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Parrocchia di S. Agostino: in un libro i primi 50 anni di una storia speciale 

20 Dic

Tracce di Vangelo nella comunità di S. Agostino è il titolo del volume che racconta la vita dagli inizi difficili negli anni ’70, tra Messe nei garage ed elemosine davanti la Coop…

di Andrea Musacci

Una conchiglia rovesciata in un quartiere residenziale come tanti: questa fu la novità architettonica che rappresentò 50 anni fa la costruzione della chiesa nel quartiere Krasnodar di Ferrara. Non un vezzo formale, ma la tenda, la nuova casa di una comunità nata, e di continuo in cammino, attorno all’Eucarestia. E che ha cambiato e continua a cambiare il quartiere, e ad accogliere i suoi abitanti.

 Tutto questo viene raccontato nel libro appena uscito dal titolo Tracce di Vangelo nella comunità di S. Agostino (dicembre 2025). Sottotitolo: «Conosco le tue opere / Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere» (Ap 3,8). Il volume a cura di Nicola Martucci, Federica Pintus e Patrizia Trombetta, è edito come Quaderno n. 56 del CEDOC – Centro Documentazione Santa Francesca Romana.

Libro che è il frutto di un lavoro di raccolta e organizzazione del materiale durato oltre due anni e che esce in un periodo speciale, alla fine dell’Anno Santo, e col cambio dopo dieci anni del parroco (don Saverio Finotti ha preso il posto di don Michele Zecchin alla guida dell’Unità Pastorale col Corpus Domini). Il volume è stato presentato il 13 dicembre con gli interventi di alcuni ex parroci.

Questa è una storia che prende avvio nel periodo postconciliare, in quegli anni ’70 nei quali nasce il quartiere Krasnodar nella zona sud della città, così chiamato per il gemellaggio nel ’74 con l’allora centro sovietico, 20 anni dopo gli aiuti da quella città in seguito alla “rotta” del Po. Insieme alle case e alla scuola, fu costruita la chiesa, dedicata solo nel 2004. 

PRIMI ANNI TRA FREDDO E CATINI IN RAME

L’atto costitutivo della parrocchia si realizza nella Celebrazione Eucaristica del 15 dicembre 1974 (ma l’atto costitutivo è del 1° gennaio ’72); tutto, però, nasce prima: «i documenti parlano di una necessità». La progettazione è affidata nel ’72 all’arch. Aldo Cotti di Bologna e all’ing. Vittorio Mastellari di Mirabello. Prima viene costruita la canonica, consegnata nel ’74, poi nel ’78 la chiesa (inaugurata dal Vescovo Franceschi con la celebrazione delle prime comunioni), infine le opere parrocchiali. L’impresa costruttrice è la ditta Battaglia Romeo di Dogato: «furono gli stessi muratori che, consegnando l’edificio al grezzo, donarono la croce di legno fissata nel punto in cui si trova ancora oggi e che sostiene il prezioso crocifisso ligneo proveniente dalla chiesa di Santa Maria in Vado» e donato nel ‘92.

Una genesi particolare, dato che chiesa e canonica sorgono sull’antico letto del canale Mambro, tombato negli anni precedenti: per effetto di successivi fenomeni climatici, si resero necessari lavori strutturali, prima nel 2016 e poi nel 2022-2024. Un inizio a tappe, e non facile, sicuramente curioso: «Il grezzo delle strutture rimase visibile a lungo, almeno fino ai primi anni Ottanta. L’edificio fu consegnato privo di impianti elettrico e di riscaldamento; alcuni parrocchiani (…) posero i primi fili volanti e montarono i faretti. Successivamente si installò la cisterna del gasolio per il riscaldamento. Nei primi anni, la chiesa risultava particolarmente fredda. Il pavimento rimase una gettata di cemento polveroso e difficile da pulire fino al 1984, quando, grazie all’artigiano e parrocchiano Carlo Droghetti, fu posata la prima pavimentazione (…)». Nello stesso anno nasceva il Consiglio pastorale e l’anno dopo, di fatto, quello economico. In seguito vengono intonacate le pareti. E all’inizio, per i Battesimi «si adoperava un catino in rame su un tavolino, e il cero pasquale era in materiale plastico».

GARAGE ED ELEMOSINE

Il primo parroco, allora 38enne, è don Giancarlo Pirini. Così ricordava quei primi tempi: «Mi ricordo che quel 15 dicembre 1974 era un giorno pieno zeppo di nebbia e la zona di viale Krasnodar non aveva nulla da invidiare ad una località sperduta: era là, ai confini, dopo le due ferrovie». Fin da subito, la vicinanza agli ultimi è l’essenza della missione nel quartiere: «andavamo davanti alla Coop, di sera, a chiedere l’elemosina», con annessa recita del S. Rosario. Don Pirini viene affiancato, fin da subito, da don Ivano Casaroli, prete da 6 anni. Quest’ultimo ricorda la sua prima notte a Sant’Agostino: «I muri della casa non avevano avuto il tempo di asciugarsi; il riscaldamento al massimo provocò l’uscita di tanta acqua dai muri (…). Ricordo tanto fango attorno alla canonica e agli altri palazzi; le amicizie che cominciavano a nascere; il catechismo in casa nostra, nei garage e nelle case (…); l’entusiasmo che, crescendo, spingeva le persone a passare dall’osservazione al coinvolgimento». Una storia fatta anche di tanti sacerdoti che, per più o meno tempo, hanno prestato servizio in questa parrocchia: una trentina, con stili e provenienze diverse.

Don Casaroli ricorda anche la prima Messa, in un garage, il 15 dicembre ‘74: «venne l’Arcivescovo Mosconi e insieme a me e a don Giancarlo, celebrammo la Messa di inizio dell’attività parrocchiale. Davanti a un gruppetto di persone, più amiche di noi preti che residenti nel quartiere, iniziammo la nostra attività tra entusiasmi, scoraggiamenti, prime conoscenze. La domenica successiva alla prima Messa non si presentò nessuno e non capitò solo la prima domenica». I due sacerdoti non si abbatterono: «io e don Giancarlo avevamo deciso di andare a spasso insieme, non ognuno per conto proprio. E la gente piano piano è arrivata…». Continuarono le Messe in luoghi anomali, negli stenditoi condominiali e nei garage. Un altro aneddoto di questo periodo riguarda il canto liturgico: «I primissimi giovani, quelli dai capelli lunghi degli anni Settanta, sapevano suonare la chitarra (…). Il repertorio iniziale era vario e, tra i canti di Giombini e Chieffo, talvolta si cantava anche Dio è morto di Guccini». Nel ’75 a S. Agostino si insedia anche, nell’ambito della carità, la Conferenza San Vincenzo de’ Paoli mentre la Caritas “arriverà” nel ‘92.

MILLE VOLTI DELL’ACCOGLIENZA

E a proposito degli anni ’90, nel quartiere un altro complesso residenziale viene tirato su nella prima metà di quella decade, ma senza esercizi commerciali. Per questo, 30 anni fa «l’impegno parrocchiale (…) si estese su molti fronti della vita sociale: dalla lotta alla tossicodipendenza alle sollecitazioni verso l’Amministrazione comunale per la carenza di servizi nel quartiere». E nel 1988 in seno alla parrocchia nasce l’Associazione Arcobaleno, per minori a rischio, e nel ‘92 l’Associazione Viale K, per affrontare povertà e disagio sociale.

Insomma, un pezzo di Chiesa, questa parrocchia, cresciuta e che continua a crescere e a trasformarsi seguendo anche lo sviluppo e le contraddizioni del quartiere nel quale è insediata: non, quindi, un corpo estraneo, ma tessuto vivo nella trama della vita dei residenti (e non solo). Parrocchia come “casa tra le case”, luogo di accoglienza e di condivisione, di ricerca e di sperimentazione, di memoria e di costruzione di bene comune. Nasce poi anche il giornalino parrocchiale Insieme a favore di tutti, ancora attivo e cresciuto molto, e dal Giubileo del 2000 l’esperienza dei Laboratori pastorali: nati nel 2002, furono «occasioni aperte di analisi, confronto e progettazione della pastorale parrocchiale, strutturate in fine settimana residenziali, che offrirono tempi adeguati e uno stile adatto alla costruzione di veri e propri cammini». Dopo gli attentati islamisti in Francia, nel 2015 in parrocchia nasce il Gruppo Incontro di amicizia tra cristiani e musulmani, ancora presente.

Facendo un passo indietro nel tempo, nei primi anni ’80, in accordo con la Caritas Diocesana, vengono inviati in parrocchia gli obiettori di coscienza: uno dei primi è Patrizio Fergnani, che poi va a vivere nel quartiere Krasnodar con la sua famiglia (dove ancora risiede). Così racconta nel libro: «Dal settembre 1983 al febbraio 1985 ho svolto il servizio civile come obiettore di coscienza, assegnato alla Caritas di Ferrara. Eravamo un gruppo di obiettori, a tempo pieno in parrocchia. Dormivamo in una stanza delle opere parrocchiali».

Ci sarebbe tanto altro da raccontare: lo si fa, per quanto possibile, in questo libro che è un pezzo fondamentale della storia della nostra Chiesa in Ferrara-Comacchio. Quel che è l’essenza di tutta questa storia – e lo scegliamo come finale di questo nostro articolo – lo spiega bene don Michele Zecchin nella sua Postfazione: «Una sola trama, un solo Popolo: la parrocchia è un cammino condiviso che attraversa i decenni e supera i cambi di guida, perché il Pastore è Cristo».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 19 dicembre 2025

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(Foto: don Pirini e don Casaroli coi bimbi della parrocchia)

«Un rinnovato modo di porsi di fronte a Dio»: vivere la fede l’estate ai Lidi 

26 Set

La nostra intervista a padre Lorenzo Massacesi, parroco di Lido Estensi, Nazioni e Spina, e guida dell’UP “Madonna del mare”:«stabile la partecipazione alle Messe, con picchi di 600 persone a settimana». Tante le storie di chi vi ha partecipato o ha seguito gli Esercizi Spirituali, per «imparare a intendersi con Dio». Molto sentita la processione giubilare

di Andrea Musacci

L’estate non come periodo vuoto, ma di riposo e di riscoperta di alcuni dimensioni spirituali e relazionali. Per un “bilancio” di fine stagione, abbiamo intervistato padre Lorenzo Massacesi, da 3 anni Amministratore parrocchiale di Lido degli Estensi, Lido delle Nazioni e Lido di Spina e Presidente dell’Unità Pastorale della “Madonna del mare” (nata nel 2022). L’UP raggruppa le parrocchie di San Paolo (Lido degli Estensi), Immacolata Concezione (Portogaribaldi), S. Giuseppe in Bosco Eliceo (S. Giuseppe di Comacchio), S. Guido (Lido delle Nazioni), S. Francesco d’Assisi (Lido di Spina) e accoglie anche la chiesa rettoriale di S. Antonio (Lido degli Scacchi).

Padre Lorenzo, cosa possiamo dire alla fine di questi lunghi mesi estivi?

«L’attrattiva che i Lidi ferraresi hanno sia per i turisti più residenziali che per quelli transitori è un elemento che garantisce sempre un grande afflusso di persone, il che è ovviamente la caratteristica basilarmente positiva di questa stagione, ma in linea abbastanza costante anche delle precedenti. Benché ci siano ogni anno delle diversità, dettate dalla situazione economica, sociale, ecc., dal nostro punto di vista il numero delle persone che frequentano la Chiesa rimane più o meno stabile».

Le Messe son state partecipate?

«I due regolatori fondamentali della frequenza ai Lidi sono le condizioni metereologiche e l’apertura/chiusura delle scuole. Ma al di là di ciò, quest’anno, almeno qui al Lido Estensi e a Lido Spina, ho notato un aumento del numero dei fedeli. Stessa impressione anche negli altri Lidi, in particolare a Lido delle Nazioni dove opera l’instancabile don Guerrino (Maschera, ndr). In media mi è sembrato che nelle Messe principali ci fossero più di 200 persone, anche 5-600 a settimana, specie ad agosto».

Che tipo di persone non residenti ha incontrato? Giovani, anziani, coppie, famiglie ecc. E di quali nazionalità?

«La fotografia del tipo di persone che frequentano rispecchia quella generale della Chiesa italiana. I giovani sempre piuttosto pochi. Qualcosa in più per le giovani coppie che portano i loro bimbi al mare. Diversi anche gli stranieri (tedeschi, polacchi, ecc.). Forse sarebbe necessario organizzarci per offrire loro almeno qualche opportunità di Messa in lingua».

Queste persone cosa cercavano? Come vivevano questo periodo di vacanza in rapporto al loro cammino di fede?

«A seconda forse della situazione economica, il tempo delle vacanze diventa spesso limitato, per cui si è talora costretti a vivere un atteggiamento fugace. Questo in negativo determina un cercare di profittare del poco tempo soprattutto per un giusto relax. In positivo chi frequenta lo fa in maniera più intenzionale, meno abitudinaria. Talora chi abitualmente non frequenta, in questo contesto torna a farlo. In ogni caso lo stacco dal proprio ambiente, il contesto generale più tranquillo, può essere un’occasione di rinnovo di alcune dimensioni della fede. Benché la tradizione spirituale abbia sempre individuato nella solitudine e nel silenzio le condizioni ottimali della preghiera, rimane però l’elemento del cambio di ambiente, che costituisce un aiuto per scrollarsi da dosso ciò che magari ci ha impigrito, ci ha appesantito, e per ricevere nuovi stimoli, facendo così nascere un desiderio di ricominciare, di trovare un rinnovato modo di porsi di fronte a Dio, più aperto e disponibile. Aggiungo che quest’anno ho visto aprirsi anche una dimensione di ricerca vocazionale. Un ragazzo di nome Marco, proveniente da Verona, il quale portava già con sé una ricerca vocazionale, ha avuto qui ad Estensi l’opportunità di pregare e riflettere, fino a nutrire il desiderio di arrivare ad un pieno discernimento. Quest’anno inizierà il percorso seminariale a Faenza con la nostra Arcidiocesi».

Anche quest’anno ha ripetuto gli Esercizi Spirituali. Come si svolgono? E quante persone vi han partecipato?

«Fin da quando sono arrivato ho avuto il desiderio di aprire un percorso di evangelizzazione. Sfruttando il poco tempo che la gente ha, gli Esercizi durano sei giorni, dal lunedì al sabato. Prevedono un tempo di ascolto/commento di un brano biblico e un tempo personale di meditazione fatto col metodo proprio degli Esercizi ignaziani, vale a dire l’esame della preghiera. Mirano al discernimento, cioè a imparare ad intendersi con Dio, a riconoscere la sua Parola e la sua volontà. Ed è importante riuscire a portare a casa una Parola di Dio capace di illuminare almeno alcuni aspetti della propria vita. Quest’anno hanno partecipato in tutto una cinquantina di persone, in modo particolare a Lido Spina dove le persone han risposto molto bene».

Agli Esercizi che persone ha incontrato? Con quale domanda nel cuore e alla ricerca di cosa?

«Le persone si sono mosse da motivazioni diverse. Chi pungolato da un problema pressante, chi per proseguire un itinerario di impegno personale già avviato in parrocchia, chi stimolato da una domanda o una parola. In relazione a quest’ultima, ho cercato di raccordare la predicazione durante l’Eucarestia agli Esercizi, e talora è capitato che chi è stato raggiunto dalla Parola di Dio durante le Celebrazioni abbia visto nascere dentro di sé il desiderio di approfondire e di pregare».

E riguardo ai campi estivi, cosa ci può dire?

«Unitamente alle parrocchie di S. Giuseppe e Porto Garibaldi è stato organizzato un campo estivo per ragazzi a Loiano, curato in modo particolare da don Edwin (Garcia Castillo, ndr) e dai bravi animatori che lo hanno supportato. Buona la partecipazione. La pecca è che vorremmo dedicare più tempo e spazio a queste iniziative, ma è difficile combinarle con gli impegni pressanti della parrocchia nel periodo estivo».

Riguardo invece agli incontri giubilari?

«Il 2 agosto abbiamo organizzato un pellegrinaggio penitenziale da Lido Spina a Lido Estensi. Avevo previsto il solito gruppetto, invece con sorpresa hanno aderito molte persone. La serata è culminata con l’Eucarestia agli Estensi seguita da un momento di festa. Ho avuto dei riscontri molto positivi dalle persone che hanno davvero gustato questo momento di preghiera giubilare».

Un’ultima domanda: tre anni fa è nata l’Unità Pastorale “Madonna del mare”: a quale punto del cammino è? Quali le difficoltà incontrate e quali invece le note positive?

«L’UP è una realtà piuttosto estesa e anche varia. Difficile pensare a un corpo uniforme. Alcune iniziative comuni sono in atto, come appunto i campi estivi, i corsi prematrimoniali. Tuttavia le realtà parrocchiali, avendo ancora quasi tutte l’assistenza di un proprio parroco (don Guerrino, don Edwin, padre Massimiliano Degasperi, e il sottoscritto) conservano ciascuna una positiva autonomia. Ulteriori dimensioni di unione e collaborazione potranno essere pensate ad esempio in relazione al tempo estivo che è un ambito nel quale proposte e idee sono sempre utili ad una migliore organizzazione ed efficacia pastorale».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 26 settembre 2025

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(Foto: Messa a Lido Estensi – agosto 2025)

Speranza, «desiderio che ha un rapporto totale con la realtà». I giovani ce l’hanno?

29 Nov

Sabato 25 novembre 180 ragazze e ragazzi si sono ritrovati nella parrocchia di San Benedetto per l’appuntamento annuale con la GMG diocesana: sperare è una «nostalgia del futuro». Intervista a don Paolo Bovina, co-responsabile Pastorale giovanile, sul suo aiuto ai giovani

Quali paure avete nei vostri giorni? E quali speranze alimentano la vostra vita?

Le domande fondamentali che abitano il cuore di ogni persona vanno sempre ascoltate e mai rimosse.A maggior ragione in una fase delicata e decisiva della vita com’è l’adolescenza. E su queste domande, circa 180 ragazze e ragazzi hanno riflettuto assieme il pomeriggio e la sera del 25 novembre scorso.Occasione, la GMG diocesana svoltasi tra il cinema e l’oratorio di San Benedetto a Ferrara, proprio alcune ore prima dell’evacuazione e del disinnesco della bomba nell’ex convento.

Come detto, dopo l’accoglienza a cura di Agesci, è stato il teatro-cinema parrocchiale a ospitare i tanti giovani accompagnati da educatori, sacerdoti e con la presenza anche di alcuni insegnanti di religione.

Nel cinema, dopo i saluti e la presentazione da parte di don Paolo Bovina, co-responsabile diocesano della Pastorale giovanile assieme a don Adrian Gabor, sono state due ragazze della comunitàShalom, Sara e Chiara a intonare e suonare il canto “Invochiamo la tua presenza”, prima della lettura da parte del giovane diacono Vito Milella del brano di Emmaus.

A seguire, è intervenuto fra Francesco Ravaioli, francescano conventuale in servizio nella Diocesi di Parma, impegnato in particolare nella pastorale giovanile e universitaria, che ha riflettuto sul tema della Giornata e lanciato le provocazioni per le riflessioni nei 12 gruppi in cui si sono successivamente divisi i presenti, prima della S. Messa e della cena comunitaria. 

«Voi vi sentite nella speranza?», ha esordito fra Francesco. «Sperare significa sentire che ciò che desideri di bene entri nel reale. È una sorta di nostalgia del futuro, di un bene che si può realizzare».

Dopo un’analisi delle macro-preoccupazioni del nostro presente (economia, migrazioni di massa, crisi ambientale, guerra, violenza contro le donne), fra Francesco ha lanciato questa provocazione: «sembra che vogliano rubarci la speranza, viviamo in un mondo che vampirizza la nostra speranza».

Le emozioni o sentimenti dell’«anti-speranza», per fra Francesco sono tre: la paura, la tristezza e l’angoscia. Queste si possono sconfiggere solo con una speranza vera, quel desiderio, cioè, che «ha un rapporto totale con la realtà, un rapporto vero con la vita».Altrimenti è mera «illusione, e questa porta solo alla delusione». Ma noi non possiamo avere il pieno controllo sulla realtà: «dove non arriviamo noi, arriva sempre Gesù: facciamoci quindi prendere per mano da Lui, nel nostro cammino, come i discepoli di Emmaus».

Alla fine, il relatore ha annunciato le tre domande su cui i giovani hanno riflettuto nei gruppi:«Riguardo al futuro, di cosa parli coi tuoi amici?»; «Quali paure o tristezze ti attraversano più spesso in questa fase della tua vita?»; «Nel tuo presente, c’è qualcuno che ti aiuta a riaccendere la speranza?». Aogni adulto, spetta chiedersi come poterli aiutare nel loro discernimento.

«È forte la domanda di senso dei giovani: che risposta diamo?». Don Paolo Bovina e il suo accompagnamento alle ragazze e ai ragazzi: «mi chiedono colloqui personali o cammini di fede in gruppo. È la mia missione»

«La mera ricerca di una soddisfazione personale non può fondare un’esistenza, lascia insoddisfatti. Per questo è importante dare risposte alla domanda di senso dei giovani».

Le parole di don Paolo Bovina, co-responsabile della Pastorale giovanile diocesana, maturano non solo da una profonda riflessione personale, ma da un’esperienza di anni a contatto con tante ragazze e ragazzi del nostro territorio. Da 10 anni sacerdote della nostra Arcidiocesi, don Bovina è anche co-responsabile della Pastorale Universitaria, Assistente Settore Giovani dell’Azione Cattolica diocesana e Vicario Parrocchiale dell’UP Borgovado. Nel 2017 ha conseguito la licenza in Scienze Bibliche e Archeologia presso lo “Studium Biblicum Franciscanum” di Gerusalemme e prima del cammino religioso ha conseguito la laurea in Astronomia presso l’Università di Bologna. 

Gli chiediamo cosa significhi, nel concreto, la sua vocazione all’accompagnamento dei giovani: «importante – ci spiega – è il ricordarsi che si hanno davanti persone e non una categoria. Partendo da qui, mi metto al loro servizio, di ascoltarli, cercando di capire i loro bisogni e di rispondere alle loro domande». Una «vera missione», la definisce, «non un lavoro». Perché le domande dei giovani, anche quando noi adulti tendiamo a liquidarle come “ingenue” o “pretestuose”, in realtà, in filigrana, ci mostrano molto di più: una profonda domanda di senso. 

«I giovani – ci spiega ancora don Bovina – sono molto attirati dal divertimento, dal sensazionale, da ciò che dà loro piacere, ma spesso manca la consapevolezza di ciò che si fa, del perché e del per chi si agisce in un certo modo». In ultima analisi, quindi, anche al fondo di ogni divertimento «c’è la ricerca di un motivo per cui vivere».

Gli chiediamo, quindi, se i giovani di oggi li percepisce come particolarmente fragili. «Non saprei», ci risponde. «Forse i giovani sono fragili per definizione, ma oggi il problema non sono tanto loro quanto noi adulti che non sempre riusciamo a essere testimoni autentici, a dir loro qualcosa di significativo». A essere veri educatori: «spesso sono gli adulti i primi a essere fragili».

Gli chiediamo, infine, di raccontarci più nello specifico come avviene l’incontro con i giovani che aiuta. «Alcuni di loro non hanno nessun interesse ad avere a che fare con un prete, altri invece mi cercano, e altri ancora vedono la Chiesa come un mero servizio sociale, un luogo dove giocare e basta. Fra quelli che mi cercano, c’è chi mi chiede un colloquio personale, chi di aiutarlo a trovare un gruppo dove poter vivere un cammino di fede, oppure chi mi chiede un aiuto pratico, come ad esempio un appartamento se sono studenti universitari». 

In ogni caso, per don Bovina, «se è vero che il proselitismo non serve a nulla, è vero anche che all’ascolto devono seguire una risposta e una proposta, che per noi non può non essere incentrata sul messaggio di Gesù Cristo».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 1° dicembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Come essere «satolli di Dio»? Riflessioni sulle Beatitudini

17 Nov

Scuola di teologia per laici: il 9 novembre la comunità dei beati al centro della relazione di Valeria Poletti

“Maestro cosa devo fare per essere felice?” è il titolo della terza lezione della Scuola diocesana di teologia per laici “Laura Vincenzi”, svoltasi a Casa Cini lo scorso 9 novembre. Relatrice, la docente e teologa Valeria Poletti. Le rimanenti lezioni di novembre sono in programma (ore 18.30, Casa Cini o in streaming) il 16 con don Paolo Mascilongo che relazionerà su “Immagini di sequela dal vangelo di Marco”; il 23 con Simona Segoloni su “Fratelli tutti! La comunità espressione di gioia”; il 30 con don Ruggero Nuvoli su “Immaginazione sacramentale”.

Nella sua lezione, Poletti ha analizzato nel dettaglio le Beatitudini (Mt 5,1-12 e Lc 6,20-23), ponendo innanzitutto l’accento sul fatto che Gesù «è venuto a parlare a tutti, a dar vita a una comunità completamente nuova», annunciando che «il Regno di Dio è già ora, si può sperimentare già nel presente». Ma com’è possibile ciò, in questa “valle di lacrime” che è l’esistenza umana?

Gesù quando ci chiede di essere poveri, «non ci chiede tanto di spogliarci, ma di vestire gli altri, di prenderci cura di chi è nel bisogno. “Signore”, quindi, è chi dà agli altri, e lo fa ora, perché il dare mi rende felice, beato già ora», ha spiegato Poletti.

Questo donarsi agli altri è anche il consolare chi è nel pianto, cioè «chi ha un dolore talmente grande da non poterlo tenere dentro. Costui è beato perché mostrandolo può essere consolato, aiutato dalla sua comunità. E la consolazione è già in sé un’azione liberante». È questa la chiave di tutto: il comprendere che «si è felici, beati solo quando si dà, la comunità di persone felici è tale quando non volta la testa dall’altra parte» davanti ai bisogni dei fratelli e delle sorelle.

Allo stesso modo – e proseguendo nell’analisi delle Beatitudini -, «i giusti sono coloro che hanno fame e sete di giustizia». Ma per giustizia non si intende tanto l’osservanza delle norme, ma «è qualcosa che va oltre la legge, e porta anche a subire la persecuzione». La beatitudine sta dunque «nell’essere sazi, satolli di giustizia, quindi di Dio: si sazia la propria fame saziando quella degli altri».

Questa misericordia, questo «chinarsi sull’altro sofferente per rialzarlo», non è dunque un mero sentimento ma «un’azione» concreta. Ed è una purezza del cuore, quindi non solo esteriore ma «interiore, completa, tipica di chi possiede quell’inquietudine che lo porta a giocarsi la propria pace per gli altri, per la pace della propria comunità». Una pace dunque in fieri, un Regno da costruire, vivendo così la propria figliolanza e somiglianza al Padre.

Da qui, solo da qui, può nascere quella «comunità dei felici, dei beati nel Signore», dei «satolli di Dio». 

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 17 novembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Chiesa S. Paolo, cantiere chiuso entro il 2023. La facciata ora è libera

24 Giu

Il cantiere del grande edificio tra p.zzetta Schiatti e corso Porta Reno si concluderà a fine anno. La facciata è stata già liberata. Le foto inedite dell’interno e tutti i lavori in corso

A cura di Andrea Musacci

A fine 2023 si concluderà l’importante cantiere nella chiesa di San Paolo di Ferrara, avviato a inizio 2022. La notizia, che vi avevamo già anticipato alcuni mesi fa, è stata confermata la settimana scorsa dal Comune di Ferrara (Stazione appaltante) e dalla nostra Arcidiocesi. 

All’interno dell’edificio tra piazzetta Alberto Schiatti e Corso Porta Reno (fino alla Torre dei Leuti) fervono dunque i lavori di consolidamento e restauro dell’apparato decorativo. Attualmente le impalcature stanno occupando parte della navata centrale e delle cappelle della navata di destra. È stato inoltre montato il ponteggio interno per accedere a cupola e lanterna, oggetto dei prossimi lavori di restauro.

Già restaurata la prima cappella della navata sinistra, la parte superiore della controfacciata, l’affresco raffigurante il ratto di Elia – ad opera di Scarsellino – nel catino absidale e la cappella del Carmine, costruita negli anni ‘60 del XVII secolo da Luca Danesi: nella volta, si può ammirare la Gloria della Vergine di Giacomo Parolini, giudicato il primo, sia pure tardivo, esempio di affresco barocco a Ferrara.

In generale, sono stati eseguiti restauri, consolidamenti, puliture, ritocchi, finiture, verifiche strutturali, inserimento di travi di rafforzamento e pilastrini in acciaio. Si è operato anche nel sottotetto, col posizionamento di elementi di rinforzo, sempre in acciaio, e si è proceduto alla sostituzione e integrazione di travi lignee, al consolidamento delle volte e all’inserimento di tiranti.

La settimana scorsa è stata liberata la facciata della chiesa, con la rimozione delle impalcature che hanno coperto, per lavori, il fronte dello storico edificio. Ricordiamo che il terremoto del 2012 aveva portato al crollo di due pinnacoli in pietra oltre a sofferenze localizzate su architravi e timpani in corrispondenza degli ingressi, e all’aggravamento della situazione statica con lesioni diffuse, sia sulle volte che sugli apparecchi murari. 

È inoltre previsto l’ammodernamento e l’adeguamento degli impianti: in particolare sarà realizzato uno speciale impianto di riscaldamento, per irraggiamento dall’alto, con sistema a scomparsa: si accenderà durante le funzioni religiose e sarà celato nel cornicione che sovrasta le colonne. Inoltre, verrà realizzata un’adeguata illuminazione di fondo su tutta la facciata principale dell’edificio dal lato opposto della piazza, e sul lato Porta Reno, verrà realizzato un nuovo impianto di illuminazione anche internamente alla chiesa, e saranno eliminate le barriere architettoniche e la riorganizzazione dello spazio verde adiacente.

I fondi e il complesso. Video dalla Diocesi

La chiesa della conversione di San Paolo è chiusa dal 2006 e la sua stabilità venne aggravata dal sisma del 2012. L’edificio è al centro di un doppio stanziamento (per complessivi 3,8 milioni di euro): una quota – di circa 3milioni di euro – della linea di finanziamento ministeriale del Ducato Estense e 806mila euro circa della Regione Emilia-Romagna (fondi post sisma), soprattutto per la parte strutturale. In base a una specifica convenzione, il Comune di Ferrara è stazione appaltante e gestisce anche la parte economica (i finanziamenti transitano per le casse comunali). Responsabile del procedimento è la dirigente del servizio Beni Monumentali Natascia Frasson. Il progetto dei lavori necessari per la chiesa di San Paolo è stato redatto dalla BCD Progetti, società di professionisti di Roma, capitanati dall’ing. Giuseppe Carluccio. 

I chiostri e degli ambienti dell’ex Monastero di S. Paolo hanno visto a fine 2019 la conclusione dei lavori sul primo chiostro, mentre un anno dopo si sono conclusi quelli sul secondo chiostro (il minore dei due) e sull’ex Refettorio. 

In questi stessi giorni, l’UCS – Ufficio Comunicazioni Sociali diocesano (lo stesso gruppo che ha realizzato il video visibile nell’atrio del Duomo) sta realizzando un documentario che presenterà le fasi di recupero del tempio e la sua importanza storico-artistica. Un importante lavoro per rivalorizzare la chiesa scoprendo la sua storia e le sue bellezze. 

Andrea Musacci

Il servizio completo è pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 23 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Diario di un prete di Comacchio nella tempesta di inizio ‘900

10 Giu

Le memorie di don Antonio Fogli sono state trascritte e pubblicate da Maurizio Marcialis in un libro: il sacerdote racconta la politica, la fame, la guerra e la fede di un popolo

di Andrea Musacci

Quel grande guazzabuglio che è stata l’Italia di inizio Novecento, con le sue passioni divoranti, la guerra che falciava vite, le epidemie, la sorda miseria, gli embrioni dei grandi partiti politici. E la fede in Cristo che non muore, pur iniziando a vivere come sotto assedio, odorando l’arrivo dell’ateismo diffuso.

A volte è più utile un diario personale che un pur più preciso e obiettivo manuale di storia, a descrivere tutto ciò. Per questo, i diari ritrovati del canonico comacchiese Antonio Fogli sono un documento alquanto prezioso, perché testimonianza non solo dei fatti storici, locali, nazionali e mondiali, ma anche un documento importante per capire la visione del mondo di un anziano prete a contatto con le miserie del suo tempo.

È grazie all’architetto Maurizio Marcialis, che questi diari sono stati editi nel volume “Diario di un curato di valle. Dal 1900 al 1921 del Canonico Antonio Fogli” (Gruppo Editoriale Lumi, 2020). L’autore ha presentato il libro lo scorso 29 maggio nella Biblioteca Ariostea di Ferrara assieme a Diego Cavallina e Alberto Lazzarini, quest’ultimo prefatore assieme ad Aniello Zamboni.

Marcialis ha ritrovato casualmente il manoscritto oltre 20 anni fa in un mercatino invernale a Cesena, trascrivendolo con minuzia durante il lockdown di tre anni fa. Nato nel 1842 a Comacchio, dove muore nel 1938, don Fogli – secondo di otto figli – viene ordinato sacerdote a Ravenna nel ’65. Nella sua città sarà canonico dopo esser stato arciprete a Mesola, Goro e Gorino, e poi a Codigoro.

Nel 1900 il sacerdote inizia il proprio diario già prevedendo i tumulti che investiranno anche la sua terra: «Dal 1899 al 1900 nella mezzanotte in tutte le cattedrali e chiese parrocchiali del mondo cattolico si cantò la messa e il Tedeum. Nei primi dell’anno fu innalberato su i principali monti il vessillo della Croce e in molti luoghi elevati la statua del Redentore. Ah! Si prevedeva che nella corrottissima società si sarebbero svolti fatti eccezionali: epperciò fin da allora si scongiurava la divina Misericordia a salvare religione e società dal massimo pericolo».

L’ODIO POLITICO: DALLE VIOLENZE SOCIALISTE ALL’ARRIVO DEL FASCISMO

Un umile, pur dotto, prete di provincia, non poteva non avere una visione del movimento socialista esclusivamente come ateista e dedito alla violenza contro l’ordine costituito. Sua fonte, dalla quale a volte ritagliava anche articoli che inseriva nel proprio diario, era il giornale cattolico locale “La Domenica dell’operaio”. Nel 1912 a Comacchio viene linciato Demetrio Faccani, guardia valliva proveniente da Alfonsine. Don Fogli ne parla così: «Lo sciopero indetto dalla brutta peste dei Socialisti, che raccogliendo il fango delle piazze si nutriva di passioni e di odi feroci, si convertì in atto sanguinesco di crudeltà». Nel 1919 scrive: «I socialisti fanno dovunque atti di violenza contro le persone dabbene, contro il Clero, contro le Chiese e seminano contro le più sacre funzioni lo scompiglio e perfino le morti. Quasi la nazione viveva meglio nel tempo della guerra, se la perdita di tanti carissimi giovani non l’avesse addolorata». 

Nel 1919 si affaccia la speranza grazie al neonato Partito Popolare Italiano: «Un partito però dell’ordine che richiamava i principi cristiani sorse per incanto e, sebben bambino, e contrastato con tutte le arti maligne prese un posto dignitoso sorpassando per numero gli altri partiti e mettendosi di fronte ai Socialisti». 

Ma nel febbraio del ’21, vede nel nascente squadrismo fascista una reazione giustificata alle violenze socialiste: «I grandi soprusi, le soverchierie, le barbarie commesse dai socialisti, che hanno innalzato il regno del terrore» nel nostro Paese, e che il governo «è impotente ormai a frenare: ha fatto sì che nei popoli è nata una reazione contro di loro e per bisogno di difendere la libertà sono sorti i fascisti». Ma poco dopo avrà modo, almeno in parte, di ricredersi: «Introdottisi nei fascisti degli elementi sovversivi, e può dirsi anche criminabili, non si fermò più il fascismo alla giusta difesa del popolo e de’ suoi diritti, ma a sfogare con violenza gli odi personali». Nell’agosto dello stesso anno scrive: gli uomini «non ascoltano sacerdoti, anzi li guardano come nemici: non vanno più in chiesa, epperciò il Signore li abbandona ai loro partiti diabolici».

LA CARNEFICINA DELLA GUERRA

Don Fogli vive la guerra innanzitutto come peste che distrugge le vite della povera gente, costretta a partecipare al massacro, o di cui ne subisce le conseguenze. Non manca però il sentimento nazionalista; l’Austria, scrive, «teneva la nostra penisola come una serva da strapazzo». 

Ma il 6 luglio 1915 accenna a un episodio che ben spiega il clima bellico: «Alle 15 vengono arrestati tutti i frati del Convento dei Cappuccini e scortati a Ferrara sotto l’iniqua imputazione di fare segnalazioni al nemico». Don Fogli incolpa di ciò «la camorra brutale della massoneria». I frati verranno liberati senza processo 24 giorni dopo.

Nelle sue memorie accenna anche ai bombardamenti nemici, come quello nel 1916 a Codogoro: «altra barbarie» commesse dagli austriaci «con l’intenzione malefica» di bombardare l’idrovora e il vicino zuccherificio. Morirono 5 persone fra cui una bambina, 2 i feriti. Nel giugno ’17 riporta di altre incursioni aeree sopra Codigoro e poi sopra Comacchio: gli aerei nemici «li abbiamo veduto girarci sopra: ma anche in tal occasione la Madonna ci ha salvato: e a quegli uccellacci, portatori di rovine e morte, ha intimato: vade retro satana». Il 4 novembre 1918, con l’armistizio di Villa Giusti che sancì la resa dell’Impero austro-ungarico all’Italia, finisce la guerra: «vittoria grande incredibile» dell’Italia sull’Austria, scrive il sacerdote. L’Austria «ha abbassato la sua testa grifagna» davanti al nostro Paese. 

LA MISERIA: «TUTTO È SECCO, TUTTO MUORE»

La tragedia del conflitto mondiale, unita all’inclemenza della terra, gettano il suo popolo nella povertà più assoluta. Nel luglio 1916 scrive della siccità: «Sono tre mesi dacché non piove (…). Tutto è secco, tutto muore. Frumentone è andato, faggioli sono perduti: muoiono disseccati perfin gli alberi, e alle viti crolla l’uva». Mentre a novembre dello stesso anno, è l’esatto contrario: «Rovesci di pioggia continua han fatto temere rotte ed ancora non siamo fuori di pericolo. Burrasche di mare prodotte da fortissimi scirocchi hanno portato le onde sopra le dune di Magnavacca». A gennaio ’17, una nuova inondazione: «Quasi tutti i piani terreni delle case hanno l’acqua dentro».

A ciò si aggiungerà l’epidemia di spagnola tra il ‘17 e il ’18, che «sempre più infierisce e miete giovani vittime (…). Si indicano preparativi, disinfettanti. (…) Conseguenza della guerra! (…)». Le precauzioni ricordano, pur con le dovute differenze, ciò che abbiamo vissuto col Covid: le limitazioni di movimento e di assembramento, il divieto di stringersi la mano, i consigli ad arieggiare frequentemente le abitazioni, a proteggere gli ammalati, a rimanere in casa per ogni minima indisposizione, a fare lunghi periodi di convalescenza.

La guerra farà il resto; a fine 1916 scrive: «Decreti sopra decreti limitano i generi più necessari. La carne, i salumi non si possono vendere che tre volte la settimana: le ova si vendono in Comune; il latte è requisito. Il pane non si può mangiare che vecchio. Vino non ce n’è più e solo un poco a £2 il boccale. L’acqua scende e minaccia innondazione (…). La caccia è proibita (…). La pesca di mare è proibita. Poi notizie sempre dolorose e mai un barlume che accenni la pace. O gran Dio salvaci da tante torture!». 

MARIA, MADRE NOSTRA, AIUTACI!

Quella «divina Misericordia» implorata a inizio secolo, sarà sempre presente nel suo cuore, come in quello della sua gente. Nel maggio del ’17, di fronte a così tanti orrori e tragedie, racconta di come «nel popolo comacchiese sorse il desiderio ardente di muovere la vetustissima e sempre venerata immagine di Maria SS.ma in Aula Regia». Ma il Vescovo non poteva permetterlo dato il divieto, in tempo di guerra, di processioni pubbliche. Si decise, quindi, di portarla in Duomo a mezzanotte del 30, di nascosto, scortata dai carabinieri. «Nonostante però tali precauzioni molta parte della popolazione ne aspettò il trasporto che arrivato alle porte della cattedrale, eruppe da ogni petto il grido di “Evviva Maria”».

Un episodio che dice, a distanza di un secolo, di come la devozione popolare, la fede mai sradicata dall’anima del nostro popolo, in tempi bui possa essere, ancora, l’estremo rifugio, l’unica vera àncora di salvezza.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto: bambini sul Ponte Pizzetti, posto di lato alla facciata della chiesa del Carmine, nel 1920. Grazie a Maurizio Marcialis)

I murales segno di fede: il progetto a Santo Spirito

19 Dic

Kobe Bryant e la figlia Gianna, la SPAL e i cristeros, don Camillo e Peppone, la Madonna di Guadalupe…Nell’oratorio il progetto artistico per far sentire ancora più a casa i ragazzi

di Andrea Musacci

A Ferrara c’è un luogo speciale dove Kobe Bryant si incontra con Carlo Acutis, San Francesco con don Camillo e Peppone. Un luogo dove, plasticamente, tutto può parlare di Dio, tutto può portare a Lui. Siamo nel campetto di basket dell’oratorio di Santo Spirito in via della Resistenza. Qui, in questo spazio quotidianamente frequentato da giovani, nel 2021 l’ormai ex parroco padre Massimiliano Degasperi pensò di renderlo ancora più un luogo non solo per i ragazzi, ma dei ragazzi. Così nacque l’idea di far realizzare alcuni murales da Stefania Frigo, madonnara e restauratrice veronese.

«Viva Cristo Re!»

L’invocazione dei cristeros messicani negli anni ’20 del secolo scorso è stata scelta come motto della “Compagnia dello Spirito Santo”, il gruppo dei ragazzi dell’oratorio il cui cammino insieme è rappresentato da una “cordata” che unisce i talenti di ognuno, guidata dall’Immacolata e diretta verso il Cielo. Un’immagine che richiama, oltre ai cristeros, anche il “Signore degli anelli”. E sempre a quest’ultimo è ispirato anche un altro mural nella parete opposta, in una unione di fantasy e Cristianesimo che, nell’amicizia profonda in Cristo e nell’avventura della fede, possa coinvolgere giovani e giovanissimi. Così, Gandalf sta a fianco del leone Aslan delle “Cronache di Narnia”, del cristero ragazzino San José Sanchez Del Rio, della Madonna di Guadalupe e della colomba dello Spirito Santo. E non distanti, vi sono anche don Camillo e Peppone nell’originale interpretazione di un giovane parrocchiano.

Padri della comunità

Nel campetto dell’Oratorio di Santo Spirito non è difficile vedere bambini o ragazzi delle età più disparate ritrovarsi per una sfida a basket o per altri giochi, oppure per una partita a calcio nel vicino campo. Ma lo spazio è, in realtà, dell’intera comunità: qui si svolgono pranzi, rinfreschi (l’ultimo, quello di addio ai frati e di don benvenuto a don Francesco Viali), feste e momenti di preghiera.

A testimoniarne la profonda devozione, sul muro nel lato di via della Resistenza  c’è una statua dedicata a San Giuseppe, «il primo segno qui nel campetto», ci spiega padre Degasperi. La statua, in marmo bianco di Carrara e realizzata grazie a una parrocchiana benefattrice, è una specie di ex voto voluto dalla comunità nel 2019 (per S. Spirito, anno dedicato proprio a S. Giuseppe) per ringraziare della riapertura, seppur ai tempi parziale, della chiesa, i cui lavori post sisma “costringevano” i fedeli a frequentare quella vicina di San Giovanni Battista.

Ma un altro “padre” di questo luogo è stato Piero Zabini, indimenticato allenatore di basket venuto a mancare nell’aprile 2021. Storico parrocchiano, fu lui a volere questo campetto, e, insieme alla moglie Fiorenza, nel 2012 a dar vita in parrocchia al Banco Alimentare.

Fede e sport

Un campetto non solo per i ragazzi, ma dei ragazzi, dicevamo: «nel 2020 – prosegue p. Degasperi -, volli far realizzare i murales perché i giovani sentissero più loro lo spazio, anche nel senso di prendersene cura, di non rovinarlo. Il campetto lo lasciamo aperto molte ore al giorno e in tanti vengono qui a giocare a basket, sia ragazzi che frequentano la parrocchia sia semplici studenti universitari». E al basket sono dedicati due murales: il primo, struggente, rappresenta Kobe Bryant e sua figlia Gianna, morti insieme il 26 gennaio 2020 in un tragico incidente in elicottero insieme ad altre 7 persone. Prima di salire per il loro ultimo viaggio, come ogni domenica erano stati alla Messa mattutina delle 7 nella Cattedrale di Nostra Signora Regina degli Angeli a Newport Beach in California. Poco distante, un altro mural è dedicato a Luka Doncic, 23enne cestista sloveno, star mondiale dei Dallas Mavericks. Non poteva, poi, mancare la SPAL, squadra nata dai salesiani, col suo logo e con un altro dipinto che ricorda la magnifica coreografia realizzata al Mazza nel 2018 dalla Curva Ovest in occasione di SPAL-Bologna, il San Giorgio “spallino” che uccide il drago ispirato al dipinto di Paolo Uccello. Ma un legame speciale lega i Frati dell’Immacolata alla squadra di calcio della nostra città: nel pomeriggio del 13 maggio 2017 la SPAL matematicamente veniva promossa in serie A, e il Centro Mariano Diocesano (con in prima fila proprio i Frati di S. Spirito) fece una processione verso la Sacra Famiglia, oggi finalmente tornato ad essere Santuario del Cuore Immacolato di Maria, in occasione del centenario della prima apparizione della Madonna ai pastorelli di Fatima e in contemporanea con la canonizzazione di due di loro, Giacinta e Francesco. 

I nostri santi 

Naturalmente, poi, non potevano mancare, oltre al logo dell’Agesci, due murales, uno dedicato a San Francesco d’Assisi e uno a S. Antonio di Padova, nella sua veste miracolosa. Una scelta, quest’ultima, non casuale: S. Antonio visse, infatti, nel convento di S. Francesco a Ferrara fra aprile e maggio 1228. La sua permanenza nella nostra città è ricordata anche per il noto miracolo del neonato – avvenuto nell’attuale Via Zemola – che attestò la veridicità della paternità contestata. Inoltre, due sue reliquie fecero tappa a Ferrara tre anni fa. In questo gruppo di murales, i Frati hanno scelto di inserire anche il beato Carlo Acutis, esempio per tanti giovani.

«Per me dipingere è pregare»

Stefania Frigo è un’artista e restauratrice veronese, per la precisione di Torbe di Negrar, dove nel 2012 ha aperto il suo studio “Arte Antica”. È stata lei ad essere scelta da padre Degasperi per realizzare i murales, aiutata da altre quattro artiste, Francesca Simoni, Cinzia Pastorutti, Francesca Schiavon e Flavia Benato. Tra il 2016 e il 2019 Stefania ha partecipato al nostro Buskers Festival come madonnara realizzando, l’ultimo anno, sul Listone una Madonna di 6 metri x 8. Stefano Bottoni, patron del Festival, ha poi dato il suo contatto a don Giuseppe Cervesi per farle realizzare, nel maggio del ’21, un altro dipinto a terra davanti all’entrata del Santuario del Poggetto. Questo, però, a differenza del primo, è permanente: è il primo in assoluto, infatti, realizzato sull’asfalto appena steso, ancora caldo.

I murales di Santo Spirito, invece, sono in acrilico, realizzati a tappe l’anno scorso. Durante le settimane di lavoro, lei e le colleghe sono state ospitate dai Frati nella foresteria. «Per me – ci racconta Stefania – è stata un’esperienza di fede e umana molto importante, una delle più significative della mia vita. E anche alcune mie collaboratrici, che non erano quasi mai entrate in una chiesa, in qualche modo sono state toccate nel profondo: mi hanno raccontato di come abbiano sentito un’energia molto particolare che le abbia portate a fare gesti mai fatti, come mettere una moneta davanti alla statua di Sant’Antonio. Mi ha colpito anche – prosegue – l’atmosfera bellissima nel campetto e in chiesa, con tanti bambini e giovani sempre presenti».

Ci racconta, poi, di come ogni anno partecipi alla Fiera delle Grazie a Curtatone, nel mantovano, un’antica manifestazione internazionale di madonnari. «I miei – conclude Stefania – sono quasi tutti dipinti a soggetto religioso. La fede l’ho trovata proprio dipingendo l’arte sacra, è stata per me una vera e propria folgorazione, avvenuta quando avevo 20 anni. Per me dipingere è pregare: ogni dipinto è una preghiera per grazia ricevuta o per chiederne una».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 23 dicembre 2022

La Voce di Ferrara-Comacchio

Una grande festa diocesana: Sacra Famiglia, Santuario e 70°

5 Dic

Chiesa stracolma martedì 29 novembre per la doppia festa nella comunità di via Bologna. Don Bezzi: «in questa parrocchia è sempre stata forte la devozione mariana»

Lo scorso 29 novembre era gremita la chiesa della Sacra Famiglia per la Solenne Celebrazione di erezione della stessa a Santuario Arcidiocesano del Cuore Immacolato di Maria. 

Un evento memorabile, atteso da tanti anni, dopo che, solo per un breve periodo (dal ’52 al ’56) era  già stata Santuario. Ma vicissitudini, ormai confinate nella storia, fecero diventare l’edificio su via Bologna chiesa parrocchiale (invece di costruirne un’altra ad hoc nelle vicinanze), e non più Santuario. 

Ora, invece, la grande comunità guidata da don Marco Bezzi ha il “privilegio” di rimanere parrocchia e in più, la stessa Casa, di essere riconosciuta anche come Santuario mariano.

Il dipinto rinato

La cerimonia del 29 ha visto, prima della liturgia, la benedizione da parte dell’Arcivescovo del quadro a olio “Maria col Bambino Gesù e i Santi Margherita, Girolamo e Petronio”, donato a suo tempo dal parrocchiano Ing. Ubaldo Masotti (in chiesa era presente il figlio Luigi con la moglie). 

L’opera, esposta sulla parete sud dell’edificio, è stata restaurata, come quella dell’immagine del Cuore Immacolato di Maria nell’abside, da Natascha Poli, con il contributo degli “Amici dei Musei e Monumenti Ferraresi”. 

Poli, nata e cresciuta proprio nella parrocchia della Sacra Famiglia, ha eseguito i lavori in collaborazione col Laboratorio di restauro di Alberto Mauro Sorpilli. «È stato un lavoro impegnativo e delicato», ci spiega la restauratrice: «era praticamente impossibile distinguere i volti».

Le parole del parroco

Prima della lettura del Decreto di erezione a Santuario, da parte di don Nicola Gottardi (vicario parrocchiale – insieme a don Thiago Camponogara – e vice Cancelliere Arcivescovile), Caterina Villani, parrocchiana, ha portato i saluti della comunità, seguiti da quelli del parroco. 

«Nella nostra parrocchia c’è da sempre un’autentica devozione mariana, quindi la scelta del Santuario non c’entra niente con la nostalgia», ha spiegato don Bezzi. Citando la “Marialis Cultus” di Paolo VI del ‘74 (par. 35) – «La Vergine Maria è stata sempre proposta dalla Chiesa alla imitazione dei fedeli» perché «fu la prima e la più perfetta seguace di Cristo» -, il parroco ha invitato a un maggiore «ascolto della Parola, alla carità, allo spirito di servizio, all’adesione totale alla volontà di Dio, per un mondo dove, in attesa del ritorno del Cristo, possa regnare la pace». 

«Voglio ringraziare questa comunità, nella quale sono cresciuto e dove ho svolto il servizio di chierichetto, catechista, educatore, volontario Unitalsi», ha proseguito. «Qui, ho imparato a pregare e a mettermi al servizio del prossimo e della Chiesa». 

L’omelia del Vescovo

«Era il 29 novembre 1952 – ha detto mons. Gian Carlo Perego nell’omelia ricordando le origini della parrocchia -, «anni in cui era ancora viva la sofferenza della guerra, le distruzioni, e quando la città, profondamente segnata dai bombardamenti, rinasceva. La costruzione, nel 1949, e la consacrazione di questa chiesa erano un segno di questa rinascita. E in 70 anni questa chiesa è stata al centro della vita di una comunità che cresceva lungo l’antica via Bologna, accompagnata dai suoi pastori». 

«I Santuari – ha poi proseguito – sono il segno vivente del cuore di Maria che accompagna la vita della Chiesa», e ora anche in questo Santuario si può «sperimentare la maternità di Maria, il suo amore».

Lo Statuto di erezione

Prima della lettura da parte dell’Arcivescovo (davanti all’immagine sull’abside, insieme ai presenti) dell’Atto di Consacrazione della Diocesi al Cuore Immacolato di Maria, don Gottardi ha letto lo Statuto di erezione del Santuario: «si auspica possa diventare in modo crescente meta di pellegrinaggi per i fedeli dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio», è scritto. E ancora: «I pellegrini potranno acquistare l’indulgenza parziale, alle consuete condizioni, ogni volta che presso il Santuario parteciperanno con fede e devozione ad una Celebrazione Eucaristica, o reciteranno l’apposita preghiera» [alla Vergine Maria], «scritta e approvata dall’Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego». «Presso il Santuario – un’altra importante avvertenza indicata nel testo – devono essere celebrate con cura: la Solennità del Cuore Immacolato di Maria; la processione ogni primo sabato del mese al termine della Santa Messa vespertina; la Santa Messa votiva di Santa Maria in sabato».

Il saluto di mons. Turazzi

Grande calore, come sempre, hanno portato nei presenti le parole finali di mons. Andrea Turazzi, Vescovo di San Marino-Montefeltro, ed ex parroco della Sacra Famiglia (dal 2005 al 2013; tra i sacerdoti era presente anche il suo successore don Mauro Ansaloni): riandando all’ingresso in chiesa (“innevata” dai calcinacci caduti) la mattina del terremoto del 20 maggio 2012, ha ricordato il suo pensiero di allora: «Gesù, come noi anche tu sei terremotato…». «Ho capito, insomma, con ancora maggiore forza, che la Chiesa è il Signore che vive con noi, che il suo tempio siamo noi, la sua comunità di fedeli. Dopo la celebrazione di ogni Sacramento – ha proseguito -, salivamo sulla loggia per ringraziare la Madonna: e questo semplice gesto, ho notato più volte, commuoveva anche tanti atei». 

Ai due Vescovi è stata donata una riproduzione incorniciata dell’immagine stessa.

Mostra nella vicina Cappella Revedin

A seguire taglio del nastro e visita della mostra nella Cappella Revedin. L’esposizione dal titolo “Ti racconto i 70 anni della Sacra Famiglia”, è stata curata, e presentata, da un gruppo di giovanissimi della parrocchia che hanno selezionato una 40ina di foto fra le oltre 200 conservate nell’archivio parrocchiale per essere esposte insieme a un video nel quale scorrono altre immagini prestate per l’occasione da diversi parrocchiani. La mostra è aperta nelle domeniche prima di Natale o su richiesta (parrocchia: tel. 0532 767748 – mail: segreteria@sacrafamiglia.fe.it).

A seguire, rinfresco nella palestra con taglio finale della torta per il 70° della parrocchia.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 dicembre 2022

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto Pino Cosentino)

Sentirsi amati, sempre: l’impegno del SAV

12 Mag
Alcune volontarie davanti alla sede del SAV

Siamo andati nella sede del Servizio Accoglienza alla Vita di Ferrara per incontrare le volontarie. Perché la vita si difende, innanzitutto, con l’amore e la vicinanza alle persone

Impressionano quelle file di alti scaffali dove ordinatamente sono stipati ogni genere di indumenti per bambini di età diverse, e, dal lato opposto dello stanzone, le file di alimenti a lunga conservazione. Siamo nella sede del SAV – Servizio di Accoglienza alla Vita di Ferrara, per la precisione nell’ambiente dedicato alla distribuzione. Ma ciò che colpisce ancora di più, ogni volta che si varca la soglia d’ingresso, sono il calore e la gioia che le tante volontarie impegnate mettono in ogni piccolo gesto, in ogni sorriso.

Qui in via Arginone, a metà strada fra il carcere e la chiesa di San Giacomo, ogni mattina dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 12 decine di volontarie accolgono mamme coi loro figli, a volte anche papà, venuti per ricevere in dono alimenti o indumenti soprattutto per i loro bambini, e a volte anche per sé. Il sabato, invece, oltre all’attività di segreteria, è prevista l’accettazione del materiale donato.

Attualmente sono 70 i soci (perlopiù donne), di cui 44 volontarie attive regolarmente. Sono donne che fanno della concretezza la loro forza, ma senza che il loro impegno diventi qualcosa di meramente burocratico e dimostrando, semplicemente col loro esserci, che i Centri di aiuto alla vita non sono etichettabili solo come gruppi “anti aborto”. «Certo, il nostro discorso va controcorrente – ci spiega la presidente Alessandra Cescati Mazzanti -, per noi la vita inizia col concepimento. Ma siamo persone competenti, e il nostro carisma va rispettato». La loro missione consiste nell’essere vicine alle donne, ai loro bimbi, alle loro famiglie. «Molte madri ci dimostrano riconoscenza anche a distanza di tempo, perché si sono sentite e si sentono amate da noi».

In questo periodo il SAV di Ferrara aiuta 292 famiglie: 59 vengono nella sede di via Arginone in maniera continuativa ogni settimana per ritirare indumenti, alimenti per i bimbi (pastine, omogeneizzate) e alimenti a lunga conservazione i genitori. 73 famiglie, invece, ritirano solo indumenti, e alimenti per i bimbi, mentre le restanti 160 ritirano un po’ di tutto ma saltuariamente, vale a dire circa ogni 3-4 mesi. Sono famiglie soprattutto straniere (la maggior parte nigeriane e marocchine), ma quelle italiane rappresentano una minoranza corposa. 

Il SAV ha anche aiutato la popolazione ucraina nelle prime settimane del conflitto in corso. Alla parrocchia guidata da padre Vasyl Verbitskyy sono stati consegnati tre pulmini pieni di materiale poi recapitati nel Paese in guerra: nello specifico, sono stati raccolti 15 lettini da campeggio, pannolini, alimenti per bimbi, coperte, vestiti, assorbenti, biancheria, e 250 kg di pasta acquistati coi soldi raccolti grazie a una delle serate di Burraco che regolarmente organizzano come forma di autofinanziamento. «Il nostro rapporto con padre Vasyl – ci spiegano – è iniziato ben prima dello scoppio del conflitto: ad esempio, lo scorso dicembre ci ha chiesto di aiutarlo per l’acquisto di un farmaco per un bambino, introvabile in Ucraina, e siamo riuscite ad aiutarlo».

Oltre agli indumenti, gli investimenti più consistenti sono naturalmente quelli per latte e pannolini, per cui vengono spesi ogni mese circa 2mila euro. Un’altra forma di aiuto del SAV avviene mettendo a disposizione i due appartamenti dell’Associazione presenti in via Baluardi, che possono ospitare 4 mamme coi loro bimbi. Nello stesso edificio ha anche sede il Laboratorio “Mani d’oro”. Soprattutto tramite il passaparola e la pagina Facebook, le volontarie riescono a raggiungere più persone possibili per chiedere aiuto quando vi sono necessità particolari. Come nel caso di una mamma, che dopo un certo periodo in uno degli appartamenti di via Baluardi, a breve si trasferirà in un alloggio del Comune, sprovvisto di tutto, mobili compresi. E grazie al passaparola, in tanti si stanno rendendo disponibili per aiutarla.

Non mancano, poi, raccolte straordinarie, come quelle durante la Giornata della Colletta Alimentare, o come quelle nei supermercati Coop: la prossima è in programma alla Coop del Doro sabato 14 maggio dalle ore 8 alle 13, con 8 volontarie che si alterneranno per la raccolta.

Un altro importante capitolo dell’impegno del SAV riguarda l’accoglienza nella propria sede di studenti in percorsi di stage in Alternanza Scuola Lavoro (soprattutto da Einaudi, Ariosto e Roiti) e l’adesione, da cinque anni, al Progetto di Accoglienza per Attività di Volontariato Sostitutiva della Sanzione dell’Allontanamento Scolastico.

Paola Mastellari, referente di questi due progetti, ci illustra i risultati dell’accordo tra il SAV e il Centro Servizi per il Volontariato, che fa da intermediario tra le associazioni e le scuole. «Lo scorso gennaio abbiamo ripreso i contatti con le scuole, dopo la sospensione per l’emergenza Covid. In questi primi mesi dell’anno abbiamo ospitato quattro studenti: a gennaio due ragazze dell’Einaudi per l’Alternanza Scuola Lavoro, che sono state qui da noi per tre settimane. Sono rimaste talmente contente che, a conclusione del progetto, hanno portato quattro loro compagne di classe per fargli conoscere la nostra realtà». Negli anni poi, assieme agli stagisti, «abbiamo portato avanti diversi progetti, ad esempio sulla prevenzione di incidenti domestici». 

Due sono, invece, i ragazzi accolti per l’Allontanamento Scolastico, uno dell’ITIS e l’altro, di 15 anni, del Vergani-Navarra, che farà esperienza al SAV dal 9 al 19 maggio. «Per noi è sempre una sorpresa la relazione che si crea con questi ragazzi sospesi da scuola», ci spiegano le volontarie. «Scopriamo, infatti, che sono persone molto sensibili e contenti di conoscere un mondo di cui non sapevano nemmeno l’esistenza. Speriamo sempre che qualche studente torni spontaneamente come volontario».

Riguardo a quest’ultimo gruppo di ragazzi accolti, le volontarie, dopo un colloquio e una visita alla sede, cercano di capire le loro attitudini e quindi come meglio renderli utili, ad esempio nel controllo delle scadenze degli alimenti raccolti, oppure nello stoccaggio o nella sistemazione degli scaffali. 

Quest’ultime iniziative legate al mondo della scuola dimostrano ancora di più la volontà del SAV di far comprendere la propria apertura all’intera cittadinanza e l’importanza di un servizio come questo che va avanti da 35 anni, fondamentale per difendere la cultura della vita non come sterile battaglia ideologica ma come fonte di speranza per tutti, soprattutto in una città come la nostra con un indice di natalità basso e in continuo calo.

Una cura, quella delle volontarie del SAV, che come dicevamo non si arresta ai primi mesi di vita del bambino, ma prosegue nel tempo, a volte per anni. Come nel caso di una giovane camerunense madre di una bimba, seguita dal SAV, che con le volontarie in queste settimane condivide la grande soddisfazione di aver conseguito la Laurea magistrale in Medicina e Chirurgia.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 13 maggio 2022

https://www.lavocediferrara.it/

«Dio è pace, Slava Ukraini!»

2 Mar
Don Vasyl (a destra) e alcuni uomini della comunità ucraina ferrarese prima della spedizioni di aiuti in Ucraina

Ferrara a fianco del popolo ucraino e in appoggio alla comunità cattolica ucraina guidata da don Vasyl  Verbitskyy: la possibilità di donare cibo e medicine da spedire in Ucraina, le bandiere solidali realizzate dalla parrocchia di  Comacchio, la preghiera in piazza a Ferrara, quelle nella chiesa di via Cosmè Tura e a Copparo, il sit in della Rete per la Pace…

di Andrea Musacci

La rabbia e l’orgoglio di un intero popolo, la risposta solidale e nella preghiera della città di Ferrara e dell’intera Arcidiocesi.

Anche nel nostro territorio i circa 3500 ucraini residenti vivono giorni di angoscia e di paura per i tanti cari in Ucraina e per il loro amato popolo. Oltre alla nostalgia della terra lontana, grande è ora il dolore per l’invasione russa scatenata il 24 febbraio dal Presidente Vladimir Putin.

Cibo e medicine: chi vuole può donare

La comunità cattolica ucraina di Ferrara da giovedì scorso sta raccogliendo generi alimentari a lunga conservazione (pasta piccola, sughi, biscotti, latte, tonno, caffè, zucchero, carne in scatola ecc.), medicinali (antidolorifici tipo oki, tachipirina, ibufrofene e similari) e materiali di primo soccorso (garze, bende, cerotti, disinfettanti ecc.) da spedire in Ucraina. Tutto quanto raccolto verrà trasportato via terra attraverso corridoi sicuri già attivi, che possono garantire il recapito diretto, il tutto in sinergia con Caritas diocesana e Caritas italiana. Sabato sera sono partiti i primi tre furgoni carichi di donazioni, arrivati alla chiesa della comunità greco-cattolica a Ternopil, nell’ovest del Paese. Altri sono partiti domenica. Come ci spiega don Vasyl, «una famiglia che conosciamo porterà parte dei beni raccolti con un pulmino alla dogana sul confine con la Polonia. La maggior parte del materiale raccolto, invece, verrà portato in Ucraina grazie alla Caritas dell’Esarcato apostolico ucraino in Italia», il cui Direttore don Volodymyr Medvid risiede a Cattolica. 

Il materiale da donare si può portare nella chiesa di via Cosmé Tura oppure si può far avere chiamando don Vasyl al 366-3958892. 

Anche diversi studenti universitari di Unife in questi giorni stanno aiutando gli ucraini nella raccolta del materiale e nella chiusura degli scatoloni da spedire. Il Comune, inoltre, si sta organizzando tramite le Farmacie comunali per donare farmaci, mentre Iper Tosano e altri supermercati cittadini doneranno alimentari.

Il gesto da Comacchio: bandiere e foulard fatti a mano

Il desiderio di aiutare il popolo ucraino ha stimolato la creatività di molti. Da Comacchio don Guido Catozzi ci spiega l’idea di alcune parrocchiane di realizzare a mano bandiere dell’Ucraina e foulard con gli stessi colori che chiunque può acquistare a offerta libera. Il ricavato verrà dato a don Vasyl per l’acquisto di beni alimentari e medicine da inviare in Ucraina. Un’iniziativa, questa, portata avanti dalla comunità di Comacchio insieme alle Chiese di Cervia, Cesenatico e di altre della Romagna.

S. Maria dei Servi santuario di pace

Da giovedì 24 febbraio la chiesa di Santa Maria dei Servi in via Cosmé Tura, 29 a Ferrara è diventata il punto di riferimento non solo per i tanti ucraini in città ma anche per tanti non ucraini che hanno scelto di esprimere la loro vicinanza. Anche questa settimana la chiesa è sempre aperta, dalla mattina alla sera. Lo scorso fine settimana dalle ore 9 alle 22 non è mai mancata una presenza. Si sono susseguite le preghiere per la pace, i Rosari, la Divina Liturgia. Sabato pomeriggio la preghiera ha visto anche la presenza di don Giacomo Granzotto, Responsabile dell’Ufficio liturgico diocesano, di p. Massimiliano Degasperi (parroco di S. Spirito) e di Marcello Panzanini, alla guida dell’Ufficio ecumenico.

Anche i Campanari Ferraresi hanno portato il proprio contributo suonando una volta al giorno da venerdì a domenica.

Domenica c’è stata anche una preghiera speciale, quella delle “Mamme in preghiera”, un gruppo della comunità ucraina ferrarese che da oltre 10 anni prima della Messa domenicale si ritrova per leggere e meditare un brano del Vangelo e per rivolgere una preghiera per i propri figli e nipoti in Ucraina. Un gesto che in questi giorni assume un significato ancora maggiore.

Ma non solo: mercoledì 2 marzo alle ore 19.30 nella chiesa di Copparo don Vasyl parteciperà a una preghiera per la pace invitato dal parroco don Daniele Panzeri. A Copparo da tanti anni risiede un nutrito gruppo di persone di origine ucraina. La sera del 25 febbraio diversi giovani si sono trovati a Casa Cini con don Paolo Bovina per un Rosario per la pace. Domenica 20 febbraio la comunità ucraina ferrarese si era ritrovata nella chiesa di S. Agostino per una veglia di preghiera trasmessa in tutto il mondo. In tante chiese in Diocesi si susseguono preghiere per la pace. La mattina di domenica 27 altro sit in spontaneo di una 30ina di ucraini in piazza Municipale.

«Non ci abbandonate!»

Nel tardo pomeriggio di venerdì 25 febbraio oltre 200 persone si sono ritrovate in piazza Repubblica per un momento di preghiera organizzato dalla comunità ucraina cattolica di tradizione bizantina guidata dal Cappellano don Vasyl Verbitzskyy. Lui stesso ci confessa che da quel maledetto giovedì non dorme, e come lui, tanti. Il pensiero è sempre al suo Paese, in particolare ai suoi genitori che vivono nell’ovest dell’Ucraina. Nei giorni scorsi, don Vasyl e altri si sono trovati di sera, di notte: «nessuno di noi riusciva a dormire, così invece almeno ci facevamo compagnia e ci sostenevamo a vicenda».

Il 25 presenti anche il Sindaco, il suo vice e alcuni Assessori. L’orgoglio patriottico e la profonda fede degli ucraini hanno trovato una spontanea espressione nei canti – civili e religiosi – intonati dai tanti presenti, molti fra le lacrime. Molti anche i bambini e i giovani, e tante quelle bandiere blu e gialle del loro amato Paese, gli stessi colori coi quali è stata illuminata la fontana della piazza.

Oltre all’orgoglio, però, c’è la rabbia. «È una vergogna che l’Europa non ci appoggi», grida una signora squarciando il silenzio fattosi pesante. «Non state zitti, ci sentiamo abbandonati. Ascoltate l’Ucraina!». Il suo grido è quello di un popolo martoriato che combatte fino alla morte contro l’invasore russo. “Stop alla guerra!”, urlano i presenti, una guerra non cercata né provocata. 

«Siamo qui per testimoniare la nostra volontà di pace», ha detto don Vasyl. «Il popolo ucraino è il popolo cristiano. Vi invito a pregare insieme a noi nella chiesa di via Cosmé Tura. Dio vi aspetta. Con Dio ci può essere la pace perché Dio è pace». 

Sit in per la pace (26 febbraio 2022) – Foto Andrea Musacci

Il sit in della “Rete per la pace”

Tantissime le persone che nel pomeriggio del 26 febbraio hanno riempito piazza Castello per il sit-in per la pace promosso dalle confederazioni sindacali e da diverse associazioni e partiti. Toccante, in particolare, la testimonianza di una donna ucraina che tra le lacrime ha raccontato di suo figlio soldato in Ucraina, richiamato nell’esercito lo scorso gennaio.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 4 marzo 2022

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