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Una rete che accompagna: povertà e ruolo della Caritas

9 Apr


Premio Stampa 2025 alla Caritas di Ferrara-Comacchio. Il 5 aprile convegno su povertà e informazione e cerimonia: «povertà in aumento, serve un nuovo paradigma socio-culturale»

Sempre più giovani, lavoratori e italiani: è questo il drammatico identikit dei nuovi poveri nel nostro Paese. Il Convegno “Vecchie e nuove povertà: il ruolo dell’informazione” svoltosi la mattina del 5 aprile scorso a  Palazzo Naselli Crispi a Ferrara, è servito anche a fare il quadro delle nuove povertà. L’incontro è stato organizzato da Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna, Assostampa Ferrara e Aser. Dopo la presentazione di Paolo Maria Amadasi (Presidente Associazione Stampa Emilia-Romagna), vi è stata l’introduzione da parte di Antonella Vicenzi (Presidente Assostampa Ferrara) e poi le relazioni di mons. Gian Carlo Perego (Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Presidente della Fondazione Migrantes), mons. Massimo Manservigi (Vicario nostra Arcidiocesi), don Marco Pagniello (Direttore Caritas Italiana) e Matteo Nàccari (giornalista economico, segretario aggiunto Fnsi). Quest’ultimo ha denunciato le basse retribuzioni spesso date ai giornalisti, la precarietà crescente nel mondo dell’informazione e i forti rischi derivanti dall’Intelligenza Artificiale. L’incontro moderato da Alberto Lazzarini (Vicepresidente OdG Emilia-Romagna) si è concluso con la consegna del Premio Stampa 2025 di Assostampa Ferrara alla nostra Caritas Diocesana. Nella parte conclusiva sono quindi intervenuti il nostro Arcivescovo (Presidente Caritas Diocesana), Stefano Ravaioli (Assostampa Ferrara), il Prefetto Massimo Marchesiello, la consigliera regionale Marcella Zappaterra, l’Assessora Cristina Coletti, il Presidente della Provincia Daniele Garuti, il Presidente del Consorzio Bonifica Pianura di Ferrara Stefano Calderoni (“padrone di casa”) e Michele Luciani, operatore Caritas Diocesana: «questo Premio – ha detto Luciani – è soprattutto dei nostri volontari, che lo sentono molto loro ma senza alcuna vanità: perché si sentono parte della comunità Caritas». Il premio consiste in un olio a tela realizzato dalla studentessa del Liceo artistico “Dosso Dossi” Martina Taddia, che rappresenta il Castello Estense su una pagina di giornale. Per l’occasione, è stato anche un proiettato un breve video dedicato ai volontari della nostra Caritas Diocesana.

MONS. PEREGO: FORME POVERTÀ

Mons. Gian Carlo Perego nel proprio intervento ha analizzato il Rapporto Povertà 2024 di Caritas Italiana: 1 italiano su 10 è in povertà assoluta, pari a quasi 6 milioni di persone, oltre 2 milioni di famiglie e al nord la povertà è raddoppiata. Aumenta anche la povertà legata alla giovane età e tra gli stessi lavoratori. Sono, poi, 270mila le famiglie aiutate daiCentri di Ascolto Caritas nella nostra Penisola, con un aumento del 5,4% (che è del 10% nella nostra Caritas Diocesana). Inoltre, si rafforzano le povertà intermittenti e quelle croniche, chi è già povero lo diventa ancora di più e cresce la povertà educativa. Aumentano anche le persone povere con malattie mentali o depressione. Riflessioni a parte le ha poi dedicate al problema del reinserimento lavorativo e sociale degli ex detenuti e alla necessità di reinvestire in case popolari, e di ripensare a una forma di reddito minimo.  

MONS. MANSERVIGI: STORIA CARITAS E RICORDO DI DON PAOLO VALENTI

Nel suo intervento mons. Manservigi ha ripercorso brevemente la storia della nostra Caritas Diocesan e in particolare ricordato lo storico Direttore don Paolo Valenti. La Caritas  di Ferrara fu istituita dall’Arcivescovo Mosconi il 4 novembre 1973 (e due giorni dopo nacque quella di Comacchio) e dotata di un proprio statuto, nel quale venivano recepiti gli scopi proposti nella bozza di statuto per le Caritas diocesane stilata dalla CEI nel ’73. La Caritas Italiana venne invece costituita due anni prima, nel 1971. L’Arcivescovo Mosconi nomina come primo segretario della Caritas di Ferrara (allora la carica si chiamava così) mons. Francesco Ravagnani, allora parroco di S. Paolo a Ferrara, e dedica la prima domenica di quaresima alla Caritas diocesana, intitolandola la “giornata della carità”, con l’invito “Date e vi sarà dato”. Col ricavato annuale viene costituito il “fondo diocesano di solidarietà”. Nel ’94 in via Brasavola a Ferrara la Caritas guidata dal ’93 da don Paolo Valenti apre il Centro di Ascolto (intitolato al Beato Giovanni Tavelli), punto di riferimento fondamentale per la città: così, la Caritas inizia il trasferimento dalla Curia Arcivescovile alla zona di Borgovado. Spiegava don Valenti: «Vengono da noi ex carcerati per le prime necessità, extra comunitari, i senza fissa dimora, i nomadi e, più di quanto si possa immaginare, le famiglie povere della città segnalate dalle Conferenze S. Vincenzo e dalle parrocchie».E a proposito di ospitalità, lo stesso don Valenti parlava di Casa Betania. Ex sede dell’asilo “Grillenzoni”, terminata tale funzione, il Comune la cedette alla Caritas, allora diretta da don Silvio Padovani, «con lo scopo di raccogliere studenti universitari stranieri». Nell’ottobre ’94 la Caritas diocesana risponde a un’altra necessità: quella di una mensa per i poveri con, per iniziare, «una ventina di pasti confezionati nella cucina del Seminario». Gli anni ’90 vedono anche la nascita nel ‘95 di un «ambulatorio medico servito da una ventina di medici volontari», per gli extracomunitari. Inoltre, raccontava sempre don Valenti, «oltre a “Casa Betania”, in via Borgovado, 7, dove viene data ospitalità a 27 studenti stranieri, è stato appena terminato il Centro di Accoglienza a Comacchio, che avrà gli stessi servizi di Ferrara (…). Per settembre è in programma, e hanno già aderito una ventina di dentisti, l’apertura di un ambulatorio dentistico per indigenti (…). Va poi ricordato che la Caritas fornisce anche un servizio di consulenza legale gratuito, che può contare su una decina di avvocati presenti una volta alla settimana, – il venerdì pomeriggio, per due ore -, particolarmente esperti nei problemi che riguardano gli extracomunitari». Un’azione a 360 gradi, dunque. E siamo nel ’98. Un anno dopo, l’annuncio del progetto di trasformazione di Casa Betania in luogo di accoglienza per donne, ragazze-madri, famiglie di ospedalizzati residenti fuori Ferrara, anche in vista del Giubileo del 2000.

E i progetti continuano ancora oggi.

DON PAGNIELLO: «FIDUCIA E RELAZIONI DECISIVE»

Il progetto di microcredito “Mi fido di noi” di Caritas Italiana prevede la creazione di un fondo, alimentato grazie al contributo della CEI, della Caritas Italiana, delle Chiese locali e al sostegno di fondazioni, associazioni, imprese e cittadini. Nella nostra Diocesi verrà costituito un fondo con l’obiettivo di raccogliere 27mila euro. La nostra Caritas diocesana avrà a disposizione il doppio, 54mila euro (gli altri 27mila li metterà Caritas italiana). In Italia si stima di raccogliere 30 milioni di euro. Il fondo sarà depositato a Banca Etica e la nostra Caritas farà riferimento (come Nord Italia) alla Fondazione antiusura “San Bernardino” onlus di Milano. Il prestito sarà dai 1000 agli 8mila euro per ogni situazione che si presenta. L’ufficio/punto di ascolto dove le persone interessate potranno rivolgersi sarà negli ex locali parrocchiali del Centro San Giacomo in via Arginone 161 a Ferrara. «C’è bisogno di alleanze fra soggetti diversi per costruire il bene comune: e una di queste, è col mondo dell’informazione», ha detto don Pagniello di Caritas Italiana. Il progetto “Mi fido di noi” è un «progetto generativo, che mette al centro l’intera comunità, che accompagna la persona o la famiglia bisognosa anche dopo averla aiutato col prestito in denaro. La povertà in Italia – ha riflettuto – aumenta le disuguaglianze all’interno delle stesse città ed è sempre più multidimensionale e multifattoriale»: riguarda, cioè, non solo il cibo, ma l’abitazione, l’educazione, le utenze e la violenza interna alle famiglie. Caritas propone «un modello sociale e culturale alternativo», fondato – come detto – «sull’accoglienza, l’accompagnamento, la relazione, la fiducia, e molto meno sul consumo, sull’individualismo, andando alle radici delle povertà e trasformando la persona bisognosa in persona inclusa nella comunità e in essa attiva».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 aprile 2025

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Caritas, ecco gli aiuti in provincia

20 Mar

Da Bondeno a Comacchio, sono oltre 600 le famiglie aiutate con alimenti e altro

di Andrea Musacci

Nello scorso numero della “Voce” (v. pag. 4 del 14 marzo) abbiamo chiesto a diverse Caritas parrocchiali nel Comune di Ferrara di spiegarci in che modo aiutano anche con un sostegno economico diretto, famiglie e singoli a rischio indebitamento. Questa settimana siamo usciti dalla città e abbiamo interpellato altre Caritas e associazioni.

Proprio a Bondeno, Graziano Orlandi è uno dei volontari del Centro di Ascolto parrocchiale: «ogni lunedì distribuiamo i beni alimentari alle famiglie bisognose». Il cibo arriva dal Banco Alimentare e da due supermercati della zona, che lo donano. «In passato davamo anche aiuti economici diretti, ora non più, a causa delle disponibilità limitate che abbiamo». La Caritas assiste ben 210 famiglie, per un totale di oltre 600 persone. «Già in questi mesi – ci spiega Orlandi -, abbiamo avuto un aumento di 3 famigli, e prima del Covid gli assistiti erano 450».

Cinzia Fortini è invece una delle volontarie della Caritas interparrocchiale dell’UP di Vigarano. «Attualmente seguiamo una 40ina di famiglie, e a volte anche in situazioni di emergenza, ad esempio famiglie con figli alle quali vengono sospese le forniture. In altri casi abbiamo anticipato il pagamento della bolletta che poi ci è stato restituito in tutto o in parte, in piccole rate». 

Da Voghiera Leonardo Vignali ci parla dell’impegno dell’Associazione “Mons. Artemio Crepaldi”, che oltre alla Materna e al doposcuola, da anni è anche il riferimento per il Banco Alimentare. «Diamo cibo a 19 famiglie, per un totale di 32 assistiti, di cui 25 stranieri, con ISEE sotto i 10140 euro. Il ritiro degli alimentari avviene una volta al mese e in caso di necessità siamo noi a consegnarlo a casa. Negli ultimi anni vi è stato un aumento di famiglie che ci vengono a chiedere aiuto. Quelle straniere – conclude – sono giovani, spesso con figli piccoli, mentre gli italiani sono anziani».

Sono invece 80 le famiglie con bimbi piccoli fino ai 6 anni di età assistiti a Copparo dal CAV – Centro di Aiuto alla Vita. «Il nostro CAV – ci spiega Carlo Forlani – nasce a fine anni ‘80 per volontà dell’allora parroco don Dario Falchetti, aiutando donne con difficoltà economiche che intendevano abortire. «Oggi ci riforniamo una volta al mese al Magazzino di via Trenti a Ferrara», sede del Centro Solidarietà Carità (Banco Alimentare), e non solo, per cibo, pannolini, seggiolini, abbigliamento. «Continuano ad aumentare – prosegue Forlani – le famiglie che ci chiedono aiuto – una decina in più in pochi anni -, ma diminuiscono gli aiuti» (v. anche pag. 14 per l’aiuto alle famiglie dei lavoratori Berco)

Paola Arvieri ci spiega invece come a Tresigallo la Caritas «raccoglie beni alimentari in chiesa e presso un supermercato, oltre al cibo che mensilmente arriva dal Fondo sociale europeo». Sono 49 le famiglie assistite, per un totale di 125 persone (delle quali circa il 40% straniere). «Con il Consiglio Pastorale – prosegue – si parlerà a breve di istituire un fondo Caritas per eventuali aiuti in denaro per pagamento utenze».

Mentre don Marco Polmonari ci spiega come i Centri Caritas siano due nel suo territorio – Codigoro e Pontelangorino -, Roberto Alberti ci racconta di come a Mesola siano una 40ina le famiglie aiutate dalla Caritas parrocchiale, per un totale di 150 persone, 85% delle quali straniere. A Pomposa invece – ci spiega Giuliano Tomasi – sono attive le associazioni “Il Mantello” e “Buonincontro”:”Il Mantello” dona beni alimentari  (57 le famiglie aiutate, di cui 28 italiane, per un totale di 175 persone assistite) e orienta al lavoro tramite colloqui motivazionali per la ricerca dell’impiego. 

Infine, Umberto Carli ci spiega il servizio del Punto di Ascolto Caritas Duomo-Rosario di Comacchio: «aperto il mercoledì pomeriggio, riceve le persone che hanno difficoltà nel pagare qualche fattura energetica, e in concerto con i Servizi Sociali, anche situazioni non direttamente legate alle utenze, quali, sanitarie, alimentari, trasporti, ecc. Oltre all’apertura del Punto di Ascolto, siamo presenti in tutti i mercati rionali con un banco dove è possibile, previo contatto telefonico, avere aiuti per vestiario, arredamento e supporto sociale». Inoltre, «per le persone anziane e con disabilità viene effettuata la consegna di beni alimentari. Nel 2024 – conclude – 82 famiglie si sono presentate, per un totale di circa 260 interventi economici, oltre a decine di aiuti per mobili ed elettrodomestici, alcuni aiuti per centri estivi, piccoli traslochi. Per il 2025 in collaborazione con la Caritas Diocesana Ferrara Comacchio saranno implementati nuovi servizi e attività».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 marzo 2025

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“Mi fido di noi”, parte la campagna in Diocesi: obiettivo 27mila euro

15 Mar

Attraverso la Caritas Diocesana, si chiede di donare per un fondo di microcredito in aiuto a famiglie o persone a rischio usura. Il punto di ascolto sarà in via Arginone

A cura di Andrea Musacci

Riscoprire la vocazione a essere comunità, una comunità di persone che aiuta i fratelli e le sorelle in difficoltà. Parte da questo principio, “Mi fido di noi”, progetto di microcredito sociale a favore di quanti hanno difficoltà ad accedere ai consueti canali di prestito. Nella nostra Chiesa locale, il progetto è stato scelto dalla Caritas Diocesana fra i sei proposti da Caritas italiana nell’Anno giubilare (v. in fondo)

«“Mi fido di noi” si propone – spiega Caritas Italiana – di restituire speranza e dignità attraverso l’accompagnamento e il coinvolgimento della comunità ecclesiale». È prevista la creazione di un fondo, alimentato grazie al contributo della CEI, della Caritas Italiana, delle Chiese locali e al sostegno di fondazioni, associazioni, imprese e cittadini, anche attraverso attività di crowdfunding

Nella nostra Diocesi verrà costituito un fondo con l’obiettivo di raccogliere 27mila euro (0,10 centesimi a persona, moltiplicato per il numero dei residenti nel territorio della nostra Chiesa locale). La nostra Caritas diocesana avrà a disposizione il doppio, 54mila euro (gli altri 27mila li metterà Caritas italiana), «una risorsa aggiuntiva molto importante per aiutare famiglie o singoli indebitati che rischiano o di cadere vittima dell’usura o comunque di accettare finanziamenti con tassi molto alti», spiega il Direttore di Caritas Diocesana Paolo Falaguasta. In Italia si stima di raccogliere 30 milioni di euro (com’era a 30 miliardi di lire l’obiettivo del Giubileo di 25 anni fa). Il fondo sarà quindi depositato a Banca Etica – presente anche nel territorio ferrarese con un Gruppo di Iniziativa Territoriale (www.bancaetica.it/git/git-ferrara/) – e la nostra Caritas farà riferimento (come Nord Italia) alla Fondazione antiusura “San Bernardino” onlus di Milano.

«Il prestito – spiega ancora Falaguasta – sarà dai 1000 agli 8mila euro per ogni situazione che si presenta» (singolo o nucleo familiare). L’ufficio/punto di ascolto dove le persone interessate potranno rivolgersi sarà nel Centro San Giacomo in via Arginone 161 a Ferrara, negli ex locali parrocchiali, all’interno di quel “Nuovo Complesso della Carità” (così possiamo chiamarlo) che vede da tempo un Guardaroba sociale e a breve (entro fine mese) l’apertura del Centro diurno. Nell’ufficio saranno presenti operatori, volontari e volontarie che accoglieranno le persone che vorranno richiedere un prestito. «Credo – prosegue Falaguasta – che la richiesta sarà altissima, viste le tante persone che normalmente si rivolgono regolarmente al nostro Centro di Ascolto in via Brasavola per chiederci aiuto con piccoli prestiti o per il pagamento delle utenze o dell’affitto, e per altre spese quotidiane». Senza considerare il sempre maggior numero di famiglie a rischio povertà. «Cerchiamo quindi volontari e volontarie che abbiano la capacità di ascolto e di valutazione dei singoli problemi: Caritas italiana organizzerà per loro un corso di formazione. Abbiamo già alcuni volontari che si sono resi disponibili e speriamo se ne aggiungano molti altri».

«Importante in questo progetto è anche l’aspetto educativo, cioè dell’accompagnamento nell’uso equilibrato del denaro», ci spiega invece il nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, che della Caritas Diocesana è Presidente. «“Mi fido di noi” – aggiunge – non si limiterà al Giubileo ma continuerà nei prossimi anni».

I 6 PROGETTI DI CARITAS

Per l’anno giubilare, Caritas italiana propone alle Chiese locali  l’adesione a 6 possibili progetti. Oltre a “Mi fido di noi”, vi è “Liberi di scegliere”, per minori e donne che decidono di sottrarsi a condizionamenti e violenze in organizzazioni criminali; “Microprogetti in Italia” contro povertà alimentare ed educativa dei minori; “Corridoi umanitari, universitari e lavorativi” per i profughi; “Microprogetti di sviluppo” per creazione e sviluppo di solidarietà nel mondo; “Vince chi smette. Consapevoli contro l’azzardo”, per promuovere prevenzione e azioni di contrasto.

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«In aumento le richieste di aiuto per pagare le bollette»: le Caritas parrocchiali cittadine ci raccontano la situazione e come si attivano 

Abbiamo chiesto ad alcune Caritas parrocchiali di Ferrara, se si trovano a che fare con persone o famiglie che chiedono loro aiuti in denaro per il pagamento di bollette, utenze o altre spese. 

Patrizia Di Mella è volontaria dello Sportello di ascolto di S. Maria in Vado (UP Borgovado): «proprio questo mese – ci spiega – abbiamo chiesto ai nostri parrocchiani anche donazioni in denaro, per aiutare 7-8 famiglie – straniere ma non solo – che si trovano con bollette esorbitanti. Sempre più famiglie in difficoltà si rivolgono a noi: diamo loro una quota della cifra da pagare; e diverse famiglie non ci chiedono aiuto perché si vergognano, ma ne avrebbero forte necessità…».

Anche a San Benedetto è presente un Centro di ascolto e dal 2013 è stato istituito il fondo “Il buon samaritano” per l’acquisto di alimenti, vestiti e per il pagamento delle bollette. «Di solito – ci spiega Giancarlo Paganini – paghiamo la metà della bolletta della persona o famiglia bisognosa, e a volte capita che l’altra metà o parte ce la diano a rate». Sì, perché il metodo dei volontari è di provvedere materialmente al pagamento, senza consegnare soldi a chi bisogno. Anche a Sambe sono una decina le famiglie (italiane o straniere), o gli anziani soli, che chiedono aiuto economico, e sono in aumento. «Non riusciamo ad aiutarle tutte ma in questo periodo quaresimale le offerte domenicale, le piccole offerte dei bimbi del catechismo e l’offerta specifica la seconda domenica del mese le doneremo integralmente al progetto “Mi fido di noi”». Anche alla Sacra Famiglia – ci spiegano – «paghiamo la metà delle bollette a famiglie in difficoltà: il Centro di ascolto le segnala al parroco che provvede alla bisogna».

Maria Enrica Ferretti è una volontaria del Centro di ascolto di Santo Spirito: «aiutiamo alcune famiglie con il pagamento di una quota delle bollette, ma spesso – forse per vergogna – alcune di loro si rivolgono non a noi ma al parroco». Al Centro si rivolgono «soprattutto italiani, alcuni giovani stranieri e molti anziani, che spesso vogliono solo fare due chiacchiere perché soli. E ultimamente abbiamo notato non un aumento di queste famiglie ma che quelle che ci chiedono aiuto, lo fanno più spesso».

Un discorso simile lo fa la Caritas di Pontelagoscuro: «chi ha questo tipo di bisogno, non si rivolge a noi ma al parroco. In ogni caso, sappiamo che sono tante le famiglie con questa necessità».

Dalla Caritas della parrocchia dell’Immacolata ci spiegano: «una richiesta permanente di aiuto per le bollette con avvenuti distacchi dell’erogazione ci perviene da 4 famiglie. A queste si aggiungono richieste occasionali. L’importo delle bollette è sempre elevato e la richiesta per le stesse riguarda anche le rate di bollette scadute non pagate». 

Celeste Mangherini è alla guida della Caritas dell’UP Sant’Agostino-Corpus Domini: «ogni 4 mesi – ci spiega – le famiglie o persone in difficoltà con il pagamento di utenze o affitto possono chiederci un aiuto. Lo diamo a chi ha un ISEE sotto i 6mila euro e agli stessi interessati chiediamo un contributo al pagamento di almeno 1/3 del totale. Ogni anno, per questo tipo di sostegno economico, come Caritas abbiamo un fondo di 5-6mila euro (calat o negli anni) e aiutiamo 3-4 famiglie al mese. Negli ultimi anni – prosegue – c’è stato un aumento non solo delle famiglie richiedenti ma anche delle stesse cifre richieste. A noi si rivolgono perlopiù stranieri».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 14 marzo 2025

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«Nessun anonimo fra i poveri»

12 Mar

Giornata diocesana povertà: in cammino assieme e la storia di Annalena Tonelli

«Solo l’amore fa respirare, crescere, fiorire»: questa frase di Annalena Tonelli, missionaria uccisa in Somalia nel 2003, è l’immagine migliore per raccontare la Giornata diocesana dedicata alle diverse forme di povertà dello scorso 9 marzo.

Circa 150 i presenti totali alle diverse tappe del pomeriggio comunitario: nella sede della Caritas diocesana in via Brasavola a Ferrara, alcuni operatori e volontarie hanno accolto ilVescovo e i presenti per un primo momento di preghiera. A seguire, cammino potenziale dietro una semplice croce di legno della Basilica di Santa Maria in Vado, essa stessa immagine di povertà, di umiltà. Poi, l’arrivo nella Basilica stessa per la liturgia penitenziale comunitaria e infine nel Monastero del Corpus Domini per lo spettacolo-testimonianza “Quell’incontro”della Compagnia forlivese teatrale “Quelli della via”, dedicato proprio ad Annalena Tonelli (all’interno dell’Ottavario di S. Caterina Vegri).

A S.M. in Vado è stato donAndrea Zerbini, Presidente dell’UP Borgovado, a leggere la traccia per l’esame di coscienza scritto dagli Uffici pastorali diocesani assieme ai responsabili dei Vicariati cittadini.

ANNALENA, «VERITÀ SCOMODA»

È il 5 ottobre 2023 quando, al rientro dopo la visita serale agli ammalati, Annalena Tonbelli viene uccisa da due sicari con un colpo alla nuca. Aveva 60 anni. Nel tardo pomeriggio del 9 marzo era strapieno il coro della chiesa del Monastero del Corpus Domini per lo spettacolo a lei dedicato, con una decina di ragazze e ragazzi della Compagnia “Quelli della via” e Andrea Saletti, nipote di Annalena Tonelli. Suor Paola Bentini delle Clarisse ha raccontato:«ho conosciuto personalmente Annalena, e quindi mi comuovo a ricordarla. Ci insegna l’importanza di imparare a sperare e di insegnare a sperare». Mons.Perego ha poi ricordato di averla conosciuta nel 2002 in Caritas italiana: «ricordo una donna che ti faceva sempre riflettere, provocando profondamente la tua fede a essere autentica».

Letture, testimonianze, aneddoti e riflessioni si sono alternate a danze, musiche, canti africani e coreografie semplici e festose.

«La sua vita – ha detto il nipote Andrea – è un mistero e come tutti i misteri appartiene a Dio». È a 19 anni che scopre gli ultimi degli ultimi, quei «brandelli di un’umanità ferita», come li chiamava. È scesa nella terza classe dell’umanità, di fianco a coloro che nessuno voleva». Dopo l’esperienza nel brefotrofio di Forlì, a 27 anni parte per il Kenya dove fin da subito è al fianco di bimbi ciechi, sordi o dei cosiddetti bambini-ragno. «Diventa loro madre», fa nascere la “Fraternità della gioia” e apre scuole e ospedali. «Non voglio che esistano anonimi fra i poveri», diceva. «Annalena riusciva a vedere il fiore che saresti potuto diventare», è la testimonianza di una keniota da lei salvata all’età di 6 anni.E poi sarà in Somalia, con lo stesso spirito, e al fianco anche dei malati di tubercolosi: «da soli non fioriranno mai, hanno bisogno che qualcuno li aiuti», diceva dei suoi poveri. «Prima di lei, nessuno sapeva il mio nome», testimoniò un altro bambino da lei salvato. Ma in Somalia iniziano anche le accuse da parte dei potenti, le minacce.Emanuele Capobianco, allora giovane medico Unicef, raccontò: «era libera nella propria radicalità» , «una verità scomoda», «elegante come un airone e forte come l’acciaio».

Queste le altre Giornate giubilari inDiocesi: 12 aprile coi giovani nella Concattedrale di Comacchio; 7 giugno nella chiesa di Tresigallo  Veglia diocesana di Pentecoste; 14 settembre nella chiesa di Gavello Giornata dedicata agli anziani.

(Foto Roberto Fordiani)

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Lasciarci andare al Mistero, oltre le nostre logiche: Chiara Scardicchio al Corpus Domini

Dopo gli incontri del 1° marzo – “Dio non dorme”, con Joy Ezekiel e sr Rita Giaretta – e del 2 marzo – con l’arpista Chiara Conato e le letture di Luigi Dal Cin -, la sera del 7 è stata Chiara Scardicchio, nota pedagogista e autrice, la protagonista del nuovo incontro nel Monastero delle Clarisse. Nel calendario degli incontri dell’Ottavario di Santa Caterina Vegri (che ha visto anche lo spettacolo su Annalena Tonelli il 9, v. art. sopra), Scardicchio – partendo dal suo  libro “La ferita che cura. Il dolore e la sua collaterale bellezza” (ed. AnimaMundi) – ha meditato  sull’eterna domanda di Giobbe – di ogni persona («Perché il dolore?»). «Il giorno in cui sono caduta nell’abisso – ha detto Scardicchio – cercavo di resistere, di combattere, cercavo una logica». Questo perché «siamo abituati a immaginare Dio come l’appagatore dei nostri desideri, a nostra immagine e somiglianza». Ma «il Signore ci invita a lasciare, a lasciar andare, a non possedere, a contemplare, cioè a non giudicare – l’atto più difficile da compiere»; quindi, «a fare spazio al Suo avvento, che tutto scompiglia».

Ciò, per arrivare alla consapevolezza che anche «il buio è necessario alla luce» e infatti «è dall’abisso» – dagli inferi – «che Dio risorge». Il dolore «o ci atterrisce o ci rivoluziona: le nostre morti quotidiane sono ricapitolazioni, scuotono il nostro ordine», mentre quest’ultimo «non muove, non crea. È dallo scorticamento che nasce una vita più nuova». «La custodia di Nostro Signore – ha poi concluso – è il sacro, il Mistero, ciò che non si può possedere né consumare». Né lamento né cinismo, quindi, ma abbandono a questo Mistero che sempre ci oltrepassa, insegnandoci quel limite che ci è necessario per essere davvero umani.

Andrea Musacci

Pubblicati sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 14 marzo 2025

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(Foto Alessandro Berselli)

Don Giorgio Lazzarato, una vita all’insegna dell’ “Accoglienza”

31 Ott

“Accoglienza” non è solo il nome di un’associazione, ma un progetto di vita: vi raccontiamo la comunità di Salvatonica che dà una speranza a chi ne ha bisogno

di Andrea Musacci

Un nome semplice, affermativo, che dice molto del senso di una vita. Si chiama “Accoglienza” ODV l’associazione di Salvatonica, un piccolo paese nel bondenese, a due passi dal Po. Tre strutture attigue alla chiesa aperte 30 anni fa e gestite dal parroco don Giorgio Lazzarato. La sua, è una vita spesa al servizio di persone in difficoltà – senza lavoro o che lo hanno perso, immigrati, donne sole con i loro bambini, famiglie, persone con problemi psichiatrici. Don Giorgio, classe ’52, ordinato sacerdote nel 1977, è anche parroco o amministratore in frazioni vicine: Ravalle, Porporana, San Biagio di Bondeno e Settepolesini. 

Oltre che dalle rette dei servizi sociali, i finanziamenti ad “Accoglienza” arrivano in parte dai soci dell’associazione e dall’8×1000 alla Chiesa Cattolica.

L’associazione nasce nel 1992, durante i mesi estivi della grande ondata migratoria dall’Albania. Ma già da fine anni ’80, don Giorgio organizzava campi per ragazzi da tutta Italia, e campi IBO con giovani provenienti da diversi Paesi europei. Nel ‘91 arriva anche nella nostra Diocesi la richiesta di accogliere 11 minori provenienti dall’Albania, sbarcati con altre 20mila persone nel porto di Bari a bordo della nave Vlora. L’allora Sindaco di Bondeno Daniele Biancardi propose a don Marcello Vincenzi, ai tempi parroco nello stesso Comune, di ospitarne alcuni. «A quest’ultimo – ci racconta don Giorgio – proposi di portarli in una sede a San Biagio. Iniziai quindi a vivere giorno e notte con loro in questa struttura. Poi a Salvatonica ho iniziato a organizzare la cucina per loro, e successivamente ho messo a disposizione anche alcune stanze». Uno di questi ragazzi arrivati 30 anni fa è Parid Cara, all’epoca 14enne («aveva 14 anni e mezzo», si ricorda ancora, con precisione, don Giorgio): dopo essersi iscritto all’Itis Copernico, ha iniziato a lavorare e successivamente ha diretto con successo (occupandosi delle vendite) per anni la Cmp Impianti di Bondeno, per poi tentare anche fortuna in politica candidandosi nel 2013 per le elezioni parlamentari in Albania.

«Da quel momento – prosegue don Giorgio -, sempre più persone venivano a bussare alla mia porta per chiedere aiuto. Ho quindi pensato di creare l’associazione e di strutturare ancor di più l’accoglienza».

Attualmente nella canonica e nelle due strutture ad essa attigue sono ospitate una trentina di persone bisognose. «Sono situazioni al limite: gente senza lavoro, o che il lavoro ce l’avevano ma l’hanno perso, immigrati, persone con problemi psichici di varia natura, detenuti a fine pena. Ma ognuno di loro nella nostra struttura si mette a disposizione per fare qualcosa per gli altri, spesso si aiutano vicendevolmente». Insomma, una vera comunità, in cui ognuno fa quello che può. A pranzo, la cucina è gestita da Edi, albanese, da 20 anni al fianco di don Giorgio. Della cena, invece, se ne occupano Salvatore e Lidia. Un’”ospite”, ma in realtà, come tutti, membro della famiglia “Accoglienza”, si occupa della posta, un uomo accompagna gli altri dal medico o per delle visite, due signore – italiane – si occupano dell’amministrazione e della segreteria, un’altra delle pulizie.

«A volte – prosegue il sacerdote – sono loro stessi a venire direttamente da me per chiedermi aiuto, altre volte me li mandano i servizi sociali, non solo di Bondeno ma anche di altri Comuni della provincia. Spesso sono stranieri – afghani, pakistani, africani di diversi Paesi, o bulgari, rumeni, ad esempio. Molti di loro fanno i rider, altri lavorano in campagna o si arrangiano con altri lavoretti».

È molto importante cercare di rendere queste persone in difficoltà il più possibile autonome, in modo che possano rifarsi una vita. Anche per questo, oltre ai corsi di italiano, la prossima primavera nella vicina S. Biagio, dove c’era la trattoria “Dal pret” don Giorgio avvierà una scuola per pizzaioli pensata per i giovani, sei mesi all’anno, tre in primavera e altrettanti in autunno.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 4 novembre 2022

La Voce di Ferrara-Comacchio

Un’eco-politica per non sprofondare nell’Inferno 2.0

26 Ott

Intervista ad Andrea Gandini (Cds) in occasione della presentazione dell’Annuario Socio-Economico: critica del neocapitalismo e proposte a partire da donne e giovani

La 33esima edizione dell’Annuario Socio-Economico Ferrarese – dedicata ai temi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’Onu – sarebbe dovuta uscire la scorsa primavera 2020, ma il Covid ha bloccato tutto.
L’Annuario 2020 è quindi stato pubblicato a marzo sul sito del Centro ricerche Documentazione e Studi (Cds) di Ferrara (https://www.cdscultura.com), Associazione presieduta da Cinzia Bracci. Successivamente, appena possibile, è stato anche stampato: un’edizione, quella cartacea, che raccoglie anche ulteriori contributi di alcuni degli autori presenti nella versione online e di nuovi, alla luce della sopravvenuta emergenza sanitaria ed economica. Cds Cultura ha presentato il volume il 9 e 10 ottobre scorso nella sede del Consorzio Grisù in via Poledrelli a Ferrara all’interno del Festival dello Sviluppo Sostenibile di ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). Una terza sessione di presentazione dell’Annuario si terrà il 13 novembre (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne), interamente dedicata all’Obiettivo 5 – Parità di Genere.
Come accennato, l’Annuario 2020 è stato organizzato secondo i principi di Agenda 2030, come primo esperimento in Italia di rapporto elaborato a livello locale con il contributo di una molteplicità di autori provenienti da quella rete articolata che ASviS e la stessa Agenda 2030 auspicano: docenti, ricercatori, imprese, associazioni di categoria e sindacati, professionisti, rappresentanti delle categorie economiche, sindacali, dell’associazionismo e del volontariato. Ogni capitolo dell’Annuario corrisponde a un obiettivo di sviluppo sostenibile.
Se guardiamo all’imperversare di nazionalismi, all’acuirsi delle contraddizioni del neocapitalismo, alla crisi ecologica, aveva ragione Antonio Gramsci quando scriveva: «Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri». Abbiamo interpellato Andrea Gandini, Direttore dell’Annuario e membro del Comitato direttivo del Cds, per analizzare questa grave situazione a livello globale e delineare alcune direttive per immaginare un sistema socio-economico differente.
«Con la fine del comunismo reale si è pensato che il capitalismo liberista e uno stile di vita consumista e individualista fosse l’unico “modello” positivo che avrebbe aumentato la ricchezza, una sua migliore distribuzione, la qualità della vita», riflette con noi Gandini. «Dopo 30 anni sappiamo che le cose sono andate molto diversamente. In alcuni Paesi poveri, in Cina, India almeno un miliardo di persone sono uscite dalla povertà e oggi hanno buoni salari, così come vantaggi enormi sono andati a tutti i ricchi del mondo (circa 50 milioni), ma i salari di operai, commercianti, artigiani e dei ceti medi europei e americani non sono cresciuti (circa 700 milioni). E sono soprattutto aumentate le minacce ambientali al pianeta al punto tale che, se dovesse proseguire questo tipo di produzione e consumo, porterebbe nell’ipotesi peggiore all’estinzione della specie umana e, in quella migliore, a un Inferno 2.0 che consegnerebbe ai nostri figli un mondo inospitale tra riscaldamento globale, crescenti alluvioni, siccità, tornado e pandemie prodotte dalla deforestazione e crescente urbanizzazione. In sostanza la qualità della vita di quasi tutti sta peggiorando».
Ma la gravità della situazione e il pessimismo a cui sembra portare riguardano anche altri ambiti. «Le grandi multinazionali del web e farmaceutiche – prosegue Gandini – “spingono” per portarci in un mondo dove domini il digitale (web, tv, virtuale) e tendono a farci credere che le cure debbano avvenire soprattutto attraverso farmaci e vaccini, anziché pensare innanzitutto a come migliorare la qualità della vita. Un mondo, insomma, che gradualmente distrugge la vita di relazione, le comunità locali, le famiglie e dove tutti saremo più soli e dipendenti».
Gli chiediamo allora se è ancora possibile – con la fine delle grandi utopie e un presente malato come quello che ci tocca vivere – immaginare un sistema più fraterno, e in che cosa sostanzialmente si distinguerebbe dall’attuale. Un sistema dove, come scrive il Papa in “Fratelli tutti”, «il diritto di alcuni alla libertà d’impresa o di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri; e neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente» (FT 123). Un pianeta, quindi, quello dove abitare, «che assicuri terra, casa e lavoro a tutti», come «vera via della pace» (FT 127).
«Bisogna cambiare strada – riflette con noi Gandini -, come dice il Papa e come recita il titolo dell’ultimo libro di un grande vecchio, Edgard Morin. Un’economia basata sull’uso indiscriminato delle materie prime e dei rifiuti deve lasciare posto a un’economia circolare che produca pochissimi rifiuti. I ricchi devono tornare a pagare le tasse, almeno più di oggi se non proprio come una volta, l’iva deve alzarsi sui consumi che inquinano, i poveri devono essere aiutati localmente da chi – Comuni e associazioni di volontariato – li conosce e non dall’Inps e non solo con soldi ma con servizi personalizzati. Con il crollo della natalità – prosegue nell’analisi – dobbiamo programmare flussi di immigrazione legale in modo che, come avviene negli altri Paesi europei, gli immigrati lavorino, siano integrati nella nostra cultura e portino benessere a tutti. Le aziende devono tornare ad aiutare i propri dipendenti e la comunità locale. La politica deve investire nella sanità territoriale, nei medici di famiglia, nella scuola, il cui modello di apprendimento va cambiato integrandolo con laboratori manuali, artistici, con uscite all’aperto, rafforzando l’alternanza scuola-lavoro, pagando di più i maestri, facendo seri concorsi».
Infine, ma non certo meno importante, «gli anziani possono rimanere più anni al lavoro con un part-time in modo da aiutare i colleghi e i giovani, mentre le donne devono essere assunte – insieme agli stessi giovani – in maggior numero perché da loro dipende il futuro del Paese. Politiche che i Governi devono fare se non vogliamo continuare a declinare».
E della concretezza il Cds fa la propria ragione d’essere, senza mai fermarsi ad analisi pur precise e profonde. Di riforme praticabili, frutto di concrete sperimentazioni e ampiamente trattate nell’Annuario 2020, Gandini ha accennato anche intervenendo nel sopracitato incontro del 9 ottobre scorso a Grisù.
Oltre a quelle condivise con noi, citiamo «l’allargamento dell’ascolto e della partecipazione alle istanze della società civile organizzata che hanno esperienze consolidate e l’apprendere dalle buone pratiche», oltre a «un nuovo Piano del lavoro sostenibile nazionale, regionale e comunale – anche come leva per rinnovare le stesse burocrazie -, che porti all’inserimento di giovani con contratti di Prima Esperienza, all’implementazione della transizione dagli studi al lavoro (partendo da Istituti Tecnici e Professionali), al potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro».
«Non ci salverà la crescita di un capitalismo tecno-economico – conclude Gandini – ma solo i cambiamenti negli stili di vita personali uniti a un’eco-politica basata sul lavoro e la creatività dei nostri giovani e delle donne».
Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 30 ottobre 2020

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“Negli USA da sempre alcune vite sono considerate sacrificabili. Per questo la pandemia ha fatto meno impressione”: parla Massimo Faggioli

18 Mag

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a cura di Andrea Musacci

Razzismo, diseguaglianze sociali, costose assicurazioni sanitarie, forte crisi occupazionale (gli ultimi dati parlano in questo periodo di circa 30 milioni di posti di lavoro persi). E una Chiesa purtroppo ancora divisa. Drammi all’interno del grande, inarrestabile dramma della pandemia da Coronavirus che ormai da tempo registra gli Stati Uniti come il paese col più alto numero di contagiati e morti al mondo. Ne abbiamo parlato con Massimo Faggioli, storico e teologo nato a Codigoro 49 anni fa, residente a Ferrara dal 1978 al 2008, anno in cui si è trasferito negli USA, dove è docente ordinario nel dipartimento di Theology and Religious Studies alla Villanova University (Philadelphia).

Partendo in generale dalla situazione negli Stati Uniti, dove si contano quasi 90mila decessi e oltre 1.500.000 contagiati per il COVID, che giudizio dà dell’operato del Presidente Trump nell’affrontare questo dramma?

La presidenza Trump è una tragedia nella tragedia, ovviamente. Ma c’è anche la crisi del sistema-paese con uno scontro tra livello federale e livello degli stati, e il crollo della capacità della politica di prendere decisioni politiche e di politica industriale capaci di fronteggiare l’emergenza. Gli Stati Uniti sono arrivati impreparati, insieme a molti altri paesi occidentali. Ma ci sono differenze importanti rispetto a questi altri paesi. Una prima differenza è che negli USA c’è ancora la tendenza a considerarsi il paese migliore del mondo – che è una cosa che ovviamente non è più vera, specialmente dal punto divista del sistema sanitario e dell’aspettativa di vita. Questa tendenza rende incapaci di imparare dagli altri. Una seconda differenza è che negli USA la pandemia colpisce come le altre malattie colpiscono negli USA: in maniera radicalmente diversa a seconda delle etnie e razze, perché alla stratificazione etnica del paese corrisponde ancora – e sempre di più – una stratificazione economico-sociale con gli afroamericani e i latinos in fondo alla scala. Quelli in fondo alla scala socio-economica muoiono prima e più facilmente, in tempi normali come anche in questa emergenza. Una terza differenza è che in America si è abituati a sentire notizie di morti che si potevano evitare (dovuti a mancanze del sistema sanitario, ma anche le sparatorie nelle scuole). Da questo punto di vista, qui in America la pandemia ha fatto meno effetto rispetto ad altri paesi perché da sempre alcune vite vengono viste come meno importanti e quindi sacrificabili sull’altare della politica e dell’economia. Su questo alcuni vescovi, ma non tutti, hanno parlato in modo chiaro.

Vi è anche il problema di un sistema sanitario complessivo non adatto a situazioni come l’attuale?

Il sistema sanitario privato è ottimo, ma solo per chi se lo può permettere grazie a costose assicurazioni sanitarie. La riforma sanitaria di Obama ha migliorato la situazione ma non l’ha cambiata in modo strutturale. Uno dei paradossi della situazione attuale è che la pandemia ha sospeso le procedure non urgenti, che sono quelle che fanno reddito nel sistema sanitario privato. Il risultato è che nel bel mezzo della pandemia un numero spropositato di personale medico e paramedico ha perso il lavoro negli Stati Uniti.

In genere, i cittadini come hanno reagito e come stanno reagendo?

In America c’è un culto della libertà che è diventato una cultura libertaria, per cui tutto quello che le autorità impongono come limite alla mia libertà (specialmente libertà economica e di impresa) diventa totalitarismo o comunismo. Le immagini più scioccanti sono state quelle di bande armate (legalmente) che hanno occupato parlamenti locali chiedendo di sospendere le misure anti-pandemia. Sono minoranze estremiste, ma purtroppo sono sostenute da gran parte del partito repubblicano e anche dal presidente Trump. Questa cosa in Italia non c’è stata.

La Chiesa, invece, come si organizza nel sostegno e nell’aiuto alle drammatiche conseguenze sociali, economiche e psicologiche che si hanno e si avranno?

C’è un grande sforzo di venire incontro ai bisogni straordinari generati dalla crisi. Ma c’è anche un ostacolo diverso rispetto all’Italia e all’Europa, dove molte chiese sono “chiese di stato” e quindi ricevono aiuti dallo stato. Qui in America ogni chiesa deve sopravvivere sul mercato delle religioni con le donazioni dei membri, e quindi le capacità di aiutare sono molto diverse a seconda delle chiese. La crisi economica significherà per alcune parrocchie cattoliche come anche per altre chiese un crollo delle donazioni e quindi renderà impossibile la loro sopravvivenza.

“La realtà è che non ci sono abbastanza risorse per curare tutti, anche nella prima economia del mondo. Non abbiamo abbastanza ventilatori e non abbiamo sufficienti posti letto in terapia intensiva e questo ha costretto e costringerà gli operatori sanitari a scegliere”. L’analisi è di Charlie Camosy, professore associato di bioetica all’università di Fordham. Che dimensioni sembra avere questo fenomeno? E come sta rispondendo la Chiesa?

La chiesa ha reagito in ordine sparso perché per un certo numero di cattolici l’istinto politico è quello di proteggere il presidente Trump e il partito repubblicano in quanto partito anti-abortista. Il problema è che quella cultura politicamente anti-abortista non significa necessariamente una cultura a favore della vita. Una serie di prese di posizione di cattolici repubblicani pro-Trump hanno criticato gli eccessi di prudenza e hanno spinto per una riapertura di tutte le attività. La voce della chiesa cattolica statunitense è divisa anche nell’emergenza pandemia: ci sono cattolici che hanno abbracciato una posizione scettica rispetto alla scienza – una posizione più vicina a quella di certe chiese fondamentaliste.

Qual è la sua impressione riguardo a come il popolo cattolico ha reagito e sta reagendo all’impossibilità a partecipare alle celebrazioni? E come la questione è affrontata a livello di dibattito teologico?

Quello che manca è una certa creatività pastorale: ci si limita a messa e rosario online. Qui in parrocchia speriamo di poter fare di più, come per esempio la catechesi per bambini e la lectio divina per giovani e adulti. Ma tutto si è focalizzato sulla messa, come in una equazione tra liturgia e messa, come se non ci potesse essere liturgia senza messa. In Italia, in confronto, c’è stato un dibattito e contributi di pensiero e pubblicazioni molto più interessanti rispetto agli USA.

Spostiamoci ora nello specifico della comunità dove vive, quella di Philadelphia: qual è la situazione del contagio, e quella socio-economica in questo periodo? La Chiesa locale come si è organizzata per venire incontro ai bisogni materiali e spirituali?

Noi viviamo nei sobborghi di Philadelphia in cui quasi tutti sono bianchi o asiatici, e la malattia ha colpito in modo marginale. Ma abbiamo avuto un certo numero di casi anche nella nostra comunità parrocchiale. La situazione è ben diversa in città, con molti più casi, ma anche nella vicina comunità residenziale dei gesuiti alla St. Joseph’s University, a quattro chilometri da qui, dove sono morti sei padri gesuiti. La chiesa locale si è attrezzata bene. La nostra parrocchia ha creato una task force (di cui faccio parte) per immaginare la riapertura: tra chiesa, cimitero e scuola (dai 3 ai 14 anni, la scuola che frequentano i nostri figli), la parrocchia ha quasi cento impiegati.

Lei e la sua famiglia – in particolare i bambini – come state vivendo questo periodo?

I bambini (che hanno 8 e 5 anni, ndr) intuiscono che è molto improbabile la nostra venuta in Italia questa estate. È la cosa più dolorosa per noi perché è l’appuntamento a cui guardano e di cui parlano nel resto dell’anno. Ci stiamo attrezzando per fare scuola di italiano a casa, dopo che avranno finito la loro scuola online – che per me e mia moglie è la cosa più complicata e stancante di tutte in questo periodo.

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 22 maggio 2020. Leggi e scarica gratuitamente l’intera edizione su http://www.lavocediferrara.it 

Triplicati i poveri che chiedono aiuto a Viale K

11 Mag

Raffaele Rinaldi: “mensa, distribuzione pacchi viveri e dormitorio sempre attivi. Ma le istituzioni devono aiutarci”

viale k 3A due mesi dall’inizio dell’emergenza, la situazione di molti nuclei famigliari col passare del tempo si aggrava. Ad attutire, almeno in parte, questa “caduta” nelle vite di tante persone è la rete di solidarietà delle associazioni, di cui fa parte anche “Viale K”. “Da circa 20 sono diventate quasi 60 le persone che quotidianamente vengono a mangiare alla nostra mensa” alla Rivana, ci spiega il Direttore Raffaele Rinaldi, e lo stesso vale per la consegna dei pacchi viveri il venerdì pomeriggio. Questi nuovi assistiti sono perlopiù “persone che si mantenevano con qualche lavoretto, o la cui azienda dove lavoravano ha chiuso. Sono italiani e stranieri che hanno visto il Reddito di cittadinanza dimezzarsi – prosegue Rinaldi – o quelli che sono stati esclusi dai ‘buoni spesa’ del Comune di Ferrara” (a fine aprile dichiarati “discriminatori” dal Tribunale di Ferrara, ndr). L’Associazione, però, inizia ad accusare la fatica del periodo: nonostante l’innesto di quattro nuovi volontari e le donazioni di imprese e privati, il forte aumento di assistiti richiederebbe un numero maggiore di forze e più risorse dalle istituzioni. “Viale K – si rammarica Rinaldi – è stata esclusa dalle recenti risorse assegnate dall’Amministrazione Comunale”. Il riferimento è ai 15mila euro destinati lo scorso 5 maggio al Terzo settore (nello specifico, 8mila sono andati al Centro di Solidarietà-Carità, 5 mila alla nostra Caritas e 2mila al Mantello di Ferrara).

raffaele rinaldiAltro capitolo dolente è quello riguardante il Dormitorio ”Villa Albertina” in zona Mizzana: “la struttura ospita una ventina di persone, limite massimo – ci spiega ancora Rinaldi -, costrette anch’esse dalle limitazioni a stare chiuse, con tutte le conseguenze dal punto di vista psicologico per soggetti che spesso hanno problemi di dipendenze”. Nelle ultime settimane, 5 posti che si sono liberati, sono stati occupati da altrettanti “senza tetto”. E a proposito di persone che faticano o faticheranno a trovare una dimora, Viale K si è vista rifiutare, sempre dal Comune di Ferrara, un progetto per accogliere alcuni detenuti che, in questo periodo di emergenza, usufruiranno degli arresti domiciliari. “Alcune di queste persone se non trovano un alloggio, verranno comunque a chiederci aiuto”. Spostando la riflessione più in generale, Rinaldi riflette con noi su come quest’emergenza “stia facendo venir fuori le reali difficoltà della società, quindi chi sono i veri fragili”. Ciò che si può fare, grazie al contributo di ognuno – “è di tornare alla normalità, ma non quella malata di prima, che escludeva gli ultimi. Dovremmo, invece – conclude – ripensare l’intero welfare”. Esiste, anche a Ferrara, una fondamentale rete dal basso di associazioni di volontariato, “ma manca una vera politica sociale: non possono essere quasi solo le associazioni a reggere soprattutto in periodi come questo. Anche nella nostra città, il Comune faccia tesoro di questo patrimonio e lo porti a sistema, cercando fondi regionali e nazionali per sostenerlo”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 maggio 2020. Leggi e scarica gratuitamente l’intera edizione su http://www.lavocediferrara.it .

Dom Hélder Câmara, una vita per la pace e in dialogo col mondo

17 Giu

Vent’anni fa moriva “o bispinho” (“il piccolo Vescovo”, per via della bassa statura), tra i fautori della cosiddetta “opzione preferenziale per i poveri”, ripresa da Papa Francesco. Nel 1979 il suo intervento al Teatro San Benedetto di Ferrara davanti a un migliaio di persone

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Nel 1979, il 1° novembre, festa di Ognissanti, cadeva di giovedì. In una fredda e umida sera autunnale, il Teatro San Benedetto di Ferrara fatica a contenere le circa mille persone – tra cui molti giovani – che si accalcano per ascoltare le parole di colui che è simbolo concreto di una Chiesa “povera e serva dei poveri”, di una speranza antica e sempre nuova: dom Hélder Câmara, da 15 anni arcivescovo di Olinda e Recife in Brasile. Protagonista del Concilio – la cui testimonianza ha lasciato nel libro “Roma, due del mattino. Lettere dal Concilio Vaticano II” (S. Paolo ed., 2011) – è tra i firmatari del “Patto delle catacombe”, siglato da alcuni cardinali, soprattutto latino-americani, il 16 novembre 1965, per iniziare una vita nella povertà – vissuta fino all’ultimo dallo stesso Camara -, rinunciando a simboli e privilegi del potere, sfidando così gli stessi “fratelli nell’Episcopato”. Abbiamo deciso di ricordarlo a 110 anni dalla nascita (avvenuta il 7 febbraio 1909) e a 20 anni dalla salita al Cielo (il 27 agosto 1999), oltre che per la “fortunata” coincidenza del 40ennale dal suo intervento nella nostra città. Intervento che cerchiamo di presentare in alcuni suoi passaggi fondamentali nel quale il Vescovo e teologo brasiliano delinea alcune dei principali temi testimoniati nella sua vita di vicinanza e aiuto ai poveri, di lotta nonviolenta contro le disuguaglianze, e di dialogo con persone di altre fedi e non credenti. “Ho saputo con gioia che tra voi – è uno dei suoi passaggi “profetici” a Ferrara – c’è chi pensa in modo concreto e felice agli anziani, ai drogati, agli handicappati, ai carcerati. Ma permettetemi che vi ricordi che oltre a questi gruppi di azione certamente benedetti da Dio è indispensabile che stiate attenti a non permettere che il razzismo non rinasca in Europa. Come giudicare i mali tremendi che ha già causato all’umanità il razzismo al tempo di Hitler; attenti ad evitare che l’ideologia della sicurezza nazionale nei paesi occupi il posto di Dio; è evidente! Ogni popolo ha il diritto e il dovere di pensare alla propria sicurezza, ma mettere la sicurezza come valore supremo è grave “.

Denuncia delle diseguaglianze, per una società nonviolenta

Lo sguardo di dom Câmara è uno sguardo diretto sulla terribile miseria del suo Brasile, dell’America Latina e, in generale, sulle povertà e ingiustizie in tutto il mondo. “E’ terribile che un terzo dell’umanità stia conducendo una vita comoda e di lusso – è un altro suo passaggio a Ferrara -, abbandonando due terzi di questa stessa umanità al margine della vita, emarginati, in una situazione di fame e di miseria”. Una sorta di neocolonialismo – ancora oggi presente – farcito di autoassoluzioni dal sapore razzista: “non manca chi pensa che il terzo mondo è emarginato perché sono di razza inferiore, non sono di razza bianca”, sono ancora sue parole pronunciate a S. Benedetto. “Non manca nemmeno chi pensa che i popoli del terzo mondo sono poveri perché non hanno voglia di lavorare e perché sono incapaci di onestà! NO…NO…NO…! Il terzo mondo è emarginato perché è sfruttato, terribilmente sfruttato dalla società dei consumi che merita il titolo della società dello spreco. Il primo e il secondo mondo vanno a comprare le materie prime occorrenti nel terzo mondo a prezzi stracciati. Li lavora, li rimanda trasformati in prodotto sofisticato che la propaganda commerciale, soprattutto la televisione a colori, fa credere si tratti di prodotti di cui non si può fare a meno”. Nel suo libro “Rivoluzione nella pace” spiega senza giri di parole qual è la missione della Chiesa davanti a tutto ciò: “mente a se stesso chi crede di amare Dio che non vede se non ama gli uomini che vede. E l’uomo non è solo anima; è anche corpo e spirito immerso nella materia. Conquista l’eternità vivendo nel tempo. È cristiana, profondamente cristiana, la lotta per l’emancipazione nella misura in cui è sinonimo di aiutare, fraternamente, a strappare dalla miseria milioni di uomini che vegetano in situazioni infra-umane”. Ma l’alienazione – Camara ne era cosciente – poteva essere causata anche da una “vita basata sull’effimero, disumanizzante e pagano”. La Chiesa, perciò, “è chiamata anche a denunciare il peccato collettivo, le strutture ingiuste e stagnanti, non come uno che giudica da fuori, ma come chi riconosce la sua parte di responsabilità e di colpa”. Come scrive nel ’71 in un articolo sulla rivista “Parole et Pain”, “oggi, l’elemosina delle elemosine è sostenere la giustizia, lavorare allo stabilirsi della giustizia sociale. I poveri, nel nostro secolo, non sono solamente degli individui e dei gruppi, ma Paesi e continenti”. Vicino alla Teologia della Liberazione, dom Camara rifiutò, però, sempre radicalmente qualsiasi forma di violenza: “non credo alla violenza, non credo all’odio – scrive ancora in “Rivoluzione nella pace” -, non credo alle insurrezioni armate. Sono troppo rapide: cambiano gli uomini senza aver il tempo di cambiarne la mentalità. Non serve a niente pensare alla riforma di strutture socio-economiche, se non cambiano anche le nostre strutture interiori. […] Ma se non credo alla violenza armata, non sono nemmeno tanto ingenuo da pensare che bastino i consigli fraterni, i richiami lirici, perché cadano le attuali strutture come caddero le mura di Gerico”. Una via nonviolenta, quella proposta dal Vescovo, per far germogliare un mondo dove la pace fra le persone e i Paesi potesse regnare. Nel suo intervento a Ferrara nel ’79 denunciò il legame tra diseguaglianza economica globale e politiche di guerra: “la società dei consumi spreca somme incredibili per armamenti. E in questo punto l’America del Nord e la Russia si fanno concorrenza in modo perfetto. […] E così queste armi sono vendute ai Paesi del terzo mondo che non hanno nemmeno l’essenziale per i loro popoli”.

L’opzione preferenziale: “una Chiesa povera per i poveri”

Una vicinanza al prossimo, quella di dom Câmara che, nella sua urgenza e intensità, non può non essere rivolta dunque a chi più ha bisogno: “pur amando tutti, come Cristo devo avere un amore speciale per i poveri”, scrive sempre in “Rivoluzione nella pace”. “Gesù amava tutti e andava anche dai ricchi – scrive in “Chi sono io?” (Cittadella, 1979) -, ma ha sempre mostrato la sua preferenza per i poveri. […] Guai a chi non vede Cristo nella persona dei poveri, non soltanto negli individui ma nella società, nei Paesi, nei continenti, in tutto il mondo sottosviluppato!”. Un principio essenziale che Papa Francesco cerca di rendere carne e sangue nella Chiesa di oggi. In “Evangelii Gaudium”, 48 scrive infatti: “se la Chiesa intera assume questo dinamismo missionario deve arrivare a tutti, senza eccezioni. Però chi dovrebbe privilegiare? Quando uno legge il Vangelo incontra un orientamento molto chiaro: non tanto gli amici e vicini ricchi bensì soprattutto i poveri e gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati, «coloro che non hanno da ricambiarti» (Lc 14,14) […]. Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli”. Lo stesso Câmara rivolgeva questo appello anche e soprattutto all’interno della Chiesa: “più grave della tentazione del denaro è la tentazione del prestigio e del potere”. La Chiesa, nella sua essenza è “serva dei poveri” e “povera”. La grande povertà della Chiesa, per Câmara, “sta nell’accettare di essere mal giudicata, di rischiare la propria reputazione, di perdere il proprio prestigio. Sta nell’accettare di essere trattata da sovversiva, da rivoluzionaria, forse da comunista: ecco la nostra povertà, la povertà che Gesù chiede alla Chiesa in questo tempo in cui viviamo…”. “Fare un’opzione per i poveri non significa disprezzare i ricchi”, puntualizzava, non dimenticando mai nessuno. Ma i ricchi “non ci chiedono niente. I poveri, gli oppressi, loro sì, hanno bisogno di noi. Qualsiasi cosa questo ci costi” (in “Il Vangelo con dom Hélder”, Cittadella 1985). Così scrive ancora Papa Francesco in “Evangelii Gaudium”, 198: “desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro”.

Chiesa e mondo: “il vescovo è di tutti”. Quegli atei che sono “cristiani di fatto”

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“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. (“Gaudium et spes”, 1965) Saper vivere profondamente la povertà evangelica significa al tempo stesso avere uno sguardo aperto sulla sofferenza di ogni donna o uomo. Dom Câmara – in “Rivoluzione nella pace” – si autodefinisce “una creatura umana che si considera fratello di debolezza e di peccato degli uomini di tutte le razze e di tutti i luoghi del mondo. Un cristiano che si rivolge ai cristiani, ma con cuore aperto, ecumenicamente, agli uomini di ogni credo e di tutte le ideologie (…). Il vescovo è di tutti. Nessuno si scandalizzi se mi vedrà frequentare creature ritenute indegne e peccatrici”. Ma questo rivolgersi a ogni persona bisognosa dell’amore e della prossimità era rivolto non solo alle condizioni materiali della stessa ma anche alla sua condizione spirituale e alle sue scelte di vita. Scelte che Câmara non dava per scontate e men che meno condannava, ma anzi dimostrava di prendere in considerazione con viva sofferenza. Così scrive: “credo che tutto andrà a finire bene (le afflizioni termineranno, la pace regnerà per sempre) però qui in questo esilio quanti sono, quanti, quanti, quelli che non sono nelle condizioni psicologiche di credere in Te?….Per molti, per troppi la vita è dura. E non esiste praticamente nessuno che, almeno in certi momenti, non la trovi scioccante, assurda, senza senso, asfissiante…[…] Se insisto con queste domande angustianti è con il proposito di difendere i disperati, i blasfemi, gli atei. È chiaro che non voglio giustificarli: ma li capisco, e spero che anche Tu li capisca. E qui sta il grande segreto della tua paternità. È ingenuo voler negare che hai costruito la vita sulla morte. Ma poi, quando gli uomini si contorcono dal dolore, si sentono schiacciati dalla sofferenza fisica, si ribellano alla sofferenza morale e bestemmiano, tu li capisci e a castigarli non ci pensi nemmeno. Ma il mistero rimane: perché non parli un pochino più chiaro?” (“Roma, due del mattino. Lettere dal Concilio Vaticano II”, S. Paolo ed., 2011). In diversi momenti il Vescovo brasiliano – pur cosciente di attirarsi molte critiche dall’interno della Chiesa – fa di se stesso un ponte di pace verso “tutti gli uomini di buona volontà” ai quali è rivolta la “Pacem in Terris”: “chi pratica il bene in questa vita, per quanto possa considerarsi distante da Dio, nell’altra vita avrà la sorpresa di sapere che sulla terra ha avuto a che fare con Cristo stesso il quale, in nome del Padre, gli aprirà le porte del cielo” (in “Terzo mondo defraudato”, EMI, 1969). “Esprimo il mio speciale affetto per coloro che” sono “atei di nome, ma di cristiani di fatto”, scrive ancora (idem), per quegli agnostici ed atei “che ‘facciano’ la verità”. Tornano alla mente anche le parole provocatorie del Pontefice nella prima Udienza generale del 2019: ”Le persone che vanno in chiesa, stanno lì tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri e parlando male della gente sono uno scandalo: meglio vivere come un ateo anziché dare una contro-testimonianza dell’essere cristiani”. Il “nuovo umanismo” sgorgato dal Concilio Vaticano II, per il Vescovo di Recife, “comincia con l’accogliere quello che c’è di vero in tutti gli umanismi, anche quelli atei” (in “Rivoluzione nella pace”). Un invito ad uscire, per andare incontro all’altro nella sua diversità, in uno spirito di missionarietà. Non a caso, il 16 maggio 2016 nel suo discorso di apertura della 69esima Assemblea Generale della CEI, Papa Francesco in un passaggio citò proprio dom Câmara: “questa comune appartenenza, che sgorga dal Battesimo, è il respiro che libera da un’autoreferenzialità che isola e imprigiona: «Quando il tuo battello comincerà a mettere radici nell’immobilità del molo – richiamava dom Hélder Câmara – prendi il largo!». Parti! E, innanzitutto, non perché hai una missione da compiere, ma perché strutturalmente sei un missionario: nell’incontro con Gesù hai sperimentato la pienezza di vita e, perciò, desideri con tutto te stesso che altri si riconoscano in Lui e possano custodire la sua amicizia, nutrirsi della sua parola e celebrarLo nella comunità.” Chiudiamo con altre parole del Santo Padre, quelle conclusive nel Messaggio per la Quaresima dell’anno scorso, per mostrare ancora una volta come sia forte quel filo rosso che unisce questi due fratelli latinoamericani, testimoni autentici della misericordia di Cristo: “vorrei – scrive il Santo Padre – che la mia voce giungesse al di là dei confini della Chiesa cattolica, per raggiungere tutti voi, uomini e donne di buona volontà, aperti all’ascolto di Dio. Se come noi siete afflitti dal dilagare dell’iniquità nel mondo, se vi preoccupa il gelo che paralizza i cuori e le azioni, se vedete venire meno il senso di comune umanità, unitevi a noi per invocare insieme Dio, per digiunare insieme e insieme a noi donare quanto potete per aiutare i fratelli!”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 giugno 2019

La Voce di Ferrara-Comacchio

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