 giorni e 30 a 5 giorni, a parità di salario, con la stabilizzazione a tempo indeterminato di 1.550 lavoratori in somministrazione e il rilancio della cosiddetta “staffetta generazionale” (part time per gli assunti anziani e assunzioni a tempo pieno, fin da subito, per i giovani). Un modello da imitare e che fa ribadire con forza a Gardini che «la ricchezza futura potrà essere creata aumentando le relazioni e il senso di comunità», non solo gli occupati e il welfare.

PNRR DISEGUALE

Diversi gli aspetti critici emersi anche dalla relazione di Aurelio Bruzzo (Direzione dell’Annuario CDS) riguardante l’utilizzo dei fondi PNRR a Ferrara e provincia. Si conferma, innanzitutto, il divario della nostra provincia rispetto al resto della Regione (che è tra le più sviluppate di Europa) e quello all’interno della nostra provincia tra il più arretrato Basso Ferrarese e il resto del territorio. «Come reddito pro capite – ha spiegato Bruzzo – la nostra provincia registra il valore più basso in Regione» e con una differenza rispetto al bolognese simile «a quello che nel secondo dopoguerra esisteva tra il nord e il centro-sud del nostro Paese». Ma le risorse del PNRR, che dovrebbero aiutare anche il superamento delle disuguaglianze territoriali, «non sono state distribuite in misura maggiore nelle aree più povere della Regione», vale a dire in buona parte di quelle della Romagna. Anche nella nostra provincia, nonostante il valore dei fondi PNRR sia fra i più alti in Regione (secondo solo a quelli assegnati al bolognese), l’area più povera (il Basso Ferrarese) ha ricevuto meno fondi rispetto alle altre aree della provincia, con l’unica eccezione del Comune di Goro. «Il PNRR, quindi, – ha concluso amaramente Bruzzo – non riequilibra i divari territoriali né in Regione né nella nostra provincia».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 22 dicembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

«La fede è dei testimoni: ecco il mio don Milani». Intervista a Marina Salamon

24 Mar
Don Lorenzo Milani con alcuni dei suoi ragazzi di Barbiana

Sono gli incontri che cambiano la vita, che ci riaprono allo Spirito. Marina Salamon ci racconta della fede giovanile, e di quella ritrovata da adulta. Una fede più che mai incarnata

di Andrea Musacci

Per chi nutre ancora dubbi sulla possibilità, in una sola anima, di unire un forte senso del sacro con una mentalità imprenditoriale, uno slancio all’Assoluto con le ultime statistiche demografiche, si ricreda. 

Marina Salamon, nella sua personale esperienza incarna questa aspirazione. O almeno ci prova, data l’umiltà che dimostra pur avendo alle spalle una vita di successo nel mondo dell’impresa: nata nel 1958 a Tradate (Varese), è diventata imprenditrice quand’era ancora universitaria, fondando “Altana”, azienda leader nel settore di abbigliamento per bambini. Nei primi anni ’90 assume il controllo della società di ricerche di mercato “Doxa” mentre nel 2014 diventa azionista di maggioranza di “Save the Duck”, azienda che produce piumini senza fare uso di penne d’oca. Oggi tutte le sue attività fanno parte della holding “Alchimia”, impresa che opera nel settore della compravendita immobiliare. Nel ’94, per qualche mese, ha fatto anche parte della Giunta di Venezia guidata da Massimo Cacciari. Salamon ha quattro figli (da due padri diversi), una figlia in affido e attualmente assieme al marito Paolo Gradnik (col quale vive a Verona) ospita due famiglie ucraine. 

Giovedì 30 marzo alle ore 20.30 interverrà a Casa Cini a Ferrara (via Boccacanale di Santo Stefano, 24) per il terzo e ultimo incontro della “Cattedra dei credenti” coordinata da Piero Stefani con la Scuola di teologia per laici “Laura Vincenzi”. Tema dell’incontro, “Un’imprenditrice alla scuola di don Milani”.

L’abbiamo contattata per rivolgerle alcune domande.

Marina, com’è nata la sua fede cristiana, dove ha attinto? 

«Vengo da una famiglia non credente, ma grazie a mia nonna, che amavo molto, feci comunque i sacramenti. Quel che però ha fatto la differenza, è stata la mia esperienza negli scout, a partire dai 10 anni. Mio padre Ennio teneva ai valori dello scoutismo, perché anche lui era stato uno scout cattolico, anche se poi è diventato agnostico. È stata un’esperienza meravigliosa, fondante sia per la mia fede che per i miei valori: mi ha insegnato a riconoscere Dio nella creazione, mi ha tenuta attaccata a Dio attraverso San Francesco d’Assisi, anche negli anni in cui sono stata lontana dalla Chiesa. Poi, tra i 14 e i 16 anni, ho frequentato Gioventù Studentesca (movimento interno a CL, ndr), un’altra esperienza per me importante, grazie anche a molti amici di CL che mi sono rimasti amici dopo la mia uscita dal movimento. Le loro testimonianze di vita, legate alla missionarietà, mi hanno aiutato molto». 

Da adulta, invece, quali testimoni l’hanno accompagnata nella fede?

«Ne ho incontrati diversi, ma ne cito tre su tutti, in ordine cronologico: mons. Gianfranco Ravasi, che ho conosciuto grazie a mio padre, il quale non sempre ha condiviso le mie scelte di vita come imprenditrice. Parlò di me a mons. Ravasi, che iniziò a invitarmi a presentare i suoi libri. Un giorno mi disse: “penso che tu non sia così male…”».

Il secondo testimone?

«A un incontro del Forum Ambrosetti, nei primi anni del 2000, fu invitato l’allora card. Joseph Ratzinger. Ci arrivai carica di pregiudizi, ma con dentro una forte domanda sulla fede. Sono rimasta assolutamente affascinata dalla sua intelligenza – proprio nel senso di saper leggere oltre l’apparenza – e dalla sua umiltà. In vita mia non avevo mai visto una combinazione così dei due aspetti: da lui, il carisma usciva prepotentemente, smontando tutto quel che avevo dentro». 

Per quale motivo in particolare? 

«Nel mio mondo imprenditoriale, spesso ciò che conta è esibirsi ed esibire. Ratzinger, invece, era come un monaco eremita del Medioevo…». 

L’ultimo testimone che voleva citare?

«Salvatore Martinez (Presidente di Rinnovamento nello Spirito Santo, ndr), a capo di un movimento a cui non appartengo e non ho appartenuto, ma che in periodi di crisi della mia vita, ad esempio per la separazione col mio ex marito, mi ha preso per mano, invitandomi ad alcuni pellegrinaggi: io, “irregolare” in quanto divorziata, partii quindi con loro a Gerusalemme, poi a Lourdes. Insomma, nell’epoca delle beauty farm e della new age, tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda per mano e ci accompagni. Senza rigide appartenenze ecclesiali». 

Marina Salamon

In una recente intervista, parla dei momenti di studio e preghiera che si ritaglia nella sua pur intensissima vita, per affrontare quelle «ardue domande che si fanno strada in ognuno di noi ed esigono risposta»: a cosa si riferiva?

«Le ardue domande non riguardano l’esistenza di Dio, su cui non ho dubbi, ma il come riuscire a tenere insieme l’insegnamento del Vangelo con le scelte di lavoro, con la famiglia e la vita in genere. Appena riesco, quindi, mi “prenoto situazioni” per poter meditare e studiare: pellegrinaggi, ritiri spirituali o periodi in conventi dove vado senza pc, solo con libri, quaderno e penna. Sono stata, ad esempio, a Bose e a Camaldoli. E sono iscritta, assieme a mio marito, all’Istituto di Scienze Religiose di Verona – dove sto lavorando a una tesi su don Milani -, oltre a frequentare un Master in dialogo interreligioso a Venezia».

Riguardo a don Lorenzo Milani, che cosa della sua testimonianza l’ha colpita e ancora considera importante?

«Avevo 10 anni quando trovai in casa la prima edizione di “Lettera a una professoressa”: già da giovane mi provocava in ciò che mi era più scomodo, è questo era per me commovente, sapeva davvero muovermi il cuore. Capii che non potevo accontentarmi dei miei privilegi, che erano stati soprattutto culturali, venendo da una famiglia colta e aperta al mondo. Don Milani sa invece essere duro come il Vangelo del giovane ricco». 

Come iniziò a concretizzarsi questo suo bisogno di cambiamento?

«Facendo caritativa con CL: andavamo a casa degli immigrati meridionali, case senza pavimento e coi bagni in bugigattoli esterni. Anni dopo conobbi Pietro Ichino (noto giuslavorista, ndr), citato da don Milani come “pierino”, perché i due si conobbero quando Pietro era piccolo. Anche lui mi raccontò come il sacerdote gli cambiò la vita».

“Un’imprenditrice alla scuola di don Milani”: che cos’ha imparato, e che cosa, ancora, impara da lui?

«L’amore per la vita e la valorizzazione di ogni persona. Nel mio caso, soprattutto nelle mie aziende. L’economia, però, si è pesantemente finanziarizzata, e questo ha avuto un impatto su tante scelte delle mie aziende, che a volte ho vissuto con grande angoscia, come una ferita». 

Non è possibile trovare un punto di equilibrio tra persona e finanza? 

«Lo sto cercando in ogni mia scelta. Mi son sempre sentita un genitore nei confronti di tutte le persone che lavorano con me: genitore nei termini di responsabilità nei loro confronti. Ma nei prossimi anni – ne sono convinta, basta leggere le statistiche – l’Italia andrà in crisi, con forti ripercussioni sociali. Il calo demografico è troppo forte, non c’è possibilità di invertire questa tendenza, se non in futuro».

A livello educativo, di trasmissione della fede e dei valori, qualcosa però si può sempre fare. Su questo, cosa può dirci don Milani oggi?

«Don Milani era ed è un profeta e quindi va ascoltato: da giovanissima pensavo fosse troppo “di sinistra”, ma dopo capii che mi sbagliavo. Quando, ad esempio, ai sindacalisti diceva che, una volta conclusa la lotta al fianco dei lavoratori, sarebbe tornato nella sua chiesa, intendeva dire che i valori della fede vanno ben oltre quelli secolari, politici. Dovremmo quindi ripartire da valori forti e chiari, scomodi ma profetici: la Chiesa innanzitutto ha questo compito, questa grande responsabilità educativa».

La Chiesa, però, è sempre più minoranza…

«Non è un problema, anzi può essere positivo: il mondo viene cambiato dalle idee e dai testimoni che le incarnano».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 24 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Ferrarese, un territorio che si ritrae su se stesso

19 Dic

L’analisi delle disuguaglianze territoriali e sociali fatte dal Centro Documentazione Studi. Auto elettriche, Polo del riciclo della plastica, Delta del Po: alcune proposte per uscire da una crisi cronica

di Andrea Musacci

«Da un punto di vista socio-economico il territorio ferrarese è estremamente eterogeneo e frammentato, e questo è sempre stato un ostacolo alla sua crescita». Di questa e altre disuguaglianze si è parlato lo scorso 17 dicembre nella Sala Convegni di CNA Ferrara in occasione della presentazione di “Ferrara Diseguale”, l’Annuario Socio-Economico Ferrarese 2022 che CDS (Centro Documentazione Studi) Cultura OdV ha presentato.

Disuguaglianze territoriali

Le parole di Guglielmo Bernabei (Avvocato, docente Unife e socio Cds) che abbiamo citato all’inizio ben sintetizzano la riflessione da lui svolta sulla difficile e cronica situazione del Ferrarese e su alcune possibili soluzioni.

Innanzitutto un’analisi della realtà: Comuni come Riva del Po, Fiscaglia e Jolanda diSavoia hanno tassi di occupazione molto bassi, e negli ultimi tre anni il reddito medio pro capite nel Ferrarese è calato in maniera significativa. Nelle cosiddette Aree interne, in alcuni casi è la metà della media provinciale, quasi 1/3 rispetto a quello del Comune capoluogo. Cresce inoltre la disoccupazione giovanile (fascia d’età 15-24 anni), passata dal 16,8% al 24,5%, mentre il tasso di inattività è al 25,4%, con picchi nei tre piccoli Comuni sopraccitati, oltre che a Copparo. Interessante anche l’Indice di dotazione automobilistica, con il calo nelle vendite di auto con grande cilindrata e l’aumento dell’acquisto di auto in alcune zone, come Mesola, a causa degli scarsi servizi di trasporto pubblico. Spopolamento, calo demografico, invecchiamento, dunque, dominano nel nostro territorio, «un territorio che si ritrae su sé stesso», ha detto Bernabei. Negli ultimi anni anche il tasso di pendolarismo è aumentato, di due volte e mezzo rispetto alle altre Province in Emilia-Romagna.

Una «sofferenza economica», quindi, e un conseguente «sfilacciamento sociale», acuiti dalla pandemia e dalla crisi di quest’anno, ma creatasi nel tempo: «per evitare che si cristallizzi – ha riflettuto ancora Bernabei – ci vogliono maggiori aggregazioni industriali e con alta produttività (come sono il Petrolchimico e la VM di Cento), pensando ad esempio a sfruttare le grandi trasformazioni in termini di automazione che stanno avvenendo nel comparto automobilistico, in particolare riguardo alle auto elettriche». C’è bisogno, inoltre, di «una forte alleanza tra enti locali, terzo settore ed imprese», e di «incentivare le start up e l’economia della conoscenza». Il rischio è che l’intera nostra Provincia diventi «una grande Area interna», non riuscendo a stare al passo delle trasformazioni sempre più veloci. Il futuro, più in generale, sta in «un’Italia micropolitana, che sappia cioè valorizzare davvero nuove funzioni sociali nei piccoli contesti, implementando il sistema sociale, la banda larga, la capacità amministrativa». E, nel caso del nostro territorio, che venga tutto – non solo Ferrara – considerato «per le sue forti capacità di attrazione turistica e per l’importanza  dei Distretti rurali». C’è bisogno – ha concluso Bernabei – che il Ferrarese «venga davvero considerata come una “Zona Economica Speciale”, oggetto cioè di interventi mirati. La Zona Logistica Semplificata non è più sufficiente».

Altre due proposte per creare ricchezza nel nostro territorio, le ha date Giuseppe Ferrara (Cds): la prima e più importante sarebbe quella di dar vita a un Polo Tecnologico Nazionale per il riciclo integrale dei rifiuti plastici. «A Ferrara esistono tutte le competenze per farlo: la plastica è un materiale molto leggero e molto resistente e facilmente riciclabile facendo tornare virgin-nafta (il semilavorato dalla raffinazione del petrolio) i prodotti finiti e usati». La stima di 70 miliardi di mascherine chirurgiche prodotte solo nell’ultimo biennio a livello mondiale a causa della pandemia, dovrebbe davvero farci riflettere dell’importanza di riciclare non solo per la tutela dell’ambiente ma anche per non sprecare un prodotto così riutilizzabile.

La seconda proposta, legata a questa, riguarda la creazione di un Museo della Plastica a Ferrara, vista l’importanza che questa ha nella nostra economia locale.

Delta del Po come risorsa

Oltre 54mila ettari, di cui quasi la metà valli e lagune salmastre, oltre a paludi d’acqua dolci, boschi e spiagge:è questo il Parco del Delta del Po dell’Emilia-Romagna, presentato  da Aida Morelli, Presidente dell’Ente di gestione per i Parchi e la Biodiversità del Delta del Po. Nove Comuni in tutto, da Goro a Cervia, si tratta di una delle aree naturalistiche più importanti del mondo ed è «un esempio di una terra potenzialmente molto ricca ma che in molti casi, soprattutto nel Ferrarese, poco valorizzata».

Disuguaglianze sociali: il Centro di Ascolto dell’UP Borgovado

È stata Patrizia Di Mella a presentare il progetto nato dieci anni fa a Ferrara. Una dozzina di volontari (perlopiù insegnanti e medici, più o meno in pensione), senza alcuna “piramidalità” che aiuta un centinaio di persone le quali, una volta al mese, ogni mese, vengono a ritirare la spesa con i beni forniti dal Centro di Solidarietà e Carità. Lo Sportello di ascolto è aperto due ore il martedì mattina, «perché per noi – ha spiegato – centrale è arrivare alla persona, anche al di là del suo bisogno economico: cerchiamo di aiutarli anche nell’affrontare questioni come la ricerca del lavoro, della casa o il pagamento delle bollette. Anche così si può iniziare a dar vita a una vera integrazione, a una socializzazione. Stiamo – ha concluso – lavorando per unire tutti i Centri di ascolto presenti in città, perlopiù nelle parrocchie».

Storia e bellezza da valorizzare

Infine, Paolo Micalizzi ha presentato il cinema di don Massimo Manservigi, nostro Vicario Generale, ed è stato proiettato il suo documentario “Appunti e visioni per una Città e la sua Cattedrale”, visibile in Duomo in occasione della mostra sui restauri. Un esempio, questo, della bellezza di Ferrara e della sua ricchezza dal punto di vista storico-artistico, che andrebbe maggiormente valorizzato.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 23 dicembre 2022

La Voce di Ferrara-Comacchio