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«Virtù e fraternità per lottare contro il male che è in noi»: Enzo Bianchi al Festival della Filosofia

19 Set

“Se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta”. (Genesi 4, 7)

“La lotta spirituale è brutale quanto una battaglia fra gli uomini”. (Arthur Rimbaud, Una stagione all’inferno)

Esiste una lotta essenziale per ogni uomo, giovane o vecchio, ricco o povero, una guerra che va combattuta tutta la vita, fin dall’infanzia, contro le «pulsioni malefiche», quel male “accovacciato” alla porta del nostro cuore.

In occasione della 16° edizione del Festival della Filosofia, anche quest’anno svoltosi tra Modena, Carpi e Sassuolo nel fine settimana appena trascorso, ieri pomeriggio nella tensostruttura allestita in Piazzale Bartolomeo Avanzini a Sassuolo ha avuto luogo la lectio magistralis di Enzo Bianchi sulla “Lotta spirituale”, alla presenza di circa un migliaio di persone. Riprendendo, infatti, il tema dell’edizione di quest’anno, “Agonismo”, Bianchi, classe ’43, fondatore e priore della Comunità monastica di Bose a Magnano (Biella), in circa un’ora ha sviluppato una riflessione, sulla lotta contro il peccato, dalla chiara connotazione cristiana, ma recepibile da chiunque, anche dai non credenti. Un tema da lui approfondito, ad esempio, già nel libro Una lotta per la vita. Conoscere e combattere i peccati capitali (2012).

La lotta interiore è l’evento più significativo ma anche il più «disatteso», reso anacronistico e retorico dal «nichilismo imperante»: è, secondo Bianchi, quella lotta in cui l’uomo «oppone resistenza al male, combatte contro le pulsioni e le suggestioni del proprio cuore, che prepotentemente e aggressivamente emergono, assumendo il volto di tentazioni seducenti». La lotta spirituale rappresenta, ha riflettuto Bianchi, «un combattimento spirituale senza tregua, che non consente armistizi, una battaglia che dura fino alla fine della vita. L’edificazione umana è impossibile senza questa lotta, senza cioè il discernimento tra bene e male». Un combattimento per arrivare a una vita davvero degna, «a ciò che è autenticamente umano, che è anche autenticamente cristiano».

Richiamando anche uno scrittore come Cesare Pavese e il suo “mestiere di vivere”, Bianchi ha ribadito la necessità di lottare contro questo male che è in noi, contro «questa animalità che va domata, razionalizzata, contro questa pulsione egocentrica legata alla paura della morte».  Questo scontro nel nostro cuore è l’unico caso, ha proseguito Bianchi, di «guerra non armata, non violenta, ma le cui armi sono le virtù umani, giustizia, fiducia e carità, quelle energie donate da Dio». È un combattimento duro e imprevedibile, lo stesso di cui parlava anche San Paolo: “io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Lettera ai Romani 7, 19), quella “buona battaglia” (Seconda Lettera a Timoteo 4, 7).

Nello specifico, il relatore ha spiegato le tre pulsioni madre dalle quali scaturiscono tutti i peccati. La prima è la libido amandi, nel quale l’amore e l’eros, seppur nella loro bellezza e verità intrinseche, non accettano «il limite, la differenza e la distanza» necessarie. L’eros, invece, secondo Bianchi, «dev’essere esposto al rischio vitale dell’incontro con l’altro, col non-prossimo, il diverso, il lontano. Oggi invece – ha proseguito – è diffusa una sessualità leggera, poco impegnativa, quindi cosificata». Triste conseguenza di ciò è che «l’eros perde la sua intensità, l’importanza della comunione con l’altro, che viene ridotto a oggetto, a strumento», e non rispettato nel suo valore di persona.

Oggi si ha «un’assolutizzazione della pulsione sessuale, un mero incontro fra due narcisismi, di due egoismi, un’idolatria nella sfera erotica, vale a dire una fuga nell’immaginario, una sessualità spersonalizzata, senza alcuna valenza simbolica, virtuale e alienante, qualcosa di sempre più chiacchierato e ostentato, quindi banalizzato e ossessivo». La spietata ma sincera analisi di Bianchi porta anche a spiegare le purtroppo inevitabili conseguenze di tutto ciò in molti giovani: «impotenza, frigidità, senescenza precoce dei sensi».

Proprio per questo occorre «una disciplina della pulsione sessuale, esercitare all’ascesi umana, alla dilazione del desiderio». Più profondamente occorre rieducare al fatto che «il corpo non è ciò che l’uomo possiede, ma ciò che l’uomo è, e dunque vanno difesi la tenerezza dell’amore e il rispetto per l’altro, insieme al piacere».

La seconda pulsione madre è la libido possidendi, vale a dire una perversione e assolutizzazione del naturale desiderio umano di avere un rapporto con le cose, rapporto che si esprime soprattutto col lavoro e la cultura. Invece, questa «grande pulsione idolatrica, questa brama del possesso fine a sé stesso – ha proseguito Bianchi – porta a far diventare il quantificabile e il visibile i criteri più importanti». Quest’assolutizzazione è, oggi, «la vittoria del dio denaro, del capitale, della finanza, dell’accumulo sfrenato, della ricchezza ostentata», mentre, come ammoniva Gesù, “non potete servire a Dio e a Mammona” (Vangelo secondo Matteo 6, 24).

Infine, vi è la libido dominandi, «la pulsione del potere, l’affermazione totale di sé sugli altri, quella che richiede l’adorazione più totale, fino a esigere il sangue altrui», ha spiegato Bianchi. In ultima analisi, alla radice «ogni forma di idolatria è idolatria di sé, amore egoistico, per cui l’altro non è un dono, non è una salvezza contro l’isolamento, ma un ostacolo, un mero strumento». Tra le tentazioni, questa del potere, del dominio sull’altro è narrata nello stesso Vangelo come l’ultima delle tre, «come compimento delle altre» (cfr. Vangelo secondo Luca 4, 9-12).

In conclusione, a voler testimoniare come la lotta interiore, nonostante riguardi il cuore, l’intimità di ogni persona, non richiami però nulla di individualistico e solipsistico, Enzo Bianchi ha affermato come contro queste libido serva «la fraternità, la comunione, riscoprire cioè il valore della fratellanza per ricercare il bene comune».

Andrea Musacci

Remo Bodei, incontro all’Ariostea

30 Gen
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Remo Bodei

Prende avvio oggi alle 17 in Biblioteca Ariostea (via delle Scienze, Ferrara) il ciclo “Le parole della democrazia”, organizzato da Istituto Gramsci e Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara, con la lectio magistralis del filosofo Remo Bodei (1938) sul tema “Elogio della democrazia: ragioni e passioni”.  Bodei è uno dei più importanti filosofi europei, creatore e direttore scientifico del Festival della Filosofia di Modena.  È autore di libri e saggi tradotti in tutto il mondo, tra cui il trittico, fondamentale per capire l’itinerario dell’emergere della società degli individui nel tempo della modernità e della democrazia, composto da Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno, Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico e Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 29 gennaio 2016

Cacciari racconta la cabala attraverso Pico

21 Mar
Massimo Cacciari e Marco Bertozzi (foto d'archivio)

Massimo Cacciari e Marco Bertozzi (foto d’archivio)

Nell’affresco di luglio del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia sono raffigurate le nozze di Bianca d’Este con Galeotto della Mirandola, fratello del celebre Giovanni. Proprio a quest’ultimo, e proprio nel celebre Salone, ieri alle 18 si è svolta la presentazione del libro “Giovanni Pico della Mirandola. Mito, Magia, Qabbalah” di Giulio Busi e Raphael Ebgi. Massimo Cacciari e Marco Bertozzi si sono ritrovati per quest’ occasione nell’amato Palazzo estense del XIV secolo. Durante la sua giovinezza, Pico della Mirandola soggiornò, tra l’altro, anche a Ferrara. Qui, oltre a conoscere personalmente Girolamo Savonarola, ebbe come maestro e amico Battista Guarini, figlio del famoso umanista Guarino. Fu proprio lui, disse Garin, a fargli conoscere la filosofia. Cacciari ha elogiato il libro come di “eccezionale valore e grande novitá” riguardo al Rinascimento fiorentino, italiano ed europeo e allo “straordinario interesse” in questo periodo per le tradizioni cabalistiche. Nel caso di Pico, per capire le ragioni di questa “necessità della cabala” che egli sentiva fortemente, Cacciari è partito dal concordismo ficiniano come teoria – fondata sull’assunto del Cristianesimo come religione perfetta e definitiva – dalla quale il filosofo di Mirandola prende le distanze. Secondo quest’ultimo, il concordismo risultava insostenibile dal punto di vista teologico e filosofico: solo “la cabala coglie il vero rapporto tra unità e Uno”, in quanto “grande grembo in cui i distinti si riconoscono nella loro unità”, mantenendo il loro carattere di “manifestazioni necessarie dell’Uno”.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 21 marzo 2015

A Bonacossi convegno “Filosofia e scienza al femminile”

13 Nov

bonacossiA Palazzo Bonacossi (via Cisterna del Follo, 5) e la Biblioteca Ariostea (via Scienze, 17) a Ferrara nelle giornate di domani e sabato si svolgerà il Convegno internazionale sul tema “”Women’s Mind. Filosofia e scienza al femminile”. Il programma prevede domani alle 15 a Bonacossi i saluti di Matteo Galli, Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici e, a seguire, interverranno Pieranna Garavaso, Lorenzo Bernini, Olivia Guaraldo, Alberto Castelli, Vera Tripodi, Sandra Rossetti e Luciana Tufani. Sabato il Convegno proseguirà dalle 9.30 alle 12 presso la Sala Agnelli della Biblioteca.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 13 novembre 2014

Alla Biblioteca Ariostea si presenta “Filosofia dell’arte”

30 Set

downloadOggi alle 17 presso la Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea Maurizio Villani e Paola Marescalchi presentano il loro libro “Filosofia dell’arte” (2013). Giuliano Sansonetti dialogherà con gli autori sul tema della natura dell’arte e sul rapporto tra l’arte e il bello. Alle domande su “che cos’è l’arte” e “che cos’è il bello” sono, infatti, chiamati da sempre a rispondere filosofi ed artisti.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 30 settembre 2014

Condividere la cultura, grande bene comune

12 Gen

Bellatalla DeweyVenerdì scorso, nella tradizionale sede della Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea la prof.ssa Luciana Bellatalla dell’Università di Ferrara ha inaugurato il ciclo “Viaggio Nella Comunità dei Saperi. Istruzione e Democrazia”, organizzato dall’Istituto Gramsci e dall’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara. La docente ha iniziato la propria relazione, dedicata al tema “John Dewey, ovvero l’educazione per una società aperta e complessa”, partendo dalla riflessione sul rinnovamento della democrazia attraverso un nuovo rapporto tra individualità e collettività.

I saluti dell’Assessore alla Cultura Massimo Maisto, centrati sul binomio cultura-comunità, hanno preceduto l’introduzione di Daniela Cappagli e la presentazione di Fiorenzo Baratelli, presidente del Gramsci di Ferrara. Quest’ultimo nel suo intervento ha dedicato alcune riflessioni alle mancanze delle democrazie moderne (apatia, scarso senso civico, infantilizzazione dell’opinione pubblica) e ai requisiti dell’alfabetizzazione, della conoscenza, del senso critico e della condivisione, più che mai fondamentali in un sistema “aperto e complesso” come quello contemporaneo.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 12 gennaio 2014

(nella foto, da sx: Fiorenzo Baratelli, Massimo Maisto, Luciana Bellatalla, Daniela Cappagli)

Moschi e Miegge ricordano il filosofo francese Ricoeur

13 Nov

Moschi-Miegge

È stato Antonio Moschi a introdurre e coordinare l’incontro dedicato a Paul Ricoeur, svoltosi martedì 5 novembre alle 17 nella Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea. L’appuntamento, dal titolo “Paul Ricoeur: la vita come narrazione”, è stato organizzato in collaborazione con l’Istituto Gramsci e con l’ISCO di Ferrara, e ha visto come relatore il prof. Mario Miegge. Nel centenario della nascita del filosofo francese, scomparso nel 2005, Miegge ha tentato di spiegare il senso della frase: “Il filosofo ermeneuta è sempre di fronte a un fuori da sé”. In questo, infatti, risiede la svolta della filosofia ermeneutica rispetto al passato: non più la ricerca del “fondamento del mondo” ma un rapporto circolare tra soggetto ed oggetto.

Il punto di vista dell’ermeneuta, quindi, non è più oggettivo, ma si attua in un movimento di avvicinamento-distanziamento tipico del momento interpretativo. È attraverso questo processo, e passando anche per una critica “ermeneutica del sospetto”, che il soggetto si modifica, si costituisce. Attraverso la “narrazione”, il racconto nel tempo, è possibile, per il singolo o per il gruppo (ad esempio, il popolo d’Israele), compiere un autentico discorso sull’identità.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 13 novembre 2013

Il ricordo di Camus è vivo grazie a Baratelli e Sansonetti

12 Nov

Circa un secolo fa, il 06 novembre 1913, nacque uno dei più grandi scrittori e filosofi del Novecento, Albert Camus. L’incontro per ricordarlo, svoltosi giovedì 7 novembre alle 17 nella Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea, ha visto confrontarsi Giuliano Sansonetti, docente dell’Università di Ferrara e Fiorenzo Baratelli, presidente dell’Istituto Gramsci, che ha organizzato l’evento insieme all’ISCO di Ferrara. Proprio quest’ultimo ha incentrato la prima parte del suo intervento sulla coppia “assurdo – rivolta”. Per “assurdo”, ha spiegato Baratelli, si intende “la contraddizione tra l’irragionevolezza del mondo e il bisogno, tipico dell’uomo, di chiarezza, di dare un significato”. La filosofia per Camus non è la costruzione di un sistema astratto, ma la domanda sul senso dell’esistenza, sul fatto se la vita sia degna di essere vissuta. Sisifo è colui che è stato punito da Zeus a spingere un masso sopra la cima di un monte; masso che, per l’eternità, rotola giù, rinnovando all’infinito la pena di Sisifo. Per Camus mentre la seconda parte – il masso che cade ogni volta – è la sofferenza della coscienza, il fatto di poterlo riportare in cima è, invece la “rivolta” dell’uomo, rivolta che dev’essere sempre collettiva, mai solitaria (“io mi rivolto, dunque noi siamo”).

Camus AriosteaSansonetti si è invece soffermato su Camus come “uomo mediterraneo, in quanto tutta la sua opera è intrisa di questa sensibilità”, di questo amore per l’Italia, la Spagna, l’Algeria, sua patria. Questo amore per la terra è amore per la finitezza del reale, una profonda pietà per la condizione umana, con un senso del tragico di richiamo nietzschiano.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 12 novembre 2013

L’estetica del paesaggio nel cinema di Michelangelo Antonioni

19 Apr

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Martedì 9 aprile si è tenuta l’ultima conferenza del ciclo “Sinfonie Urbane. La ricerca di un posto nel paesaggio”,  a cura di Doris Cardinali, nell’ambito del Piano Michelangelo Antonioni. La conferenza, dal titolo “Finis terrae: i margini del mondo. L’estetica del paesaggio in Michelangelo Antonioni”, è stata tenuta dal prof. Andrea Gatti dell’Università degli Studi di Ferrara. Nella Sala Agnelli della Biblioteca Comunale Ariostea, dopo l’introduzione di Doris Cardinali, il docente ha spiegato come “la riflessione filosofica possa aiutarci ad analizzare i film di Antonioni”. In particolare si può notare rispetto ai suoi primi film il passaggio “da una visione pratica, concreta ad una visione estetica, ideale del paesaggio, da un certo neo-realismo ad un’accezione visionaria e astratta del paesaggio”. L’estetica del paesaggio come disciplina specifica è un’invenzione inglese del ‘700, anche se oggi è da molti considerata obsoleta. Il prof. Gatti ha proseguito esponendo la sua preferenza per la svolta internazionale nella filmografia antonioniana, quella, cioè, da Blow-up (1966) a Professione:reporter (1975). L’intervento si è concentrato su Zabriskie Point (1970): per il docente, innanzitutto, il regista ha scelto la Death Valley come paesaggio per questo film in quanto “luogo sublime e pieno di estreme contraddizioni che scuotono le nostre certezze”. È un luogo vivo e morto al tempo stesso, è un luogo sterile, ma dal quale può nascere una forza creatrice. Per concludere, nell’estetica del paesaggio di Antonioni il concetto di “margine” è un concetto molto presente. Egli, infatti, usa spesso “paesaggi che sono luoghi di margine”, in quanto in questi “può avvenire l’incontro tra opposti, tra reale e irreale, tra reale e immaginazione”.

Andrea Musacci

Il convegno internazionale sui “Caratteri” filosofici

27 Gen

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Ieri alla sala Agnelli della Biblioteca Ariostea si è svolta la prima di due giornate del convegno internazionale “Caratteri: filosofia e arte dell’espressione” (nella foto), a cura del Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Ferrara. Secondo il filosofo Nicola Abbagnano per “carattere” si intende sia “il segno, o l’insieme di segni, che contraddistingue un oggetto” sia “il modo d’essere o di comportarsi di una persona”. Il direttore del Dipartimento Matteo Galli ha introdotto la giornata ricordando gli studi di Elias Canetti sul tema. A seguire interventi di Paola Zanardi, Patrizia Castelli e Andrea Gatti. In particolare, la Zanardi ha ricordato il “carattere schivo e riservato di Giancarlo Carabelli – a cui è dedicato il convegno -, poco interessato al pubblico encomio”. Dal filosofo scozzese David Hume via alla seconda parte gli interventi di Eugenio Lecaldano della Sapienza di Roma ed Emilio Mazza dello Iulm di Milano. Oggi altri interventi dalle 9 alle 13.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 26 gennaio 2013