
SCIENZA SENZA LIMITI. L’annuncio della ricercatrice Magdalena Ernicka-Goetz:«abbiamo prodotto embrioni umani sintetici a partire da cellule staminali embrionali», senza ricorrere a ovociti e spermatozoi. Cos’altro dobbiamo aspettarci?
La notizia fa tremare i polsi. O dovrebbe farli tremare a chiunque ancora provi ad avere consapevolezza del fatto che una tecnica e una scienza senza limiti etici di alcun tipo possano condurre l’umanità a scenari impensabili, o immaginabili solamente in film o romanzi di fantascienza.
La notizia è questa: la settimana scorsa Magdalena Ernicka-Goetz (Università di Cambridge e del California Institute of Technology) al meeting annuale della Società internazionale per la ricerca sulle cellule staminali a Boston ha annunciato che sarebbero stati realizzati embrioni umani sintetici a partire da cellule staminali embrionali, senza ricorrere a ovociti e spermatozoi, dunque senza alcun concepimento. Dopo anni di ricerche sugli embrioni di topo, la ricercatrice ha voluto realizzare un modello il più possibile simile all’embrione umano nelle prime fasi dello sviluppo per studiare le malattie genetiche e le cause biologiche degli aborti spontanei. I simil-embrioni umani sviluppati non hanno un cuore pulsante né un cervello e non sarebbero destinati a essere fatti evolvere durante una gravidanza per far nascere un “bambino sintetico”.
Ma la preoccupazione per possibili, incontrollabili, sviluppi rimane: Francesco Ognibene su “Avvenire” del 15 giugno scrive: «Si tratta dunque di un esperimento che genera un’entità definita dai media come embrione sintetico perché non esiste un nome che le si possa dare. E se è un qualcosa di nuovo che non si può definire umano, allora è brevettabile, come ogni nuova creazione dell’ingegno: stiamo dunque producendo l’homunculus, un essere umano artificiale che integralmente umano non è? E se non è umano, qual è la sua natura?». Prosegue Ognibene: «chi garantisce che a nessuno, oggi e in futuro, venga in mente di “provare a vedere” cosa succede andando oltre la soglia di sviluppo raggiunta (due settimane)»? E infine, «se lo pseudo-embrione non è identico all’embrione umano del quale si vorrebbero capire meccanismi e patologie sinora indecifrabili, come si potranno ritenere attendibili i risultati di eventuali ricerche?».
Su “La Verità” del 16 giugno, invece, Patrizia Floder Reitter ragiona: «se qualche legislatore permetterà che un embrione sintetico venga impiantato nell’utero di una donna, che risultati potremmo avere? Oè un essere umano artificiale, quello che si sta cercando di produrre, e allora lo scenario appare spaventoso. O si vuole mettere insieme un simil umano e la prospettiva è ancora peggiore perché non ne comprendiamo l’utilità scientifica, solo l’orrore».
Come riporta Agensir, David Jones, direttore dell’Anscombe Bioethics Centre (centro di ricerca cattolico sulla bioetica, sponsorizzato dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles) riflette: «Dal momento che non sappiamo se queste nuove strutture siano embrioni oppure no, e dal momento che gli scienziati provano da tempo a produrre embrioni con cellule staminali, queste nuove entità dovrebbero essere trattate come embrioni dal punto di vista morale e legislativo».
Antonio Gioacchino Spagnolo, docente di Medicina legale e coordinatore dell’Unità di Bioetica e Medical Humanities all’Università Cattolica del Sacro Cuore, sempre su Agensir dichiara: il fatto che si tratti di «organismi destinati esclusivamente alla ricerca e quindi programmati per non svilupparsi, privati pertanto delle proteine finalizzate allo sviluppo di un individuo, potrebbe non avere in sé una rilevanza eticamente negativa, ma rimane il problema alla fonte: il prelievo di cellule staminali embrionali per la creazione di questi organismi destinati alla sperimentazione ha provocato la distruzione di altri embrioni, e questo non è mai lecito».
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 23 giugno 2023

Il tema della famiglia, con tutto quello che comporta in termini di educazione e genitorialità, è sempre più fonte di contrasti e diversità di vedute che spesso nocciono a tutti. Anche per questo l’Associazione Evangelica Cerbi di Ferrara ha scelto di dedicare il primo di due incontri del mese di novembre a questo ambito. L’iniziativa si è svolta lo scorso 21 novembre nella Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea. Al tavolo dei relatori, Giacomo Ciccone (Presidente dell’Alleanza Evangelica Italiana), Chiara Mantovani (Scienza&Vita Ferrara) e Paola Bastianoni (psicologa e docente dell’Università degli Studi di Ferrara, da tanti anni impegnata nella tutela, diritti e protezione dei minori). Quel che ne è venuto fuori è un dibattito schietto e ricco di argomentazioni, com’è, d’altra parte, nello stile dei relatori. Anzi, delle relatrici, in quanto sono state in particolare Mantovani e Bastianoni a confrontarsi – e a “scontrarsi” – in modo anche diretto su alcuni aspetti particolarmente controversi e delicati, come quello riguardante il rapporto tra genitorialità e generatività. Nulla comunque che non rientri nella normale dialettica, e che anzi va senz’altro a favore del chiarimento delle rispettive posizioni e del tentativo di incontro e di riconoscimento dell’altro. Dopo la presentazione da parte di Alfonso Sciasci (Associazione Evangelica CERBI di Ferrara), organizzatore delle due iniziative, ha preso la parola Ciccone, proponendo un breve excursus storico della sovranità nella modernità occidentale, e dimostrando, a suo dire, come questa si contraddistingua per una “tendenza assolutista, totalizzante o comunque verticistica, del potere”, e quindi del rapporto tra Stato e corpi intermedi. A questa visione dominante, Ciccone ha contrapposto la teoria del teologo tedesco riformato, morto nel 1638, Johannes Althusius, secondo cui la politica è sostanzialmente “relazione”, è “l’arte del consociare unità già esistenti”, una sorta di “eco-logia” che riguarda dunque non solo il potere sovrano ma anche, e soprattutto, i corpi intermedi, tra cui appunto la famiglia. Da qui – ha spiegato Ciccone – nasce la teoria della “sovranità delle sfere” o della “responsabilità differenziata”, che si distingue anche dal concetto di sussidiarietà di matrice cattolica, la quale conterrebbe “una certa dose”, negativa, “di gerarchizzazione”. La stessa idea di famiglia, nei modelli di pensiero dominanti – religiosi o laici – è anch’essa proposta come “assolutista, mentre noi, pur partendo da un’idea religiosa, siamo convinti si debba arrivare a una concezione ‘laica’ ”. La famiglia, infatti, ha spiegato il relatore, è “il nucleo fondamentale della società, un’entità pre-giuridica e pre-politica, per cui possiede diritti che non debbono essere assegnati da un sovrano superiore, ma semplicemente riconosciuti”. L’articolo 29 della Costituzione italiana (che inizia così: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”) si muove appunto in quest’ottica. Dall’articolo 29 della nostra Carta Costituzionale ha preso le mosse anche Mantovani: “lo sguardo della fede, diverso da quello sociologico – ha esordito -, chiede di vedere cos’è il bene, il bene per tutti, quindi il bene comune”. Per questo ha citato due affermazioni contenute nei lavori preparatori alla Costituzione di altrettanti padri costituenti cattolici, Giuseppe Dossetti e Aldo Moro. Nello specifico, il primo parlava di “diritti primordiali della famiglia”, il secondo la definiva “limite dello Stato”. “Per questo – ha proseguito Mantovani – nelle leggi dev’esserci, anche riguardo alla famiglia e all’educazione, sempre spazio per la coscienza, per la libertà e la responsabilità individuali. La natura sociale tipica dell’uomo chiede, anche oggi, un luogo dove abitare: la famiglia non è perfetta ma rimane comunque il luogo dove possono essere possibili una vita e un’educazione buone”. Ma la libertà individuale – ha incalzato la relatrice – nell’odierna società “spesso vive un rapporto problematico con il pluralismo di idee e la frammentazione culturale”, per cui, ad esempio, “la fede viene da molti considerata come qualcosa di non-razionale, come deficitaria rispetto ad una applicazione corretta della ragione”, e quindi, a suo dire, in un certo senso “discriminata”. “Mi chiedo quindi – ha concluso -: la società di oggi vuole espellere il cristianesimo dal consesso dei sistemi di valori?”. “Il panorama è complesso, non servono semplicismi ma c’è bisogno comunque di orientarsi”, ha spiegato invece Bastianoni. “La complessità non va vista solo come una nemica, e quella riguardante i modelli famigliari è frutto soprattutto delle trasformazioni avvenute dagli anni ‘60-‘70 del secolo scorso. Trasformazioni che – ha proseguito -, hanno portato a forme di convivenza e di generatività che prima non erano possibili. Basti pensare ad esempio alla possibilità (date dall’adozione e dall’inseminazione artificiale) per coppie sterili di poter accedere a un piano generativo e quindi alla genitorialità”. Per questo, oggi “generatività e genitorialità non sono tra loro più sovrapponibili, ma sono distinte, non coincidono necessariamente”. Inoltre, ha spiegato la relatrice, “non sempre vi è la convivenza tra i membri della famiglia, e fede e appartenenza culturale non sempre sono unici nella famiglia”. Da qui, il fatto che “non esiste più un solo modello famigliare, quello ‘nucleare’, in cui tutti questi aspetti coincidevano tra loro, ma appunto una pluralità”. Si pensi ad esempio, ha proseguito, “alla presenza di una badante nell’assistenza di una persona anziana, a una donna, quindi, che non vive coi propri figli e col proprio marito, ma con un’altra famiglia”, o al caso della vedovanza, per cui succede che una donna svolga, per semplificare, “sia le funzioni di cura sia quelle normative/regolative”. Oppure, come succedeva nel periodo delle guerre mondiali, il fatto che “l’uomo di famiglia fosse al fronte e quindi toccava alla donna la totale educazione dei figli. Nessuno – sono ancora parole della Bastianoni – si sente di dire che quest’ultimo caso abbia portato a privazioni psicologiche negli stessi figli”. Un altro caso, perlopiù del presente, ma simile a quest’ultimo, è quello ad esempio di “una donna che vive sola perché non ha mai voluto sposarsi, ma ha generato dei figli: lei può avere le stesse competenze genitoriali della donna rimasta sola nel periodo di guerra. La buona genitorialità – ha proseguito – non coincide necessariamente con la generatività. La prima è la capacità di accudire e quella di regolare, di dare cioè dei limiti: questa la si apprende prima e a prescindere dall’essere generativi – è presente addirittura nei neonati -, e a prescindere dalla fede, dall’orientamento sessuale e dal ceto sociale”. La complessità, insomma, secondo Bastianoni, “spesso ci crea fatica ma è sbagliato stigmatizzare i diversi modelli famigliari, trattandoli come non idonei”, soprattutto per le “ripercussioni negative” che questo stigma “può portare alle persone, soprattutto ai figli, che vivono in queste famiglie: il riconoscimento sociale è per loro fondamentale”. L’appuntamento è a venerdì 29 novembre, stesso luogo e stessa ora, per il secondo e ultimo incontro del breve ciclo, sul tema “Credere e non credere: libertà e pluralismo nella scuola”. A confrontarsi tra loro saranno Nazareno Ulfo (insegnante ed editore), Paolo Gioachin (insegnante di religione cattolica) e Mauro Presini (insegnante e giornalista).
Si tratta della più antica farmacia di Ferrara. Nel 1738 lo Stato Pontificio concede a Giovanni Battista Nannini il diritto di un esercizio farmaceutico al numero civico 1692 della allora piazza della Pace, oggi Corso Martiri della Libertà, 27. Il 30 gennaio 1864 l’immobile compresa la farmacia è venduta a Filippo Navarra.
Come dimostrare l’esistenza di Dio, senza scivolare sull’impervio e sdrucciolevole asfalto delle ipotesi, delle congetture, senza cadere negli agguati delle confutazioni più o meno razionali?

