
A Santo Spirito la proiezione del commovente documentario “Cutro Calabria Italia”. I corpi dei bambini, i detriti, le grida. E quelle rose che spuntano, quei volti di carità
di Andrea Musacci
«La morte è stata sommersa nella vittoria». (1Cor 15, 54)
Il racconto si apre col buio squarciato dalla dolcezza della luna e – da una barca – con gli occhi di una donna sgranati a intuirvi speranza. E si chiude con altri occhi, quelli «azzurri» dell’Alì di Pasolini: «Saranno / con lui migliaia di uomini / coi corpicini e gli occhi / di poveri cani dei padri / sulle barche varate nei Regni della Fame».
Una forte ma discreta commozione ha attraversato la sala del Cinema Santo Spirito di Ferrara la sera del 21 febbraio scorso, in occasione della proiezione – in contemporanea con oltre 50 Sale della Comunità in tutta Italia – del documentario “Cutro Calabria Italia”.L’evento organizzato dall’ACEC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) – e patrocinato da Fondazione Migrantes e Ufficio Nazionale CEI per le Comunicazioni Sociali -, per commemorare il secondo anniversario della tragedia di Cutro, ha visto in via della Resistenza un’80ina di partecipanti.
La notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 a Steccato di Cutro (Kr), persero la vita 94 persone, tra cui 34 minori. L’imbarcazione, partita dalla Turchia e carica di oltre 180 migranti provenienti da Afghanistan, Pakistan, Siria, Somalia e Iraq, si infranse contro gli scogli a pochi metri dalla costa calabrese.
In collegamento con le Sale, S.Spirito compresa, il regista Mimmo Calopresti: «il migrante è una persona che ha bisogno di te, non una di cui non fidarsi», ha detto. «Ho scelto di fare questo documentario per non dimenticare ma anche per raccontare la reazione di carità di tanti calabresi». Collegato anche il Sindaco di Cutro Antonio Ceraso:«lo abbiamo vissuto come un lutto di famiglia», sono state le sue parole. «A Cutro siamo già nella fase di integrazione dei migranti e dello scambio culturale con loro. Ho deciso anche di creare un cimitero islamico, e in una posizione non periferica: a migliaia da tutta la nostra Regione avevano offerto ognuno un loculo per le vittime».
A S. Spirito era presente anche mons. Gian Carlo Perego, nostro Arcivescovo e Presidente Fondazione Migrantes, intervenuto anch’egli in collegamento con le altre Sale: «una serata come questa – ha detto – è importante non solo per la memoria dei drammi passati, ma anche per ricordarci come purtroppo ciò avvenga ancora».
«Il film ci abitua anche a non banalizzare tragedie come queste, a non abituarsi – come si rischia sentendo sempre le notizie dei tg – ai morti in mare», ha invece detto l’ex Ministro Patrizio Bianchi (titolare Cattedra Unesco educazione, crescita ed eguaglianza a UniFe).«Oggi è sempre più forte una sistematica e continua educazione all’odio».
SE GESÙ PASSA SU QUELLA SPIAGGIA
Ma un modo per combattere contro questo odio strisciante e sempre più sfacciato e volgare, è, ad esempio, quello di guardare le immagini di quella spiaggia maledetta: quello straccio – forse un vestito – che galleggia sull’acqua, i detriti sulla rena, i corpi che riaffiorano.E poi quei vestitini e quei giocattoli di bimbe e di bimbi, e la fila di sacchi bianchi sulla sabbia, poi sostituiti dalle bare dentro il palazzetto dello sport, con le urla strazianti dei famigliari delle vittime a squarciare ancora quel cielo che pare lontano.
Dicevamo di Pier Paolo Pasolini: in queste terre trovò la Maria del suo Vangelo secondo Matteo (la giovane crotonese Margherita Caruso) e altri volti per il suo film, oltre a luoghi nei quali girò alcune scene (i calanchi di Cutro e la spiaggia delle Castella, frazione di Isola di Capo Rizzuto). E proprio del Vangelo pasoliniano, Calopresti mostra un frammento di sequenza molto suggestivo, quandoGesù chiama Simone e Andrea: «Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,18-22). La proposta assoluta è sempre la stessa: aiutate i vostri fratelli e sorelle a salvarsi, e solo così anche voi troverete la salvezza. Nella carità e nella fede, nell’abbandono e nella sequela a Cristo, troverete il Regno. Perché in quel mare, su quella spiaggia, l’ultima parola non l’ha il maligno con la sua tempesta che sembra inghiottire nel nulla corpi, sorrisi, speranze.
Là in quell’angolo d’Italia – come nel documentario di Calopresti – vedi che quei detriti si trasformano in una croce di legno e uno squarcio, nel cielo, di nuovo ricompare. Ora anche le rose rosse possono “crescere” e vibrare al vento su quella spiaggia. Quelle urla strazianti non risuonano più nel vuoto, anche le lacrime dei soccorritori, prima ricacciate a forza dal vento e dall’urgenza, ora possono tramutarsi in lode, memoria, abbraccio.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 febbraio 2025
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Le nostre città spesso si trasformano, o vengono vissute come spazi anonimi, freddi, disegnate non sulle persone e i loro bisogni ma seguendo logiche diverse, divenendo così ambienti dove a dominare sono la diffidenza reciproca e l’individualismo. Uno sguardo diverso sulla città è dunque quello che riesce a immaginarla come luogo vivo, non mero spazio utilizzabile, e dunque costruire un futuro differente, fatto anche di incontri, di interazioni tra diversità. Ferrara, dal 12 al 14 dicembre, ha ospitato per la prima volta il VII Convegno Nazionale di Antropologia Applicata, organizzato dalla Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA), con l’Università degli Studi di Ferrara e l’Associazione Nazionale Professionale Italiana di Antropologia (ANPIA), e il patrocinio del Comune. Un’occasione per uscire dall’autoreferenzialità accademica e spendere le competenze acquisite in ambiti specifici di lavoro (accoglienza, scuola, socio-sanitario e altri). Anche l’Istituto “Casa Cini” ha ospitato alcuni incontri, in particolare il 12 quello dal titolo “Luoghi comuni. Uno sguardo sulla città”, legato alle quattro esposizioni fotografiche – sul tema dell’accoglienza dei migranti – che hanno “invaso” i vari ambienti della sede di via Boccacanale: “Luoghi Comuni” (esposta anche al festival di “Internazionale”), con foto delle attività per l’integrazione realizzate dalla coop. CIDAS nell’ambito dei progetti SPRAR/SIPROIMI (per titolari di protezione Internazionale e per i Minori stranieri non accompagnati) per persone vulnerabili a Ferrara e a Bologna; “A casa loro. Ri-tratti di famiglia”, con foto di Michele Lapini delle famiglie che accolgono i rifugiati nelle loro case, nell’ambito del progetto Vesta; “Futuri Prossimi” (esposta anche al festival di “Riaperture”) che racconta l’idea di passato, presente e futuro delle ragazze e dei ragazzi, tra cui richiedenti asilo e rifugiati, che hanno partecipato al laboratorio organizzato da “Riaperture”, curato da Giacomo Brini; infine, “Bologna d’aMer”, collettiva su Bologna realizzata attraverso gli sguardi di chi giunge da lontano. Maria Luisa Parisi (CIDAS) e Brini hanno illustrato le mostre allo stesso Vescovo mons. Gian Carlo Perego. “E’ un esempio positivo di coesione tra le persone”, ha spiegato Brini, spiegando come “centrale sia il tema del futuro. E’ stato, quello per ‘Riaperture’, un laboratorio umanamente molto importante”. “Il nostro intento – hanno spiegato i rappresentanti di CIDAS – era di incrociare lo sguardo dei migranti col nostro sguardo, il loro sguardo su loro stessi e su noi, sulla città che insieme viviamo. Un altro aspetto importante – hanno proseguito – è stato l’averli aiutati a riappropiarsi delle parole, attraverso la riscoperta di storie e favole tipiche dei loro Paesi d’origine. L’idea è di ricavarne un libro per bambini. Per noi, città e corpi dei migranti sono strettamente intrecciati, preferiamo per questo parlare di ‘interazione’ più che di ‘integrazione’ ”. Mons. Perego, nell’elogiare questi progetti virtuosi di accoglienza diffusa, ha ricordato invece un esempio negativo di accoglienza, quando nel 2014 150 migranti minori furono radunati, appena sbarcati in Italia, tra l’altro senza mediatori culturali, nella scuola “Verdi” di Augusta a Palermo. “Il differenziare volti e storie – ha spiegato – è un passaggio fondamentale, e progetti come i vostri sono molto importanti per valorizzare le capacità di ogni singola persona migrante: loro, infatti, possono rappresentare un vero e proprio tesoro, che sta già trasformando le nostre città, anche per combattere le frequenti falsificazioni: ogni ragazzo ha una storia, una storia che cambia la città. Nella mia lunga esperienza con i migranti – ha concluso -, ho letto circa 15mila testimonianze, e la parola più ricorrente è ‘futuro’. Il loro e il nostro futuro passano quindi anche dall’incontrarci reciprocamente”. Durante l’iniziativa è intervenuto anche Luca Mariotti di CIDASC per spiegare il progetto “Migrantour” svoltosi di recente a Ferrara. Alcuni incontri del Convegno si sono svolti nella Sala del Sinodo del Palazzo Arcivescovile, fra cui quello sul tema “Rifugiati e richiedenti tra spazi urbani e non urbani: processi, dinamiche e modalità di accoglienza in Italia e nel mondo”, per ragionare sul rapporto tra città, urbano/non urbano e forme di vivere migrante dentro e fuori dal sistema di accoglienza. Maria Carolina Vesce, tra gli altri, ha presentato una ricerca-azione sull’accoglienza di persone transessuali e transgender titolari di protezione internazionale a Bologna. “Nello spazio della casa e nei luoghi della città le persone trans esprimono il loro genere ispirandosi a modelli socio-culturali diversi – ha detto Vesce – che l’antropologia può aiutare a comprendere ed esplorare. La sfida sta nel costruire politiche di intervento orientate ai bisogni, che tengano conto delle diverse esperienze di queste persone, dei loro desideri e delle loro aspirazioni”.
Ambienti periferici di grandi città, spesso oggetto del racconto mediatico/politico come meri quartieri degradati e abbandonati. Due giovani ricercatori hanno invece deciso di raccontarne cinque (lo Zen di Palermo, San Siro a Milano, Tor Bella Monaca a Roma, Arcella a Padova e Bolognina a Bologna) incontrando direttamente chi ci abita, cercando di cogliere la loro relazione con gli spazi urbani che vivono. Da questo è nato il volume “Quartieri. Un viaggio al centro delle periferie italiane”, presentato il 12 dicembre in occasione del Convegno di Antropologia Applicata nella Libreria Feltrinelli di via Garibaldi a Ferrara. I curatori del volume corale, e autori di uno dei cinque racconti, Adriano Cancellieri (sociologo urbano all’Università IUAV di Venezia) e Giada Peterle (che insegna Geografia all’Ateneo patavino), ne hanno discusso con Roberto Roda, per tanti anni Responsabile del Centro Etnografico del Comune di Ferrara. Dopo un’approfondita analisi di quest’ultimo su vari aspetti del volume, ad esempio sul rapporto tra ricerca etnografica, fotografia e graphic novel, ha preso la parola Peterle, per raccontare il lavoro svolto insieme a Cancellieri ad Arcella. Il capitolo sul quartiere di Padova è nato unendo ricerca sul campo, interviste, ricerche etnografiche, partecipazione attiva a certe trasformazioni, e il racconto di tutto ciò attraverso il testo (Cancellieri) e il fumetto/graphic novel (Peterle). “Lo stile realistico usato – ha spiegato la ricercatrice – è stata una scelta ben precisa, come anche l’idea di inserirci noi stessi come personaggi nei racconti, la cui voce narrante è proprio quella del quartiere coi suoi abitanti. Abbiamo anche scelto il cammino come metodo, svolgendo molte interviste camminando, potendo così meglio incontrare le persone interessate”. “All’Arcella di Padova, dove io abito da anni e Giada ha abitato per diverso tempo – ha spiegato Cancellieri – abbiamo cercato di andare oltre due raffigurazioni speculari ma entrambe errate: quella che lo racconta come un quartiere solo degradato, e quello invece che lo presenta come sempre ricco ed effervescente di iniziative”. Un lavoro lodevole, che sarebbe importante svolgere anche in determinate zone della città di Ferrara.
Quel che da un lato è un indubbio reciproco arricchimento, ormai perlopiù pacifico e consolidato, dall’altro rappresenta una sofferenza per tante persone, per chi deve partire e per chi rimane, lasciando spesso a centinaia di chilometri di distanza, mogli, mariti, figli, genitori e amici. E’ l’ormai crescente spopolamento che interessa diverse aree del nostro Meridione, in direzione Nord Italia, semplicemente per lavoro. Abbiamo scelto di parlarne raccogliendo un po’ di dati e alcune testimonianze di una categoria specifica, quella delle insegnanti “costrette” dal Sud a venire nella nostra provincia per poter lavorare nel mondo della scuola.