Un libro del professore universitario Ticconi racconta le opere del concittadino «Con il suo scalone d’onore l’edificio è un gioiello purtroppo sottovalutato»
[Qui il mio articolo sul sito de la Nuova Ferrara]
«Il Palazzo Arcivescovile di Ferrara col suo scalone d’onore è un gioiello assoluto, purtroppo sottovalutato anche qui in città». Nella Ferrara degli Estensi ancora oggi è forte la tentazione di considerare il periodo pontificio come minore rispetto a quello rinascimentale. Così, luoghi come l’Arcivescovado e personalità come quella dell’architetto Tommaso Mattei sono ampiamente sconosciute o, nella migliore delle ipotesi, sottovalutate.
Per ridare il giusto peso a tutto ciò, lo scorso gennaio è uscito il volume Tommaso Mattei 1652-1726. L’opera di un architetto romano tra ’600 e ’700 (Gangemi Editore) di Dimitri Ticconi, professore di storia dell’architettura all’Università La Sapienza di Roma.
Chi era Mattei? Perché il suo lavoro è stato così importante? «Mattei inizia la propria formazione nella bottega di Gian Lorenzo Bernini – spiega Ticconi -, dove lavorava anche il padre orafo, poi si avvicinerà all’architettura diventando collaboratore di Carlo Rainaldi, alla cui morte ne assumerà l’eredità professionale. Nella sua carriera lavorerà, ad esempio, per alcune tra le più importanti famiglie romane, come i Borghese, rielaborando un raffinato decorativismo. Insomma, Mattei ha il merito di traghettare l’architettura dal ’600 al ’700, attraverso un gusto appartenente al primo Rococò romano, ancora barocco e lievemente decorativo».
Allora perché è così poco noto? «In Italia gli studi sulla cultura artistica e architettonica dal tardo ’600 fino agli anni ’30 del ’700, non hanno mai focalizzato un interesse su personalità di rilievo come Mattei, ma solo sulle più note come Carlo Fontana. Negli anni ’60 del secolo scorso ci sono state, in poche nicchie di studi storiografici, alcune personalità che hanno iniziato a recuperare il tardo ’600 e il primo ’700 romano, ma sono rimaste inascoltate. Negli ultimi 25-30 anni si ha un interesse a riscoprire figure come la sua ritenute minori, anche se non vi è ancora una storiografia al riguardo».
Ma Mattei da Roma come giunge a Ferrara? «Vi arriva nel 1717 quando era l’architetto più in auge a Roma, scelto dall’allora arcivescovo di Ferrara, Tommaso Ruffo, che voleva il meglio per ristrutturare il Palazzo Arcivescovile. Mattei porta dunque a Ferrara la sua cultura architettonica, di cui ne è segno lampante ad esempio la facciata, ma con equilibrio. L’opera di Mattei a Ferrara non può dunque essere considerata minore, sconta anche un eccessiva attenzione al periodo degli Estensi, che svaluta – ingiustamente – il periodo pontificio.E nello scalone Mattei ha “portato” a Ferrara, rielaborandolo con squisito decorativismo, una metafora della Fontana dei Quattro Fiumi del Bernini: varrebbe la pena di venire a Ferrara solo per vedere questo capolavoro assoluto, che ha nulla da invidiare ad altre gemme della città».
Andrea Musacci
Pubblicato su la Nuova Ferrara il 6 maggio 2017


Ieri pomeriggio in Cattedrale si è svolta la tradizionale messa annuale, organizzata dall’Unione Stampa Cattolica di Ferrara (presieduta da Alberto Lazzarini) insieme all’Associazione Stampa Ferrara, per festeggiare San Francesco di Sales patrono dei giornalisti, la cui festività ricorre il 24 gennaio. La Santa Messa, che ha visto la partecipazione di una cinquantina di persone, è stata celebrata dall’Arcivescovo mons. Luigi Negri insieme al Vicario generale mons. Massimo Manservigi, assistente ecclesiale Ucsi Ferrara, e a Mons. Enrico d’Urso.


“La pittura a Ferrara nel secondo Seicento” è il nome della pubblicazione che verrà presentata domani alle 17 nella Pinacoteca Nazionale di Ferrara. Il libro di Barbara Ghelfi, facente parte della collana “L’occhio di Ulisse”, costituisce la conclusione dell’indagine avviata dall’autrice in “Pittura a Ferrara nel primo Seicento. Arte, committenza e spiritualità” (2011). La situazione del secondo Seicento appare caratterizzata dalla contrapposizione fra la corrente del naturalismo rappresentata da Giuseppe Avanzi, garante della tradizione locale, e l’elegante classicismo importato in città da Maurelio Scannavini. Accanto a loro si muovono figure come il comacchiese Cesare Mezzogori e Giacomo Parolini. La ricerca intende restituire l’identità e l’avvicendarsi dei pittori, alcuni dei quali forestieri, attivi nel contesto cittadino, la cui facies artistica, a partire dalla fine del Settecento, verrà sistematicamente spogliata dei suoi capolavori e, in seguito, profondamente modificata dai danni bellici.


