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Con gli ultimi per le strade del Brasile

4 Nov

Fino al 29 novembre a Ferrara l’annuale Mercatino della Fantasia organizzato da don Sibani per finanziare progetti solidali nel Paese dell’America Latina: quest’anno in mostra le storie e le voci dei “senzatetto”, i “moradores de rua”. Abbiamo anche incontrato i quattro giovani missionari brasiliani che rimarranno fino a dicembre nella nostra Diocesi

sibani e ragazzi 2“Dio mi ha liberato dalla prigione”, spiega Eli, 39 anni, alcolista, che una sera, appena ha visto un sacerdote venire da lei e dagli altri “invisibili”, gli ultimi degli ultimi nelle città brasiliane, per aiutarli, pur non conoscendolo, gli è corso incontro e lo ha abbracciato. Quel sacerdote è don Roberto Sibani, che da 25 anni a Parauapebas, nello Stato brasiliano del Parà, porta avanti il progetto del “Cammino di fraternità”, in aiuto alle diverse realtà di povertà e di sofferenza estreme. L’estate scorsa ha trascorso i consueti due mesi nel Parà, fra giugno e agosto. Anche quest’anno, per finanziare alcuni progetti specifici, dallo scorso 31 ottobre fino al prossimo 29 novembre organizza il Mercatino della Fantasia nel Mercato coperto di via Boccacanale di S. Stefano a Ferrara (entrata da via del Mercato, 7, sotto il porticato), dedicato in particolare ai “moradores de rua”, letteralmente “coloro che vivono per strada”, i “senzatetto”.

I quattro giovani missionari: Elayne, Rosinha, Thainan e Renato

Ad aiutarlo quest’anno, oltre ad alcuni parrocchiani e parrocchiane di Pilastri e Burana, ci sono quattro giovani missionari brasiliani: due maschi, Thainan Mendonca e Renato Barreto, e due femmine, Elayne Fantin Fracalossi (tre dei suoi nonni sono italiani, di Pordenone e del Trentino) e Rosinha Favalessa (qui in Italia con don Sibani per il secondo anno consecutivo), provenienti dallo Stato Espírito Santo, nella parte sudorientale del Paese. Per la precisione, Rosinha e Elayne provengono dalla città di Linhares, mentre Renato e Thainan da Cachoeiro de Itapemirim. Sono arrivati ospiti di don Sibani lo scorso 11 settembre e rimarranno fino al 10 dicembre. “Per ora abbiamo avuto modo di fare tre giorni di ritiro spirituale ad Assisi e di visitare Padova e Venezia. La nostra quotidianità – ci spiegano – è fatta di animazione della S. Messa, di serate con i ragazzi del catechismo, di attività con i bambini, come la Festa del “ciao” insieme ai giovani di Pilastri – e di incontri coi genitori. Inoltre, portiamo l’Eucarestia a chi non può venire a Messa e visitiamo le famiglie”. Attività, quest’ultima – come del resto le altre – che molto spesso svolgono, come Ministri formati, in Brasile, in quanto, ci spiegano, “spesso i sacerdoti non sono sufficienti per portare sempre l’Eucarestia e la Parola di Dio a tutte le famiglie e le persone che vivono sparse nelle vaste zone del nostro territorio”. Fino a pochi mesi tutti e quattro vivevano in una comunità dove a tempo pieno si dedicavano alla missione in varie zone del Brasile. Poi la comunità è stata chiusa e ora faticano a trovare un lavoro: Elayne, ad esempio, è laureata in psicologia, e, ci spiega, “il mio sogno è di avere anche la cittadinanza italiana e magari di venire a vivere qui in Italia”. Rosinha, invece, è laureata in estetica del corpo e vorrebbe lavorare in questo ambito. Parlando poi del modo di vivere l’appartenenza religiosa nel loro Paese e nel nostro, ci spiegano come “in Brasile è diffusa l’idea che in Italia siate tutti cattolici e praticanti, ma venendo qui abbiamo capito che non è più così, e che lo è sempre meno. In Brasile, invece, è diverso: moltissimi sono anche i giovani e gli adolescenti che svolgono attività nelle parrocchie e nelle comunità, nonostante le chiese evangeliche stiano prendendo sempre più piede, e a volte, purtroppo, somiglino più ad aziende interessate a fare soldi che a comunità ecclesiali”.

La mostra sulle vite “barcollanti” dei “moradores de rua”

Nel Mercatino di Ferrara don Sibani ha scelto di appendere anche, oltre ai pannelli, alcuni oggetti, fra cui un pezzo di cartone e una bottiglia di Cachaca 51, un liquore brasiliano: come reliquie della sofferenza, sono rispettivamente l’alcova e la misera consolazione dei tanti “moradores de rua”, costretti spesso a lavarsi in fiumi e canali putridi, a prostituirsi per pochi spiccioli, a cadere nella trappola dell’alcool e delle droghe (il crack, e la maconha, ovvero la marijuana). Nella copertina della mostra a loro dedicata (di cui è disponibile anche un catalogo), don Sibani ha scelto di metterci il volto di Gabriel, che per anni ha girato a piedi scalzi a Parauapebas, per questo era chiamato “Andarilho”: “una persona innavicinabile – ci spiega -, finché Lima Rodrigues, un giornalista, l’ha aiutato a ritrovare la propria famiglia. Pochi mesi dopo, però, il 2 febbraio scorso, è morto di infarto”. Per poter conoscere e aiutare questi senzatetto, don Sibani ha contattato due gruppi che li aiutano, due “unità di strada”: i “Guardiani dell’amore”, nato un anno fa e guidato da Ana Paula Alves, e il CEMAP (Centro di Missione “Amando il Prossimo”) della pastora evangelica Aldeane “Mel” Nascimento. “La prima sera – ci racconta – Ana Paula mi ha accompagnato da alcuni ‘moradores de rua’: ho conosciuto, cenato e pregato con Fabrini, Natanael e Devid, che erano contentissimi perché per la prima volta un sacerdote cattolico andava da loro”. Poi ha avuto modo di parlare anche con Luiz Felipe, Valdecir, Valerio, Adeilson, Josemar e Antonio Carlos, persone dai 17 ai 55 anni, le cui vite “barcollanti” sono raccontate in prima persona nella mostra e nel catalogo. A tanti di loro don Sibani ha donato anche alcune magliette e cappellini delle passate edizioni di “Ragazzinfesta”, a sua volta regalategli dal Seminario di Ferrara. E poi c’è il CEMAP della pastora Mel che, ci spiega don Sibani, “li ascolta, prepara loro la cena, prega con loro”, spesso trovandoli ubriachi marci davanti all’Ospedale, come nel caso di Riomar, Narco, Josè, Rafael, Leandro, Domingos e di una donna, Eli, di cui abbiamo accennato prima: “la prima volta che l’ho conosciuta, sembrava quasi morta da quant’era ubriaca”, prosegue don Sibani: “appena mi ha visto, mi è venuta incontro e mi ha abbracciato, perché si è sentita accolta. Sono rimasto sconvolto”. Altri “moradores de rua” il sacerdote li ha conosciuti nella comunità “Fazenda da Esperanca”, aperta lo scorso febbraio su una collina fuori Parauapebas, e dove le cure fisiche si accompagnano a quelle spirituali. “Quasi tutte le persone che ho incontrato – ci spiega ancora don Sibani – hanno ancora ben presente la realtà di Dio, che è rimasta, nonostante tutto, nei loro cuori”. Proprio il Mercatino della Fantasia aperto a Ferrara fino al 29 novembre serve a raccogliere finanziamenti per costruire la cucina e il refettorio della “Fazenda da Esperanca”. Qui altri progetti riguardano un piccolo allevamento di galline per le uova e un panificio dove già vengono prodotti biscotti. Il 21 e 22 giugno scorsi, invece, è stato inaugurato il salone di 360 mq denominato “Fest Sole Lua” e presentato il restauro della Casa della Pastorale dei Bambini a Parauapebas, resi possibili con i soldi ricavati dal Mercatino della Fantasia del 2018. Si tratta dell’ultimo delle decine di progetti portati a termine in questo quarto di secolo grazie al ricavato dei Mercatini e della raccolta dell’oro, che prosegue, e che conta già quasi 1300 donatori.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” dell’8 novembre 2019

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Grido della Terra, grido degli ultimi: riflessione sul Sinodo per l’Amazzonia

30 Set

Alcuni spunti a partire dalle parole chiave del Sinodo per l’Amazzonia, in programma dal 6 al 27 ottobre in Vaticano: le lotte dei poveri della Regione, l’aiuto della Chiesa, la necessità di una conversione integrale

a cura di Andrea Musacci

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Una perenne minaccia

“La Terra, Casa comune, nostra sorella “protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla”

(Papa Francesco, Laudato si’, 2)

Solo pochi mesi fa, Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, in un discorso al Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu a Ginevra, ha definito la deforestazione in Amazzonia ”una catastrofe umanitaria” per le popolazioni indigene che vivono nella foresta, con ”un impatto terribile per tutta l’umanità”. Gli incendi – ancora più terribili per via della loro natura dolosa – sono in aumento: 1700,8 km quadrati sono stati persi solo lo scorso agosto, più del triplo rispetto ai 526,5 di un anno fa. La deforestazione dell’Amazzonia nell’estate appena trascorsa è cresciuta del 300% ad agosto rispetto allo stesso mese del 2018, e di quasi il 100% nei primi otto mesi del 2019. Gli esperti prevedono che possano superarsi i 10mila chilometri quadrati di vegetazione rasa al suolo. Le cause, come denunciato da attivisti e dalla stessa Chiesa, sono da rintracciare nella logica divoratrice e violenta di un sistema economico che ragiona solo in termini di profitto, spalleggiato dalla connivenza di un sistema politico corrotto: allevamenti intensivi, monocolture (soprattutto soia), estrazioni minerarie incontrollate, legname, tutto rientra in questo vortice distruttivo e autodistruttivo, del quale tutti pagheremo, in misura sempre maggiore, le conseguenze. “Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso”, è scritto nella Laudato si’, 194. E’ notizia di due settimane fa, il progetto “Barone di Rio Branco” – rivelato dalla testata “The Intercept” – preparato dal governo brasiliano, che ”prevede incentivi per grandi lavori pubblici (costruzione di una centrale idroelettrica, estensione dei collegamenti autostradali e postamento di popolazione verso la regione) che attraggano popolazioni non indigene di altri regioni del Paese, perché si stabiliscano in Amazzonia e aumentino il contributo del Nord del Paese nel Pil nazionale”. L’obiettivo di Bolsonaro è di opporsi a quello che percepisce come il pericolo di una penetrazione cinese e all’influenza della Chiesa cattolica e degli ambientalisti.

Ma non manca nella stessa Chiesa un’autocritica profonda: “chiedo umilmente perdono – sono parole del Papa -, non solo per le offese della propria Chiesa, ma per i crimini contro le popolazioni indigene durante la cosiddetta conquista dell’America” (“Terra, casa, lavoro”, Papa Francesco, ed. Ponte alle Grazie, 2017 – di seguito: TCL). La sfida della Chiesa intera e di tutte le donne e gli uomini di buona volontà, è dunque quella di salvare il territorio amazzonico dal “degrado neocolonialista” (Instrumentum laboris 56 del Sinodo – di seguito: IL), da questo “modello di sviluppo economico predatore, genocida ed ecocida” (IL). Bisogna “sensibilizzare la comunità alle lotte sociali, sostenendo i diversi movimenti sociali per promuovere una cittadinanza ecologica e difendere i diritti umani” (IL 135). “La causa più profonda della crisi mondiale socio-ambientale è strettamente collegata con il modello dominante di sviluppo che il mondo ha adottato” (“Il Sinodo per l’Amazzonia”, Claudio Hummes, ed. San Paolo, 2019 – di seguito: H), per questo il Sinodo “affronterà la sfida di formulare e promuovere nuovi modelli di sviluppo” (H). I tanti attivisti dimostrano come “i poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa! […] I poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti” (TCL – I° discorso ai movimenti). Lotta che spesso ha il prezzo della vita: non si contano ormai gli attivisti caduti per difendere l’Amazzonia, spesso trucidati da bande armate al soldo di qualche imprenditore o potente locale.

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“Dal dentro e dal basso”

Sono diversi i motivi per i quali l’Amazzonia può rappresentare un laboratorio per l’intera Chiesa universale. Quest’ultima, infatti, può e deve imparare da questi popoli. Può imparare a decentrarsi, a fare spazio e a salvare luoghi, comunità, ricchezze. “L’Amazzonia – o un altro spazio territoriale indigeno o comunitario – non è solo un ubi (uno spazio geografico), ma anche un quid, cioè un luogo di significato per la fede o l’esperienza di Dio nella storia. Il territorio è un luogo teologico da cui si vive la fede ed è anche una fonte peculiare della rivelazione di Dio. Questi spazi sono luoghi epifanici dove si manifesta la riserva di vita e di saggezza per il pianeta, una vita e una saggezza che parlano di Dio” (IL 19). Può e deve imparare ad ascoltare quella Chiesa periferica, povera, spesso dimenticata, non condannandola ad attendere in eterno che qualcun altro, dal centro, gli “consegni” le parole da pronunciare: “ascoltare implica riconoscere l’irruzione dell’Amazzonia come nuovo soggetto. Questo nuovo soggetto, che non è stato sufficientemente considerato nel contesto nazionale o mondiale né nella vita della Chiesa, è ora un interlocutore privilegiato” (IL 2). È dunque importante “un processo di conversione ecologica e pastorale per lasciarsi interrogare seriamente dalle periferie geografiche ed esistenziali” (IL 3). Periferie che sorprendono, spronandoci a trasformarci: la visione dei popoli indigeni è quella del “buon vivere”, cioè di “vivere in armonia con sé stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l’essere supremo” (IL 13). Fin dalla Conferenza di Aparecida del 2007, spiega Papa Francesco, “abbiamo acquisito una consapevolezza molto più viva dell’errore fuorviante del liberalismo americano, che si esprime nel principio: ‘tutto per il popolo, ma nulla con il popolo’ ” (“America Latina. Conversazioni con Hernán Reyes Alcaide”, Papa Francesco, ed. San Paolo, 2019 – di seguito: AL). “Non esiste – prosegue nell’intervista – cambiamento reale e duraturo se non parte ‘da dentro e dal basso’. Questa è la chiave dell’Incarnazione […]. Purtroppo anche alcuni settori della Chiesa sono incapaci di capire questo dinamismo” (AL). Si chiede dunque “di approfondire una teologia india amazzonica già esistente, che permetterà una migliore e maggiore comprensione della spiritualità indigena per evitare di commettere gli errori storici che hanno travolto molte culture originarie” (IL 98). La vita quotidiana dei popoli indigeni, infatti, “è testimonianza di contemplazione, cura e rapporto con la natura. Loro ci insegnano a riconoscerci come parte del bioma e corresponsabili della sua cura oggi e nel futuro” (IL 102). È dunque importante “riconoscere la spiritualità indigena come fonte di ricchezza per l’esperienza cristiana” (IL 123).

Una Chiesa dal volto amazzonico

“Attraverso l’ascolto reciproco dei popoli e della natura, la Chiesa si trasforma in una Chiesa in uscita, sia geografica che strutturale; in una Chiesa sorella e discepola attraverso la sinodalità” (IL 92), è scritto ancora nel documento presinodale. “Una Chiesa dal volto amazzonico”, “missionaria dal volto locale esprime l’avanzamento nella costruzione di una Chiesa inculturata, che sappia lavorare e articolarsi (come i fiumi dell’Amazzonia) con ciò che è culturalmente disponibile, in tutti i suoi campi d’azione e presenza” (IL 114). Di conseguenza, “il soggetto attivo dell’inculturazione sono gli stessi popoli indigeni” (IL 122); inculturazione che “non pregiudica la fede, ma arricchisce la sua comprensione e la sua pratica nella vita. Promuove la diversità nell’unità” (H). Infatti, “i semi di verità e di bene, che tutte le culture posseggono, dimostrano che da sempre Dio è stato presente in esse e si è manifestato attraverso le loro espressioni. Sono impronte di Dio che devono essere scoperte da parte dell’evangelizzatore” (H). “A volte mi rendo conto – sono parole di Papa Francesco – che non è facile dire che nella Chiesa non ci sono regioni di prima o di seconda classe, ma soltanto espressioni culturali diverse. In alcuni Paesi e in talune Chiese locali sembra che sia diffusa una certa qual percezione di superiorità” (AL). Superare questa supponenza significa passare da una “pastorale della visita” a una “pastorale della presenza” (IL 128): “è necessario passare da una ‘Chiesa che visita’ ad una ‘Chiesa che rimane’, accompagna ed è presente attraverso ministri che emergono dai suoi stessi abitanti” (IL 129).

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Nuovi sacerdoti e donne

A tal proposito, due sono i nodi delicati su cui si discuterà nel Sinodo. Il primo, riguarda la possibilità di ordinare sacerdoti alcuni indios sposati: “si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i Sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana” (IL 129). Il Sinodo, spiega Hummes, “dovrà affrontare una sfida di portata storica”, il fatto che “la grande maggioranza delle comunità periferiche delle città amazzoniche, ma ancora di più le comunità disseminate” ovunque, “e, in particolare, le comunità di indios soffrono della mancanza quasi totale dell’Eucarestia per vivere la propria vita cristiana. I momenti di culto domenicale, salvo rare eccezioni, non possono avere la celebrazione della Santa Messa, sono soltanto Liturgie della Parola. Non ci sono sacerdoti per celebrare la Messa” (H). L’altra questione riguarda la necessità di “identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che esse svolgono oggi nella Chiesa amazzonica” (IL 129). Una rinnovata conversione missionaria La posta in gioco è dunque molto alta, non riguarda solo l’Amazzonia, non riguarda solo il versante ecologico, e nemmeno solo la Chiesa. Riguarda l’intera umanità e l’uomo nella sua integralità. Se non ci si dimentica che “né il papa né la Chiesa hanno il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale né la proposta di soluzioni ai problemi contemporanei”, ma “la storia la costruiscono le generazioni che si succedono nel quadro dei popoli che camminano cercando la propria strada e rispettando i valori che Dio ha posto nel cuore” (TCL – II° discorso ai movimenti), “oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale […], per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (Laudato si’ 49). Una conversione, questa, doverosa per ogni cristiano: “dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera – scrive il Papa nella Laudato si’ – […], spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente […]. Manca loro dunque una conversione ecologica […]. Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana”. (Laudato si’, 217) L’auspicio è dunque che questa “conversione missionaria e pastorale sia realizzata dalla Chiesa nel mondo intero” (H) e che questo Sinodo possa “diventare un momento forte per riaccendere le speranze frustate e per superare i sentimenti di impotenza”, avendo “il compito di riaccendere la passione missionaria, rinnovare la certezza e la gioia della chiamata di Dio alla missione” (H).

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 04 ottobre 2019

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La pittrice Rosy Locatelli è deceduta in Brasile

8 Lug

rosy locatelliE’ deceduta lo scorso 28 giugno, ma la notizia è circolata solo nelle ultime ore, Rosy Locatelli, artista italo brasiliana, di origini lombarde, residente dal 2004 a Ferrara. La Locatelli, nata il 4 marzo 1969 a Japurá nello stato di Paraná, sud del Brasile, si trovava nella vicina località di  Maringá, nella quale aveva vissuto molti anni, in visita ai suoi famigliari. Si era sentita male all’improvviso dieci giorni prima della morte.

Autodidatta, Locatelli, in arte “Rosloca”, aveva iniziato a dipingere nel 2009, sperimentando l’uso di carta, stucco, cotone e garza oltre ai classici acrilici con i quali dava vita ad affascinanti opere fra l’astratto e l’informale.

Nel marzo del 2016 l’Idearte Gallery in via Terranuova, 41 a Ferrara, gestita da Paolo Orsatti scelse di ospitare la sua mostra personale di debutto, alla quale seguì, alcune settimane dopo, un’altra esposizione nel locale “Sottoscala Properly Drink“ di via Contrari, 52. Inoltre, tra gennaio e aprile dello scorso anno, aveva partecipato all’importante collettiva “Nei meandri della bellezza – In den meandern der schönheit”,  organizzata dall’associazione Accademia d’Arte Città di Ferrara-Galleria del Carbone di Ferrara in collaborazione con l’associazione Der Kreis di Norimberga presso il Deutsches Hirtenmuseum di Hersbruck. Diverse anche le sue mostre, personali e collettive, in altre parti d’Italia, tra cui Roma e in particolare Padova e provincia, grazie soprattutto alla proficua collaborazione con il Centro Accademico Maison d’Art di Padova.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Nuova Ferrara” il 7 luglio 2018

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Il mondo omaggia l’opera di Ariosto: eventi da Toronto a Copenaghen

14 Ott
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Ritratto dell’Ariosto, Tiziano, 1515

Come sull’ippogrifo, l’Orlando furioso nel 500esimo anniversario vola nel mondo con tanti eventi fino a fine 2016. Ieri all’Accademia Carrara di Bergamo si è tenuto “Ariosto tra parole e immagini” ma gli omaggi spesso varcano sia i confini cittadini sia quelli nazionali. “The Orlando furioso from Print to Digital: Five Centuries of Reading Ariosto” è il nome del convegno che si terrà l’11 e 12 novembre al Centre for Reformation and Renaissance Studies della Victoria University di Toronto in Canada. Tra il 23 e il 27 ottobre a Fortaleza, in Brasile, avrà luogo il convegno “500 Anos de Orlando Furioso: o Renascimento traduzido no Brasil”. L’Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen organizza un convegno internazionale il 18 novembre all’Università di Copenaghen.

In Italia, la Società Dante Alighieri di Bergamo presenta il 10 novembre alle 17.30 Beatrice Gelmi, che relazionerà su “Astolfo sulla Luna”; stessa ora, il 18 novembre, Carla Caselli parlerà di “Ariosto e Calvino”. “I voli dell’Ariosto. L’Orlando furioso e le arti” è il nome della mostra visitabile fino al 30 ottobre a Villa d’Este a Tivoli, che celebra l’impatto esercitato dal poema fino a oggi sulle arti figurative.

Fino al 16 ottobre a Palazzo Besta a Teglio (Sondrio) si può visitare la mostra “Ariosto, Erasmo, Ortensio Lando. Cosa leggevano i Besta”, mentre nella Torre di Roncisvalle a Castionetto di Chiuro (SO), “Le donne, i cavallier… in scena!” Sempre a Chiuro, vi è una mostra del progetto “Di incanti e di follia. In Valtellina l’arte contemporanea incontra il Furioso”: a Palazzo Andres, sempre fino al 16, è visitabile “Fumetto e Grafica. I più famosi illustratori italiani interpretano l’Orlando Furioso”.

Eventi anche in Garfagnana: “L’Orlando curioso” è la mostra che inaugura il 23 ottobre a Porcari (LU), a cura della Fondazione Giuseppe Lazzareschi, mentre Antonio Possenti fino al 16 presenta “Altrove e altri luoghi. Occasioni e suggestioni dall’Orlando Furioso” alla Fortezza di Mont’Alfonso (LU).

Infine, dal 2 al 6 novembre le “Gesta dell’Orlando furioso” sarà in scena al Teatro Biondo di Palermo, e “Notte per me luminosa” è l’opera che il 2 e 4 dicembre sarà al Teatro Comunale di Modena.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 13 ottobre 2016

Ros Loca in mostra a Ferrara, ecco le immagini

8 Mar

[Qui il mio articolo uscito su la Nuova Ferrara]

Sarà visitabile fino al prossimo 20 marzo, tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19, la mostra di Rosy Locatelli, Ros Loca, all’Idearte Galley in via Terranuova, 41 a Ferrara.

Qui sotto le immagini di alcune delle opere esposte, visitabili a ingresso libero e gratuito.

Andrea Musacci

All’Idearte Gallery il Sud America diventa arte grazie a Ros Loca

8 Mar
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Una delle opere in mostra

L’estro giocoso e anarchico del Sud America prende vita in una ricca pittura informale. È stata inaugurata sabato la mostra personale di Rosy Locatelli, residente a Ferrara, il cui sangue si divide tra le origini italiane (precisamente lombarde) e quelle brasiliane, nello specifico dallo stato del Paraná, nel sud del Brasile. Il luogo che accoglie le sue opere è l’Idearte Gallery in via Terranuova, 41 a Ferrara, gestita da Paolo Orsatti, che ha scelto di mettere a disposizione le pareti del proprio spazio artistico per il debutto assoluto di quest’interessante creativa.
Rosy Locatelli, in arte Ros Loca, propone, dunque, una pittura gioiosa e viscerale, una ventina di opere, realizzate tra il 2013 e il 2015, nelle quali emerge l’impeto di una personalità travolgente. La sana e naturale “follia” di Ros Loca – che non ha frequentato nessuna scuola d’arte – si esprime tanto in linee imprevedibili, quanto in forme geometriche. In ogni caso, a dominare sono schegge o fulmini dei colori più vari, alternati in alcuni casi da tratti più morbidi e fluttuanti, che a sprazzi assumono accenni realistici.
La mostra è visitabile fino al 20 marzo tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara l’08 marzo 2016

Tre serate legate alla danza al Ristorante 381

1 Ott

Flag_of_Brazil.svgIl Ristorante “381 Storie da Gustare”, in Piazzetta Corelli, 24 a Ferrara, ha ideato tre serate legate alla stagione di Danza al Teatro Comunale di Ferrara. Alcune compagnie di danza provenienti da Brasile, Québec e Sudafrica si esibiranno al Teatro Abbado, e così il 381 ha pensato di dedicare tre serate a queste realtà. Si inizia oggi con la serata dedicata al Brasile. “Sapori e danze dal Brasile” vedrà una cena brasiliana accompagnata dal Gruppo di Capoeria Cordao de Ouro con una performance alle 21.

I prossimi appuntamenti sono il 13 novembre con “Assaggiamo il Canada!”, e il 4 dicembre con “Un salto in Sudafrica”. Prenotazioni allo 0532-62052.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 01 ottobre 2015